Cass. Sez. III n. 686 del 9 gennaio 2024 (UP 14 dic 2023)
Pres. Ramacci Rel. Corbetta Ric. Torelli
Rifiuti.Discarica abusiva confisca e diritti dei comproprietari

E’ ben vero che il provvedimento di confisca dell'area sulla quale risulta realizzata o gestita la discarica non autorizzata non può essere disposto dal giudice, con la sentenza di condanna, in caso di comproprietà dell'area stessa, allorché i comproprietari non siano responsabili, quanto meno a titolo di concorso, del reato di discarica abusiva, non avendo l'area una intrinseca criminalità in senso assoluto e potendo essere bonificata dai residui inquinanti. Tuttavia la restituzione dell'intero bene, ad uno o più titolari della comproprietà indivisa rimasti estranei al reato, consentirebbe anche al proprietario condannato di riacquistare la piena disponibilità dell'immobile, con evidente elusione della ratio della norma, che va individuata nell'opposta esigenza di evitare che l'area interessata rimanga nella disponibilità del proprietario, il quale l’abbia già utilizzata come strumento del reato. Affinché, pertanto, il diritto del terzo estraneo al reato non venga sacrificato, la quota di spettanza di esso estraneo potrà essergli restituita come proprietà singolare sulla quale il reo non abbia diritto di disporre.


RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Napoli, ai fini qui di interesse, confermava la decisione emessa dal Tribunale di Napoli e appellata dagli imputati, la quale, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, aveva condannato Luigi Vincenzo Torelli ed Antonio Aldo Torelli alla pena ritenuta di giustizia  in relazione al reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 256-bis, d.lgs. n. 152 del 2006, per aver appiccato il fuoco a rifiuti, anche pericolosi, abbandonati su un terreno di proprietà del primo; il solo Luigi Vincenzo Torelli, anche del reato di cui all’art. 256, comma 3, del medesimo d.lgs. per aver realizzato e gestito  una discarica non autorizzata di rifiuti di vario genere – pericolosi e non – per un quantitativo di circa sei metri cubi.

 2. Avverso l’indicata sentenza Luigi Vincenzo  Torelli e Antonio Aldo Torelli, per il tramite del comune difensore di fiducia, con il medesimo atto propongono ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce, per entrambi i ricorrente, la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 161, 178, 179 e 185 cod. proc. pen. Rappresenta il difensore che la notifica agli imputati del provvedimento del 29 agosto 2002, con il quale la Corte di appello disponeva il differimento dell’udienza – già fissata per il 12 settembre 2022 -  al 16 gennaio 2023, è stata effettuata ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., non essendo andato buon fine, stante il mancato reperimenti di entrambi, il precedente tentativo di notifica al domicilio eletto di Giugliano in Campania, via Grotta dell’Olmo 71/72; espone tuttavia il difensore che gli imputati avevano eletto domicilio alla via della Grotta dell’Olmo n. 72/1, sicché la notifica, effettuata ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen.  sarebbe affetta da nullità assoluta, come stabilito da Sez. II, n. 3967 del 20/12/2022.
2.2. Con il secondo motivo si eccepisce, per il solo Antonio Aldo Torelli, la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 256-bis d.lgs. n. 152 del 2006 e 533 cod. proc. pen. Evidenzia il difensore che la Corte di appello ha confermato il giudizio di penale responsabilità sulla base del mero utilizzo di un pronome plurale (“loro di hanno chiamato”), da parte del computato Djene, senza tener conto del fatto che il Torelli, come dichiarato dallo stesso coimputato, arrivò sul posto solo dopo l’appiccamento del fuoco.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta, per il solo Luigi Vincenzo Torelli, la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 256 d.lgs. n. 152 del 2006. Espone il difensore che la Corte d’appello ha ravvisato il delitto in esame con un ragionamento presuntivo, senza indicare alcun elemento oggettivo – tra quali individuati dalla giurisprudenza, come l’accunulo reiterato e non occasiona, la definitività dell’abbandono, il degrado dell’area, la quantità considerevole di rifiuti - sulla base del quale ritenere provata la realizzazione di una discarica abusiva, piuttosto che quella – meno grave – di abbandono di rifiuti.
2.4. Con il quarto motivo si censura, per il solo Luigi Vincenzo Torelli, la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione gli artt. 256, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006 e 240 cod. pen. Il difensore censura la motivazione, laddove ha confermato la statuizione della confisca, sebbene l’area sia di comproprietà di Manuela Mazzarella, moglie del Torelli ed estranea ai fatti di reato, stante il principio, più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, di indisponibilità della condisca in caso di comproprietà dell’area con persona non concorrente nel reato e della non applicabilità neppure della confisca ex art. 240, comma 3, cod. pen. in caso di estraneità al reato del terzo proprietario. 
 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono, nel complesso, infondati.

2. ll primo motivo è infondato.
2.1. Ritiene il Collegio di aderire all’orientamento secondo cui, essendo conseguente alla violazione delle norme disciplinanti i modelli di notificazione della citazione, la natura di una siffatta nullità è di carattere intermedio, perché essa non dà luogo a una citazione "omessa", ai sensi dell'art. 179, comma 1, cod. proc. pen., bensì a una citazione viziata che non impedisce - sempre e inequivocabilmente - la conoscenza dell'atto da parte del destinatario. 
Deve sottolinearsi che il regime delle nullità riguardanti le notificazioni all'imputato è differenziato a seconda della gravità del vizio e delle conseguenze che da esso sono derivate. Questa Corte, con riguardo alla citazione in giudizio, ha ripetutamente chiarito, in precedenti arresti, che solo la mancanza della notificazione integra una nullità assoluta e insanabile, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento; in tutti gli altri casi, il vizio che inficia la notificazione dà luogo ad una nullità intermedia, che è priva di effetti se non dedotta o eccepita tempestivamente.
E' ben vero che si ritiene "mancante" non solo la notificazione totalmente omessa, ma anche quella che, oltre a discostarsi dal modello legale, non raggiunga comunque il suo scopo, perché alla nullità della notificazione si accompagna la mancata conoscenza della citazione da parte dell'imputato. Ma è stato altresì precisato che, quando, nonostante la sua idoneità in astratto, la notificazione effettuata in una forma diversa da quella prescritta non ha conseguito lo scopo di portare l'atto di citazione a conoscenza dell'imputato, questi, se intende far valere la nullità assoluta stabilita dall'art. 179, comma 1, cod. proc. pen. non può limitarsi a denunciare l'inosservanza della norma processuale, ma deve anche rappresentare al giudice di non avere avuto conoscenza dell'atto e deve eventualmente avvalorare l'affermazione con elementi che la rendano credibile (Sent. n. 2818 del 24.11.2014 - rv. 262590). E ciò perché in un processo basato sull'iniziativa delle parti e governato dal principio della concentrazione e della buona fede processuale, è normale che anche l'esercizio dei poteri officiosi del giudice sia mediato dall'attività delle parti, o perché dagli atti non risultano gli elementi necessari per l'esercizio di quei poteri e solo le parti sono in grado di rappresentarli al giudice e di procurarne l'acquisizione, o perché la parte può non avere interesse a far risultare l'anomalia della notificazione. 
In applicazione di tali principi è stata, quindi, ritenuta a regime intermedio e priva di effetti, se non dedotta tempestivamente, la nullità conseguente alla notificazione eseguita a norma dell'art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen.  presso il difensore di fiducia, qualora l'imputato abbia dichiarato o eletto altrove domicilio per le notificazioni (SU, n. 19602/2008); la notificazione eseguita presso lo studio del difensore di fiducia, ai sensi dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen. invece che presso il domicilio eletto (Cass., n. 42755 del 24/9/2014); la notificazione del decreto di citazione a giudizio eseguita presso il domicilio reale, invece che presso il difensore domiciliatario (SU, n. 119 del 2004); la notifica del decreto di citazione a giudizio erroneamente effettuata presso il domicilio precedentemente eletto a mani di persona convivente (Sez. 2, n. 19290 del 15/01/2015, dep. 11/05/2015, Hosu, Rv. 263829).
 Si tratta, in quelli esaminati, di casi in cui non era stato rispettato il modello di notificazione imposto dalla scelta dell'imputato o dalla legge, e pur tuttavia la conseguente nullità non è stata ritenuta assoluta, in quanto non aveva impedito, in radice, la conoscibilità dell'atto da parte dell'imputato, sicché era onere di quest'ultimo far valere il vizio nei modi e nei tempi stabiliti dagli artt. 180 e 182 cod. proc. pen. e, ove non avesse avuto contezza dell'atto, quantomeno "rappresentare la mancata conoscenza" dello stesso in sede d'impugnazione, per consentire una verifica postuma degli effetti dello scostamento dal modello imposto (dalla legge o dalla volontà di parte).
Nel solco di questa linea interpretativa, si è recentemente affermato che, ove il decreto di citazione per il giudizio di appello sia notificato all'imputato in luogo diverso rispetto al domicilio validamente eletto o dichiarato, si determina una nullità di ordine generale a regime intermedio, che va dedotta entro i termini decadenziali previsti dall'art. 182 cod. proc. pen., salvo che l'irrituale notifica risulti, in concreto, inidonea a consentire l'effettiva conoscenza dell'atto da parte del destinatario, configurandosi, in tal caso, una nullità assoluta per omessa notificazione di cui all'art. 179 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 27546 del 03/04/2023, Brancolini, Rv. 284810: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto valida la notificazione avvenuta presso il domicilio precedentemente eletto dall'imputato - lo studio del difensore di fiducia poi revocato - piuttosto che presso il domicilio successivamente dichiarato - l'abitazione di residenza -, rilevando che i nuovi difensori di fiducia dell'imputato nulla avevano eccepito davanti ai giudici di appello e che il ricorso non aveva fornito specifica indicazione di una tale assoluta inidoneità della notifica). 
2.2. Sulla scorta dei principi ora richiamati, nel caso in esame, poiché la notifica all’imputato del decreto di citazione per il giudizio di appello è stata effettuata presso lo studio del difensore di fiducia e non presso il domicilio eletto, essa, pertanto, non è “omessa”, ma affetta da nullità generale a regime intermedio; sarebbe stato perciò onere del difensore di fiducia, all’udienza del 16 gennaio 2023, eccepire tempestivamente tale nullità, ciò che non è avvenuto; essa, pertanto, è stata sanata.

3. Il secondo motivo è inammissibile perché articolato in fatto.
Invero, la Corte di merito ha ribadito il coinvolgimento di Antonio Torelli sulla scorta delle dichiarazioni del coimputato Djene, il quale, riferendosi a Torelli padre e figlio, ha affermato che “loro” lo avevano chiamato per tagliare il prato e che “loro” avevano fatto un fuoco.
Del resto, come rilevato dal Tribunale, al momento dell’arrivo degli operanti, sul luogo erano presenti i due Torelli, unitamente al Djene, e, sul posto, furono rinvenuti una bottiglia contenente benzina e due accendini.
A fronte di tale motivazione, che appare immune da profili di illogicità manifesta, il ricorrente, laddove rappresenta di essere intervenuto in un momento successivo all’appiccamento del fuoco, deduce una diversa ricostruzione del fatto, fondata su una più favorevole valutazione delle prove, che non è consentita in sede di legittimità.

4. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
4.1. Questa Corte ha costantemente affermato che la realizzazione di una discarica può effettuarsi anche attraverso il ripetitivo accumulo nello stesso luogo di sostanze oggettivamente destinate all'abbandono con trasformazione, sia pure tendenziale, del sito, degradato dalla presenza dei rifiuti (vedi Sez. 3, n. 47501 del 13/11/2013, Caminotto, Rv. 257996; Sez. 3, n. 27296 del 12/5/2004, Micheletti, Rv. 229062).
In altri termini, per l’integrazione del reato è sufficiente l'accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito, con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata (Sez. 3, n. 39027 del 20/04/2018, Caprino, Rv. 273918).
La discarica abusiva si connota per le seguenti caratteristiche, la presenza delle quali costituisce valido elemento per ritenere configurata la condotta vietata: l'accumulo, più o meno sistematico, ma comunque non occasionale, di rifiuti in un'area determinata; l’eterogeneità dell'ammasso dei materiali; la definitività del loro abbandono; il degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in questione.  
Pertanto, mentre nella discarica abusiva la condotta o è abituale - come nel caso di plurimi conferimenti - o, pur quando consiste in un'unica azione, è comunque strutturata, ancorché grossolanamente, al fine della definitiva collocazione dei rifiuti in loco, nel reato di abbandono differisce la condotta è meramente occasionale, ciò essendo desumibile dall'unicità ed estemporaneità della condotta medesima, che si risolve nel semplice collocamento dei rifiuti in un determinato luogo, in assenza di attività prodromiche o successive, e dalla quantità dei rifiuti abbandonati (Sez. 3, n. 18399 del 16/03/2017, p.m. in c. Cotto, Rv. 269914).
4.2. Facendo corretta applicazione dei principi appena indicati, la Corte di merito ha ravvisato la sussistenza di una discarica -e non già di un mero abbandono di rifiuti - sulla base della eterogeneità dei rifiuti medesimi (mobilia, pneumatici, rifiuti edili, rifiuti da imballaggio), che, come chiaramente emerge dalla sentenza di primo grado (cfr. p. 10), si erano accumulati in quel luogo nel corso di un lungo arco di tempo. 

5. Il quarto motivo è inammissibile per mancanza di legittimazione.
E’ ben vero, come ricordato dal ricorrente, che questa Sezione ha affermato che il provvedimento di confisca dell'area sulla quale risulta realizzata o gestita la discarica non autorizzata non può essere disposto dal giudice, con la sentenza di condanna, in caso di comproprietà dell'area stessa, allorché i comproprietari non siano responsabili, quanto meno a titolo di concorso, del reato di discarica abusiva, non avendo l'area una intrinseca criminalità in senso assoluto e potendo essere bonificata dai residui inquinanti (così Sez. 3, n. 7430 del 15/01/2002, Dessena, Rv. 221384; in senso conforme, in seguito, n. 6441 del 24/01/2006, Serra, Rv. 233310; n. 26950 del 07/04/2009, Mero, Rv. 244242).
Si è però precisato che la restituzione dell'intero bene, ad uno o più titolari della comproprietà indivisa rimasti estranei al reato, consentirebbe anche al proprietario condannato di riacquistare la piena disponibilità dell'immobile, con evidente elusione della ratio della norma, che va individuata nell'opposta esigenza di evitare che l'area interessata rimanga nella disponibilità del proprietario, il quale l’abbia già utilizzata come strumento del reato.
Affinché, pertanto, il diritto del terzo estraneo al reato non venga sacrificato, la quota di spettanza di esso estraneo potrà essergli restituita come proprietà singolare sulla quale il reo non abbia diritto di disporre (così già n. 6441 del 24/01/2006; in senso conforme n. 2477 del 09/10/2007, dep. 2008, Marcianò, Rv. 23854; n. 28751 del 11/05/2018, Conaccini, Rv. 273151).
Nella vicenda in esame, quindi, deve essere mantenuta ferma la confisca, pro quota, a carico dell’imputato; per contro, l’eventuale restituzione, sempre pro quota, del bene potrà essere richiesta solamente dalla comproprietaria estranea al reato, attivando la procedura prevista dagli artt. 666 ss. cod. proc. pen. 

8. Per i motivi indicati, i ricorsi devono perciò essere rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14/12/2023.