I
commi 7 e 8 dell’art. 114 della
cd. Finanziaria del 2001 , recante la rubrica
"Disinquinamento , bonifica e ripristino ambientale" - rubrica
invero ingannevole , in quanto la
norma è dedicata , per la sua maggior parte a questioni differenti : tra
l'altro , alla modifica dell'ormai mitico art.18 della L.349/86 che viene
arricchito di un comma (il 9 bis) che si occupa di dove debbano essere versate e
come debbano essere riassegnate le
somme derivanti dalla riscossione dei crediti in favore dello Stato per il
risarcimento del danno ambientale ; all'inserimento anche dei laureati in
geologia accanto a quelli in ingegneria nell'art. 27 del D.P.R. 128/59 ; alla
previsione di finanziamenti particolari per assicurare l'ottimale ripristino
ambientale di cave localizzate in giacimenti di calcare metamorfico con sviluppo
oltre i 300 metri ed elevata pendenza senza rischi eccessivi per la sicurezza
dei lavoratori addetti ; piuttosto che alla interpretazione autentica
dell'indeterminato concetto di "costi sopportabili" [4]
di cui al comma 6 dell'art. 17 del D.Lgv.22/97 - prevedono che non sia punibile
chi , senza dolo e comunque al di fuori "dell'ambito di attività criminali
organizzate volte a realizzare illeciti guadagni in violazione delle norme
ambientali" < comma 8 > , abbia commesso prima dell'entrata in vigore
del D.Lgs.22/97 "reati connessi all'inquinamento del sito" in
relazione al quale inquinamento lo stesso soggetto "abbia adottato o adotti
le procedure di cui all'art. 17 del D.Lgs.22/97 e di cui al D.M. 471/77 " o
"abbia stipulato o stipuli accordi di programma previsti nell'ambito delle
medesime normative".
Che
si tratti di un ulteriore provvedimento premiale di un legislatore che non sa più
vietare e punire chi non rispetta il divieto , ma che si limita a non punire chi
, dopo non aver rispettato il divieto , cerca di porre rimedio alle conseguenze
dannose del suo operare, pare indubitabile . Che in molti lo aspettassero per
cercare di dare fiato all’asfittico meccanismo della bonifica a iniziativa
dell’interessato che , letto dai più come un meccanismo perverso che
provocava l’autoincriminazione del contravventore ambientale senza portargli
alcun vantaggio, non era risultato particolarmente gradito ed utilizzato nella
prassi , è altrettanto indubbio . Come indubbio è che meglio sarebbe stato
collocare la disciplina di una causa di non punibilità di ben
determinati reati in un "luogo" diverso
rispetto alla legge finanziaria. Ma tant’è .
Lì
o altrove , se fosse stata ben disegnata e regolata , si sarebbe potuto anche
apprezzare l’iniziativa , ma il legislatore , che forse per pudore - pudore
per il palese inganno sotteso alla previsione di una , in buona parte solo
virtuale , causa di estinzione , come meglio si vedrà in seguito -
l’ha celata all'interno della corpulenta finanziaria 2001, l’ha anche
disciplinata in modo a dir poco singolare.
Anzitutto
singolare la locuzione prescelta per individuare i reati cui può essere
applicata la causa di non punibilità : "reati direttamente connessi
all'inquinamento del sito " . Già molti problemi sorgono con riferimento
all'avverbio "direttamente" , ma sembrano poca cosa se confrontati con
quelli che derivano dall'espressione "connessi all'inquinamento" .
Anzitutto andrebbe chiarito l’ambito dei reati “connessi”
all’inquinamento : sono quelli che l’hanno favorito , o quelli che lo hanno
concretamente provocato , o ancora anche quelli che sono stati realizzati nel
medesimo contesto temporale o d'occasione di quelli che l’hanno cagionato . Ma
fondamentale è anche comprendere cosa si debba intendere con “inquinamento
del sito” ? All' art. 51 bis
D.Lgs.22/97 il legislatore sembrerebbe convinto di aver definito l'inquinamento
all'art. 17 comma 2 - sotto la rubrica "bonifica dei siti" , infatti ,
si punisce "Chiunque cagiona l'inquinamento di cui all'art.17 comma 2
…."- , nel comma 2 del citato art. 17 , al contrario , del termine
"inquinamento" non c'è traccia , ma c'è l'indicazione di una
condotta consistente nell'aver cagionato "il superamento dei limiti di cui
al comma 1 , lett.a) o il pericolo concreto e attuale di superamento dei
medesimi " ; nel D.M 471/99 < quello in cui tali limiti sono stati
definiti >, invece , è presente la definizione di “sito inquinato”
accanto a quella di “sito potenzialmente inquinato” . All’infelice
interprete la scelta di quale dei due riferimenti normativi far prevalere , con
la sottolineatura che se , come imporrebbero le regole dell’ermeneutica , si
supponesse di dover fare riferimento alla definizione di sito inquinato di cui
alla lett.b) dell’art. 2 del D.M. 471/99 escluderemmo dall’operatività
della norma tutte le ipotesi di pericolo concreto di inquinamento del sito . In
altri termini la causa di non punibilità favorirebbe gli autori dei reati più
gravi < di quelli , cioè , che hanno già provocato la compromissione delle
risorse protette > a scapito degli autori di condotte che sono ancora alla
fase della messa in pericolo , sia pure concreto , della risorsa e pertanto sono
da considerarsi oggettivamente meno gravi e , dal punto di vista del ripristino
, probabilmente più facilmente e a minor costo recuperabili. Il costo
dell’interpretazione più corretta , in termini di logica e coerenza interna
del sistema , è altissimo ed è
conseguenza esclusiva della consueta sciatteria [5]
nella redazione delle norme che contraddistingue , ormai da troppo tempo , il
nostro legislatore . Se invece utilizziamo come riferimento normativo il
D.Lgs.152/99 [6]
, allora scopriamo che lì , ove all’art. 58 si disciplina oltre al danno
ambientale anche la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati
“secondo il procedimento di cui all’art. 17 del D.Lgs. 22/97 ” - e quindi
anche secondo il disposto del comma 13 bis , è rinvenibile una definizione di
inquinamento < lett. z) dell’art. 2 >
che , tuttavia , prescinde totalmente dai parametri e dai limiti
di cui al D.M.471/99 [7]per
agganciarsi , invece , genericamente , a conseguenze "tali da mettere in
pericolo la salute umana , nuocere alle risorse viventi e al sistema ecologico
idrico , compromettere le attrattive o ostacolare altri usi legittimi delle
acque" . Il disagio e le perplessità , leggendo le norme , sono grandi .
L’incapacità di capire è totale . La gravità del problema è troppo
evidente per dover essere ulteriormente sottolineata.
Ma
non basta ancora , quand’anche l’interprete riuscisse a comprendere a quali
"reati connessi all'inquinamento del sito" ed a quale
"inquinamento" possa
farsi riferimento , le delimitazioni temporali alla applicabilità della causa
di non punibilità in discorso riducono ad un numero assai esiguo , per non dire
inconsistente , le ipotesi di fruizione della stessa. E valga il vero : sono
compresi nella previsione solo quei reati
direttamente connessi all’inquinamento del sito e “posti in essere
anteriormente alla data di entrata in vigore del D.Lgs.22/97”
. Cioè prima del marzo 1997 . Questa precisazione consente , anzitutto ,
di escludere che questa causa di non punibilità possa essere applicata in
relazione a fatti di inquinamento idrico che , ai sensi dell'art. 58 del
D.Lgs.152/99 abbiano “provocato
un danno alle acque , al suolo e alle altre risorse ambientali , ovvero
Sempre
a norma del comma 7 dell’art.114 , detti reati debbono anche “essere stati
accertati a seguito dell’attività
svolta su notifica dell’interessato , ai sensi dell’art.17 del medesimo
decreto legislativo” . Ma per poter usufruire della possibilità di cui
all’art. 17 comma 13 bis < cioè l’utilizzabilità delle procedure di
bonifica “ad iniziativa degli interessati” > il suddetto
“interessato” doveva poter conoscere i limiti di accettabilità di
contaminazione che , una volta superati , rendono il sito inquinato o , se non
ancora superati , a certe condizioni possono rendere il sito potenzialmente
inquinato e tali limiti sono stati resi noti solo con la pubblicazione del D.M.
471/99 del 25 ottobre , avvenuta il
15 dicembre 1999. Pertanto a tutto il 1999 non sembra potersi immaginare un
"interessato" che abbia attivato di propria iniziativa procedure di
bonifica di un sito che la legge non ha ancora provveduto a individuare come
inquinato o potenzialmente inquinato.
Ancora
, al comma 8 dell’art.114 si escludono dall’operatività della causa di non
punibilità i “reati connessi all’inquinamento del sito” commessi “a
titolo di dolo o comunque nell’ambito di attività organizzative volte a
realizzare illeciti guadagni in violazione delle norme ambientali”.
Limitiamoci
, per il momento , alla prima porzione della locuzione : reati commessi a titolo
di dolo , rectius dolosi [8]
. Con questa limitazione , il legislatore esclude dall’ambito della causa di
non punibilità la maggior parte degli , invero non molto numerosi , delitti che
, in via teorica , potrebbero rientrare tra quelli “connessi
all’inquinamento del sito”, in quanto il più delle volte puniti soltanto
nella previsione dolosa . Ma , in compenso , vi comprende , quando espressamente
puniti anche nella forma colposa , i più gravi , in termini di danni ambientali
prodotti , tra questi . Tanto per esemplificare : non potrà fruire della causa
di non punibilità l'autore di un reato di danneggiamento , ma in compenso potrà
fruirne chi è stato responsabile di un avvelenamento colposo di acque .
Ma
allora , se solo di reati colposi si tratta e , con buona probabilità , se
praticamente solo di contravvenzioni colpose si tratta e se le stesse debbono
essere state commesse prima del marzo 1997 e debbono essere state accertate solo
dopo il dicembre 1999 in quanto debbono esserlo state esclusivamente
a causa della “iniziativa dell’interessato” , quante di dette
contravvenzioni a tale data non erano ancora prescritte [9]
? Solo quelle commesse nel primo trimestre del 1997 e delle quali
l’interessato alla bonifica si sia “autodenunciato” nel primo trimestre
del 2000 . Poche , riteniamo . Pochissime .
Ed
ancora , ci interroghiamo curiosi, quanti reati non dolosi possono essere stati
commessi "nell'ambito di attività organizzative volte a realizzare
illeciti guadagni in violazione delle norme ambientali" ? Il concetto
stesso di attività organizzative finalizzate a illecito lucro presuppone una
volontà direzionata in modo
preciso che con l'imprudenza , la negligenza e l'imperizia , così come con la
violazione di norme cautelari , ci sembra abbia ben poco a che spartire. Forse
in luogo dell'alternativa tra i reati dolosi e questi particolari reati , il
legislatore avrebbe meglio dovuto prevedere , sempre che si consideri
effettivamente utile , per altro a fini meramente simbolici , il mantenimento
del riferimento anche a questi ultimi reati , le due categorie di comportamenti
collegate con una più realista "e" .
Concludendo
: una ulteriore occasione sciupata dal legislatore . Collocando questa causa di
non punibilità nella legge finanziaria si sono probabilmente affrettati i tempi
della sua approvazione e nascondendola all'interno di una così variegata
normativa si è distolta l'attenzione di coloro che , senza dubbio , qualora
fosse stata discussa palesemente, avrebbero protestato e si sarebbero opposti ,
con il favore di una opinione pubblica non perfettamente consapevole dei reali
termini della questione [10]
, all'approvazione di una nuova provvidenza a favore degli inquinatori . Ma
scrivendola così male e disciplinandola in maniera tanto bislacca , ne hanno
azzerato il potenziale incentivante alla bonifica per così dire
"spontanea" che , se fino
ad ieri era stata assai poco praticata , non lo sarà certamente
in misura maggiore dopo l'entrata in vigore dell'art.114 .
[1]
AINIS ,La
legge oscura. Come e perché
non funziona, Bari , 1997 al proposito allude a "leggi che ospitano
una o più norme 'intruse' , corpi estranei che vi restano impigliate come
insetti sulla carta moschicida e che poi rimangono invisibili al lettore che
non vi si imbatta più o meno per caso" , mentre CASSESE, Introduzione
allo studio della normazione, Riv.trim.dir.pubbl., 1992 , 324 , nota 24
, proprio con riferimento alle leggi finanziarie , le paragonava ad "un
sacco d'ossa buttate alla rinfusa"
[2]
Nel testo della norma si fa riferimento a "reati direttamente connessi
all'inquinamento del sito"
[3]
Problema non certo nuovo , si ricorda infatti la precedente previsione di
obbligo di bonifica di cui all'art. 3 , comma 32 della L.549/95 , sul quale
v. F.GIAMPIETRO, Bonifiche dei siti
contaminati : prime idee per una iniziativa legislativa , Documenti
Giustizia, 1994 ,nn.7e 8 ; sulla mancata abrogazione ex art.56
D.Lgs.22/97 di questa norma e sui conseguenti problemi di coordinamento tra
essa e l'art.17 , v. FIMIANI , Acque
, rifiuti e tutela penale , Milano , 2000 , 609.
[4]
Il comma 9 dell'art. 114 stabilisce che "per costi sopportabili di cui
al comma 6 dell'art. 17 del D.Lgs.22/97 e di cui alla lettera f) e i) del
comma 1 dell'art. 2 del D.M. 471/99 , si intendono , con riferimento ad
impianti in esercizio , quelli derivanti da una bonifica che non comportino
un arresto prolungato delle attività produttive o che comunque non siano
sproporzionati rispetto al fatturato annuo prodotto dall'impianto in
questione". Definizione , questa , che tuttavia non ci pare sia del
tutto risolutiva di ogni dubbio interpretativo .
[5]
Sul punto ci permettiamo di rinviare a VERGINE, Inquinamento
delle acque ,Dig./pen.,
Aggiornamento, IV ed., Torino , 2000 , 422 ed autori ivi citati.
[6]
"Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento
della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue
urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque
dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole"
, integrato e modificato dal D.Lgv. 258/00.
[7]
E non potrebbe essere altrimenti se si considera che la pubblicazione del
D.Lgs.152/99 ha preceduto di alcuni mesi
quella del D.M. 471/99.
[8]
Non si comprende
perché il legislatore abbia preferito l'infelice espressione " a
titolo di dolo" anziché la più corretta "dolosi". È ben
vero che talvolta , come caso dell'art. 83 c.p. , il legislatore ha fatto
ricorso all'espressione "a titolo di " - per altro con riferimento
alla colpa- , ma in quanto prevede si punisca una certa condotta delittuosa
come se fosse stata
realizzata con colpa . Ma in questo caso il legislatore voleva , e non
poteva voler altro, semplicemente escludere dalla operatività della causa
di non punibilità i reati commessi effettivamente con dolo .
[9]
Infatti per le
contravvenzioni punite con la pena detentiva il tempo di prescrizione è di
tre anni a mente del n.5 del comma 1 dell'art.
157 c.p.. Ma il tempo per prescrivere i delitti colposi che potrebbero
essere connessi direttamente all'inquinamento - fermo restando che si voglia
limitare il concetto ai soli reati in senso lato ambientali -ad esempio
quello di cui all'art. 439 , comma 1 , non è molto più lungo essendo
previsto dal n. 4 del comma 1 dell'art. 157 in cinque anni . Ad oggi dalla
data di entrata in vigore del c.d. decreto Ronchi sono già passati 4 anni .
[10]
Non sempre il
cittadino è posto in grado , da una corretta campagna informativa, di
cogliere gli aspetti fortemente positivi per le risorse tutelate dalla
normativa ambientale, rappresentati dalla proposta di una causa di non
punibilità o di una causa di estinzione o di una attenuante che siano
applicabili soltanto se eliminate le conseguenze dannose o pericolose del
reato , ripristinato lo stato dei luoghi o risarciti i danni non eliminabili
. Nessuno tra gli studiosi della materia ha dimenticato le feroci critiche
all'utilizzo dell' oblazione speciale che consentiva l'estinzione di tutte
le contravvenzioni ambientali punite con pena alternativa in assenza di
conseguenze dannose e pericolose delle stesse , sulla base dell'assunto che
, mediante il ricorso a detto provvedimento, si canonizzava il principio
"chi paga può inquinare" . Solo una volta aumentati , nel 1995 ,
in modo scriteriato i limiti delle pene pecuniarie per dette
contravvenzioni < ci permettiamo di rinviare a VERGINE, Sospensione
condizionale della pena, Dig./Pen. , vol. XIII , 1998 , 458> e reso così
poco appetibile il ricorso a detta causa di estinzione , ci si avvide che
insieme al ricorso all'oblazione erano spariti anche tutti gli interventi di
eliminazione spontanea delle conseguenze dannose o pericolose dei reati
ambientali che prima venivano realizzati
dal contravventore al fine di poter beneficiare dell'oblazione.
Alberta
Leonarda VERGINE ,
docente di diritto penale dell'ambiente nell'Università di Pavia
La
causa di non punibilità di cui all'art.114 della L.388/00
Nascosta
, per non dire seppellita , all’interno di una norma di ben 28 commi a sua
volta inserita in un provvedimento normativo di 158 articoli ( L.23 dicembre
2000 ,n. 388 recante "Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2001) ,in S.O. n.219 della G.U. n. 302 del 29 dicembre 2000)
l’attento lettore , ammaestrato dalla cattiva abitudine italiana di utilizzare
i “contenitori” più disparati per collocarvi norme che spesso nulla hanno a
che fare con la disciplina cui è dedicato il testo di legge nel quale sono
inserite [1],
può rinvenire una particolarissima causa di non punibilità di alcuni reati ,
individuati con un'espressione non propriamente felice [2]
, della cui esigenza molti si erano fatti portatori nei mesi scorsi [3]
, ma della cui opportunità e pratica utilità , stante la disciplina
prevista in detta norma , è lecito dubitare.
I
commi 7 e 8 dell’art. 114 della
cd. Finanziaria del 2001 , recante la rubrica
"Disinquinamento , bonifica e ripristino ambientale" - rubrica
invero ingannevole , in quanto la
norma è dedicata , per la sua maggior parte a questioni differenti : tra
l'altro , alla modifica dell'ormai mitico art.18 della L.349/86 che viene
arricchito di un comma (il 9 bis) che si occupa di dove debbano essere versate e
come debbano essere riassegnate le
somme derivanti dalla riscossione dei crediti in favore dello Stato per il
risarcimento del danno ambientale ; all'inserimento anche dei laureati in
geologia accanto a quelli in ingegneria nell'art. 27 del D.P.R. 128/59 ; alla
previsione di finanziamenti particolari per assicurare l'ottimale ripristino
ambientale di cave localizzate in giacimenti di calcare metamorfico con sviluppo
oltre i 300 metri ed elevata pendenza senza rischi eccessivi per la sicurezza
dei lavoratori addetti ; piuttosto che alla interpretazione autentica
dell'indeterminato concetto di "costi sopportabili" [4]
di cui al comma 6 dell'art. 17 del D.Lgv.22/97 - prevedono che non sia punibile
chi , senza dolo e comunque al di fuori "dell'ambito di attività criminali
organizzate volte a realizzare illeciti guadagni in violazione delle norme
ambientali" < comma 8 > , abbia commesso prima dell'entrata in vigore
del D.Lgs.22/97 "reati connessi all'inquinamento del sito" in
relazione al quale inquinamento lo stesso soggetto "abbia adottato o adotti
le procedure di cui all'art. 17 del D.Lgs.22/97 e di cui al D.M. 471/77 " o
"abbia stipulato o stipuli accordi di programma previsti nell'ambito delle
medesime normative".
Che
si tratti di un ulteriore provvedimento premiale di un legislatore che non sa più
vietare e punire chi non rispetta il divieto , ma che si limita a non punire chi
, dopo non aver rispettato il divieto , cerca di porre rimedio alle conseguenze
dannose del suo operare, pare indubitabile . Che in molti lo aspettassero per
cercare di dare fiato all’asfittico meccanismo della bonifica a iniziativa
dell’interessato che , letto dai più come un meccanismo perverso che
provocava l’autoincriminazione del contravventore ambientale senza portargli
alcun vantaggio, non era risultato particolarmente gradito ed utilizzato nella
prassi , è altrettanto indubbio . Come indubbio è che meglio sarebbe stato
collocare la disciplina di una causa di non punibilità di ben
determinati reati in un "luogo" diverso
rispetto alla legge finanziaria. Ma tant’è .
Lì
o altrove , se fosse stata ben disegnata e regolata , si sarebbe potuto anche
apprezzare l’iniziativa , ma il legislatore , che forse per pudore - pudore
per il palese inganno sotteso alla previsione di una , in buona parte solo
virtuale , causa di estinzione , come meglio si vedrà in seguito -
l’ha celata all'interno della corpulenta finanziaria 2001, l’ha anche
disciplinata in modo a dir poco singolare.
Anzitutto
singolare la locuzione prescelta per individuare i reati cui può essere
applicata la causa di non punibilità : "reati direttamente connessi
all'inquinamento del sito " . Già molti problemi sorgono con riferimento
all'avverbio "direttamente" , ma sembrano poca cosa se confrontati con
quelli che derivano dall'espressione "connessi all'inquinamento" .
Anzitutto andrebbe chiarito l’ambito dei reati “connessi”
all’inquinamento : sono quelli che l’hanno favorito , o quelli che lo hanno
concretamente provocato , o ancora anche quelli che sono stati realizzati nel
medesimo contesto temporale o d'occasione di quelli che l’hanno cagionato . Ma
fondamentale è anche comprendere cosa si debba intendere con “inquinamento
del sito” ? All' art. 51 bis
D.Lgs.22/97 il legislatore sembrerebbe convinto di aver definito l'inquinamento
all'art. 17 comma 2 - sotto la rubrica "bonifica dei siti" , infatti ,
si punisce "Chiunque cagiona l'inquinamento di cui all'art.17 comma 2
…."- , nel comma 2 del citato art. 17 , al contrario , del termine
"inquinamento" non c'è traccia , ma c'è l'indicazione di una
condotta consistente nell'aver cagionato "il superamento dei limiti di cui
al comma 1 , lett.a) o il pericolo concreto e attuale di superamento dei
medesimi " ; nel D.M 471/99 < quello in cui tali limiti sono stati
definiti >, invece , è presente la definizione di “sito inquinato”
accanto a quella di “sito potenzialmente inquinato” . All’infelice
interprete la scelta di quale dei due riferimenti normativi far prevalere , con
la sottolineatura che se , come imporrebbero le regole dell’ermeneutica , si
supponesse di dover fare riferimento alla definizione di sito inquinato di cui
alla lett.b) dell’art. 2 del D.M. 471/99 escluderemmo dall’operatività
della norma tutte le ipotesi di pericolo concreto di inquinamento del sito . In
altri termini la causa di non punibilità favorirebbe gli autori dei reati più
gravi < di quelli , cioè , che hanno già provocato la compromissione delle
risorse protette > a scapito degli autori di condotte che sono ancora alla
fase della messa in pericolo , sia pure concreto , della risorsa e pertanto sono
da considerarsi oggettivamente meno gravi e , dal punto di vista del ripristino
, probabilmente più facilmente e a minor costo recuperabili. Il costo
dell’interpretazione più corretta , in termini di logica e coerenza interna
del sistema , è altissimo ed è
conseguenza esclusiva della consueta sciatteria [5]
nella redazione delle norme che contraddistingue , ormai da troppo tempo , il
nostro legislatore . Se invece utilizziamo come riferimento normativo il
D.Lgs.152/99 [6]
, allora scopriamo che lì , ove all’art. 58 si disciplina oltre al danno
ambientale anche la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati
“secondo il procedimento di cui all’art. 17 del D.Lgs. 22/97 ” - e quindi
anche secondo il disposto del comma 13 bis , è rinvenibile una definizione di
inquinamento < lett. z) dell’art. 2 >
che , tuttavia , prescinde totalmente dai parametri e dai limiti
di cui al D.M.471/99 [7]per
agganciarsi , invece , genericamente , a conseguenze "tali da mettere in
pericolo la salute umana , nuocere alle risorse viventi e al sistema ecologico
idrico , compromettere le attrattive o ostacolare altri usi legittimi delle
acque" . Il disagio e le perplessità , leggendo le norme , sono grandi .
L’incapacità di capire è totale . La gravità del problema è troppo
evidente per dover essere ulteriormente sottolineata.
Ma
non basta ancora , quand’anche l’interprete riuscisse a comprendere a quali
"reati connessi all'inquinamento del sito" ed a quale
"inquinamento" possa
farsi riferimento , le delimitazioni temporali alla applicabilità della causa
di non punibilità in discorso riducono ad un numero assai esiguo , per non dire
inconsistente , le ipotesi di fruizione della stessa. E valga il vero : sono
compresi nella previsione solo quei reati
direttamente connessi all’inquinamento del sito e “posti in essere
anteriormente alla data di entrata in vigore del D.Lgs.22/97”
. Cioè prima del marzo 1997 . Questa precisazione consente , anzitutto ,
di escludere che questa causa di non punibilità possa essere applicata in
relazione a fatti di inquinamento idrico che , ai sensi dell'art. 58 del
D.Lgs.152/99 abbiano “provocato
un danno alle acque , al suolo e alle altre risorse ambientali , ovvero
Sempre
a norma del comma 7 dell’art.114 , detti reati debbono anche “essere stati
accertati a seguito dell’attività
svolta su notifica dell’interessato , ai sensi dell’art.17 del medesimo
decreto legislativo” . Ma per poter usufruire della possibilità di cui
all’art. 17 comma 13 bis < cioè l’utilizzabilità delle procedure di
bonifica “ad iniziativa degli interessati” > il suddetto
“interessato” doveva poter conoscere i limiti di accettabilità di
contaminazione che , una volta superati , rendono il sito inquinato o , se non
ancora superati , a certe condizioni possono rendere il sito potenzialmente
inquinato e tali limiti sono stati resi noti solo con la pubblicazione del D.M.
471/99 del 25 ottobre , avvenuta il
15 dicembre 1999. Pertanto a tutto il 1999 non sembra potersi immaginare un
"interessato" che abbia attivato di propria iniziativa procedure di
bonifica di un sito che la legge non ha ancora provveduto a individuare come
inquinato o potenzialmente inquinato.
Ancora
, al comma 8 dell’art.114 si escludono dall’operatività della causa di non
punibilità i “reati connessi all’inquinamento del sito” commessi “a
titolo di dolo o comunque nell’ambito di attività organizzative volte a
realizzare illeciti guadagni in violazione delle norme ambientali”.
Limitiamoci
, per il momento , alla prima porzione della locuzione : reati commessi a titolo
di dolo , rectius dolosi [8]
. Con questa limitazione , il legislatore esclude dall’ambito della causa di
non punibilità la maggior parte degli , invero non molto numerosi , delitti che
, in via teorica , potrebbero rientrare tra quelli “connessi
all’inquinamento del sito”, in quanto il più delle volte puniti soltanto
nella previsione dolosa . Ma , in compenso , vi comprende , quando espressamente
puniti anche nella forma colposa , i più gravi , in termini di danni ambientali
prodotti , tra questi . Tanto per esemplificare : non potrà fruire della causa
di non punibilità l'autore di un reato di danneggiamento , ma in compenso potrà
fruirne chi è stato responsabile di un avvelenamento colposo di acque .
Ma
allora , se solo di reati colposi si tratta e , con buona probabilità , se
praticamente solo di contravvenzioni colpose si tratta e se le stesse debbono
essere state commesse prima del marzo 1997 e debbono essere state accertate solo
dopo il dicembre 1999 in quanto debbono esserlo state esclusivamente
a causa della “iniziativa dell’interessato” , quante di dette
contravvenzioni a tale data non erano ancora prescritte [9]
? Solo quelle commesse nel primo trimestre del 1997 e delle quali
l’interessato alla bonifica si sia “autodenunciato” nel primo trimestre
del 2000 . Poche , riteniamo . Pochissime .
Ed
ancora , ci interroghiamo curiosi, quanti reati non dolosi possono essere stati
commessi "nell'ambito di attività organizzative volte a realizzare
illeciti guadagni in violazione delle norme ambientali" ? Il concetto
stesso di attività organizzative finalizzate a illecito lucro presuppone una
volontà direzionata in modo
preciso che con l'imprudenza , la negligenza e l'imperizia , così come con la
violazione di norme cautelari , ci sembra abbia ben poco a che spartire. Forse
in luogo dell'alternativa tra i reati dolosi e questi particolari reati , il
legislatore avrebbe meglio dovuto prevedere , sempre che si consideri
effettivamente utile , per altro a fini meramente simbolici , il mantenimento
del riferimento anche a questi ultimi reati , le due categorie di comportamenti
collegate con una più realista "e" .
Concludendo
: una ulteriore occasione sciupata dal legislatore . Collocando questa causa di
non punibilità nella legge finanziaria si sono probabilmente affrettati i tempi
della sua approvazione e nascondendola all'interno di una così variegata
normativa si è distolta l'attenzione di coloro che , senza dubbio , qualora
fosse stata discussa palesemente, avrebbero protestato e si sarebbero opposti ,
con il favore di una opinione pubblica non perfettamente consapevole dei reali
termini della questione [10]
, all'approvazione di una nuova provvidenza a favore degli inquinatori . Ma
scrivendola così male e disciplinandola in maniera tanto bislacca , ne hanno
azzerato il potenziale incentivante alla bonifica per così dire
"spontanea" che , se fino
ad ieri era stata assai poco praticata , non lo sarà certamente
in misura maggiore dopo l'entrata in vigore dell'art.114 .
[1]
AINIS ,La
legge oscura. Come e perché
non funziona, Bari , 1997 al proposito allude a "leggi che ospitano
una o più norme 'intruse' , corpi estranei che vi restano impigliate come
insetti sulla carta moschicida e che poi rimangono invisibili al lettore che
non vi si imbatta più o meno per caso" , mentre CASSESE, Introduzione
allo studio della normazione, Riv.trim.dir.pubbl., 1992 , 324 , nota 24
, proprio con riferimento alle leggi finanziarie , le paragonava ad "un
sacco d'ossa buttate alla rinfusa"
[2]
Nel testo della norma si fa riferimento a "reati direttamente connessi
all'inquinamento del sito"
[3]
Problema non certo nuovo , si ricorda infatti la precedente previsione di
obbligo di bonifica di cui all'art. 3 , comma 32 della L.549/95 , sul quale
v. F.GIAMPIETRO, Bonifiche dei siti
contaminati : prime idee per una iniziativa legislativa , Documenti
Giustizia, 1994 ,nn.7e 8 ; sulla mancata abrogazione ex art.56
D.Lgs.22/97 di questa norma e sui conseguenti problemi di coordinamento tra
essa e l'art.17 , v. FIMIANI , Acque
, rifiuti e tutela penale , Milano , 2000 , 609.
[4]
Il comma 9 dell'art. 114 stabilisce che "per costi sopportabili di cui
al comma 6 dell'art. 17 del D.Lgs.22/97 e di cui alla lettera f) e i) del
comma 1 dell'art. 2 del D.M. 471/99 , si intendono , con riferimento ad
impianti in esercizio , quelli derivanti da una bonifica che non comportino
un arresto prolungato delle attività produttive o che comunque non siano
sproporzionati rispetto al fatturato annuo prodotto dall'impianto in
questione". Definizione , questa , che tuttavia non ci pare sia del
tutto risolutiva di ogni dubbio interpretativo .
[5]
Sul punto ci permettiamo di rinviare a VERGINE, Inquinamento
delle acque ,Dig./pen.,
Aggiornamento, IV ed., Torino , 2000 , 422 ed autori ivi citati.
[6]
"Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento
della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue
urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque
dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole"
, integrato e modificato dal D.Lgv. 258/00.
[7]
E non potrebbe essere altrimenti se si considera che la pubblicazione del
D.Lgs.152/99 ha preceduto di alcuni mesi
quella del D.M. 471/99.
[8]
Non si comprende
perché il legislatore abbia preferito l'infelice espressione " a
titolo di dolo" anziché la più corretta "dolosi". È ben
vero che talvolta , come caso dell'art. 83 c.p. , il legislatore ha fatto
ricorso all'espressione "a titolo di " - per altro con riferimento
alla colpa- , ma in quanto prevede si punisca una certa condotta delittuosa
come se fosse stata
realizzata con colpa . Ma in questo caso il legislatore voleva , e non
poteva voler altro, semplicemente escludere dalla operatività della causa
di non punibilità i reati commessi effettivamente con dolo .
[9]
Infatti per le
contravvenzioni punite con la pena detentiva il tempo di prescrizione è di
tre anni a mente del n.5 del comma 1 dell'art.
157 c.p.. Ma il tempo per prescrivere i delitti colposi che potrebbero
essere connessi direttamente all'inquinamento - fermo restando che si voglia
limitare il concetto ai soli reati in senso lato ambientali -ad esempio
quello di cui all'art. 439 , comma 1 , non è molto più lungo essendo
previsto dal n. 4 del comma 1 dell'art. 157 in cinque anni . Ad oggi dalla
data di entrata in vigore del c.d. decreto Ronchi sono già passati 4 anni .
[10]
Non sempre il
cittadino è posto in grado , da una corretta campagna informativa, di
cogliere gli aspetti fortemente positivi per le risorse tutelate dalla
normativa ambientale, rappresentati dalla proposta di una causa di non
punibilità o di una causa di estinzione o di una attenuante che siano
applicabili soltanto se eliminate le conseguenze dannose o pericolose del
reato , ripristinato lo stato dei luoghi o risarciti i danni non eliminabili
. Nessuno tra gli studiosi della materia ha dimenticato le feroci critiche
all'utilizzo dell' oblazione speciale che consentiva l'estinzione di tutte
le contravvenzioni ambientali punite con pena alternativa in assenza di
conseguenze dannose e pericolose delle stesse , sulla base dell'assunto che
, mediante il ricorso a detto provvedimento, si canonizzava il principio
"chi paga può inquinare" . Solo una volta aumentati , nel 1995 ,
in modo scriteriato i limiti delle pene pecuniarie per dette
contravvenzioni < ci permettiamo di rinviare a VERGINE, Sospensione
condizionale della pena, Dig./Pen. , vol. XIII , 1998 , 458> e reso così
poco appetibile il ricorso a detta causa di estinzione , ci si avvide che
insieme al ricorso all'oblazione erano spariti anche tutti gli interventi di
eliminazione spontanea delle conseguenze dannose o pericolose dei reati
ambientali che prima venivano realizzati
dal contravventore al fine di poter beneficiare dell'oblazione.