Corte Costituzionale sent. 70 del 2 aprile 2014
Oggetto: Ambiente - Norme della Provincia autonoma di Trento sulla tutela dell'ambiente dagli inquinamenti - Autorizzazione al recupero di rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni - Previsione che la comunicazione, effettuata dal titolare dell'autorizzazione prima del trasporto fuori del cantiere, circa la compatibilità ambientale e la rispondenza ai requisiti merceologici e tecnici specifici del materiale recuperato determina la cessazione della qualifica di rifiuto.

Dispositivo: illegittimità costituzionale parziale

SENTENZA N. 70

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Gaetano SILVESTRI; Giudici : Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,

 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 19 della legge della Provincia autonoma di Trento 27 marzo 2013, n. 4 (Modificazioni della legge provinciale sulle foreste e sulla protezione della natura, di disposizioni in materia urbanistica, del testo unico provinciale sulla tutela dell’ambiente dagli inquinamenti e della legge finanziaria provinciale 2013), che ha inserito l’art. 85-ter, rubricato «Autorizzazioni al recupero di rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni», nel d.P.G.p. 26 gennaio 1987, n. 1-41/legisl. (Testo unico provinciale sulla tutela dell’ambiente dagli inquinamenti), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 30 maggio-3 giugno 2013, depositato in cancelleria il 4 giugno 2013 ed iscritto al n. 66 del registro ricorsi 2013.

Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Trento;

udito nell’udienza pubblica dell’11 marzo 2014 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;

uditi l’avvocato dello Stato Diana Ranucci per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Maria Chiara Lista per la Provincia autonoma di Trento.


Ritenuto in fatto

1.– Con il ricorso in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in via principale, questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 della legge della Provincia autonoma di Trento 27 marzo 2013, n. 4 (Modificazioni della legge provinciale sulle foreste e sulla protezione della natura, di disposizioni in materia urbanistica, del testo unico provinciale sulla tutela dell’ambiente dagli inquinamenti e della legge finanziaria provinciale 2013), a suo avviso lesivo dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in quanto «eccede dai limiti generali di cui all’art. 4 dello statuto speciale di autonomia della Regione Trentino Alto Adige, richiamati in relazione alle competenze legislative delle Province autonome dall’art. 5 [rectius: 8] del medesimo Statuto speciale».

1.1.– Con la norma denunciata è stato inserito l’art. 85-ter, rubricato «Autorizzazioni al recupero di rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni», nel d.P.G.p. 26 gennaio 1987, n. 1-41/legisl. (Testo unico provinciale sulla tutela dell’ambiente dagli inquinamenti).

In particolare, il Presidente del Consiglio dei ministri – richiamata, in premessa, la sentenza di questa Corte n. 249 del 2009, sul carattere trasversale della competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», e sulla riconducibilità a detta materia della gestione dei rifiuti – censura il combinato di cui alle lettere d) ed e) del comma 2 del predetto art. 85-ter, nella parte in cui si prevede che sia sufficiente, a determinare la cessazione della qualifica di rifiuto, la mera comunicazione, eseguita dal titolare dell’autorizzazione prima del trasporto all’esterno del cantiere, in ordine alla compatibilità ambientale ed alla rispondenza ai requisiti merceologici e tecnici specifici del materiale recuperato.

1.2.– L’impugnata disciplina provinciale si porrebbe, infatti, in contrasto, secondo il ricorrente, con la normativa statale di riferimento, da individuarsi – nelle more dell’adozione dei decreti attuativi cui rimanda l’art. 184-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) – nel decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998 (Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22). Atteso che, a tenore di quest’ultimo decreto, la suddetta condizione di «cessazione della qualità di rifiuto», per terre e rocce da scavo, diversamente da quanto previsto dal censurato art. 19 della legge provinciale n. 4 del 2013, viene a realizzarsi solo all’esito dell’attività di recupero, la quale, a sua volta, si determina con l’effettiva operazione di utilizzo dei materiali ottenuti, in conformità di quanto prescritto dal punto 7.31-bis dell’Allegato 1, sub allegato 1 del decreto stesso, con la conseguenza che, fino al compimento di tale complessiva operazione, il materiale trattato dovrebbe considerarsi ancora soggetto alla disciplina dei rifiuti di cui al citato d.lgs. n. 152 del 2006.

Dal che, appunto, la violazione dei parametri evocati, in cui incorrerebbe l’impugnato art. 19 della legge della Provincia autonoma di Trento, in parte qua.

2.– Si è costituita in questo giudizio la Provincia autonoma di Trento, chiedendo che si dichiari la inammissibilità o non fondatezza del ricorso in esame «per assoluta insussistenza della lamentata violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e della asserita elusione dei vincoli posti al legislatore provinciale dall’art. 4 dello Statuto speciale».

Secondo la resistente – che ha argomentato, con successiva ed ampiamente articolata memoria, le proprie conclusioni – la normativa oggetto dell’avversa impugnativa, rientrerebbe nella sfera di proprie competenze attinenti ad «aspetti di governo e gestione del territorio e delle attività di trasformazione del territorio», involgenti la «cura», di sua pertinenza, «di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali».

Non sarebbe, comunque, «affatto dimostrata – né […] dimostrabile – la pretesa lesività dei valori ambientali», presupposta dalla difesa dello Stato sulla base di una mera «difformità astratta tra disciplina statale e provinciale», ma che sarebbe, viceversa, smentita dalla sostanziale rispondenza delle misure introdotte dall’impugnato art. 19 della legge provinciale n. 4 del 2013 alle condizioni stabilite dall’art. 184-ter, comma 1, del citato d.lgs. n. 152 del 2006, in tema di condizioni legittimanti le operazioni di recupero dei rifiuti.

A «parità di tutela dei valori ambientali», la normativa provinciale opportunamente risponderebbe, inoltre, all’obiettivo di eliminare le «incongruenze ed inutili complicazioni burocratiche», lamentate dagli operatori del settore, cui avrebbe dato luogo la normativa statale sulle terre e rocce da scavo in regime di “sottoprodotti”, quale introdotta dal decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161 (Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo), in attuazione dell’art. 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, e in prosieguo, non coerentemente, secondo la resistente, modificata dagli artt. 41 e 41-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98.

Per cui, in definitiva, l’impugnata normativa di essa Provincia autonoma risulterebbe in linea con la ratio dell’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, «che aveva promesso una disciplina semplificata e più razionale per i piccoli cantieri».


Considerato in diritto

1.– Oggetto di impugnativa da parte del Presidente del Consiglio dei ministri è l’art. 19 della legge della Provincia autonoma di Trento 27 marzo 2013, n. 4 (Modificazioni della legge provinciale sulle foreste e sulla protezione della natura, di disposizioni in materia urbanistica, del testo unico provinciale sulla tutela dell’ambiente dagli inquinamenti e della legge finanziaria provinciale 2013), che ha inserito l’articolo 85-ter, rubricato «Autorizzazioni al recupero di rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni», nel d.P.G.p. 26 gennaio 1987, n. 1-41/legisl. (Testo unico provinciale sulla tutela dell’ambiente dagli inquinamenti).

Nel prospettare violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione ed elusione dei limiti generali di cui all’art. 4 dello statuto speciale di autonomia della Regione Trentino-Alto Adige, in relazione alle competenze legislative delle Province autonome, il ricorrente censura, in particolare, il comma 2 del predetto art. 85-ter, limitatamente alle sue lettere d) ed e), nella parte in cui queste dispongono che la comunicazione – di verificata «compatibilità ambientale e […] rispondenza ai requisiti merceologici e tecnici del materiale recuperato» (lettera d) – che il titolare dell’autorizzazione effettua, all’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente ed ai Comuni in cui si trovano il sito di scavo e quello di destinazione, «prima del trasporto fuori dal cantiere», di per sé «determina la cessazione della qualifica di rifiuto» (lettera e).

La disciplina semplificata per la gestione dei materiali da scavo provenienti da piccoli cantieri, per tal via introdotta dal legislatore provinciale, violerebbe, infatti, la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, ponendosi in contrasto con la normativa statale di riferimento, di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998 (Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22), al quale rimanda l’art. 184-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Atteso che, a tenore del predetto decreto ministeriale 5 febbraio 1998, la «cessazione della qualifica di rifiuto» viene viceversa a realizzarsi all’esito dell’attività di recupero, la quale, a sua volta, si determina con l’effettiva operazione di utilizzo dei materiali ottenuti, in conformità di quanto prescritto dal punto 7.31-bis dell’Allegato 1, sub allegato 1 del decreto stesso, con la conseguenza che, fino al compimento di tale complessiva operazione, nel sito di destinazione, il materiale trattato dovrebbe considerarsi ancora soggetto alla disciplina dei rifiuti così come contemplata dal d.lgs. n. 152 del 2006.

2.– La questione è fondata.

2.1.– Le disposizioni oggetto del presente giudizio attengono, infatti, al trattamento dei residui di produzione, che non è riferibile a nessuna competenza propriamente regionale o provinciale – né statutaria, né, desumibile dal combinato disposto degli artt. 117 Cost. e 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) (sentenze n. 127 del 2010, n. 249 e n. 61 del 2009) –, ma si colloca, viceversa, nell’ambito della «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi del secondo comma, lettera s), del citato art. 117 Cost. Per cui la disciplina statale dei rifiuti, costituisce anche in attuazione degli obblighi comunitari (sentenza n. 62 del 2008), uno standard di tutela uniforme in materia ambientale che si impone sull’intero territorio nazionale, venendo a funzionare come un limite alla disciplina che Regioni e Province autonome possono dettare in altre materie di loro competenza (ex plurimis, sentenze n. 300 del 2013, n. 127 del 2010, n. 249 del 2009, n. 378 del 2007).

2.2.– In applicazione di tali principi, da ultimo, la citata sentenza n. 300 del 2013 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia sulla disciplina delle attività estrattive (art. 199 della legge regionale 21 dicembre 2012, n. 26 «Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2012») dettata, al pari di quella provinciale qui impugnata, a fini della semplificazione amministrativa delle procedure relative alle terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni.

Quella disciplina regionale aveva, per altro, carattere dichiaratamente suppletivo e temporaneo, ponendosi come norma “ponte” destinata ad operare solo «nelle more» dell’adozione di una regolamentazione statale della materia. E, per tal suo contenuto, la predetta legge regionale è stata, appunto considerata “cedevole” a fronte della disciplina semplificata poi introdotta dal legislatore statale con l’art. 41-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, che ha previsto che i materiali da scavo, anziché essere gestiti come rifiuti, siano soggetti al regime dei sottoprodotti di cui all’art. 184-bis del codice dell’ambiente.

Ciò non ostante, la richiamata disposizione regionale è stata, come detto, dichiarata costituzionalmente illegittima, in quanto, sia pur nei circoscritti limiti temporali di sua interinale vigenza, quella disposizione aveva, comunque, inciso in un ambito nel quale «è precluso al legislatore regionale qualsiasi intervento normativo».

È stato, al riguardo, ricordato, nella citata sentenza n. 300 del 2013, che «l’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 riserva chiaramente allo Stato, e per esso ad un apposito decreto ministeriale, la competenza a dettare «la disciplina per la semplificazione amministrativa delle procedure relative ai materiali, ivi incluse le terre e le rocce da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni», senza contemplare, in tale ambito, alcun ruolo residuo – neppure a carattere cedevole – in capo alle Regioni e Province autonome» e che, «A sua volta, l’art. 184-bis del Codice dell’ambiente, relativo al trattamento dei sottoprodotti – a cui la novella legislativa del 2013 riconduce il regime delle terre e delle rocce da scavo, con l’eccezione di quelle che provengono da attività o opere soggette a valutazione d’impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale che rimangono disciplinate dal d.m. n. 161 del 2012 – prevede che ben possano essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti. Ma anche all’adozione di tali criteri può provvedere, in conformità a quanto previsto dalla disciplina comunitaria, solo un decreto ministeriale, senza che residui alcuno spazio per la fonte regionale».

2.3.– L’impugnata disciplina semplificatoria, adottata dalla Provincia autonoma di Trento, diversamente dalla analoga normativa regionale, di cui sopra, neppure si pone come norma “ponte”, ma – sul presupposto di una maggiore sua linearità e più effettiva rispondenza alle esigenze degli operatori del settore – si propone di derogare, a regime, alla disciplina pur dettata dal legislatore statale, in materia di sua esclusiva competenza.

E ciò, a maggior ragione, ne comporta, quindi, la illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 19 della legge della Provincia autonoma di Trento 27 marzo 2013, n. 4 (Modificazioni della legge provinciale sulle foreste e sulla protezione della natura, di disposizioni in materia urbanistica, del testo unico provinciale sulla tutela dell’ambiente dagli inquinamenti e della legge finanziaria provinciale 2013), che ha inserito l’art. 85-ter, rubricato «Autorizzazioni al recupero di rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni», nel d.P.G.p. 26 gennaio 1987, n. 1-41/legisl. (Testo unico provinciale sulla tutela dell’ambiente dagli inquinamenti), limitatamente alle lettere d) ed e) del suo comma 2.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 2014.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Mario Rosario MORELLI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 2 aprile 2014.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI