Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1649, del 8 aprile 2014
Rifiuti.Principio di prossimità e impianto di recupero mediante trattamento aerobico e anaerobico di rifiuti organici non pericolosi per la produzione di compost ed energia elettrica

La prossimità di cui all’art. 181, c. 5, d.lgs. n. 152/2006 va intesa non ai fini della localizzazione dell’impianto ma quale criterio da seguire al fine della circolazione del rifiuto, resta comunque il fatto che le Linee guida provinciali recano un’espressa preclusione alla localizzazione di ulteriori impianti di trattamento della FORSU e che tale preclusione non si pone in contrasto con la direttiva comunitaria 2001/77/CE sulla promozione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità. Il diritto comunitario e l’ordinamento interno recano il principio generale secondo cui i principi di autosufficienza e di vicinanza non sono applicabili alle spedizioni di rifiuti destinati al recupero: la direttiva 75/442, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156, e il regolamento n. 259/93, relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità europea nonché in entrata e in uscita dal suo territorio impongono, al fine di incentivare il recupero dei rifiuti in tutta la Comunità, questa differenza di disciplina tra i rifiuti destinati al recupero e i rifiuti destinati allo smaltimento.  (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01649/2014REG.PROV.COLL.

N. 08603/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. di registro generale 8603 del 2012, proposto da Ecam S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Federico Mazzetti, Antonino Bongiorno Gallegra, Daniele Rovelli, e con domicilio eletto presso Federico Mazzetti in Roma, piazza Capranica 78;

contro

- il comune di Villata, il comune di Borgo Vercelli, il comune di San Nazzaro Sesia, rappresentati e difesi dagli avv.ti Paolo Scaparone e Cinzia Picco, e con domicilio eletto presso Luca Di Raimondo in Roma, via della Consulta 50;
- il comune di Casalino, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Scaparone e con domicilio eletto presso Luca Di Raimondo in Roma, via della Consulta 50;
- il comune di Casalbeltrame, non costituito;
- l’Ente Parco Lame del Sesia e Riserve, non costituito;

nei confronti di

- Provincia di Novara, non costituita;
- Comune di Casalvolone, non costituito;
- Regione Piemonte, non costituita;
- Asl 113 - Novara, non costituita;
- Asl 111 – Vercelli, non costituita;
- Ministero per i beni e le attivita' culturali, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte n. 987 del 2012 concernente autorizzazione alla costruzione e all'esercizio dell'impianto di recupero mediante trattamento aerobico e anaerobico di rifiuti organici non pericolosi per la produzione di compost ed energia elettrica nel comune di Casalvolone.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del comune di Villata, del comune di Borgo Vercelli, del comune di San Nazzaro Sesia, del comune di Casalino, del Ministero per i beni e le attivita' culturali;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 giugno 2013 il Cons. Giancarlo Luttazi;

Considerato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.



FATTO

In data 3 novembre 2009 la E.CA.M. s.r.l. (in prosieguo, per brevità, ECAM) ha presentato domanda finalizzata al rilascio del giudizio positivo di compatibilità ambientale in relazione ad un impianto sito nel comune di Casalvolone e finalizzato alla produzione di compost ed energia elettrica tramite trattamento aerobico di frazione organica del rifiuto solido urbano (in prosieguo FORSU) e allocato nel comune di Casalvolone.

Con provvedimento del dirigente del Settore ambiente ecologia ed energia della Provincia di Novara n. 1925/2011 del 7 giugno 2011 l’autorizzazione è stata assentita.

L’atto è stato impugnato dinanzi al Tar per il Piemonte dai comuni di Villata, di Casalino, di Borgo Vercelli, di Casalbeltrame, di San Nazzario Sesia e dall’Ente Parco Lame del Sesia e riserve, enti confinanti con il Comune di Casalvolone.

I ricorrenti precisavano che il territorio di rispettiva competenza subiva già il carico derivante dalla presenza di plurimi impianti di smaltimento di rifiuti e che l’impianto autorizzato era tale da generare emissioni gassose e di rumori fastidiose per la popolazione e per la fauna locale. Sostenevano altresì che detto impianto non era compatibile con la programmazione di settore approvata e vigente nella Provincia di Novara, e che tale rilievo, inizialmente accolto dalla Provincia, era stato poi superato sulla base della constatazione che il progetto é stato modificato nel corso del procedimento in modo da utilizzare la FORSU solo nella linea di trattamento anaerobico e non anche nella linea di trattamento aerobico.

Il ricorso al Tar denunciava:

I) Violazione delle Linee guida provinciali in materia di programmazione per la gestione dei rifiuti solidi urbani, conseguente violazione degli artt. 182, 183, 184 bis e 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006, eccesso di potere per violazione della delibera del Consiglio provinciale n. 93 del 29 novembre 2010;

II) Violazione dell’art. 6 della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 12 decreto legislativo n. 387 del 2003, eccesso di potere per violazione delle “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” di cui al D.M. 10 settembre 2010, difetto di istruttoria;

III) Violazione degli artt. 3, 6 e 14 ter della legge n. 241 del 1990, dell’art. 9 della legge regionale n. 40 del 1998, degli artt. 26 e 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006 nonché dell’art. del 12 decreto legislativo n. 387 del 2003.

Con sentenza n. 987/2012 il Tar ha respinto le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa ECAM ed accolto il ricorso, annullando l’autorizzazione.

La sentenza è appellata da ECAM, che le contesta:

1) Erroneità nella parte in cui respinge la eccezione di inammissibilità del ricorso in primo grado per mancata impugnazione, al di fuori del procedimento di autorizzazione unica, del permesso di costruire n. 4/2011 del Comune di Casalvolone per la realizzazione dell’impianto.

2) Erroneità nella parte in cui respinge la eccezione di inammissibilità del ricorso in primo grado per mancanza in capo ai ricorrenti di un interesse diretto, concreto e attuale;

3) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 181, 182, 182 bis, 183, 199 e 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (Codice dell’ambiente) e dell’art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003. Erronea interpretazione delle Linee provinciali di programmazione per la gestione dei rifiuti urbani approvate con delibera del Consiglio provinciale di Novara n. 93 del 29 novembre 2010 (il motivo reca scomposizione e analisi critica di diciotto singoli passi della sentenza impugnata);

4) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003, dell’art. 13 del decreto ministeriale 10 settembre 2010 ("Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili"); erroneità della sentenza nella parte in cui accoglie il ricorso per la mancata dimostrazione della proprietà del suolo su cui sorge l'impianto [con riguardo ad una specifica previsione contenuta nelle Linee guida di cui al D.M. 10 settembre 2010 n. 47987, che all’art. 13.1 lettera c) stabilisce che all’istanza per il rilascio della autorizzazione unica relativa ad impianti alimentati da fonti rinnovabili deve essere allegata, “nel caso di impianti alimentati a biomassa e impianti fotovoltaici, …. la documentazione da cui risulti la disponibilità dell’area su cui realizzare l’impianto e delle opere connesse, comprovata da titolo idoneo alla costruzione dell’impianto e delle opere connesse….”;

5) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13 del citato decreto ministeriale 10 settembre 2010. Erroneità della sentenza nella parte in cui accoglie ricorso per l'erronea applicazione del punto 13.3 delle Linee guida nazionali (per non essere stata data dalla Provincia alla competente Soprintendenza comunicazione del procedimento);

6) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13 del decreto ministeriale 10 settembre 2010 ("Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili"). Erroneità della sentenza nella parte in cui accoglie ricorso per difetto di motivazione con riferimento alle ragioni che hanno indotto la provincia a disattendere le osservazioni presentate nel corso del procedimento dal comune di Villata.

Si sono costituiti: con unico difensore il comune di Villata, il comune di Borgo Vercelli, il comune di San Nazzaro Sesia; con altro difensore il comune di Casalino; si è costituito altresì, con la difesa erariale, il Ministero per i beni e le attivita' culturali.

I comuni di Villata, di Borgo Vercelli, di San Nazzaro Sesia hanno depositato n. 3 memorie, di cui una in replica a memoria difensiva ECAM del 14 maggio 2013.

Nella camera di consiglio del 22 gennaio 2013 il Presidente del Collegio, sentiti i difensori presenti, ha disposto un rinvio per abbinamento al merito e fissato per la trattazione la pubblica udienza del 18 giugno 2013.

In quella pubblica udienza del 18 giugno 2013 la causa è passata in decisione.

DIRITTO

1.1 - L’appello contesta la sentenza del Tar per il Piemonte che, su ricorso degli enti ora appellati, ha annullato l’autorizzazione assentita dalla Provincia di Novara alla E.CA.M. s.r.l. (in prosieguo ECAM) per la compatibilità ambientale in relazione ad un impianto sito nel comune di Casalvolone e finalizzato alla produzione di compost ed energia elettrica tramite trattamento aerobico di frazione organica del rifiuto solido urbano (in prosieguo FORSU).

1.2 – La sentenza del Tar è contestata in primo luogo perché ha respinto due eccezioni di inammissibilità formulate da ECAM contro il ricorso di primo grado.

Il Tar avrebbe errato nel non ritenere il ricorso contro l’autorizzazione ad ECAM:

- inammissibile per mancata previa impugnazione del permesso di costruire n. 4/2011, assentito ad ECAM del Comune di Casalvolone, al di fuori del procedimento di autorizzazione unica, per la realizzazione dell’impianto;

- inammissibile altresì per mancanza in capo ai ricorrenti in primo grado di un interesse diretto, concreto e attuale.

Entrambi i motivi sono infondati.

Circa la mancata impugnazione del permesso di costruire l’appello ECAM pone l’accento sulla differenza tra i profili di localizzazione dell’opera e i profili di tutela ambientale, e afferma che è l’autorizzazione ambientale ad essere rilasciata sul presupposto di un valido titolo edilizio, e non viceversa; e che vi è un rapporto di strumentalità/funzionalità fra permesso di costruire e autorizzazione unica ambientale.

Ma in proposito si osserva che se è indubbio che fra permesso di costruire dell’impianto e autorizzazione unica ambientale vi è necessariamente un rapporto di strumentalità/funzionalità è altrettanto indubbio che un impianto di trattamento aerobico di FORSU, pur assentito sotto il profilo edilizio, sarebbe impossibilitato a legittimamente operare senza gli assensi (o l’autorizzazione unica) di tutela ambientale. Sicché l’intento, perseguito nel ricorso di primo grado, di impedire il funzionamento dell’impianto di compostaggio, poteva conseguirsi anche col solo gravame avverso l’autorizzazione unica, gravame che risulta dunque supportato da interesse.

Quanto all’interesse - riconosciuto dal Tar in capo ai ricorrenti - diretto, concreto e attuale a impugnare l’autorizzazione all’impianto, l’appello considera e contesta partitamente, richiamando giurisprudenza, singoli argomenti esposti dal primo giudice (criterio della vicinitas; idoneità dell’impianto ad incidere sull’amenità dei luoghi; rischio, dato dalla natura dell’impianto, che in futuro possano crearsi inconvenienti per le comunità che gli enti ricorrenti rappresentano; interesse a preservare la futura capacità di trattamento dei rifiuti dell’A.T.O. di rispettivo riferimento in ossequio al principio di autosufficienza); e sostiene altresì l’inidoneità dei profili di danno esposti in primo grado (che elenca ed esamina partitamente) a sorreggere l’interesse all’annullamento.

Può prescindersi da questi ultimi (i suddetti profili di danno esposti in primo grado), poiché il Collegio ritiene che l’interesse a contestare quell’impianto di trattamento rifiuti sussistesse per la sola vicinitas ad esso.

Diversamente da quanto sostenuto nell’appello “l’ovvia considerazione che per la popolazione locale è meglio non avere nelle vicinanze un impianto del genere” (così la contestata sentenza) è in grado di supportare l’interesse al ricorso.

Trattasi di un interesse certamente non altruistico (“not in my back yard”, cita l’appello) ma non illecito né comunque contrario al diritto e dunque tutelabile con azione giurisdizionale.

Ed invero i soggetti ricorrenti in primo grado, essendo in contiguità territoriale all'impianto e in stabile collegamento col relativo territorio, risultano logicamente portatori di interessi sostanziali opposti sotto vari profili a quella realizzazione (si pensi alla svalutazione economica delle aree e alla minore appetibilità delle stesse per effetto del nuovo impianto di trattamento rifiuti: confr. C.d.S., Sez. V, 16 settembre 2011, n. 5193), svalutazione e disappetibilità estremamente probabili nell’attuale contesto socio-culturale anche se si giungesse a dimostrare – come da prospettazioni dell’appellante - la totale salubrità e utilità sociale dell’intervento.

1.3.0 – Il terzo motivo contesta la parte della sentenza appellata in cui il Tar esamina e accoglie il primo motivo del ricorso in primo grado.

Il mezzo d’appello comprende una ricca serie di censure, ciascuna della quali considera e sottopone a separata analisi critica una singola frazione del testo che la sentenza contestata dedica a quel primo motivo del ricorso in primo grado.

1.3.1 – Un primo rilievo contesta la sentenza del Tar laddove essa afferma che le Linee guida provinciali di programmazione per la gestione dei rifiuti urbani di cui alla delibera del Consiglio provinciale di Novara n. 93 del 29 novembre 2010 (“Approvazione aggiornamento alle Linee guida di programmazione per la gestione dei rifiuti solidi urbani di cui alla d.c.p. n. 46 del 03/11/2006 e s.m.i.”) debbono essere effettivamente interpretate nel senso che allo stato non consentono la apertura di nuovi impianti finalizzati al recupero della FORSU, attesa la capacità degli impianti esistenti o già autorizzati a ricevere la FORSU prodotta dal bacino di riferimento.

In proposito l’appello – rilevando anche l’erroneità della terminologia adottata in sentenza quanto a compostaggio, FORSU, trattamento aerobico e anaerobico - sostiene che la FORSU immessa in un ambito territoriale per produrre compost non è equiparabile, data la diversità di utilizzo, alla FORSU finalizzata a produrre energia; non sarebbe dunque giustificata un’interpretazione analogica delle Linee guida che conducesse al divieto di nuovi impianti per recupero di FORSU, anche se a fini energetici.

Secondo la direttiva 77/2001/CE - sostiene l’appello - e quindi secondo il decreto legislativo n. 387 del 2003 (“Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità”), anche veri e propri “rifiuti", purché biodegradabili, sono certamente suscettibili di utilizzazione quali biomasse in centrali di produzione di energia; e dunque una normativa nazionale che dovesse limitare la produzione di gas adducendo non meglio precisati i limiti derivanti da un male inteso principio di prossimità andrebbe comunque disapplicata dal giudice nazionale in quanto contrastante con la citata direttiva comunitaria.

Il rilievo non è fondato.

I passi della sentenza qui contestati (che l’appello riporta testualmente) sono i seguenti:

<<Va anzitutto chiarito che le Linee guida provinciali, di cui si è testé riportato l’integrale punto 2.4. , debbono essere effettivamente interpretate nel senso che allo stato non consentono la apertura di nuovi impianti finalizzati al recupero della FORSU attesa la capacità degli impianti esistenti o già autorizzati a ricevere la FORSU prodotta dal bacino di riferimento: è ben vero che esse non contengono un espresso divieto alla autorizzazione di nuovi impianti di trattamento della FORSU proveniente da diversi bacini d’utenza, ma nello specificare che eventuali nuovi impianti non sono giustificabili “in aderenza al principio di prossimità degli impianti di recupero sancito dall’art. 182 comma 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006 “ la Provincia di Novara ha chiaramente affermato di volersi fare carico solo della gestione dei rifiuti prodotti nell’ambito del territorio di sua competenza: essa ha quindi optato per una politica di gestione dei rifiuti tendente ad escludere sia la realizzazione di impianti ultronei rispetto al fabbisogno del relativo territorio, sia la realizzazione di impianti destinati al trattamento di rifiuti provenienti da diversi bacini di utenza.>>.

La portata generale dei rilievi del Tar è - a prescindere dal rigore terminologico - quella di:

- ritenere l’applicabilità della preclusione posta dalle Linee guida provinciali alla realizzazione di impianti che impieghino la FORSU anche al relativo trattamento anaerobico;

- escludere – diversamente da quanto esposto dalla ECAM nel procedimento amministrativo e nel giudizio di primo - che l’impianto di che trattasi possa ritenersi sottratto alla normativa speciale sui rifiuti in ragione della sua finalizzazione alla produzione di energia elettrica e della riconducibilità della FORSU al concetto di “biomassa” utile alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

Quest’orientamento del primo giudice risulta corretto.

Le citate Linee guida provinciali di cui alla deliberazione consiliare della Provincia di Novara n. 93 del 29 novembre 2010 chiaramente ritengono non giustificato, richiamando il principio di prossimità agli impianti di recupero espresso nell’art. 181, comma 5, del decreto legislativo n. 152/2006, il rilascio di autorizzazioni alla realizzazione di altri impianti di trattamento della FORSU.

Il punto 2.4.2 di quelle Linee guida, richiamato dal T.a.r., afferma espressamente: “La proposta di modifica di Piano Regionale, approvata con D.G.R. 68-703 del 27.09.2010, stima di raggiungere nel 2015, ove la situazione territoriale lo consenta, l’ obiettivo di raccolta di 90 kg di FORSU per abitante. Il fabbisogno impiantistico pertanto è di ca. 30.000 t/anno. L’autosufficienza a livello provinciale è garantita dall’ampliamento, già autorizzato, dell’impianto di San Nazzaro Sesia e pertanto in aderenza al principio di prossimità degli impianti di recupero sancito dall’art. 182 comma 5 del D.Lgs. n. 152/06, si ritiene allo stato attuale non giustificato il rilascio di autorizzazioni alla realizzazione di altri impianti di trattamento della FORSU.”.

Altresì gli alinea undicesimo e seguenti delle premesse a quella delibera n. 93 del 2010 esprimono analoghi concetti:

“Dato atto che l’art. 182 del D. Lgs. n. 152/06, pur ammettendo la libera circolazione sul territorio nazionale delle frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinate al recupero, privilegia il concetto di prossimità agli impianti di recupero;

Atteso che tale principio, in forza del quale gli impianti devono essere realizzati tendenzialmente vicino ai luoghi di produzione dei rifiuti oggetto di trattamento, ha lo scopo di ridurne il più possibile la circolazione, per l’evidente incidenza che tale circolazione ha sia sull’ambiente che sulla circolazione;

Rilevato che nel rispetto del criterio di prossimità stabilito dall’ art. 182 comma 5 del D.lgs 152/2006, per quanto attiene la Provincia di Novara il fabbisogno impiantistico relativamente al trattamento della FORSU, è da ritenersi soddisfatto con l’ ampliamento dell’ impianto di compostaggio di San Nazzaro Sesia, autorizzato con Determina n. 2176 del 15.05.2006;

Ritenuto che per quanto riguarda l’ATO 2 il fabbisogno di trattamento residuo della FORSU dovrà essere soddisfatto analogamente nel rispetto del suddetto criterio di prossimità;

Ritenuto nell’ambito delle competenze attribuite dall’art. 197 comma 1 del D. Lgs. n. 152/06, di programmazione ed organizzazione delle attività di recupero e di smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, di provvedere all’aggiornamento delle linee guida della programmazione per la gestione dei rifiuti solidi urbani approvate dal Consiglio Provinciale con Delibera n. 46 del 03.11.2006, stabilendo per quanto riguarda il trattamento della FORSU il rispetto del concetto di prossimità degli impianti di recupero, misurato sulla base dei bisogni della collettività locale, da realizzarsi a livello programmatico limitando il rilascio delle autorizzazioni, per i relativi impianti al reale fabbisogno di trattamento dei rifiuti prodotti sul territorio provinciale, già determinato in ca. 30.000 t/a , a regime nel 2015, dalla proposta di modifica di Piano Regionale;

Ritenuto che il citato principio di prossimità sancito dalla normativa anche per quanto riguarda le attività di recupero dei rifiuti, giustifichi, la previsione di linee guida che introducano scelte consapevoli , con la finalità di tutelare l’interesse pubblico della collettività territoriale di riferimento ad operare in autonomia le scelte sul modello di sviluppo della stessa.”

Né quelle Linee guida recano riferimenti derogatori in favore della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

Sicché - diversamente da quanto sostenuto in appello - ad essere ingiustificata risulta essere non già l’interpretazione analogica delle Linee guida che conduce al divieto di nuovi impianti per recupero di FORSU, anche se a fini energetici, bensì proprio quella interpretazione, proposta dall’appello, che intenderebbe attribuire alle Linee guida una portata favorevole – invece non riscontrabile in esse - alla realizzazione di ulteriori impianti per recupero di FORSU, sia pure con ulteriore finalità di produzione energetica.

Né altresì dalla direttiva 77/2001/CE (sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità) è dato di evincere principi di favore alla utilizzazione di biomasse in centrali di produzione di energia talmente prioritari da imporre la disapplicazione di normativa non comunitaria che escluda l’implementazione di impianti di trattamento FORSU, sia pure aventi anche finalità energetiche.

Certamente la promozione dell'elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili è un obiettivo altamente prioritario per la Comunità (v. il paragrafo 2 della citata direttiva 77/2001/CE), ma la stessa direttiva non pospone a quella promozione la gestione dei rifiuti quando questi sono utilizzati come fonti energetiche (v. il paragrafo 8 della medesima direttiva: “Allorché utilizzano i rifiuti come fonti energetiche, gli Stati membri sono tenuti a rispettare la normativa comunitaria vigente in materia di gestione dei rifiuti. L'applicazione della presente direttiva lascia impregiudicata la definizione di cui agli allegati 2a e 2b della direttiva 75/442/CEE del Consiglio, del 15 luglio 1975, sui rifiuti. Il sostegno dato alle fonti energetiche rinnovabili dovrebbe essere compatibile con gli altri obiettivi comunitari, specie per quanto riguarda la gerarchia di trattamento dei rifiuti. Nel contesto di un futuro sistema di sostegno alle fonti energetiche rinnovabili non bisognerebbe pertanto promuovere l'incenerimento dei rifiuti urbani non separati, se tale promozione arrecasse pregiudizio alla gerarchia”).

1.3.2 - L’appello aggiunge che quanto ai principi di autosufficienza e prossimità l’articolo 182 bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, che espressamente li disciplina, si riferisce unicamente allo smaltimento ed al recupero dei rifiuti urbani indifferenziati; e che invece per i rifiuti differenziati come la FORSU tali principi non operano (come confermato dalla prassi invalsa in altre regioni), potendosi in proposito unicamente discutere circa la sussistenza o meno di un limite regionale, ma ai soli fini dello smaltimento e non del recupero ora in esame, ai sensi dell’articolo 182 del medesimo decreto legislativo n. 152/2006.

Pertanto in materia sarebbe da applicare il precedente articolo 181 di quel decreto legislativo (come da ultimo sostituito - dopo l’entrata in vigore delle Linee guida provinciali ma prima dell’impugnata autorizzazione unica - dall'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205), in base al cui comma 5 “Per le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio ed al recupero è sempre ammessa la libera circolazione sul territorio nazionale tramite enti o imprese iscritti nelle apposite categorie dell’Albo nazionale gestori ambientali ai sensi dell’articolo 212, comma 5, al fine di favorire il più possibile il loro recupero privilegiando il principio di prossimità agli impianti di recupero”; e la cui prossimità, prevista nella disposizione, va intesa non ai fini della localizzazione dell’impianto ma quale criterio da seguire al fine della circolazione del rifiuto: è il rifiuto ad dover essere preferibilmente prossimo all’impianto e non l’impianto al rifiuto.

Questo rilievo è in sé condivisibile ma è ininfluente sulla sentenza appellata.

Se infatti può condividersi l’assunto che la prossimità di cui al citato art. 181, comma 5, d.lgs. n. 152/2006 va intesa non ai fini della localizzazione dell’impianto ma quale criterio da seguire al fine della circolazione del rifiuto, resta comunque il fatto che – come sopra evidenziato nel capo 1.3.1 – le Linee guida provinciali recano un’espressa preclusione alla localizzazione di ulteriori impianti che, come quello dell’appellante, sono di trattamento della FORSU; e che quella preclusione non si pone in contrasto con la direttiva comunitaria 2001/77/CE sulla promozione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità.

1.3.3 – La successiva censura d’appello contesta la sentenza n. 987/2012 laddove essa, con riferimento all’art. 199 (“Competenze delle regioni”) del decreto legislativo n. 152 del 2006, afferma: “La norma in esame assegna inequivocabilmente alle sole regioni il compito di determinare il fabbisogno degli impianti di gestione dei rifiuti. La ragione per cui la previsione del fabbisogno di impianti di smaltimento e di recupero di rifiuti deve essere effettuata in sede regionale è evidente, e risiede nella esigenza di assicurare che la distribuzione dei suddetti impianti sul territorio regionale avvenga in guisa da garantire il rispetto dei principi di precauzione, di prevenzione e di proporzionalità, e così la sostenibilità ambientale, oltre all’autosufficienza di ogni a.t.o.”.

L’appello lamenta che queste argomentazioni del Tar vanno al di là di quanto esposto nel ricorso di primo grado, così violando l’articolo 2 (giusto processo) e l’articolo 34 (che impone la corrispondenza tra chiesto e pronunciato) del Codice del processo amministrativo.

La censura va respinta.

Il periodo qui contestato è inserito in un contesto argomentativo assai più ampio (che qui si evita di riprodurre per adempiere al dovere di sinteticità imposto dall’art. 3 del Codice del processo amministrativo), contenuto nei capi 4, 4.1, 4.1.1, 4.2 (tutti attinenti al primo motivo del ricorso di primo grado: v. supra il capo 1.3.0 di questa sentenza) e finalizzato ad un corretto inquadramento normativo della fattispecie.

Quell’inquadramento normativo non era specularmente presente nel ricorso di primo grado, ma vi era però presente la censura cui quell’inquadramento si riferiva, e che sosteneva la preclusione, da parte delle Linee guida provinciali, alla realizzazione dell’impianto.

Sicché va esclusa l’ultrapetizione qui lamentata.

1.3.4 - L’appello contesta anche il seguente passo della sentenza n. 987/2012: “In giurisprudenza (TAR Marche sez. I, sentenza n. 1441/09) si è osservato che tale norma (il citato art. 199 del decreto legislativo n. 152 del 2006: n.d.r.) fonda il potere delle regioni di opporre limitazioni alla libera circolazione dei rifiuti speciali prodotti in ambito regionale e che sarebbe irrazionale che tale potere non potesse essere esercitato con riferimento ai rifiuti speciali provenienti da altre regioni. Il Collegio ritiene condivisibile tale orientamento”.

L’appello lamenta che la fattispecie esaminata dal Tar delle Marche era diversa da quella ora in esame, poiché in quel caso oggetto di ricorso era proprio il Piano regionale.

Il rilievo va disatteso perché – anche a voler prescindere dalla marginalità della frazione di sentenza qui contestata rispetto alla generale argomentazione del Tar - la circostanza che nel giudizio dinanzi al Tar Marche fosse impugnato un provvedimento avente natura diversa da quello qui in contestazione non esclude, di per sé, l’applicabilità dell’assunto in diritto affermato da quel giudice e richiamato nella sentenza n. 987/2012.

1.3.5 – La sentenza è contestata anche laddove - nel richiamare le numerose pronunce della Corte costituzionale (fra cui la sentenza n 10 del 2009) le quali hanno chiarito che il divieto di smaltimento di rifiuti di produzione extraregionale ed il connesso principio di autosufficienza vigono solo con riferimento ai rifiuti urbani non pericolosi non potendo essere applicabili ai rifiuti speciali, per i quali è impossibile a priori determinare un ambito territoriale ottimale che ne garantisca lo smaltimento - precisa che però da tale indicazione non può trarsi la conclusione che l’esportazione fuori regione di rifiuti speciali sia libera al punto tale da prescindere da qualsiasi programmazione regionale, che anzi appare necessaria proprio al fine di garantire che tali rifiuti siano smaltiti nell’ambito territoriale più consono a riceverli.

L’appello contesta che sia questo il dettato della Corte, ed afferma che interpretando la normativa regionale di riferimento nel senso indicato dal Tar ne deriverebbe un divieto assoluto di trattamento dei rifiuti in ambito regionale, non previsto dalla Costituzione.

L’assunto è infondato in fatto, poiché la sentenza appellata non offre un’interpretazione della normativa regionale di riferimento che comporta un divieto assoluto di trattamento dei rifiuti in ambito regionale.

Essa invece afferma il principio di libera circolazione per i rifiuti destinati al recupero, sia pure come deroga ad un divieto generale (“Ad avviso del Collegio non deve perdersi di vista il fatto che in via generale i rifiuti urbani non pericolosi devono essere gestiti solo in ambito regionale (argomento ex art. 182 comma 3decreto legislativo n. 152 del 2006); che il principio di libera circolazione valevole per quella frazione di essi destinata al recupero costituisce dunque una deroga ad un divieto generale che deve essere fatta oggetto di stretta interpretazione”……………..”. Ciò precisato in punto rifiuti speciali, pare al Collegio che a maggior ragione anche la individuazione degli impianti destinati al recupero di rifiuti urbani non pericolosi di provenienza regionale o extraregionale debba avvenire in sede di approvazione del Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti, ancorché per tale tipologia di rifiuti valga il principio di libera circolazione”).

1.3.6 - L’appello denuncia anche un’altra fattispecie di ultrapetizione, analoga a quella sopra considerata al capo 1.3.3.

La censura contesta il seguente passo della sentenza appellata: <<Ciò precisato in punto rifiuti speciali, pare al Collegio che a maggior ragione anche la individuazione degli impianti destinati al recupero di rifiuti urbani non pericolosi di provenienza regionale o extraregionale debba avvenire in sede di approvazione del Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti, ancorché per tale tipologia di rifiuti valga il principio di libera circolazione: l’art. 181 comma 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce infatti che “Per le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio ed al recupero è sempre ammessa la libera circolazione sul territorio nazionale tramite enti o imprese iscritti nelle apposite categorie dell’Albo nazionale gestori ambientali ai sensi dell’art. 212 comma 5, al fine di favorire il più possibile il loro recupero privilegiando il principio di prossimità agli impianti di recupero” >>.

Lamenta l’appello che avrebbe dovuto essere il ricorrente con apposita censura di ricorso e non il Tar ultra petita a dedurre la violazione del piano regionale per la gestione dei rifiuti.

Per questo rilievo possono valere le stesse osservazioni formulate sub 1.3.3: il passo contestato non è affetto da ultrapetizione perché è finalizzato ad un inquadramento normativo della fattispecie, e va considerato nel più ampio contesto argomentativo contenuto nei capi 4, 4.1, 4.1.1, 4.2, attinenti al primo motivo del ricorso di primo grado.

1.3.7 – La successiva frazione di sentenza oggetto di analisi critica è la seguente: “Ad avviso del Collegio non deve perdersi di vista il fatto che in via generale i rifiuti urbani non pericolosi devono essere gestiti solo in ambito regionale (argomento ex art. 182 comma 3 decreto legislativo n. 152 del 2006)”.

In proposito l’appello precisa - richiamando il successivo articolo 183 - che la disposizione richiamata si riferisce al recupero dei rifiuti e non al loro smaltimento, e che nel caso di specie la FORSU pacificamente non è destinata allo smaltimento.

Il rilievo è infondato.

Il testo in contestazione - come altre porzioni di sentenza oggetto di precedenti rilievi dell’appello - è solo parte di una più ampia argomentazione del Tar; e non reca un’asserzione categorica che confonde fra smaltimento e recupero dei rifiuti, ma “in via generale” argomenta dall’art. 182, comma 3, del decreto legislativo n. 152/2006 (“È vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l'opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano”) per poi giungere, tra l’altro, alle seguenti e condivisibili asserzioni:

- il principio di libera circolazione valevole per la frazione di rifiuti destinata al recupero deve essere fatta oggetto di stretta interpretazione;

- un’attività di recupero di rifiuti reca in sé il rischio di gravare l’ambito territoriale interessato di un non preventivato quantitativo di rifiuti urbani non pericolosi soggetto a smaltimento ma proveniente da fuori regione.

1.3.8 – La testé riferita asserzione del Tar secondo la quale il principio di libera circolazione valevole per la frazione di rifiuti destinata al recupero deve essere fatta oggetto di stretta interpretazione è oggetto anche di ulteriore censura ECAM.

Il principio di libera circolazione del rifiuto differenziato non costituirebbe deroga ad un divieto generale ma un autonomo principio.

Nel vigente ordinamento – precisa ECAM - sono eccezionali i divieti alla libera circolazione dei beni (ivi compresi i rifiuti differenziati) e non viceversa.

L’appello richiama in proposito la sentenza “Dusseldorp” della Corte di giustizia delle comunità europee (Corte di giustizia delle comunità europee, Sez. VI, 25 giugno 1998, n. C-203/96) ed analoghi precedenti.

Anche il presente rilievo va respinto.

Esso reca corrette considerazioni ma - come altri rilievi precedentemente esaminati e respinti - sconta la mancata considerazione del più ampio contesto di cui fa parte la porzione di testo qui oggetto di analisi critica.

È esatto l’assunto ECAM che il diritto comunitario e l’ordinamento interno che ad esso si adegua recano il principio generale secondo cui i principi di autosufficienza e di vicinanza non sono applicabili alle spedizioni di rifiuti destinati al recupero: la direttiva 75/442, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156, e il regolamento n. 259/93, relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità europea nonché in entrata e in uscita dal suo territorio impongono, al fine di incentivare il recupero dei rifiuti in tutta la Comunità, questa differenza di disciplina tra i rifiuti destinati al recupero e i rifiuti destinati allo smaltimento (v. la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, Sez. VI, 25 giugno 1998, n. C-203/96, richiamata nell’appello).

Però la sentenza appellata non contrasta con questi principi, perché non ha riguardato la spedizione/circolazione di rifiuti ma la localizzazione territoriale di un impianto di trattamento.

La sentenza non ha annullato l’autorizzazione all’impianto di trattamento aerobico del FORSU applicando i principi di autosufficienza e di vicinanza e disattendendo il principio di libera circolazione, ma ha considerato alla luce delle Linee guida provinciali la diversa prospettiva del fabbisogno del territorio di competenza.

Il Tar, accogliendo i relativi rilievi del ricorso di primo grado, ha rilevato che le Linee guida provinciali come modificate dalla citata delibera del Consiglio provinciale di Novara n. 93 del 2010 non consentono l’apertura di nuovi impianti finalizzati al recupero della FORSU attesa la capacità degli impianti esistenti o già autorizzati a ricevere la FORSU prodotta dal bacino di riferimento; e che con quelle Linee guida la Provincia di Novara ha chiaramente affermato di volersi far carico solo della gestione dei rifiuti prodotti nell’ambito del territorio di sua competenza, così optando per una politica di gestione dei rifiuti tendente ad escludere sia la realizzazione di impianti ultronei rispetto al fabbisogno del relativo territorio, sia la realizzazione di impianti destinati al trattamento di rifiuti provenienti da diversi bacini di utenza.

1.3.9 - Altra porzione di sentenza oggetto di rilievi è la seguente: “l’attività di recupero dei rifiuti urbani non pericolosi crea un carico impiantistico e genera una quantità di prodotti che per rientrare nel concetto di “prodotto secondario” devono avere un effettivo valore economico e di scambio e debbono rispondere a criteri di sicurezza e merceologici ben determinati: una attività di recupero di rifiuti, quindi, non garantisce necessariamente la completa reimmissione in commercio del rifiuto trattato e perciò reca in sé il rischio di gravare l’ambito territoriale interessato di un non preventivato quantitativo di rifiuti urbani non pericolosi soggetto a smaltimento ma proveniente da fuori regione”.

Sostiene in proposito l’appellante:

- che il carico impiantistico attiene alla localizzazione dell’opera, ed è stato oggetto dI permesso di costruire non impugnato.

- che l’asserita violazione del principio di prossimità non riguarda la produzione di energia elettrica, per la quale non è possibile parlare di sovraccarico di impianti;

- che relativamente alla linea di produzione di compost nessuna censura è stata sollevata in sede di ricorso di primo grado, essendo stata eliminata la frazione organica di rifiuti solidi urbani da questo ciclo;

- che in ogni caso la nuova formulazione dell’articolo 181 del Codice dell’ambiente reca una disciplina preferenziale anche per il recupero del rifiuto differenziato, che comprende la produzione di compost di qualità;

In proposito può osservarsi che se la localizzazione dell’opera è stato oggetto delle valutazioni sottese al permesso di costruire n. 4/2011 rilasciato dal Comune di Casalvolone, ciò non precludeva all’Ente provinciale, nell’esercizio delle proprie attribuzioni, di saggiare l’impianto di trattamento di frazione organica del rifiuto solido urbano quanto allo specifico profilo dei relativi impatti sul territorio.

Né questo legittimo esercizio di attribuzioni poteva essere precluso dalla circostanza che l’impianto di trattamento di rifiuti organici fosse finalizzato anche alla produzione di energia elettrica (e la FORSU, come sottolineato da ECAM, unicamente a questa produzione), posto che – come rilevato correttamente dal Tar – anche alla luce della normativa statale e comunitaria di riferimento (v.: l’allegato C alla parte quarta, lettera R.3 e punto R.1, del decreto legislativo n. 152 del 2006; il n. 8 delle considerazioni in premessa alla citata direttiva 2001/77/CE), trattasi comunque di attività di recupero dei rifiuti.

Quanto alla circostanza che la FORSU era stata eliminata dal ciclo produttivo del compost e alla circostanza che la nuova formulazione dell’articolo 181 del decreto legislativo n. 152/2006 reca una disciplina preferenziale anche per il recupero del rifiuto differenziato, che comprende la produzione di compost di qualità, esse non palesano l’erroneità della parte di sentenza qui oggetto di critica. Infatti, come pure rilevato dal Tar – e non specificamente contestato dall’appello – resta pur sempre la circostanza che - eliminata la FORSU dalla sezione di compostaggio, essa è comunque utilizzata nella linea anaerobica, il cui prodotto finale non è soltanto il biogas utilizzato per la produzione di energia ma anche il compost e un liquame (destinato allo smaltimento o ad altre possibili finalità quali quella di fertilizzante organico o di reimmissione nel digestore), e dunque rimane l’assenza – rilevata dal Tar su impulso dei ricorrenti – di una garanzia di completa reimmissione in commercio del rifiuto trattato e quindi il rischio di gravare l’ambito territoriale interessato di un non preventivato quantitativo di rifiuti.

1.3.10 - L’appello riporta, e contesta, anche il seguente brano della pronuncia del Tar, successivo a quello testé considerato e con esso collegato.

<<Tale considerazione vale, in particolare, con riferimento al compost, che, stante l’ormai sempre più accentuata sproporzione esistente tra offerta e domanda, in mancanza di politiche mirate non viene così facilmente ricollocato sul mercato, rimanendo giacente negli impianti di compostaggio, che poi nel tempo debbono ampliarsi. A tale inconveniente si può far fronte solo approntando un programma di utilizzazione del compost, ad esempio prevedendone l’utilizzo in larga scala per il recupero ambientale di determinate cave o discariche, o per la realizzazione di stadi o di giardini pubblici. Nell’ambito delle previsioni regionali che autorizzino, in deroga al principio di prossimità, l’apertura di impianti di recupero di rifiuti di provenienza “esterna” dovrebbero quindi trovare posto, auspicabilmente, anche delle prescrizioni tendenti a garantirne l’effettivo riutilizzo.

Queste considerazioni inducono il Collegio a ritenere che anche la allocazione di impianti destinati al recupero di rifiuti urbani non pericolosi, di qualsiasi provenienza, debba essere presa in considerazione dalla programmazione regionale di settore. Indiretta conferma in tal senso si trae anche dall’art. 5 comma 3 del D. L. 263/06, che ha attribuito al Commissario delegato per la gestione della emergenza dei rifiuti in Campania il potere di “disporre, d’intesa con le regioni interessate, lo smaltimento ed il recupero fuori regione, nella massima sicurezza ambientale e sanitaria, di una parte dei rifiuti prodotti”: la norma, come si vede, non distingue tra le varie tipologie di rifiuti prodotti, e così implicitamente riconosce che anche il recupero fuori regione di rifiuti urbani non pericolosi debba passare – nonostante il principio di libera circolazione - attraverso un atto di intesa con le regioni “riceventi”. E’estremamente significativo il fatto che una tale limitazione risulti inserita in una legislazione emergenziale come quella che riguarda lo smaltimento dei rifiuti della Regione Campania, legislazione che proprio in ragione della situazione di emergenza che affligge questo territorio favorisce in generale lo smaltimento dei rifiuti ivi prodotti fuori regione: se ne deduce che anche per il legislatore il principio di libera circolazione dei rifiuti urbani non pericolosi destinati al recupero non esclude che tale attività debba conciliarsi con la programmazione di settore regionale e provinciale. L’art. 181 comma 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006 deve quindi essere letto tenendo presente che comunque la allocazione degli impianti di recupero dei rifiuti urbani non pericolosi deve rispettare le previsioni regionali: queste ultime, proprio in forza della menzionata disposizione, possono derogare al principio di prossimità consentendo l’insediamento di impianti destinati al trattamento di rifiuti urbani non pericolosi provenienti da località esterne all’a.t.o. ed alla Regione di interesse; ma ove simili previsioni facciano difetto la allocazione di simili impianti non può ritenersi consentita. Opinare diversamente significherebbe – come rilevato dal TAR Marche nella sopra ricordata pronuncia – ammettere che la politica di gestione dei rifiuti rimanga affidata ai singoli gestori degli impianti, il che non si può evidentemente accettare in una materia in cui la programmazione e la coordinazione degli interventi è di fondamentale importanza.

4.1.1. Orbene, l’esistenza, nel vigente Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti di previsioni che consentano la allocazione nella Provincia di Novara di nuovi impianti di compostaggio e di trattamento anaerobico di biomasse non è stata mai invocata dalla ditta interessata in sede procedimentale.

Viceversa, nella odierna fase giurisdizionale la controinteressata ha indicato l’esistenza, in un non meglio identificato Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti che la Regione Piemonte avrebbe allo stato solo adottato, di una previsione secondo la quale nell’a.t.o. 2, ove dovrebbe situarsi l’impianto in discussione, “in alternativa al trattamento della FORSU in impianti di compostaggio, anche i fini del raggiungimento degli obiettivi energetici riguardanti l’utilizzo di fonti rinnovabili, è possibile ricorrere alla digestione anaerobica come forma di pre-trattamento della FORSU, seguita da successive operazioni di recupero”.

A prescindere dalla considerazione che l’atto regionale di che trattasi non è stato compiutamente identificato né prodotto dalla ricorrente e che comunque si tratterebbe solo di un atto adottato, come tale non ancora applicabile (non esistono, infatti, norme che collegano alla adozione di un piano regionale dei rifiuti l’applicazione di misure di salvaguardia, che comunque avrebbero ad oggetto solo le norme più limitative), il Collegio osserva che la previsione in oggetto in realtà ha più valenza che pratica: da essa infatti non è dato evincere chiaramente che nell’a.t.o. 2 è possibile l’apertura di impianti di trattamento della FORSU ulteriori rispetto a quelli esistenti, e tanto meno si evince che possano essere autorizzati impianti per il trattamento di FORSU proveniente da zone esterne allo a.t.o. medesimo”>>.

Su questa parte di sentenza l’appello formula i seguenti rilievi:

- non spettano al giudice valutazioni di mercato in merito alla produzione del compost in base all’attuale domanda;

- la legge non disciplina né prevede un piano di utilizzazione del compost e in ogni caso i ricorrenti in primo grado non hanno dedotto alcuna violazione del “piano del compost”;

- la violazione delle norme del piano che disciplinano la allocazione di impianti destinati al recupero di rifiuti urbani non pericolosi non è stata invocata nel ricorso di primo grado;

- parte ricorrente in primo grado non ha neanche dedotto il mancato rispetto di norme programmatiche relativamente al recupero dei rifiuti; e in ogni caso il difetto di queste norme programmatiche non avrebbe comunque potuto portare all’annullamento dell’autorizzazione poiché la mancanza di programmazione determinerebbe comunque l’assoluta libertà di circolazione del tipo differenziato, in linea con quanto affermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2009;

- come già rilevato, il richiamo alla sentenza del Tar delle Marche n. 1441 del 2009 non è pertinente;

- il piano regionale invocato in primo grado dall’appellante non è non meglio precisato, ma è stato adottato dalla Regione Piemonte e pubblicato sul sito internet della Regione stessa e deve dunque intendersi come fatto notorio (v. C.d.S., Sez. V, 23 febbraio 2004, n. 675);

- il richiamo all’articolo 5 (“Bonifica, messa in sicurezza e apertura discariche”), comma 3, del decreto-legge n. 263 del 2006 (“Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania. Misure per la raccolta differenziata”) non è pertinente perché alla fattispecie concreta si applica l’articolo 181 del Codice dell’ambiente, la cui formulazione è successiva a quel decreto-legge n. 263 del 2006; e l’articolo 181 citato è chiarissimo nello stabilire “per le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio ed al recupero è sempre ammessa la libera circolazione sul territorio nazionale”;

- anche se fosse vero che l’articolo 181, comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006 deve essere letto tenendo presente che la valutazione degli impianti di recupero dei rifiuti urbani non pericolosi deve rispettare le previsioni regionali, tuttavia la violazione di tali previsioni regionali doveva essere dedotta dai ricorrenti in primo grado, ed essi invece hanno censurato unicamente la violazione di Linee guida di carattere provinciale;

- l’affermazione secondo cui le previsioni regionali “possono derogare al principio di prossimità consentendo l’insediamento di impianti legati al trattamento di rifiuti urbani non pericolosi provenienti da località esterne all’ambito territoriale ottimale ed alla regione di interesse; ma che ove simili previsioni manchino la allocazione dei simili impianti non può ritenersi consentita” è erronea perché contrasta con la già indicata consolidata giurisprudenza comunitaria.

In effetti la prima parte dello stralcio di sentenza ora in esame (“Tale considerazione vale, in particolare, con riferimento al compost, che, stante l’ormai sempre più accentuata sproporzione esistente tra offerta e domanda, in mancanza di politiche mirate non viene così facilmente ricollocato sul mercato, rimanendo giacente negli impianti di compostaggio, che poi nel tempo debbono ampliarsi. A tale inconveniente si può far fronte solo approntando un programma di utilizzazione del compost, ad esempio prevedendone l’utilizzo in larga scala per il recupero ambientale di determinate cave o discariche, o per la realizzazione di stadi o di giardini pubblici. Nell’ambito delle previsioni regionali che autorizzino, in deroga al principio di prossimità, l’apertura di impianti di recupero di rifiuti di provenienza “esterna” dovrebbero quindi trovare posto, auspicabilmente, anche delle prescrizioni tendenti a garantirne l’effettivo riutilizzo. Queste considerazioni inducono il Collegio a ritenere che anche la allocazione di impianti destinati al recupero di rifiuti urbani non pericolosi, di qualsiasi provenienza, debba essere presa in considerazione dalla programmazione regionale di settore”) reca considerazioni non giuridiche e considerazioni deiurecondendo.

Ma non è su di quelle considerazioni che la qui impugnata sentenza ha basato l’accoglimento del primo motivo del ricorso: come già rilevato (v. il precedente capo 1.3.1) l’annullamento è stato disposto dal Tar in accoglimento delle censure che:

- reclamavano l’applicabilità della preclusione posta dalle Linee guida provinciali alla realizzazione di impianti che impieghino la FORSU anche al relativo trattamento anaerobico;

- escludevano – diversamente da quanto esposto dalla ECAM nel procedimento amministrativo e nel giudizio di primo e secondo grado - che l’impianto di che trattasi potesse ritenersi sottratto alla normativa speciale sui rifiuti in ragione della sua finalizzazione alla produzione di energia elettrica e della riconducibilità della FORSU al concetto di “biomassa” utile alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Pertanto quelle considerazioni non giuridiche e deiurecondendo contenute nella sentenza appellata sono ininfluenti, così come . di conseguenza – i relativi rilievi dell’appello.

Analoghe considerazioni d’ininfluenza vanno fatte per i rilievi d’appello secondo i quali:

- la legge non disciplina né prevede un piano di utilizzazione del compost e in ogni caso i ricorrenti in primo grado non hanno dedotto alcuna violazione del “piano del compost”;

- la violazione delle norme del piano che disciplinano la allocazione di impianti destinati al recupero di rifiuti urbani non pericolosi non è stata invocata nel ricorso di primo grado;

- parte ricorrente in primo grado non ha neanche dedotto il mancato rispetto di norme programmatiche relativamente al recupero dei rifiuti; e in ogni caso il difetto di queste norme programmatiche non avrebbe comunque potuto portare all’annullamento dell’autorizzazione poiché la mancanza di programmazione determinerebbe comunque l’assoluta libertà di circolazione del tipo differenziato, in linea con quanto affermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2009;

- il richiamo alla sentenza del Tar delle Marche n. 1441 del 2009 non è pertinente;

- il piano regionale invocato in primo grado da ECAM non è non meglio precisato, ma è stato adottato dalla Regione Piemonte e pubblicato sul sito internet della Regione stessa e deve dunque intendersi come fatto notorio.

I suddetti rilievi, infatti, sono ininfluenti perché, come per quello che li precede, si riferiscono a considerazioni del Tar non essenziali per l’accoglimento del primo motivo del ricorso.

Parimenti ininfluente, seppure condivisibile, è il rilievo d’appello il quale lamenta la non pertinenza del richiamo fatto dal Tar all’art. 5, comma 3, del decreto-legge n. 263/2006.

Quel rilievo ECAM infatti è per un verso condivisibile perché quell’art. 5, comma 3, del decreto-legge n. 263/2006 (che relativamente allo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania dispone: “Il Commissario delegato può disporre, d'intesa con le regioni interessate, lo smaltimento ed il recupero fuori regione, nella massima sicurezza ambientale e sanitaria, di una parte dei rifiuti prodotti”) appare dettato da valutazioni emergenziali e di opportunità politica (anche in considerazione delle istanze territoriali-sociologiche delle regioni italiane nelle quali smistare i rifiuti non gestibili nella regione Campania) e dunque risulta estraneo alla questione qui in esame. Ma per altro verso quel medesimo rilievo ECAM di non pertinenza è ininfluente, poiché, come le considerazioni del Tar testé considerate, anche il richiamo all’art. 5, comma 3, del decreto-legge n. 263/2006 è semplice corollario della pronuncia in diritto sul primo motivo del ricorso di primo grado, pronuncia che si fonda sulle altre decisive considerazioni sopra indicate.

Relativamente ai rilievi, a seguire, sulla corretta applicazione dell’art.181 del decreto legislativo n. 152/2006 alla fattispecie, essi ripropongono precedenti censure già proposte nell’appello e qui già considerate e respinte nei capi 1.3.1, 1.3.2, 1.3.9, cui si rinvia.

Analogamente, circa il principio di prossimità quanto al trattamento di rifiuti urbani non pericolosi, l’allocazione dei relativi impianti e la relativa giurisprudenza comunitaria si rinvia a quanto già osservato supra (v. i capi 1.3.1, 1.3.2, 1.3.5, 1.3.7, 1.3.8, 1.3.9).

1.3.11 – Le ulteriori tre serie di censure, relative ad altrettante porzioni di sentenza in successione, possono, per sintesi, essere considerate unitamente.

La prima porzione di testo in contestazione è la seguente: “L’affermata alternatività degli impianti a trattamento anaerobico rispetto a quelli di compostaggio aerobico indica poi semplicemente, ad avviso del Collegio, la propensione dell’amministratore regionale al contenimento degli impianti di compostaggio tradizionale al fine del contenimento del complessivo carico impiantistico (infatti, ove i rifiuti organici di un a.t.o. fossero tutti sottoposti ad un pre-trattamento in impianto anaerobico per essere indirizzati solo successivamente agli impianti di compostaggio esistenti, la necessità di autorizzare nuovi impianti di compostaggio o di autorizzare l’aumento di capacità di quelli esistenti sarebbe contenuta e dipenderebbe solo dall’aumento della produzione dei rifiuti locali; viceversa la mancata coordinazione della attività dei due tipi di impianti induce i gestori degli impianti anaerobici a ricercare fuori a.t.o. i rifiuti da pre-trattare, ma tale fenomeno induce poi, all’interno dell’a.t.o., un aumento della quantità di massa destinata agli impianti di compostaggio aerobici: da qui l’esigenza di creare nuovi impianti di compostaggio o di aumentare la capacità di quelli esistenti)”.

Le relative censure d’appello sono le seguenti:

- l’alternatività degli impianti a trattamento anaerobico rispetto a quelli di compostaggio aerobico non è affermata ma è un dato di fatto, trattandosi di impianti di diversa natura e soggetti a diversa disciplina normativa;

- il “contenimento del complessivo carico impiantistico” non può che essere riferito agli impianti di smaltimento e, al limite, di trattamento in relazione a determinati rifiuti (quelli indifferenziati);

- anche se le Linee guida provinciali interferissero con la fattispecie concreta dovrebbero essere disapplicate, perché antecedenti alla modifica del Codice dell’ambiente a seguito del decreto legislativo n. 205 del 2010, modifica che ha previsto il principio di libera circolazione del rifiuto differenziato;

- ragionando nei termini di cui alla sentenza appellata sarebbe consentito alle provincie il potere di regolare la produzione di energia elettrica sulla base dei rifiuti prodotti dai singoli ATO, ma nessuna norma di azione concede una simile potstà regolamentare agli enti locali.

La successiva porzione di testo contestata è la seguente:

“la previsione in esame è dunque inapplicabile in mancanza di misure atte a coordinare l’attività degli impianti di compostaggio esistenti con quelli a trattamento anaerobico di futura realizzazione, essendo evidente che l’attività degli impianti in esercizio o già autorizzata non può essere interrotta o revocata solo in dipendenza della apertura di un nuovo impianto a trattamento aerobico.”.

Le relative censure d’appello sono le seguenti:

- non vi è rinvio ad alcun atto di pianificazione;

- si tratta di espressione del principio comunitario di libera circolazione delle merci, non limitatabile dalla discrezionalità degli enti locali;

- una limitazione della produzione di energia per consentire ad altre imprese esistenti l’attuale produzione di compost appare ispirata a logiche di restrizione del mercato superate e contrarie ai principi comunitari.

La ulteriore porzione di testo contestata è la seguente:

“La disposizione del Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti che la controinteressata ha invocato nelle sue difese è quindi allo stato inidonea a sorreggere l’autorizzazione alla apertura di una nuova linea di trattamento della FORSU e tale constatazione rafforza quanto già rilevato al precedente paragrafo 4 in ordine alla interpretazione delle Linee guida provinciali”.

Le relativa censura d’appello rileva che è infatti è la legge – nazionale, più volte citata, e regionale (la legge regionale n. 24 del 2002) - a sorreggere l’autorizzazione all’apertura di una nuova linea di trattamento della frazione organica di rifiuti solidi urbani.

Ciò premesso, è quest’ultima censura a dover essere esaminata e non le due serie precedenti.

Le due precedenti serie di censure infatti – nell’ambito della più volte rilevata tecnica impugnatoria ECAM di considerare e censurare singolarmente brani che invece il primo giudice ha inserito in più ampio contesto argomentativo – criticano parti della sentenza inserite in un assunto generale che l’appello finisce poi per accettare.

In proposito si osserva quanto segue.

Il testo complessivo le cui porzioni sono singolarmente censurate è il seguente.

<<4.1.1. Orbene, l’esistenza, nel vigente Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti di previsioni che consentano la allocazione nella Provincia di Novara di nuovi impianti di compostaggio e di trattamento anaerobico di biomasse non è stata mai invocata dalla ditta interessata in sede procedimentale.

Viceversa, nella odierna fase giurisdizionale la controinter essata ha indicato l’esistenza, in un non meglio identificato Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti che la Regione Piemonte avrebbe allo stato solo adottato, di una previsione secondo la quale nell’a.t.o. 2, ove dovrebbe situarsi l’impianto in discussione, “in alter nativa al trattamento della forsu in impianti di compostaggio, anche i fini del raggiungimento degli obiettivi energetici riguardanti l’utilizzo di fonti rinnovabili, è possibile ricorrere alla digestione anaerobica come forma di pre-trattamento della FORSU, seguita da successive operazioni di recupero”.

A prescindere dalla considerazione che l’atto regionale di che trattasi non è stato compiutamente identificato né prodotto dalla ricorrente e che comunque si tratterebbe solo di un atto adottato, come tale non ancora applicabile (non esistono, infatti, norme che collegano alla adozione di un piano regionale dei rifiuti l’applicazione di misure di salvaguardia, che comunque avrebbero ad oggetto solo le norme più limitative), il Collegio osserva che la previsione in oggetto in realtà ha più valenza programmatica che pratica: da essa infatti non è dato evincere chiaramente che nell’a.t.o. 2 è possibile l’apertura di impianti di trattamento della FORSU ulteriori rispetto a quelli esistenti, e tanto meno si evince che possano essere autorizzati impianti per il trattamento di FORSU proveniente da zone esterne alla a.t.o. medesimo. L’affermata alternatività degli impianti a trattamento anaerobico rispetto a quelli di compostaggio aerobico indica poi semplicemente, ad avviso del Collegio, la propensione dell’amministratore regionale al contenimento degli impianti di compostaggio tradizionale al fine del contenimento del complessivo carico impiantistico (infatti, ove i rifiuti organici di un a.t.o. fossero tutti sottoposti ad un pre-trattamento in impianto anaerobico per essere indirizzati solo successivamente agli impianti di compostaggio esistenti, la necessità di autorizzare nuovi impianti di compostaggio o di autorizzare l’aumento di capacità di quelli esistenti sarebbe contenuta e dipenderebbe solo dall’aumento della produzione dei rifiuti locali; viceversa la mancata coordinazione della attività dei due tipi di impianti induce i gestori degli impianti anaerobici a ricercare fuori a.t.o. i rifiuti da pre-trattare, ma tale fenomeno induce poi, all’inter no dell’a.t.o., un aumento della quantità di massa destinata agli impianti di compostaggio aerobici: da qui l’esigenza di creare nuovi impianti di compostaggio o di aumentare la capacità di quelli esistenti). La previsione in esame è dunque inapplicabile in mancanza di misure atte a coordinare l’attività degli impianti di compostaggio esistenti con quelli a trattamento anaerobico di futura realizzazione, essendo evidente che l’attività degli impianti in esercizio o già autorizzata non può essere interrotta o revocata solo in dipendenza della apertura di un nuovo impianto a trattamento aerobico.

La disposizione del Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti che la controinteressata ha invocato nelle sue difese è quindi allo stato inidonea a sorreggere l’autorizzazione alla apertura di una nuova linea di trattamento della FORSU e tale constatazione rafforza quanto già rilevato al precedente paragrafo 4 in ordine alla inter pretazione delle Linee guida provinciali. >>.

La lettura unitaria del testo complessivo mostra che esso concerne, in sintesi, la idoneità o meno del Piano regionale per la gestione dei rifiuti a sorreggere l’autorizzazione alla apertura di una nuova linea di trattamento della FORSU.

Il Tar conclude queste argomentazioni negando una tale idoneità (“La disposizione del Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti che la controinteressata ha invocato nelle sue difese è quindi allo stato inidonea a sorreggere l’autorizzazione alla apertura di una nuova linea di trattamento della FORSU e tale constatazione rafforza quanto già rilevato al precedente paragrafo 4 in ordine alla interpretazione delle Linee guida provinciali”). E in proposito l’appello afferma: “E’ infatti è la legge a sorreggere l’autorizzazione all’apertura di una nuova linea di trattamento della FORSU”.

Questa affermazione, dunque, concorda con la conclusione del percorso argomentativo del Tar, così rendendo estranee allo stretto tema del decidere le sopra riferite separate censure a singoli passi di quel percorso argomentativo; e consentendo di circoscrivere la valutazione alla suddetta affermazione “E’ infatti è la legge a sorreggere l’autorizzazione all’apertura di una nuova linea di trattamento della FORSU” e alle relative conclusioni dell’appello.

Ciò premesso quell’affermazione ECAM e le relative conclusioni dell’appello sono da respingere.

L’appello sostiene che è la legge a sorreggere l’autorizzazione all’apertura di una nuova linea di trattamento della FORSU; e in proposito richiama le proprie precedenti considerazioni sulla portata della legge statale aggiungendone di ulteriori sulla portata della legge regionale n. 24 del 2002.

Ma i rilievi non dimostrano l’erroneità della sentenza appellata.

Relativamente alle precedenti considerazioni dell'appellante sulla portata della legge statale si rinvia alle correlate e contrarie precedenti considerazioni di questa sentenza (v. i precedenti capi 1.3.1, 1.3.2, 1.3.3, 1.3.4, 1.3.5, 1.3.9, 1.3.10).

Quanto alle considerazioni d'appello sulla portata della legislazione regionale parimenti esse non sono condivisibili.

La ECAM invoca l’art. 2 della legge regionale 24 ottobre 2002, n. 24 (“Norme per la gestione dei rifiuti”), rilevando che:

- la Regione promuove (e non limita) la gestione integrata dei rifiuti al fine del recupero; e - sostiene l'appello - nell'impianto di cui si discute le due linee produttive, essendo complementari, si integrano garantendo così un recupero ottimale del rifiuto, da cui si ricava prima biogas, poi energia elettrica, poi percolato che alimenta la seconda linea produttiva, ed infine compost;

- la Regione provvede alla stipulazione di appositi accordi di programma o convenzioni con altre regioni al fine di autorizzare, in via eccezionale, lo smaltimento in altre regioni di rifiuti urbani prodotti in Piemonte e viceversa; tali accordi però - sostiene l'appello - non sono necessari ai fini del recupero del rifiuto differenziato;

- la Regione incentiva (e non limita) lo sviluppo di tecnologie pulite e la valorizzazione dei rifiuti.

Su questi rilievi ECAM si osserva che essi si limitano a riprodurre, talora integrando con proprie aggiunte – stralci di disposizioni della legge regionale che recano soltanto norme generali e programmatiche.

Segnatamente, l’appello richiama stralci delle lettere d), g) e t) dell’art. 2 della legge regionale n. 24/2002, che si riportano:

“la Regione provvede:

(…..omissis…..)

d) alla promozione della gestione integrata dei rifiuti al fine di ottimizzare il riutilizzo, il riciclaggio, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, nonché all'incentivazione della riduzione della produzione dei rifiuti, della riduzione dell'uso degli imballaggi anche attraverso accordi con la grande distribuzione, all'incentivazione ed all'utilizzo di beni prodotti con rifiuti;

(…..omissis…..)

g) alla stipulazione di appositi accordi di programma o convenzioni con altre regioni al fine di autorizzare, in via eccezionale, lo smaltimento in altre regioni di rifiuti urbani prodotti in Piemonte e viceversa, nonché alla stipulazione di appositi accordi di programma, convenzioni ed intese con soggetti pubblici e privati indirizzati al perseguimento degli obiettivi di cui all'articolo 1;

(…..omissis…..)

t) ad incentivare lo sviluppo di tecnologie pulite, la valorizzazione dei rifiuti, l'utilizzo del materiale riciclato, la produzione di beni di consumo ecologicamente compatibili, la riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti tramite la promozione di accordi di programma e la concessione di contributi ed incentivi a soggetti privati, nel rispetto della regola comunitaria del 'de minimis';”.

Si tratta, come si vede, di disposizioni con contenuto più vasto di quello riferito dall’appellante, ed aventi portata ampia e talmente generale da poter essere utilizzate anche per sostenere assunti opposti a quelli ECAM.

Esse dunque non hanno contenuto tale da imporre alle Linee guida provinciali, all’annullamento impugnato in primo grado, e dunque alla sentenza appellata, un contenuto diverso da quello posseduto.

1.3.12 – Un mezzo ulteriore contesta il successivo capo 4.2 della sentenza, il quale è integralmente riportato nell’atto d’appello, ed è il seguente:

<<La contestata previsione delle Linee guida provinciali é applicabile ad avviso del Collegio sia agli impianti di compostaggio che agli impianti di digestione anaerobica: questo per la ragione che, come sopra già precisato, il prodotto finale degli impianti di digestione anaerobica non è costituito dal biogas, bensì da un fango non stabilizzato che, una volta centrifugato, dà luogo ad una frazione liquida destinata a smaltimento, se non utilizzata come fertilizzante o se non reimmessa nel digestore, e ad una frazione solida, destinata ad una ulteriore fase di stabilizzazione in impianto di compostaggio aerobico: gli impianti a digestione anaerobica, insomma, non provocano l’annientamento o la sparizione dei rifiuti e sostanze organiche da cui sono alimentati, ma sono anzi idonei a creare una quantità di frazione solida che è destinata ad alimentare proprio quegli impianti di compostaggio cui si riferisce la rubrica della norma. Non per niente gli impianti di digestione anaerobica dei rifiuti sono anche definiti come impianti di pre-trattamento.

Non si comprende, allora, per quale ragione dovrebbe ritenersi consentita dalla Linee guida provinciali la realizzazione di impianti di digestione anaerobica che impieghino la FORSU: la ratio delle Linee guida è quella di evitare l’inutile proliferare degli impianti di compostaggio ed a tal fine esse hanno determinato il fabbisogno di impianti in quelli necessari e sufficienti a trattare la FORSU prodotta dal solo bacino di interesse. E’ chiaro, tuttavia, che nel momento in cui nell’a.t.o. si comincia a trattare per via anaerobica anche FORSU di provenienza esterna all’a.t.o. si va ad incidere sul fabbisogno di impianti di compostaggio, vanificando le previsioni delle Linee guida. Si noti poi che nel caso di specie E.CA.M. s.r.l. è stata autorizzata alla apertura non solo della linea di trattamento anaerobico, ma anche di una linea di compostaggio aerobico della quale, in teoria, non doveva sentirsi la necessità. Infatti risulta già autorizzato un ampliamento dell’impianto di S. Nazzaro Sesia sufficiente ad accogliere la FORSU di cui è prevista la produzione nell’a.t.o. 2 sino al 2015: poiché E.CA.M.. s.r.l. sostiene di voler recuperare la FORSU dell’a.t.o. medesimo e poiché la massa pre-trattata deve comunque terminare il ciclo di recupero in un impianto di compostaggio, l’impianto di S. Nazzaro Sesia avrebbe ben potuto accogliere la FORSU pre-trattata da E.CA.M. s.r.l. Invece questa ultima è stata autorizzata ad aprire una nuova linea di compostaggio aerobico, nella quale farà confluire 50.000 tonnellate di FORSU “digestata” derivante dal pre-trattamento negli impianti anaerobici. Ciò significa: a) che nell’impianto di compostaggio comunque confluisce della FORSU, sia pure pre-trattata; b) che l’impianto di S. Nazzaro Sesia non avrà più alcuna utilità, a meno che in realtà E.CA.M. s.r.l. conti di recuperare FORSU proveniente da fuori a.t.o., così andando ad aggravare il carico territoriale di FORSU da sottoporre a trattamento aerobico in disaccordo con l’obiettivo delle Linee guida provinciali.

Si tratta di semplici considerazioni, che però spiegano bene la ragione per cui non ha alcun senso applicare le Linee guida ai soli impianti di trattamento aerobico della FORSU, come ha fatto la Provincia di Novara. Del resto è agevole osservare che al di là del mero dato formale costituito dalla rubrica del punto 4.2. delle Linee guida provinciali, nulla autorizza a credere che esso abbia inteso vietare solo nuovi impianti a trattamento aerobico della FORSU: è invece un dato di fatto che la previsione si chiude con una affermazione che si riferisce genericamente ad “altri impianti di trattamento della FORSU” senza ulteriore specificazione. >>.

L’appello rileva in proposito:

- che una frazione organica di rifiuti solidi urbani che alimenta la linea anaerobica non può essere equiparata al digestato che alimenta la linea aerobica;

- che la produzione di compost non è strategica per l’economia nazionale, mentre lo è la produzione di energia elettrica, incentivata dal decreto legislativo n. 387 del 2003;

- che il fatto che il digestato, anziché essere smaltito, venga recuperato nella linea di produzione di compost, anziché essere considerato meritorio per le positive ricadute ambientali, è stato individuato come causa sostanzialmente unica dell’illegittimità dell’autorizzazione;

- che in definitiva le finalità dell’impianto non sono state analizzate e valutate;

- che erroneamente la sentenza afferma <<invece è un dato di fatto che la previsione si chiude con una affermazione che si riferisce genericamente ad “altri impianti di trattamento della FORSU” senza ulteriore specificazione.>>: in proposito, secondo l’appellante, basterebbe leggere la rubrica dell’art. 2.2, intitolata appunto “impianti di compostaggio”.

In proposito si osserva che:

- se per un verso vi è evidente differenza ontologica e normativa fra la FORSU che alimenta la linea anaerobica e il digestato che alimenta la linea aerobica per altro verso è logicamente corretto che i due derivati siano unitariamente considerati ai fini dell’impatto territoriale che comunque deriva da entrambi;

- la circostanza che l’impianto in argomento sia finalizzato anche alla produzione di energia elettrica non dimostra di per sé erroneità negli assunti del primo giudice. Si rinvia in proposito a quanto già rilevato con riferimento ad analoghe precedenti prospettazioni dell’appello (v. i capi 1.3.1, 1.3.2, 1.3.9);

- la sentenza appellata non ha penalizzato la circostanza – di per sé encomiabile e conforme allo spirito della normativa, anche sovranazionale, di riferimento - che nell’impianto ECAM il digestato non sia acriticamente smaltito ma sia invece recuperato nella linea di produzione di compost. Il Tar ha invece tenuto conto del complessivo impatto ravvisato e negativamente valutato dalle Linee guida provinciali invocate dai ricorrenti in primo grado, e comunque derivante dalla gestione dei rifiuti conseguente al progetto ECAM; così correttamente analizzando e valutando le finalità e le conseguenze dell’impianto;

- la circostanza che la rubrica dell’art. 2.2 (rectius: dell’art.2.4 del nuovo testo delle Linee guida, come revisionato dalla citata delibera n. 93 del 2010, la quale ha modificato “i capitoli 2.4 della Parte seconda” delle Linee guida di programmazione per la gestione dei rifiuti solidi urbani approvate dal Consiglio provinciale con deliberazione n. 46 del 2006) sia intitolata “impianti di compostaggio” non incide sulla circostanza – correttamente rilevata dal Tar in un’ottica di dovuta interrelazione fra impianti di compostaggio e impianti di digestione anaerobica - che il modificato capo 2.4.2 (“SITUAZIONE A REGIME”) delle Linee guida comunque afferma espressamente “si ritiene allo stato attuale non giustificato il rilascio di autorizzazioni alla realizzazione di altri impianti di trattamento della FORSU”.

Anche questa serie di censure, dunque, è da respingere.

1.3.13 – L’ulteriore passo di sentenza contestato è quello che segue.

<<L’attività di “recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi (comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche)” sono definite dall’allegato C alla parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006, lettera R.3, tra le operazioni di recupero dei rifiuti, indipendentemente dalla finalizzazione della attività. Allo stesso modo al punto R.1. si considera attività di recupero dei rifiuti l’utilizzo di rifiuti “principalmente come combustibile e come altro mezzo per produrre energia”, indipendentemente dalla energia sviluppata.

Pare quindi non potersi revocare in dubbio che le attività di compostaggio di rifiuti nonché l’attività di trattamento anaerobico di rifiuti finalizzata alla creazione di biogas e, dipoi, alla produzione di energia o calore, debbano essere annoverate tra le attività di recupero dei rifiuti, la quale attività appartiene al ciclo di gestione dei rifiuti (art. 183 lett. n decreto legislativo n. 152 del 2006) ed è quindi soggetta alla relativa disciplina, nella quale è compresa la programmazione territoriale di settore.>>.

La relativa contestazione d’appello ribadisce che sul tema non vi è specifica censura del ricorrente in primo grado.

L’annotazione è esatta ma priva di rilievo; sia perché, come supra già più volte segnalato in analoghe occasioni, la sentenza impugnata resta sorretta e correttamente mirata su altri e fondamentali assunti; sia perché le qui contestate asserzioni del Tar, condivise e fatte proprie da questo Collegio, concretano comunque un ulteriore argomento che porta a disattendere le considerazioni ECAM le quali invocano contro la sentenza appellata la finalità di produzione di energia elettrica dell’impianto (v. supra i capi 1.3.1, 1.3.2, 1.3.9, già richiamati anche nel capo che precede).

1.3.14 – L’ulteriore passo di sentenza partitamente contestato è quello che segue.

<<chela FORSU, come altri rifiuti biodegradabili, possa qualificarsi come “biomassa” ai fini della applicabilità delle norme in materia di produzione di energia rinnovabile non toglie che essa è e continua ad essere un rifiuto sino a che, ad ultimazione del ciclo di trattamento, viene definitivamente trasformata in un prodotto secondario. L’energia traibile dalla attività di recupero dei rifiuti biodegradabili costituisce solo una utilità che si affianca a quella insita nel recupero dei rifiuti stessi, e che tale utilità possa costituire il motivo principale che induce il gestore alla apertura dell’impianto non altera la natura della attività, che resta pur sempre anche una attività oggettivamente deputata al recupero degli stessi >>.

In proposito l’appellante ECAM sostiene che se complessivamente la propria attività è recupero del rifiuto è anche vero che il giudice di primo grado avrebbe dovuto applicare la disciplina del recupero dei rifiuti differenziati e non quella relativa allo smaltimento degli stessi; e che alla linea produttiva di energia si applica anche decreto legislativo n. 387 del 2003, così come previsto dallo stesso decreto legislativo.

La censura è infondata.

Come già più volte rilevato, il testo contestato dall’appellante - come altre porzioni di sentenza oggetto di precedenti rilievi dell’appello - è solo parte di una più ampia argomentazione del Tar; e non reca un’asserzione categorica che confonde fra smaltimento e recupero ed elude la normativa di cui al decreto legislativo n. 387 del 2003 sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili. Anche in questo punto la sentenza appellata: non ignora la diversità di disciplina fra recupero e smaltimento dei rifiuti (v. per tutti, il precedente capo 1.3.7); correttamente applica quanto stabilito in proposito dalle Linee guida provinciali; correttamente tien conto della circostanza che se l’impianto in argomento è finalizzato anche alla produzione di energia elettrica ciò non esclude l’applicabilità di quelle Linee guida e della normativa alla base di esse. Si rinvia in proposito a quanto già rilevato con riferimento ad analoghe precedenti prospettazioni dell’appello (v. i capi 1.3.1, 1.3.2, 1.3.9, 1.3.12).

Questa corretta impostazione da parte del Tar risulta sia dal brano di sentenza ora contestato sia dal passo successivo, importante conclusione di quel brano ma ignorato nella presente censura ed invece separatamente considerato nella ulteriore censura d’appello di cui al capo 1.3.15 che ora segue.

1.3.15 – Il testé richiamato passo è il seguente.

<<Del resto è evidente che il trattamento dei rifiuti biodegradabili utilizzati per la produzione di energia rinnovabile ne garantisce il corretto recupero solo ove assoggettato interamente alla normativa sui rifiuti, la quale costringe il gestore dell’impianto a non disinteressarsi dei rifiuti trattati dopo averne sfruttato le capacità energetiche.

Agli impianti che producono energia rinnovabile tramite trattamento di rifiuti biodegradali sarà quindi certamente applicabile - come la Sezione ha già chiarito nella sentenza n. 1563/09, che ha chiarito che i rifiuti biodegradabili sono suscettibili di utilizzazione quali “biomasse” ai fini della applicazione della disciplina inerente la produzione di energia di fonti rinnovabili, senza peraltro far derivare da tale statuizione la inapplicabilità delle norme sui rifiuti - sia la normativa afferente la produzione di energia da biomasse sia la normativa sulla gestione dei rifiuti. >>.

Su questa frazione di sentenza ECAM rileva che è proprio questo il senso della propria seconda linea produttiva: il gestore non si disinteressa del rifiuto conseguente al trattamento energetico, poiché quando dalla linea anaerobica viene prodotto il percolato come scarto di produzione lo stesso viene immesso nella seconda linea (aerobica) per la produzione del compost.

Questo assunto, così scollegato dal resto delle considerazioni del Tar, risulta fuori misura ed irrilevante, poiché il contestato concetto, prospettato dal primo giudice, secondo cui la normativa sui rifiuti costringe il gestore dell’impianto a non disinteressarsi dei rifiuti trattati dopo averne sfruttato le capacità energetiche non è un concreto addebito del Tar alle linee produttive ECAM ma è invece - come molte altre frazioni della sentenza appellata oggetto di separate censure ECAM – parte non decisiva di un più ampio argomentare, in questo caso contenuto nel capo 4.3 della sentenza appellata, ed attinente al tema “se l’impianto di che trattasi possa ritenersi sottratto alla normativa speciale sui rifiuti in ragione della sua finalizzazione alla produzione di energia elettrica e della riconducibilità della FORSU al concetto di “biomassa” utile alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili” (così, testualmente, il primo periodo del citato capo 4.3 della sentenza appellata).

1.3.16 – L’appello contesta poi questa ulteriore frazione di sentenza: “Tale statuizione non si pone in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria sulla produzione di energia da fonti rinnovabili, la cui applicazione non può e non deve tradursi nella selvaggia proliferazione di impianti di notevole impatto ambientale e soprattutto non deve portare a pratiche idonee a compromettere la programmazione della gestione dei rifiuti ed il corretto recupero degli stessi”.

Su di essa l’appello rileva che l’installazione di impianti di energia elettrica da fonti rinnovabili è lontana da una situazione di proliferazione selvaggia di impianti di impatto ambientale; che l’impianto deve rispettare sotto il profilo della localizzazione unicamente le norme dello strumento urbanistico comunale, nel caso di specie neppure in discussione; che il permesso di costruire è stato regolarmente rilasciato dal Comune di Casalvolone e mai impugnato dai ricorrenti.

Anche in questo caso, però, l’appello si focalizza su una porzione di sentenza senza considerarla nel proprio contesto complessivo, perdendo così di vista l’effettiva portata dell’assunto del Tar.

In particolare il testo ora in esame, cui segue un altro periodo che l’appello non considera (e che è il seguente: <<A tale proposito si rammenta che il considerando n. 8 della direttiva 2001/77/CE, sulla promozione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, anche nel testo consolidato ribadisce che la utilizzazione di rifiuti come fonte energetica implica la applicazione della normativa europea sui rifiuti; che “il sostegno dato alle fonti energetiche rinnovabili dovrebbe essere compatibile con gli altri obiettivi comunitari, specie per quanto riguarda la gerarchia di trattamento dei rifiuti”; e che la definizione di biomassa utilizzata dalla direttiva medesima “lascia impregiudicato l’utilizzo di una definizione diversa nelle legislazioni nazionali per fini diversi da quelli della presente direttiva” >>), conclude, col pretermesso periodo testé riportato, la parte di pronuncia del Tar contenuta nel capo 4.3 della sentenza appellata, dedicato a verificare <<se l’impianto di che trattasi possa ritenersi sottratto alla normativa speciale sui rifiuti in ragione della sua finalizzazione alla produzione di energia elettrica e della riconducibilità della FORSU al concetto di “biomassa” utile alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili >>.

L’appello ha frazionato quel capo 4.3 in quattro parti, ed ha ad esse dedicato altrettanto separate censure.

Tre di esse sono già state esaminate e disattese nei propri precedenti capi 1.3.13, 1.3.14, 1.3.15 di questa sentenza. La quarta censura, relativa alla quarta frazione di quel capo 4.3 e ora in esame nel presente capo 1.3.16, va pure disattesa.

Infatti quest’ultima separata censura ECAM di cui all’attuale capo 1.3.16 [oltre a richiamare un rilievo qui già considerato e respinto (la mancata impugnazione dell’assenso edilizio agli impianti: v. supra i capi 1.2 e 1.3.9)] si riferisce, come molte altre precedentemente qui considerate, a profili marginali ed ininfluenti sulla effettiva portata dell’assunto Tar: nella frazione di sentenza ora contestata il Tar non addebita specificamente ad ECAM la concreta proliferazione selvaggia di impianti di impatto ambientale ma si limita a completare la propria argomentazione sul più volte riferito tema “se l’impianto di che trattasi possa ritenersi sottratto alla normativa speciale sui rifiuti in ragione della sua finalizzazione alla produzione di energia elettrica e della riconducibilità della FORSU al concetto di “biomassa” utile alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili”.

1.4 – Risulta così appurata, dall’esame dei primi tre motivi d’appello, la corretta statuizione della sentenza di primo grado sui seguenti tre profili:

- l’irrilevanza della mancata impugnazione, al di fuori del procedimento di autorizzazione unica, del permesso di costruire per la realizzazione dell’impianto (v. il precedente capo 1.2);

- la legittimazione dei ricorrenti in primo grado a proporre il ricorso al Tar (v. parimenti il precedente capo 1.2);

- la fondatezza dell’assunto del Tar quanto al primo motivo del ricorso di primo grado, il quale correttamente affermava la preclusione, in base alle Linee guida provinciali, alla realizzazione di nuovi impianti – e quindi alla realizzazione dell’impianto ECAM - per lo smaltimento di FORSU (v. i capi da 4 a 4.4 della sentenza appellata e i relativi capi da 1.3.0 a 1.3.16 della presente sentenza).

Ne consegue l’irrilevanza – ai fini del presente contenzioso – degli ulteriori motivi d’appello.

Essi infatti esprimono censure (rispettivamente concernenti: la necessarietà o meno della dimostrazione della proprietà del suolo su cui sorge l'impianto; l’erroneità o meno della sentenza appellata nella parte in cui accoglie ricorso per l'erronea applicazione del punto 13.3 delle Linee guida nazionali, per non essere stata data dalla Provincia alla competente Soprintendenza comunicazione del procedimento; l’erroneità o meno della sentenza appellata nella parte in cui accoglie il ricorso per difetto di motivazione con riferimento alle ragioni che hanno indotto la provincia a disattendere le osservazioni presentate nel corso del procedimento dal comune di Villata) le quali anche se accolte nessun vantaggio apporterebbero all’appellante. Ad ECAM infatti, dato il rigetto dei primi tre motivi d’appello, resterebbe comunque precluso l'esercizio dell’impianto in contestazione.

2. - L’appello va dunque respinto.

Le caratteristiche della vicenda inducono a confermare la compensazione delle spese già disposta dal Tar.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:

Manfredo Atzeni, Presidente FF

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Doris Durante, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere

Giancarlo Luttazi, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 08/04/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)