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Cass. Sez. III sent. 1411 del 14 ottobre 2005 (ud. 26 giugno 2005)
Pres. Savignano Est. Zumbo Ric. Burigotto ed altro
Rifiuti – Materie fecali

In tema di gestione di rifiuti, l’esclusione delle materie fecali dalla disciplina ai sensi dell’articolo 8 lettera c9 D.Lv. 22 del 1997 opera a condizione che le stesse provengano dall’attività agricola e che siano riutilizzate nella stessa attività agricola. Ne consegue che sono rifiuti a tutti gli effetti (e come tali devono essere disciplinate) le materie fecali provenienti da un allevamento avicolo con migliaia di polli.

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Svolgimento del processo

Con sentenza in data 1 luglio 2004, il G.I.P. del Tribunale di Pordenone condannava Burigotto Maurizio e Sfreddo Valentino alla pena di Euro 1.200 di ammenda per il reato di cui all'art.51, primo comma, lettera a), D.L. 22/97.

Gli imputati proponevano ricorso per erronea applicazione di legge sostenendo:

1) che il materiale in oggetto non rientrava tra le sostanze elencate negli allegati di cui al D.L. 22/97;

2) che le materie fecali riutilizzate nelle pratiche agricole sono escluse dall'applicazione della predetta legge e disciplinate dal successivo D.L. 152/99; che tale decreto, comunque, non è operativo non essendo stato emanato il relativo regolamento attuativo con la conseguenza che le norme in vigore sono quelle della legge 319/76; che tali norme prevedono che, per effettuare lo spargimento sul suolo degli effluenti di allevamento, è necessaria l'autorizzazione del Comune, che era regolarmente posseduta dallo Sfreddo (che aveva, peraltro, effettuato la relativa comunicazione);

3) che, data la quantità di norme che disciplinano la materia, doveva ritenersi applicabile il principio dell'ignoranza della legge che fa venire meno l'elemento psicologico del reato.

Sub I

Il D.L. 5 febbraio 1997 n. 22 definisce come rifiuto "qualsiasi sostanza o oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'Allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi; il punto 02 01 06 dell'allegato A prevede le "feci animali, urine e letame (comprese le lettiere usate), effluenti, raccolti separatamente e trattati fuori sito". E, pertanto, il materiale accumulato e poi sparso sui terreni del Burigotto Maurizio deve essere definito come rifiuto ai sensi della predetta legge, in quanto si tratta di deiezioni animali (o comunque di lettiera usata) e di cui il produttore, e cioè l'imputato Sfreddo Valentino, ha l'obbligo di disfarsi e comunque nel caso concreto si è disfatto.

Il predetto Decreto all'articolo 8 ha poi previsto che sono esclusi dal proprio campo di applicazione gli effluenti gassosi emessi nell'atmosfera nonché, in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge, una serie di altre categorie di rifiuti, tra cui quelle indicate alla lett. c) del comma 1 e cioè in particolare taluni rifiuti agricoli tra i quali le materie fecali utilizzate nelle normali pratiche agricole.

A proposito delle materie fecali, si osserva anzitutto che l'esclusione non è assoluta ma in quanto il rifiuto escluso sia disciplinato da specifiche disposizioni di legge. In secondo luogo si rileva che le materie fecali sono escluse se provengono da attività agricola come risulta chiaramente dal tenore letterale della norma, la quale dispone: "sono esclusi i seguenti rifiuti agricoli: le materie fecali…" Da ciò consegue che se le materie fecali non provengono da attività agricola non sono escluse dalla disciplina dei rifiuti. Inoltre le stesse materie fecali provenienti da attività agricola sono escluse se ed in quanto riutilizzate in sede di attività agricola. Solo in questo caso non si applica il Decreto Ronchi che troverà invece applicazione in tutti gli altri casi. E l'attività svolta dallo Sfreddo Valentino non è un'attività agricola ma un allevamento avicolo (con migliaia di polli) le cui materie fecali non possono essere qualificate come rifiuti agricoli.

"In tema di gestione di rifiuti, la esclusione delle materie fecali dalla disciplina di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, prevista dall'art. 8 lett. c), opera a condizione che le stesse provengano da attività agricola e che siano riutilizzate nella stessa attività agricola. (In applicazione di tale principio la Corte ha affermato la applicabilità della disciplina sui rifiuti alla gestione di materie fecali provenienti da un alpeggio di bovini in una malga)" - Cass., sez. III, sent. n. 8890, 10 febbraio 2005.

Sub II

Dopo il D.L. 33/97 è stata emanata una normativa di legge che riguarda taluni rifiuti agricoli tra i quali le materie fecali utilizzate nelle normali pratiche agricole e cioè il D.L. 152/99, che disciplina in generale la tutela delle acque dall'inquinamento (disposizioni corrette ed integrate dal D.L. 258/2000).

La nuova disciplina delle attività di utilizzazione agronomica degli effluenti da allevamento e simili, contenuta nell'art. 38 del D.L. 152/99 dettata dall'evidente intenzione del legislatore di semplificare siffatte forme di smaltimento di liquami, di limitata rilevanza inquinante, favorendone l'utilizzazione nell'ambito dell'attività agricola, non prevede più il regime autorizzatorio, vale a dire la necessità di munirsi di un provvedimento, di discrezionalità tecnica, della P.A. diretto a rimuovere l'ostacolo all'esercizio del diritto da parte del titolare, bensì il solo onere di una comunicazione, vale a dire di una mera dichiarazione di scienza, diretta a porre l'autorità competente nelle condizioni di conoscere le caratteristiche e modalità di siffatti scarichi minori, sì da consentirne il controllo e l'intervento in caso di non ravvisata compatibilità con le esigenze di tutela dell'ambiente e dell'igiene pubblica.

Il secondo comma di tale articolo prevede che "le regioni disciplinano le attività di utilizzazione agronomica di cui al comma 1, sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali adottati con decreto del Ministro per le politiche agricole e forestali", ed il terzo comma prevede che "sono disciplinati in particolare le norme tecniche di effettuazione delle operazioni di utilizzo agronomico, i criteri e le procedure di controllo, ivi compresi quelli inerenti l'imposizione di prescrizioni da parte dell'autorità competente".

Tuttavia questa disciplina non è attualmente vigente in quanto non è mai stato emanato il DM attuativo di cui al primo comma e di conseguenza manca anche la disciplina regionale di recepimento ed integrazione.

E non può nemmeno trovare applicazione la norma penale di cui all'art. 59 comma 11 ter del D.L. 152/99, che necessita della previa vigenza della disciplina dell'art.38.

Non potendo applicarsi più la pregressa normativa di cui alla Legge Merli (319/76) in quanto espressamente abrogata dall'art. 63 del D.L. 152/99, non può soccorrere la normativa transitoria prevista dall'art. 62, comma 10, del D.L. 152/99, che prevede che fino all'emanazione della disciplina regionale di cui all'art. 38, le attività di utilizzazione agronomica sono effettuate secondo le disposizioni regionali vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto (le cui violazioni sono punite, salvo il fatto non costituisca reato, con sanzione amministrativa pecuniaria dall'art. 54, comma 7, dello stesso D.L. 152/99). Ciò perché nella Regione Friuli Venezia Giulia non è mai stata emanata alcuna disposizione in ordine a quelle che vengono definite come attività di utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, per cui la normativa transitoria prevista dal D.L.vo 152/99 è di fatto inapplicabile, non è giuridicamente vigente.

Pertanto, considerato che il D.L. 22/97 ha previsto la possibilità di una diversa e successiva disciplina di legge rispetto a quella del Decreto stesso per talune categorie di rifiuti, tra le quali le materie fecali riutilizzate nelle normali pratiche agricole, di conseguenza, in mancanza di una diversa e successiva disciplina di tutela ambientale da parte di specifiche e settoriali disposizioni di legge, le predette materie fecali rientrano pienamente nel campo di applicazione del Decreto Ronchi.

In conclusione, le sostanze di cui all'imputazione debbono essere considerate rifiuti non pericolosi ai sensi dei Decreto Ronchi e tutte le attività connesse alla loro gestione (raccolta, trasporto, smaltimento, ecc.) debbono essere precedute dall'autorizzazione o altro provvedimento ai sensi dell'artt. 27 e seguenti, con l'ulteriore conseguenza che, in mancanza (come nel caso in esame) deve ritenersi la sussistenza del contestato reato di cui all'art. 51, comma 1, lett. a), D.L. 22/97.

Sub III

"La esclusione della colpevolezza nelle contravvenzioni non può essere determinata dall'errore di diritto dipendente da ignoranza non inevitabile della legge penale, quindi, dal mero errore di interpretazione, che diviene scusabile quando è determinato da un atto della pubblica amministrazione o da un orientamento giurisprudenziale univoco e costante, da cui l'agente tragga la convinzione della correttezza dell'interpretazione normativa e, di conseguenza, della liceità della propria condotta".

"La buona fede acquista giuridica rilevanza solo se si traduce, a causa di un elemento positivo estraneo all'agente, in uno stato soggettivo che esclude anche la colpa. Ad escludere la colpa non è sufficiente l'errore dipeso da ignoranza non scusabile, nella quale rientra l'erronea interpretazione o l'ignoranza della legge penale".