Cass. Sez. III n. 27073 del 4 luglio 2008 (Ud 20 mag 2008)
Pres. Onorato Est. Teresi Ric. Dell’Erba
Rifiuti. Deposito temporaneo

In tema di rifiuti. al fine di qualificare il deposito quale temporaneo il produttore dei rifiuti può alternativamente e facoltativamente scegliere di adeguarsi al criterio quantitativo o a quello temporale ovvero può conservare i rifiuti per tre mesi in qualsiasi quantità, oppure conservarli per un anno purché la loro quantità non raggiunga i venti metri. Esula dall\'attività di gestione dei rifiuti, costituendo un\'operazione preliminare o preparatoria alla gestione, il deposito temporaneo (che è comunque soggetto al rispetto dei principi di precauzione e di azione preventiva con il conseguente divieto di miscelazione e obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico), inteso quale raggruppamento di rifiuti effettuato prima della raccolta nel luogo in cui sono prodotti, e nel rispetto delle condizioni fissate dall\'art. 183 lett. m) del d. ls. n. 152 del 2006
Osserva
Con sentenza in data 22.06.2007 il Tribunale di Trani condannava Dell’Erba Gaetano, titolare di un’impresa di movimento terra e di trasporti, alla pena di €. 2.000 d’ammenda per avere depositato nel capannone della propria azienda rifiuti speciali non pericolosi [pneumatici fuori uso, motori, vernici, oli minerali e grassi] in assenza della prescritta autorizzazione.
Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando:
- erronea applicazione della legge penale perché erano state applicate norme [art. 6 e 51 d. lgs. n.22/1997] sostituite con gli art. 183 e 256 del d. lgs. n. 152/2006 che avevano stabilito che il deposito temporaneo, penalmente irrilevante, è possibile per quantitativi superiori ai 20 mc purché lo smaltimento avvenga ogni 3 mesi. Avendo egli provveduto allo smaltimento il 23.05.2002 [come annotato in registro] era legittimo il deposito temporaneo constatato il 12.06.2002 perché era stato rispettato il limite trimestrale di smaltimento ed era irrilevante il superamento del limite quantitativo;
- violazione dell’art. 183 d. lgs. n. 152/2006 per l’erronea qualificazione come rifiuti di gomme e di pezzi di ricambio usati per la riparazione dei veicoli aziendali.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

L’art. 51 del d. lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 [ora art. 256 d. lgs. a. 152/2006] prevede e punisce, al primo comma, lo smaltimento non autorizzato dì rifiuti.

L’incriminata attività di stoccaggio di rifiuti rientra nella disciplina dei suddetti decreti.

Nella specie, sono stati qualificati rifiuti, con congrua motivazione, i materiali indiscriminatamente ammassati nell’area di proprietà dell’imputato, donde la configurabilità del reato contestato, mentre le doglianze, articolate in fatto, sulla qualificazione loro attribuita in sentenza alla stregua delle modalità di conservazione, sono irrilevanti ai fini del sindacato di legittimità.

Esattamente il Tribunale non ha ravvisato l’istituzione di un deposito temporaneo che “ai sensi dell’art. 6, punto m), del d. lgs 5 febbraio 1997 n. 22 [ora art. 183 d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152] è legittimo soltanto ove sussistano alcune precise condizioni temporanee, quantitative e qualitative; in assenza dl tali condizioni, il deposito di rifiuti nel luogo in cui sono stati prodotti è equiparabile giuridicamente all’attività di gestione di rifiuti non autorizzata, prevista come reato dall’art. 51 del d. lgs. 22/1997” [Cassazione Sezione III n. 7140, 21.03.2000, Eterno, RV 216977 e Cassazione Sezione III n. 39544/2006, Tresolat RV. 235703).

E’ stato, infatti, accertato, in sede dì merito che non ricorrevano le condizioni che integrano il concetto normativo di tale tipo di deposito per non essere state rispettate le condizioni di cui alla lettera m) n. 4 dell’art. 6 del decreto a. 22/1997 [ora n. 4 dell’art. 183 decreto 152/2006).

La sentenza Tresolat di questa Corte [Cassazione n. 39544/2006 RV. 235703] ha delineato i casi in cui, in tema di gestione dei rifiuti, costituisce reato:
• un abbandono ovvero un deposito incontrollato sanzionato, secondo i casi, dagli artt. 50 e 51, comma 2, del citato d .lgs. n. 22 [ora sostituiti dagli artt. 255 e 256, comma secondo, D. Lgs. 152 del 2006];
• un deposito preliminare, necessitante della prescritta autorizzazione in quanto configura una forma di gestione dei rifiuti;
• una messa in riserva in attesa di recupero, anch’essa soggetta ad autorizzazione quale forma di gestione dei rifiuti.

Per le ultime due ipotesi la mancanza di autorizzazione è sanzionata ex art. 51, comma 1, d. lgs. n. 22 [ora art. 256, comma primo, d. lgs. n. 152 del 2006].

Il deposito dei rifiuti per essere qualificato quale temporaneo deve possedere i requisiti fissati dall’art. 6 lett. m) d. lgs. n. 22 del 1997 (ora art. 183 d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152).

La citata sentenza, puntualizzato che “in tema di rifiuti, al fine di qualificare il deposito quale temporaneo, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 163 lett. m) d. lgs. n. 152/ 2006, il produttore dei rifiuti può alternativamente e facoltativamente scegliere di adeguarsi al criterio quantitativo o a quello temporale, ovvero può conservare i rifiuti per tre mesi in qualsiasi quantità, oppure conservarli per un anno purché la loro quantità non raggiunga i venti metri cubi” [Rv. 235705], ha pure ribadito che esula dall’attività di gestione dei rifiuti, costituendo un’operazione preliminare o preparatoria alla gestione il deposito temporaneo [che è comunque soggetto al rispetto dei principi di precauzione e di azione preventiva con il conseguente divieto di miscelazione e obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico], inteso quale raggruppamento di rifiuti effettuato prima della raccolta nel luogo in cui sono prodotti, e nel rispetto delle condizioni fissate dall’ art. 183 lett. m) del d. lgs. n. 152 del 2006 [Rv. 235704].

Nella specie, l’accertamento del mancato deposito per categorie omogenee [i rifiuti di varia natura erano indiscriminatamente ammassati nell’area aziendale] non consentiva la configurabilità del deposito temporaneo, correttamente esclusa in sede di merito.

La manifesta infondatezza del ricorso, che preclude la possibilità di rilevare e dichiarare sopravvenute cause d’estinzione del reato [Cassazione SU n. 32/2000. De Luca, RV. 217266], comporta l’onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma che va equitativamente fissata in €. 1.000.