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Ancora incertezze sul reato di gestione di discarica non autorizzata

di Vincenzo PAONE

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Cassazione penale, sez. III, 12/11/2003–08/01/2004 PRES. Savignano REL. Grillo

imp. Aricci

Ai fini della configurabilita' del reato di gestione di discarica non autorizzata, il concetto di gestione deve essere inteso in senso ampio, in modo da comprendere qualsiasi contributo sia attivo che passivo diretto a realizzare o a tollerare lo stato di fatto che costituisce reato.

Cassazione penale, sez. III, 15/01/2004–27/01/2004 PRES. Vitalone REL. Novarese

imp. P.M. in proc. Zanoni

Il reato di cui all'art. 51, comma terzo, D. Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, a seguito dell'entrata in vigore del D. Lgs. 13 gennaio 2003 n. 36, ha natura permanente sino al decorrere di anni dieci dalla cessazione dei conferimenti ovvero con l'ottenimento dell'autorizzazione o la loro rimozione.

Ancora incertezze sul reato di gestione di discarica non autorizzata

Il reato di realizzazione e/o gestione di una discarica abusiva è un tema che, periodicamente, si ripropone all’attenzione della terza sezione della Cassazione che, però, come nelle sentenze che si riportano, non sempre si esprime in modo persuasivo.

La sentenza 12 novembre 2003, Aricci, si colloca all’interno del filone per il quale il concetto di gestione della discarica comprende qualsiasi contributo, sia attivo che passivo, diretto a realizzare od anche semplicemente a tollerare e mantenere la situazione illecita ([1]).

Nella specie, la corte ha esaminato il ricorso avverso il sequestro preventivo di un’area, già utilizzata fino al 1992 per lo scarico delle terre di fonderia contenenti fenoli, sostanze inquinanti e pericolose per la salute pubblica, disposto perchè sull’area medesima erano iniziati lavori edilizi con movimentazione dei citati rifiuti.

Gli imputati contestavano il fumus delicti asserendo che l’area non era più utilizzata come discarica dal 1992 e che non rientrava nello schema del reato contestato la movimentazione delle terre di fonderia depositate in loco giacchè ciò costituiva oggetto di un intervento edilizio regolarmente assentito.

La Cassazione ritiene le doglianze non meritevoli di accoglimento. Pur condividendo l’esito del ricorso, la motivazione, per vero, non particolarmente approfondita, suscita qualche riserva.

In primo luogo, va notato che la sentenza non aveva alcun bisogno di rifarsi alla massima sopra riportata perché, dalla narrazione in fatto, risulta che gli imputati avevano, in realtà, compiuto una specifica attività materiale movimentando i rifiuti deposti sulla località nell’ambito di un programmato intervento edilizio.

Ma vi sono altri profili lasciati in ombra dalla sentenza. Un primo aspetto concerne il fatto che la Cassazione, che pure riconosce che la discarica di che trattasi era disattivata dal 1992 (giacchè a quell’epoca si erano esauriti i conferimenti di rifiuti), non si pone il problema che il responsabile della creazione della medesima era diverso da colui che, nell’attualità, stava eseguendo la movimentazione dei rifiuti scaricati sulla stessa area ([2]).

Questa tematica, tuttavia, perde spessore considerando che era comunque configurabile un reato diverso rispetto a quello cessato con l’esaurirsi dei conferimenti avvenuto nel 1992.

La situazione di fatto descritta dalla corte consisteva nell’interramento e/o spianamento dei rifiuti scaricati da terzi: eseguendo tale attività, l’agente prendeva dunque autonomamente “in carico” i rifiuti, già a suo tempo abbandonati, gestendoli ora come se venissero scaricati in loco per la prima volta. Sicchè può tranquillamente sostenersi che tale condotta, rilevante per l’incriminazione, fosse commissiva, con il che è rispettato il principio che il reato di “gestione” non comprende il mero mantenimento di una discarica da altri realizzati in assenza di qualsiasi partecipazione attiva.

Ma l’interramento di rifiuti realizza il reato previsto dall’art. 51, 3° comma, d.leg. 22/97?

La domanda può sembrare oziosa, ma ce la poniamo perché nell’elaborazione giurisprudenziale si è costantemente messo l'accento sul fatto che si ha discarica tutte le volte in cui, per effetto di una condotta ripetuta, anche se non abituale di scarico, i rifiuti sono abbandonati in una determinata area trasformata in deposito o ricettacolo di rifiuti escludendo così che un occasionale abbandono di rifiuti sia sufficiente per integrare il reato ([3]).

Per vero, non è chiaro se, nel caso della sentenza Aricci, la movimentazione delle terre da fonderia, da cui è conseguito l’interramento, sia avvenuta in plurime occasioni oppure no. Nella prima ipotesi, il requisito rappresentato dalla condotta ripetuta di scarico dei rifiuti sarebbe pacificamente soddisfatto e il reato sicuramente configurabile. Alla stessa conclusione si può giungere anche nella seconda ipotesi?

La risposta è affermativa rammentando quanto opinato dalla Cassazione in ordine ai connotati che il territorio interessato dallo scarico assume in conseguenza di esso.

Infatti, più volte ([4]) è stato detto che per parlarsi di discarica occorre l'elemento costituito dal degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei rifiuti. Il principio è chiaramente ritagliato per l’ipotesi dell’accumulo sistematico dei rifiuti che avvenga direttamente “sul suolo” essendo direttamente percepibile la modifica rilevante all'assetto del territorio.

Ma il parametro dell’impatto ambientale vale ― forse a maggior ragione ― anche nel caso in cui la discarica avvenga mediante l’abbandono dei rifiuti “nel suolo”: pensiamo al cosiddetto "tombamento" ([5]) delle cave, attività altamente pericolosa per l'ambiente a causa dell’aggressione alle falde profonde stante la mancanza di idonea impermeabilizzazione del sito nel quale sono abbandonati i rifiuti.

In definitiva, il rischio di inquinamento ambientale (anche sotto il profilo del superamento dei limiti di accettabilità di cui all’art. 17 d.leg. 22/97) è il connotato che contraddistingue immancabilmente la discarica “nel suolo” sia che questa derivi dallo scarico isolato di una apprezzabile (e cioè non modesta) quantità di rifiuti sia che derivi dal ripetuto abbandono degli stessi.

Sulla base di questa ricostruzione, nel caso Aricci l’ipotesi criminosa della discarica non autorizzata poteva dirsi integrata perché l’interramento e lo spianamento delle terre di fonderia ― inquinate per la massiccia presenza di fenoli ― erano idonei a determinare il pregiudizio per l’ambiente che rappresenta la ratio stessa dell’incriminazione.

La permanenza nel reato di discarica non autorizzata

La sentenza 15 gennaio 2004, Zanoni, che affronta molteplici tematiche ([6]), suggerisce un’innovativa soluzione sulla cessazione della permanenza del reato di gestione di discarica.

Rievochiamo la vicenda riportando alcuni passi della motivazione: “Appare opportuno riassumere i fatti quali narrati nell'impugnata sentenza al fine di comprendere i rilievi mossi dal ricorrente e le argomentazioni svolte. Zanoni Alessandro, all'epoca dell'esecuzione del contratto di appalto tra la Provincia Autonoma di Trento e l'impresa Edilter di Bragaglia Renzo per la ristrutturazione dell'ex Centro Ospedaliero Angeli Custodi di proprietà della prima ricopriva l'incarico di dirigente del servizio di edilizia pubblica della predetta Provincia Autonoma ed è stato presente al collaudo delle opere in data 11 gennaio 1996, pochi giorni prima della formale rescissione del contratto intervenuta il 19 s. m. a. Detto appalto…a seguito di inadempienze contestate all'impresa appaltatrice con deliberazione n. 358 del 19 gennaio 1996 è stato rescisso. La stessa ditta con sentenza del dicembre 1996 veniva dichiarata fallita dal Tribunale di Bologna, mentre una notevole quantità di rifiuti speciali, provenienti dalla demolizione, e pericolosi, costituiti da lastre di amianto, venivano lasciati abbandonati dall'epoca della rescissione del contratto presso l'arca dell'ex centro ospedaliero su indicato fino a quando nel giugno 1999 il Comune di Trento richiedeva di provvedere allo smaltimento della quantità dei rifiuti ed al ripristino della zona oggetto del loro deposito incontrollato. Il prevenuto provvedeva ad eseguire la richiesta comunale, smaltendo i rifiuti”.

Una volta individuato nel prevenuto il soggetto cui riferire le responsabilità gestionali, la corte esprime l’avviso che, a prescindere dalla pur richiamata giurisprudenza che pone anche il committente in una posizione di garanzia in ordine all'obbligo di smaltire i rifiuti, “la situazione fattuale su descritta dimostra che si è in presenza di un deposito incontrollato oppure di uno stoccaggio senza autorizzazione di rifiuti, la cui detenzione, in seguito alla rescissione del contratto, era passata alla P.A.T. sin dal 19 gennaio 1996, sicché a detto organo incombeva l'obbligo di provvedere allo smaltimento”.

In base a questa conclusione, la cassazione accoglie il ricorso del Procuratore della Repubblica, per il quale la contravvenzione contestata sussisteva pienamente, rilevando altresì che la stessa non era estinta per prescrizione “perché l'illecita detenzione dei rifiuti ed il deposito incontrollato degli stessi sono perdurati fino all'agosto 1999”.

A questo riguardo, la sentenza afferma che il d.leg. 22/97, a differenza del pregresso d. p. r. 915/82, espressamente ha incluso nella gestione dei rifiuti "il controllo delle discariche e degli impianti di smaltimento dopo la chiusura" sicchè, tenuto anche conto delle cadenze temporali poste dal d.leg. 36/03, “ormai la permanenza del reato di discarica abusiva verrà meno solo dopo dieci anni ([7]) dalla cessazione dei conferimenti ovvero con l'ottenimento dell'autorizzazione o la rimozione dei rifiuti applicandosi le ultime due ipotesi, del resto, in ogni fattispecie di gestione e/o smaltimento”.

Per verificare l’esattezza di queste affermazioni, occorre innanzitutto chiamare in causa la giurisprudenza che, in assenza di definizioni normative del termine “discarica” ([8]), ha costantemente sostenuto che con questo termine deve intendersi il luogo in cui i rifiuti vengono scaricati per effetto di una condotta ripetuta dell'agente.

Ma la nozione di discarica, rilevante per l’integrazione del reato previsto (dall’art. 25, 2° comma, d.p.r. n. 915 e) dall’art. 51, 3° comma, d.leg. 22/97, è diversa da quella presa in considerazione dal legislatore in tutte le altre norme in cui questo metodo di gestione dei rifiuti è disciplinato?

In effetti, la “gestione dei rifiuti” (art. 6 d.leg. 22/97) comprende anche il controllo delle discariche dopo la chiusura e il legislatore ha disciplinato (anche prima del d.leg. 36/03) le modalità per la ricopertura della discarica esaurita, le possibili destinazioni del terreno completata questa fase, l'intervallo di tempo minimo che deve intercorrere tra la ricopertura della discarica ed il riutilizzo dell'area da essa interessata.

Tuttavia, a nostro parere, ciò non è sufficiente per ritenere che queste fasi costituiscano elemento costitutivo del reato di cui all’art. 51.

Sul problema non consta una specifica presa di posizione da parte della giurisprudenza di legittimità anche se, ai fini della prescrizione del reato, due prospettazioni si contendevano il campo: da un lato, vi era chi sosteneva che il reato, avente ad oggetto la gestione della discarica, si esaurisse nel momento in cui per qualsivoglia ragione (principalmente la fine degli apporti dei rifiuti) cessasse l’utilizzazione del sito e/o dell’impianto; dall’altro lato, vi era chi sosteneva che il reato si protraesse anche nella fase successiva all’esaurimento del conferimento dei rifiuti.

Tra i pochi contributi dottrinari sull’argomento, si segnala Fimiani ([9]) che, interrogandosi sul fatto se l’orientamento della sentenza Zaccarelli vada rivisto tenendo presente il concetto di gestione di cui all'art. 6 d.leg. 22/97, osserva che “dalla lettura degli allegati B) e C) si evince che le ulteriori attività di controllo dopo la chiusura degli impianti non sono comprese nelle nozioni di smaltimento o recupero. Ciò si spiega con il fatto che trattasi non di fasi aventi una propria autonomia e come tali soggette ad un particolare regime amministrativo, ma di regole comportamentali da seguire nello svolgimento delle altre attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento. In sostanza sono queste quattro le possibili forme di gestione ed il legislatore ha voluto soltanto precisare che il relativo esercizio non si esaurisce con il compimento, ma prosegue e si completa con il controllo successivo, in attuazione dei principi di responsabilizzazione e effettività della protezione ambientale sanciti dall'art. 2. In tal senso la nuova previsione, se appare significativa anche nel senso di consentire l'affermazione di penale responsabilità nei casi in cui vengono violate le prescrizioni dell'autorizzazione dopo la chiusura (es. omessa raccolta del percolato di discarica dopo la chiusura dell'impianto), non sembra avere una portata tale da permettere di superare l'impostazione delle Sezioni Unite. Di conseguenza non si configura l'illecito di gestione non autorizzata di discarica nel caso di comportamenti meramente omissivi ed inerti, a fronte della realizzazione dell'impianto ad opera di terzi (ovviamente al di fuori dell'ipotesi di concorso a titolo di dolo o colpa)”.

Anche se da una prospettiva leggermente diversa, Giampietro ([10]) osserva che “colui il quale (persona fisica o impresa) intenda realizzare una discarica abusiva lo farà - necessariamente - con modalità occulte, segrete, clandestine, e simili ([11]). Per es. smaltendo abusivamente i rifiuti prodotti da terzi; ricevendo rifiuti da più soggetti e da aree geografiche le più disparate; acconsentendo al trasporto e consegna dei rifiuti senza formulario di identificazione, senza alcuna precedente registrazione, senza invio del MUD, alle sezioni regionali e provinciali del Catasto, ecc…Proprio in quanto realizzatore di una discarica (del tutto) abusiva (e dunque occulta) l’autore del fatto agirà non preoccupandosi di verificare la compatibilità del sito, prudentemente occultato, con le matrici ambientali e la realtà antropica dell’area prescelta; non rispettando, nella realizzazione e gestione degli impianti, le regole tecniche e comportamentali imposte dalla legge (ovviamente più complesse ed onerose di quelle proprie e tipiche di una struttura illecita e di una gestione di fatto)”.

In definitiva, pare di interpretare le opinioni su riassunte nel senso della necessità di distinguere l’impianto regolarmente deputato allo smaltimento dei rifiuti, e perciò soggetto a tutte le specifiche (e rigorose) prescrizioni dettate in materia, dal sito abusivamente destinato all’accumulo incontrollato di rifiuti.

Ne deriva che la mancata attivazione delle operazioni di manutenzione, sorveglianza e controllo della discarica nella fase post-operativa non può essere invocata per costruire una possibile condotta integrativa del reato di cui all’art. 51, 3° comma, d.leg. 22/97, che, peraltro, si risolverebbe in un comportamento meramente omissivo non consentito in base alla più volte citata sentenza Zaccarelli il cui insegnamento è ancora attuale e prezioso.

Annotano, infatti, le sezioni unite che, pur essendo giusta la preoccupazione di coloro che includevano il mantenimento dei rifiuti nei reati di discarica abusiva e di smaltimento mediante stoccaggio, sul rilievo che tale situazione non era meno dannosa o pericolosa della condotta che vi aveva dato avvio «ché, diversamente opinando l'ammasso ovvero il deposito ovvero la discarica di rifiuti tossici e nocivi (...) rimarrebbero in definitiva attività non soggette ad autorizzazione e sostanzialmente lecite», deve prevalere tuttavia il principio di cui all'art. 25 Cost., che nel codice penale (art. 1) diventa di stretta legalità a causa della richiesta espressa previsione del fatto come reato ai fini della sua punibilità. Con la conseguenza che l'avverbio «espressamente», lungi dall'esser pleonastico, impone all'interprete di attenersi alla dizione della norma, che si suppone chiara, senza indulgere a interpretazioni analogiche, e, ove chiara non sia, gli impedisce comunque di adottare interpretazioni che si discostino dal dettato della norma stessa. E ciò al fine di evitare che il cittadino si trovi esposto a responsabilità di maggiore ampiezza rispetto alla responsabilità cui era espressamente chiamato.

Non resta allora che confermare la tesi di Cass. Zaccarelli per cui “il reato è permanente per tutto il tempo in cui l'organizzazione è presente e attiva…Il fatto però che il reato di discarica sia in questo senso permanente non significa che esso comprenda anche il mero mantenere nell'area i rifiuti scaricativi o fattivi scaricare da altri, quando ormai la discarica sia stata chiusa o soltanto disattivata”.

La sentenza Zanoni critica questa affermazione ritenendola “riduttiva e contraddittoria, in quanto rende il termine di cessazione della permanenza ondivago in conseguenza dell'emissione o meno da parte del Sindaco del provvedimento di rimozione dei rifiuti”.

La critica non ci pare però cogliere nel senso perché la sentenza Zaccarelli non ha affatto legato la cessazione della permanenza all’emanazione dell’ordinanza sindacale che impone la rimozione dei rifiuti. La Cassazione ha soltanto fatto presente che l’ordinamento prevede gli strumenti giuridici per evitare che il mantenimento dei rifiuti in loco possa rivelarsi dannoso o pericoloso per la salute sostenendo che, se si riveli tale, “il sindaco può imporre la loro rimozione all'interessato, con le relative conseguenze penali in caso di inosservanza della ordinanza sindacale”.

Vi è un’ultima riflessione. L’art. 51, 3° comma, prevede che il responsabile di una discarica non autorizzata in caso di condanna (o di patteggiamento) sia tenuto alla bonifica o al ripristino dello stato dei luoghi: appare dunque un controsenso che l’agente debba richiedere un’autorizzazione ― che detti le modalità per la gestione post-operativa della discarica ― per eseguire un’attività che è invece doverosa a seguito della commissione del reato e che pertanto non può essere sottoposta ad alcun vaglio discrezionale della Pubblica amministrazione.

Sarebbe come sostenere che il soggetto che abbia costruito abusivamente un manufatto, debba richiedere la concessione (ora permesso a costruire) per provvedere alla sua demolizione!

E visto che abbiamo appena citato l’attigua materia urbanistica, è interessante constatare che la giurisprudenza ha individuato il momento di cessazione della permanenza del reato di costruzione abusiva nella ultimazione delle opere abusive o nella sospensione dei lavori, sia essa volontaria o imposta ex auctoritate, o, infine, nella sentenza di primo grado ove i lavori siano proseguiti sino alla data del giudizio.

Quel che va sottolineato, per i punti di contatto con la nostra tematica, è che il mantenimento del manufatto completato in ogni sua parte (situazione che riteniamo equivalente alla mancata rimozione dei rifiuti stoccati in discarica) non costituisce affatto un elemento del reato e perciò non è idoneo a fondarne la sua permanenza.

Non a caso, le sezioni unite della Cassazione 29 gennaio 2003, Pm in proc. Innocenti ([12]), pur ammettendo che possa essere assoggettata a sequestro preventivo anche la costruzione abusiva già ultimata, atteso che la misura cautelare è destinata ad impedire che reati già commessi vengano portati ad ulteriori conseguenze che protraggano o aggravino la lesione o la messa in pericolo dell’interesse protetto dalla norma penale, hanno però puntualizzato che le conseguenze ulteriori rispetto alla consumazione del reato non sono tout court identificabili nell’uso dell’edificio dovendosi invece aver riguardo all’aggravamento del carico urbanistico sulle infrastrutture preesistenti derivante dal libero uso dell’immobile. Il sequestro perciò sarà legittimo solo se sia dimostrata la reale compromissione degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa da parte dell’indagato o di terzi possa implicare una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se l’attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il profilo della offensività.



[1] Per quanto risulta, questa affermazione compare esclusivamente in Cass. 4 novembre 1994, Zagni, Foro it., 1995, II, 344, e Cass 20 agosto 1996, Battaglia, Ced Cass., rv. 206142, ed è stata ripresa negli stessi termini da Cass. 12 maggio 1999, Di Liberto, Ced Cass., rv. 214079. Si tratta perciò di opinione minoritaria e non di orientamento “consolidato” come sostenuto dalla sentenza Aricci. Per completezza, va detto che in Cass. Zagni l’affermazione costituisce un mero “obiter dictum” giacchè nella fattispecie il legale rappresentante protempore di una società (in concorso con il successore nella stessa carica e con il trasportatore dei rifiuti) aveva “consentito e tollerato il tombamento di una cava” e dunque aveva tenuto un comportamento attivo. Parimenti, in Cass. Battaglia il principio non era affatto funzionale alla decisione giacchè l’imputato aveva tenuto una condotta attiva avendo provveduto ad interrare i rifiuti. Sulla questione, v. Paone, Discariche abusive: reato permanente o istantaneo?, in questa Rivista, 1995, 62.
[2] Le sezioni unite 5 ottobre 1994, Zaccarelli, in questa Rivista, 1995, fasc. 4, 62, hanno puntualizzato che non risponde del reato di gestione di discarica abusiva il soggetto che sia subentrato nella mera disponibilità di una discarica da altri realizzata; costui non ha neppure l'obbligo di intervenire per la rimozione dei rifiuti, salvo che ciò non gli venga imposto dal Sindaco per motivi di igiene pubblica, nel qual caso è obbligato a provvedere sotto pena di commettere il reato di cui all'art. 650 c.p.
[3] Cass. 5 novembre 1993, Leonardi, Riv. pen., 1994, 635 e Giust. pen., 1994, II, 172, ha espressamente affermato che "la condotta sanzionata non può essere integrata da un singolo episodio di carattere occasionale".
[4] Cass. 27 aprile 1992, Denti, Riv. pen., 1993, 448; 22 aprile 1992, Abortivi, Foro it., 1993, II, 302; 10 gennaio 2002, Garzia, Ced Cass., rv. 221166.
[5] Cass. 8 febbraio 1991, Macchioni, Foro it., 1991, II, 720
[6] Su quella concernente la nozione di produttore di rifiuto, ci permettiamo di rinviare a Paone, Il produttore di rifiuti e le sue responsabilità per l’illecito smaltimento (Nota a Cass., sez. III, 21 gennaio 2000, Rigotti), in questa Rivista, 2001, 648. Per altri spunti in materia, v. Ruggiero, Discarica abusiva realizzata da terzi: responsabilita` omissiva del proprietario del terreno?, id., 2003, 862.
[7] A parte le altre considerazioni svolte nel testo, va detto che non siamo riusciti a rinvenire nel decreto n. 36 alcun testuale riferimento al termine decennale di cui parla la sentenza. La contravvenzione di cui trattasi si prescrive, in base alle norme generali, in tre anni dal fatto e non in dieci anni.
[8] La mancata definizione normativa del concetto di discarica non incide sui principi costituzionali di inviolabilità della libertà personale e di legalità dei reati e delle pene: così Cass. 9 giugno 1995, M. M., Impresa, 1995, 2287.
[9] Acque, rifiuti e tutela penale, Milano, 2000, 471-472.
[10] Profili distintivi tra realizzazione di discarica e abbandono di rifiuti: brevi riflessioni, in questa Rivista, 2004, 239.
[11] Pressocchè negli stessi termini, Cervetti Spriano, La nuova normativa sui rifiuti, Milano, 1998, 310: per discarica si deve intendere “il fatto di organizzare contra legem e clam un sito per raccogliere in forma continuativa i rifiuti che vi vengono scaricati all’insaputa delle autorità preposte alle autorizzazioni e ai controlli”.
[12] Guida al dir., 2003, fasc. 18,57.