tratto
dal trimestrale “Rifiuti Oggi” di Gennaio - Febbraio - Marzo 2002
Una
miriade di “ferite” nel territorio italiano riempite di rifiuti. Sono
infatti più di 1.500 le discariche in attività in Italia: basta questo numero
per fare il quadro sullo smaltimento definitivo dei rifiuti. Un quadro che è
piuttosto desolante: l’Italia continua a utilizzare massicciamente le
discariche per smaltire i propri rifiuti, in molti casi neanche attrezzate come
si dovrebbe. Ci ritroviamo quindi a smaltire i rifiuti in impianti senza
impermeabilizzazione del fondo, senza raccolta del percolato o del biogas. Con
buona pace delle falde acquifere sottostanti o dell’olfatto di chi vive nei
pressi dell’impianto.
Partendo
dal quadro normativo, italiano ed europeo, e passando in rassegna gli impatti
sull’ambiente di questi impianti, tentiamo di fare il punto sulle discariche
di oggi e su quelle che verranno in futuro, una volta approvate le norme
tecniche che gli operatori del settore attendono da tempo.
DALLA
NORMATIVA ITALIANA…
Nella
normativa italiana un primo cenno sulle discariche è presente nel Dpr
915/82, la prima legge sullo smaltimento dei rifiuti in Italia. Fu però la Deliberazione
del Comitato interministeriale del 27 luglio 1984 ad entrare nel dettaglio
della classificazione e delle caratteristiche delle discariche. Queste
disposizioni a distanza di quasi 18 anni sono tuttora in vigore, fino a che
l’Italia non recepirà la direttiva dell’Unione Europea dell’aprile 99
sulle discariche dei rifiuti.
La
classificazione prevede tre classi di discariche in funzione del tipo di rifiuti
da smaltire: discariche di prima, seconda e terza categoria. Quelle di seconda
categoria sono ulteriormente suddivise in tre sottoclassi: 2A, 2B e 2C.
Nelle
discariche di prima
categoria possono essere smaltiti i rifiuti solidi urbani e i rifiuti
speciali assimilabili agli urbani.
Nelle
discariche 2A si possono smaltire
solo i rifiuti speciali inerti, in discarica
2B i rifiuti speciali, anche pericolosi con specifiche caratteristiche di
concentrazione, in discarica 2C i
rifiuti speciali pericolosi.
La
discarica di terza categoria infine
può essere utilizzata per tutti quei rifiuti che non possono essere destinati
alle discariche di prima e di seconda categoria e per i quali non è
prevedibile, né tecnicamente attuabile una forma diversa di smaltimento. In
Italia non è stata mai costruita una discarica di questo tipo.
…ALLA DIRETTIVA EUROPEA
Una rivoluzione copernicana per le discariche. Questo in sintesi è quanto previsto dalla direttiva europea 1999/31/CE del 26/4/99 relativa alle discariche di rifiuti, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee il 16 luglio 1999, con la quale cambierà radicalmente l’impostazione dello smaltimento controllato di rifiuti, a partire dalla classificazione stessa.
Nonostante la possibilità di un eventuale e parziale recupero energetico (basta pensare alla captazione e alla combustione del biogas finalizzata alla produzione di energia elettrica), la discarica controllata dei rifiuti tal quali va considerata come uno spreco di risorse riutilizzabili. Ma soprattutto una potenziale e considerevole fonte d’inquinamento delle acque di falda e dell’aria. E’ per tali motivi che la direttiva concepisce la discarica controllata in maniera completamente diversa: la discarica diventa una struttura al servizio di un sistema integrato di smaltimento dei rifiuti, che, partendo dalle raccolte differenziate, si completa con efficienti impianti di recupero delle risorse contenute nei rifiuti. In tale sistema la discarica controllata non è utilizzata per lo smaltimento dei rifiuti indifferenziati ma solo per gli scarti di lavorazione, i materiali inerti e i rifiuti non riciclabili.
La classificazione della direttiva stravolge per certi versi quella prevista dalla legislazione attualmente vigente in Italia. Gli impianti di smaltimento definitivo sono divisi in:
- discariche per rifiuti pericolosi;
- discariche per rifiuti non pericolosi;
- discariche per rifiuti inerti.
La direttiva prevede l’utilizzo di discariche nelle quali vengono immessi soltanto rifiuti tra loro comparabili per origine e composizione, nonché per caratteristiche del loro percolato. Il percolato diventa perciò elemento caratterizzante delle varie tipologie di rifiuti anche per determinare la discarica nella quale effettuarne lo smaltimento.
Ciascuno Stato membro aveva due anni di tempo per recepire la direttiva. L’Italia, come è suo solito, non ha rispettato il termine del 16 luglio 2001, incorrendo nell’ennesima procedura d’infrazione da parte dell’Unione europea.
L’IMPATTO
AMBIENTALE DELLE DISCARICHE
Diversamente dagli altri sistemi di smaltimento a più alto contenuto tecnologico, fino a pochi anni fa la discarica controllata è stata gestita trascurando il suo notevole impatto ambientale.
Solo negli anni ’80 si è cominciato a considerare la discarica come un vero e proprio impianto da progettare in modo tale da ridurre al minimo gli effetti negativi connessi al suo esercizio, che non sono da trascurare. Tra le cause dell’impatto ambientale connesso alla realizzazione e all’esercizio di una discarica controllata, quelle più rilevanti, per i rischi che comportano, sono la produzione e la diffusione del percolato e del biogas.
Il percolato non è che il liquido prodotto in discarica principalmente dall’azione solvente dell’acqua meteorica sui rifiuti smaltiti. E’ un liquido dalle caratteristiche estremamente variabili, di colore scuro, odore nauseabondo, ad alto tenore di inquinanti organici ed inorganici derivanti dai processi biologici e chimico - fisici che avvengono all’interno dell’ammasso di rifiuti. E’ sicuramente il principale problema della gestione di una discarica controllata.
Gli inevitabili interventi di minimizzazione, raccolta, trattamento e smaltimento del percolato richiedono la conoscenza delle sue caratteristiche quantitative e qualitative.
E’ di fondamentale importanza conoscere nei minimi dettagli i fattori di influenza della produzione del percolato e le tecniche di minimizzazione delle quantità prodotte, vista la valenza ambientale (gli effetti dell’emissione incontrollata del percolato nell’ambiente sono tristemente noti) ed economica (i costi da affrontare per il trattamento di un refluo così complesso sono piuttosto alti) del problema.
I processi di trattamento sono diversi: si va da quello biologico a quello chimico - fisico. La scelta dello schema di trattamento del percolato è strettamente influenzata da un’attenta valutazione tecnico - economica dello schema e soprattutto dagli obiettivi del trattamento.
Se infatti l’obiettivo è l’immissione diretta in acque superficiali, in generale nessuno dei processi consente, singolarmente ed in un unico stadio, di raggiungere tale obiettivo. Si rende perciò necessaria l’adozione di una sequenza di processi e/o l’adozione di più stadi, per la cui individuazione è necessaria una profonda conoscenza delle caratteristiche del percolato.
Se invece l’obiettivo è il pre - trattamento in discarica per un successivo conferimento presso impianto di depurazione per reflui civili o industriali, basterà ridurre le concentrazioni degli inquinanti presenti, a livelli tali da essere compatibili con la sequenza dei trattamenti successivi.
Il biogas invece viene prodotto durante la degradazione dei rifiuti in assenza di ossigeno, che comporta la produzione di una miscela gassosa, essenzialmente composta da metano e anidride carbonica. Il processo di decomposizione inizia subito nelle prime settimane di attività della discarica e si protrae per molti anni dopo la chiusura della discarica. La produzione ha intensità variabile con il tempo, toccando il massimo nei primi anni di attività, per poi decrescere in seguito.
La produzione di biogas dà luogo ad una serie di problemi, tra cui i principali sono l’interessamento di zone urbanizzate e la formazione di miscele metano - ossigeno tali da dare origine a improvvise combustioni o esplosioni.
Per evitare questi problemi è bene controllare la migrazione del biogas. Gli interventi che si possono adottare sono di due tipi: tecniche di “fuoriuscita passiva” e tecniche di “captazione attiva”.
Per quanto riguarda la prima categoria, possiamo citare la copertura della discarica con terreni permeabili e l’installazione di trincee o condotti verticali di sfiato. Tali tecniche danno luogo ad uno sfogo controllato del biogas, che presenta ovvi vantaggi (basso costo d’investimento e d’esercizio) ma anche notevoli svantaggi, come il cattivo odore che si diffonde nelle zone circostanti e il mancato recupero energetico. I sistemi “passivi” sono ritenuti adatti solo nel caso di piccole discariche, poste a notevoli distanze dai centri abitati.
Per evitarne la dispersione nell’aria e nel sottosuolo, il biogas viene aspirato dall’ammasso di rifiuti mediante tecniche di “captazione attiva”. La rete di captazione, costruita durante il graduale riempimento della discarica, si compone di una serie di pozzi verticali, uniti tra loro da collettori orizzontali. La depressione, generata dalla centrale di aspirazione, permette la raccolta e la captazione del biogas prodotto dalla discarica. Il sistema di captazione deve evitare l’immissione d’aria nella rete e assicurare un’uniforme aspirazione del biogas dal corpo della discarica.
Il vantaggio fondamentale della “captazione attiva” del biogas rispetto alla “fuoriuscita passiva” è ovviamente la possibilità di recupero energetico dopo un’opportuna depurazione. Le possibilità di riutilizzo energetico del biogas sono: l’uso come combustibile in turbo - gruppi a gas o a vapore per la produzione dell’energia elettrica o come carburante per autotrazione (è il caso di alcuni autocompattatori dell’Azienda municipale ambiente di Roma).
LE DISCARICHE DI OGGI…
Sempre
più preoccupanti i numeri sui rifiuti urbani smaltiti in discarica in Italia.
Secondo quanto riportato nel Rapporto 2001 di Anpa e Osservatorio nazionale sui
rifiuti, nel 1999 ancora il 74,4% dei rifiuti urbani prodotti in Italia viene
smaltito in discarica. O per meglio dire nelle 786 discariche autorizzate attive
nel nostro Paese. Sono
quasi 22 milioni le tonnellate di rifiuti urbani avviate in discarica, con la
Campania ancora al primo posto e con preoccupanti incrementi nel Lazio, in
Sicilia e in Emilia Romagna.
E’
il mezzogiorno d’Italia a detenere diversi record negativi. Innanzitutto per
numero di impianti attivi: sono ben 571 le discariche nel Sud, pari a circa il
73% del totale nazionale. La Sicilia, con le sue 214 discariche censite, guida
questa speciale classifica.
Non
bisogna dimenticare poi che molte di queste sono state attivate con procedure
d’urgenza, secondo quanto previsto dall’articolo 13 del decreto Ronchi. E
cioè funzionano senza neanche le minime dotazioni impiantistiche di base per
una discarica degna di questo nome, come ad esempio l’impermeabilizzazione del
fondo con raccolta del percolato o la captazione del biogas. In Abruzzo ne sono
state censite ben 37, altrettante in Sicilia, 14 in Molise. Per la maggior parte
delle regioni italiane il dato non è disponibile, anche se è presumibile che i
numeri non si discostino molto da quelli appena citati.
Le discariche per rifiuti urbani in Italia
|
Numero impianti |
Rifiuti
smaltiti (t/anno) |
Nord |
137 |
7.931.104 |
Centro |
78 |
4.903.245 |
Sud |
571 |
8.910.344 |
Totale |
786 |
21.744.693 |
Fonte:
Anpa e Osservatorio nazionale sui rifiuti (2001)
Passando
dai rifiuti urbani a quelli speciali, il quadro è altrettanto desolante. Dei 68
milioni di tonnellate di rifiuti speciali, pericolosi e non, prodotti nel 1998
in Italia, ne risultano smaltiti e trattati 56 milioni di tonnellate (una parte
delle restanti 12 milioni di tonnellate finiscono nelle discariche abusive
gestite da ecocriminali ed ecomafiosi). Oltre 22,4 milioni di tonnellate
finiscono nelle 721 discariche per i rifiuti speciali attive in Italia.
Le discariche per rifiuti speciali in Italia
Categoria |
Numero
|
II A |
524 |
II
B |
152 |
II
C |
9 |
III |
0 |
Non
specificato |
36 |
Totale |
721 |
Sommando
il numero delle discariche per rifiuti urbani a quello delle discariche per
rifiuti speciali si supera la cifra astronomica di 1500 impianti.
Questo
per quanto riguarda le discariche autorizzate. Ma, come ormai è noto, la realtà
dell’interramento dei rifiuti nel nostro Paese non si ferma qui. Da diversi
anni ormai l’Italia è interessata dal fenomeno delle discariche abusive di
rifiuti speciali e pericolosi. Il coinvolgimento della criminalità organizzata
in questo settore è dal 1994 oggetto di analisi e denuncia da parte di
Legambiente, che a tal proposito ha coniato il termine Ecomafia, entrato
successivamente nel vocabolario della lingua italiana.
I
numeri dell’illegalità nel ciclo dei rifiuti sono purtroppo di un certo
rilievo: nel 2000 sono state 1961 le infrazioni accertate dalle forze
dell’ordine. Il 43,5% di queste sono state riscontrate nelle quattro regioni
dove è storica la presenza della criminalità organizzata, e cioè Calabria,
Campania, Puglia e Sicilia. E non è un caso che anche il nuovo Parlamento ha
approvato la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, già
attiva nelle due scorse legislature, che continuerà a far luce anche sulle
attività illecite presenti nel settore.
Le
infrazioni nel ciclo dei rifiuti in Italia (2000)
|
Noe
- Cc |
Gdf |
Cfs |
Cfr |
Ps |
Totale |
Infrazioni
accertate
|
686 |
351 |
741 |
158 |
25 |
1961 |
Sequestri
effettuati |
156 |
351 |
241 |
17 |
13 |
778 |
Valore
sequestri (mln) |
48209 |
n.d. |
n.d. |
n.d. |
n.d. |
48209 |
Fonte:
elaborazione Legambiente su dati forze dell’ordine
n.d.:
dato non disponibile
…E LE DISCARICHE DI DOMANI
Si
è persa l’ennesima buona occasione. Non poteva che essere questo il commento
di Legambiente alla proroga data al termine ultimo per lo smaltimento in
discarica dei rifiuti tal quali. Dopo la proroga di un anno e mezzo della
scadenza prevista dal decreto Ronchi (1° gennaio 2000), il termine del 16
luglio 2001 è stato spostato al 22 agosto 2002. Sembra in effetti arrivato il
momento di emanare le norme tecniche per individuare i rifiuti che possono
essere smaltiti in discarica. Anche per porre fine all’esercizio delle tante
bombe ecologiche, non conformi a quanto previsto dalla direttiva europea, che
rappresentano uno dei principali fattori d’impatto ambientale e un ostacolo
forte allo sviluppo di politiche corrette di gestione dei rifiuti.
Sulla
stessa linea Fise Assoambiente,
che ha espresso la propria contrarietà alla proroga data, considerando le
inevitabili ricadute negative su quegli operatori privati che, in attesa del recepimento
della direttiva europea, avevano già realizzato investimenti per recuperare
alcune tipologie di rifiuti. Non va dimenticata infatti la sottoutilizzazione di
molti impianti a tecnologia complessa dovuta alla competitività dello
smaltimento in discarica e, com’è ovvio, alle attività illecite. In
tale contesto Fise Assoambiente ha auspicato
la definizione urgente ed in tempi utili delle norme tecniche necessarie
per assicurare un quadro di certezze operative agli investimenti necessari.
A
questo scenario di incertezza sullo smaltimento del tal quale in discarica si
aggiunge una recente modifica alla normativa sulla gestione dei rifiuti speciali
sanitari. Con leggerezza e scarsa competenza la maggioranza in parlamento è
tornata ad affrontare il tema dello smaltimento dei rifiuti dando al settore,
dopo i provvedimenti inclusi nel ddl Lunardi e poi soppressi grazie ad un
emendamento della minoranza, l'ennesimo colpo di mannaia.
Nel
dettaglio si tratta dell'art.2, comma 1 bis, della legge n. 405/2001, recante Interventi
urgenti in materia di spesa sanitaria. La legge apporta modifiche
all'attuale sistema di gestione dei rifiuti sanitari e contiene una serie di
grossolane e pericolose approssimazioni che declassano lo smaltimento dei
rifiuti ospedalieri rendendoli assimilabili agli urbani. Accanto alla
sterilizzazione infatti (il procedimento fino ad oggi utilizzato, insieme
all'incenerimento, per trattare questo tipo di rifiuti) viene introdotta,
equiparandola nelle funzioni, la disinfezione, anche se le differenze sono
sostanziali. Non chiarisce poi che tipo di procedure vadano applicate,
consentendo paradossalmente di utilizzare sostanze tradizionalmente usate nella
disinfezione ma assolutamente non adeguate al trattamento dei rifiuti, come per
esempio l'alcool. La disinfezione, per di più, non omogeneizza i rifiuti
rendendoli irriconoscibili ed è per questo che Legambiente ha parlato di pulp
- discariche. Il testo infine parla di rifiuti pericolosi senza distinguere
se siano a rischio infettivo o meno.
Una
cosa è certa. Quando le norme tecniche verranno emanate, per le discariche
italiane si aprirà una pagina nuova. Avremo a che fare con impianti utilizzati
per smaltire quello che non può essere recuperato, il cui esercizio avrà
impatti sicuramente minori sull’ambiente circostante. Avremo meno problemi di
inquinamento delle falde da percolato e di odori insopportabili da respirare. Ma
questo, purtroppo va ribadito, è ancora uno scenario lontano nel futuro. In
seguito alle proroghe richieste da quegli operatori non ancora pronti al nuovo
regime, sono andati persi diversi anni. Più o meno il tempo necessario ad un
paese industrializzato, come si vanta di essere il nostro, per adeguarsi al
nuovo sistema. Che garantirebbe di più sotto il punto di vista ambientale, ma
che si scontra, a quanto pare, con poteri più forti. E che quindi può ancora
aspettare.