Prime notazioni sulla “nuova” classificazione dei rifiuti: l’approssimazione è di casa

di Andrea VOLPATO

Premessa:

 

La legge in parola abbraccia i più disparati settori ingenerando (volutamente) confusione nel lettore alla faccia dei vaneggiamenti sulla semplificazione che tanto riempiono le bocche dei molti.

Pertanto, al fine di una maggiore comprensione del commento, si riporta il testo di legge in premessa alle notazioni.

 

Art. 13, comma 5, lettera b-bis

 

all’allegato D alla parte IV è premessa la seguente disposizione:

«Classificazione dei rifiuti:

1. La classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER, applicando le disposizioni contenute nella decisione 2000/532/CE.

2. Se un rifiuto è classificato con codice CER pericoloso “assoluto”, esso è pericoloso senza alcuna ulteriore

specificazione. Le proprietà di pericolo, definite da H1 ad H15, possedute dal rifiuto, devono essere determinate al fine di procedere alla sua gestione.

3. Se un rifiuto è classificato con codice CER non pericoloso “assoluto”, esso è non pericoloso senza ulteriore

specificazione.

4. Se un rifiuto è classificato con codici CER speculari, uno pericoloso ed uno non pericoloso, per stabilire

se il rifiuto è pericoloso o non pericoloso debbono essere determinate le proprietà di pericolo che esso possiede. Le indagini da svolgere per determinare le proprietà di pericolo che un rifiuto possiede sono le seguenti:

a) individuare i composti presenti nel rifiuto attraverso:

la scheda informativa del produttore;

la conoscenza del processo chimico;

il campionamento e l’analisi del rifiuto;

b) determinare i pericoli connessi a tali composti attraverso:

la normativa europea sulla etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi;

le fonti informative europee ed internazionali;

la scheda di sicurezza dei prodotti da cui deriva il rifiuto;

c) stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti delle caratteristiche

di pericolo mediante comparazione delle concentrazioni rilevate all’analisi chimica con il limite soglia per

le frasi di rischio specifiche dei componenti, ovvero effettuazione dei test per verificare se il rifiuto ha determinate proprietà di pericolo.

5. Se i componenti di un rifiuto sono rilevati dalle analisi chimiche solo in modo aspecifico, e non sono perciò noti i composti specifici che lo costituiscono, per individuare le caratteristiche di pericolo del rifiuto devono essere presi come riferimento i composti peggiori, in applicazione del principio di precauzione.

6. Quando le sostanze presenti in un rifiuto non sono note o non sono determinate con le modalità stabilite nei

commi precedenti, ovvero le caratteristiche di pericolo non possono essere determinate, il rifiuto si classifica come pericoloso.

7. La classificazione in ogni caso avviene prima che il rifiuto sia allontanato dal luogo di produzione».

 

5 -bis . Le disposizioni di cui alla lettera b -bis ) del comma 5 si applicano decorsi centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto;

 

Notazioni:

 

Il punto 3 statuisce non più necessaria l’effettuazione di analisi chimica nel caso di codici CER non pericolosi assoluti cioè privi di voce a specchio. E’ opportuno ricordare che il codice CER non ha valore qualificatorio e che pertanto la sua assegnazione non prescinde dal condurre un’analisi chimica. In definitiva, non si assegna il codice CER prima di aver appurato la presenza o meno di sostanze pericolose attraverso un’analisi chimica. A tal proposito è d’obbligo ricordare che, al fine della determinazione delle proprietà di pericolo «tossico» (e «molto tossico»), «nocivo», «corrosivo», «irritante», «cancerogeno», «tossico per la riproduzione», «mutageno» ed «ecotossico» di un rifiuto e quindi della pericolosità o meno dello stesso, si applicano i criteri stabiliti nell’allegato VI e dei metodi di cui all’allegato V (ora Regolamento 440/2008 e successive modifiche) della direttiva 67/548/CEE (in seguito DSD) e, ove pertinente, i valori limite di cui agli allegati II e III della direttiva 1999/45/CE (in appresso DPD) tenuto conto delle caratteristiche di cui all’articolo 21 della Decisione 2000/532/CE. Solo successivamente, in base ai dati dedotti dall’analisi chimica, alla valutazione del processo produttivo che ha generato il rifiuto e valutata ogni altra informazione utile alla classificazione del rifiuto, si applicano i criteri stabiliti dalla Decisione stessa, nel seguente ordine:

3.1 identificare la fonte che genera il rifiuto consultando i titoli dei capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20,

3.2 se nessuno dei codici dei capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20 si presta per la classificazione di un determinato rifiuto, occorre esaminare i capitoli 13, 14 e 15 per identificare il codice corretto,

3.3. Se nessuno di questi codici risulta adeguato, occorre definire il rifiuto utilizzando i codici di cui al capitolo 16.

3.4. Se un determinato rifiuto non è classificabile neppure mediante i codici del capitolo 16, occorre utilizzare il codice 99.

E’ opportuno rammentare che tutti i codici CER con terminale 99 sono non pericolosi tranne 13 08 99*. Per quest’ultima fattispecie l’analisi serve esclusivamente a determinare le proprietà di pericolo ai fini della corretta gestione.

 

Appare ora chiaro il carattere propedeutico dell’analisi nei confronti del codice CER, schematizzando:

 

individuazione del processo produttivo + altre informazioni  analisi chimica  

 

L’applicazione del punto 3 condurrà all’inevitabile utilizzo di comodo dei codici CER non pericolosi assoluti che non tiene conto di possibili contaminazioni del rifiuto stesso. Detto punto è altresì in palese contrasto con il successivo punto 6. Infatti, a detta del legislatore, se avessi un rifiuto di cui non sono note le sostanze in esso contenute e questo fosse riconducibile a un codice CER non pericoloso assoluto non mi devo interessare alle sostanze presenti proprio perché è non pericoloso assoluto (punto 3) tuttavia dovrei classificarlo pericoloso (punto 6) in quanto le sostanze presenti non sono note.

 

Inoltre, è pacifico che il dettato del punto 3 arrecherà irrefutabile nocumento alla professione di chimico, la cui attività non sarà più necessaria per tutti quei rifiuti che il produttore riterrà, pro domo sua, riferibili a codici CER non pericolosi assoluti.

 

Il punto 4: commistione tra termini impropri, CLP2, DSD e DPD:

 

a) individuare i composti presenti nel rifiuto attraverso:

(omissis).

 

La definizione di sostanza (CLP, art. 2 (7)) - sostanza: un elemento chimico e i suoi composti, allo stato naturale od ottenuti per mezzo di un procedimento di fabbricazione, compresi gli additivi necessari a mantenerne la stabilità e le impurezze derivanti dal procedimento utilizzato, ma esclusi i solventi che possono essere separati senza compromettere la stabilità della sostanza o modificarne la composizione – è sostanzialmente identica alla definizione presente nella DPD. Risulta palese che se si parla di composti e non di sostanze si escludono gli elementi. Ciò significa che l’analisi chimica potrà pacificamente omettere la concentrazione di metalli quali ad esempio mercurio e nichel classificati pericolosi dal regolamento CLP e prima dalla DSD.

 

b) determinare i pericoli connessi a tali composti attraverso:

(omissis).

 

sulla voce composti si è già detto al paragrafo precedente. I pericoli connessi ai composti non li determina di certo il produttore di rifiuti ma il fabbricante, importatore o utilizzatore a valle di sostanze o miscele! Il produttore determina la pericolosità o meno del rifiuto basandosi sulla classificazione dei composti (rectius sostanze).

Inoltre, al primo punto della lettera b) in parola, si sarebbe dovuto fare riferimento alla normativa sulla classificazione, imballaggio ed etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi (DPD). L’etichettatura è cosa diversa dalla classificazione. La normativa europea cui il legislatore rimanda sono le direttive 548/67/CEE e 1999/45/CE recepite nell’ordinamento italiano, perché non richiamare detti decreti3?

In tutto l’art. 13, paragrafo 5, lettera b-bis si usa in modo disinvolto caratteristica di pericolo o proprietà di pericolo. Il D.Lgs 152/2006 parla (erroneamente) di caratteristiche di pericolo e quindi per continuità d’errore l’uso di proprietà di pericolo sarebbe improprio se non fosse che in realtà è la traduzione corretta dall’inglese! La revisione della direttiva 2008/98/CE e della Decisione 2000/532/CE metterà fine (almeno si spera) alla voce “caratteristica” con l’introduzione delle “HP” (hazardous properties = proprietà di pericolo) in sostituzione delle “H” per evitare confondimenti con il CLP in cui le “H” sono le indicazioni di pericolo per le sostanze.

 

Il limite soglia è termine che non trova riscontro normativo alcuno. Il CLP parla di valore soglia4 comunque inconferente (anche se in parte) con i criteri per la classificazione dei rifiuti. Inoltre il CLP è ad oggi non applicabile alla normativa sui rifiuti che ancora si basa su DSD e DPD (vedi note all’allegato III della direttiva 2008/98/CE). Tantomeno si trova riscontro nella DPD in cui si parla di concentrazioni oltre le quali una sostanza pericolosa deve essere presa in considerazione ai fini della classificazione della miscela. Si sarebbe dovuta utilizzare la voce “limiti di concentrazione” (individuale).

 

Il punto 5 statuisce che se non si conoscono i composti (notare bene gli elementi sono esclusi) presenti in un rifiuto allora per assegnare le “caratteristiche di pericolo” si devono considerare i “composti” peggiori in applicazione del principio di precauzione.

Che cosa significa?

Non essendo noto il processo produttivo, ogni laboratorio deciderà quali “peggiori” ricercare?

Come stabilire quali siano i peggiori degni di nota?

 

Il punto 6 stabilisce che un rifiuto si classifica comunque pericoloso se:

 

1. le sostanze presenti in un rifiuto non sono note; ovvero

 

2. (dette sostanze) non sono determinate con le modalità stabilite nei commi precedenti; ovvero

 

3. le caratteristiche di pericolo non possono essere determinate

 

da notare che ora si parla “incredibilmente” di sostanze, ravvedimento dell’ultima ora. Come già detto il punto in parola è in contrasto con quanto sancito al punto 3 a meno che non riferisca solamente al punto 4. Anche in questo caso un produttore di rifiuti per convenienza può rinunciare alla speciazione chimica risparmiando i costi di laboratorio a danno del chimico professionista ed attribuire il codice CER pericoloso di convenienza.

E se non dovesse esserci il codice a specchio ma si trattasse di non pericoloso assoluto come ci si dovrebbe comportare?

Quest’ultimo punto avvalora la discussione relativa al punto 3.

 

Considerando la prossima pubblicazione dei disposti normativi che emenderanno la direttiva 2008/98/CE e la Decisione 2000/532/CE rivedendo la classificazione dei rifiuti alla luce del CLP, era proprio necessario rivedere la classificazione dei rifiuti e soprattutto in modo così incerto???

 

 

29.08.2014

1 Articolo 2

Si ritiene che i rifiuti classificati come pericolosi presentino una o più caratteristiche indicate nell'allegato III della direttiva 91/689/CEE e, in riferimento ai codici da H3 a H8 e ai codici H10 e H11 del medesimo allegato, una o più delle seguenti caratteristiche:

— punto di infiammabilità ≤ 55 °C,

— una o più sostanze classificate come molto tossiche in concentrazione totale ≥ 0,1 %,

— una o più sostanze classificate come tossiche in concentrazione totale ≥ 3 %,

— una o più sostanze classificate come nocive in concentrazione totale ≥ 25 %,

— una o più sostanze corrosive classificate come R35 in concentrazione totale ≥ 1 %,

— una o più sostanze corrosive classificate come R34 in concentrazione totale ≥ 5 %,

— una o più sostanze irritanti classificate come R41 in concentrazione totale ≥ 10 %,

— una o più sostanze irritanti classificate come R36, R37, R38 in concentrazione totale ≥ 20 %,

— una sostanza riconosciuta come cancerogena (categorie 1 o 2) in concentrazione ≥ 0,1 %,

— una sostanza riconosciuta come cancerogena (categoria 3) in concentrazione ≥ 1 %,

— una sostanza riconosciuta come tossica per il ciclo riproduttivo (categorie 1 o 2) classificata come R60 o R61 in concentrazione ≥ 0,5 %,

— una sostanza riconosciuta come tossica per il ciclo riproduttivo (categoria 3) classificata come R62 o R63 in concentrazione ≥ 5 %,

— una sostanza mutagena della categoria 1 o 2 classificata come R46 in concentrazione ≥ 0,1 %,

— una sostanza mutagena della categoria 3 classificata come R40 in concentrazione ≥ 1 %.

2 REGOLAMENTO (CE) N. 1272/2008 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 16 dicembre 2008 relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele che modifica e abroga le direttive 67/548/CEE e 1999/45/CE e che reca modifica al regolamento (CE) n. 1907/2006

3 per la DSD: D.Lgs 28 febbraio 2006 (29° ATP) modificato dal decreto 22 marzo 2007

per la DPD: D.Lgs 2003/65 emendato dal D.M. 3 aprile 2007.

4 CLP art. 2 (31): valore soglia: soglia di ogni impurezza, additivo o singolo costituente classificati presenti in una sostanza o in una miscela al di sopra della quale la loro presenza è presa in considerazione per determinare se la sostanza o la miscela debba essere classificata