Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2512, del 18 maggio 2015
Urbanistica.Illegittimità demolizione d’ufficio, per abuso di lieve entità risalente alla fine degli anni ’50

Tenuto conto delle limitate entità delle difformità riscontrate, e del notevole lasso di tempo trascorso dal supposto abuso, risalente alla fine degli anni ’50 e ordinanza di demolizione del 2010, il provvedimento impugnato si appalesa illegittimo laddove non fornisce alcuna adeguata motivazione né sulle ragioni che hanno indotto l’Amministrazione a rilevare nella fattispecie una variante essenziale, né tanto meno sull’esigenza della demolizione nonostante il tempo trascorso e il conseguente affidamento ingeneratosi in capo al privato. L’ingiunzione di demolizione, in quanto atto dovuto in presenza della constatata realizzazione dell´opera edilizia senza titolo abilitativo o in totale difformità da esso, è in linea di principio sufficientemente motivata con l´affermazione dell´accertata abusività dell´opera; ma deve intendersi fatta salva l´ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell´abuso ed il protrarsi dell´inerzia dell´Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato; ipotesi questa in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all´entità ed alla tipologia dell´abuso, il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02512/2015REG.PROV.COLL.

N. 02550/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2550 del 2012, proposto da: 
Quaglio Gianluigi, Quaglio Francesco, Quaglio Daniele, Quaglio Anna, rappresentati e difesi dall'avv. Benedetto Graziosi, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, Via Cosseria N. 2; 

contro

Comune di Bologna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Maria Montuoro, Giulia Carestia, Giorgio Stella Richter, con domicilio eletto presso l’avv. Giorgio Stella Richter in Roma, Via Orti della Farnesina N.126; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - BOLOGNA: SEZIONE II n. 00059/2012, resa tra le parti, concernente demolizione edificio;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Bologna;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 febbraio 2015 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti gli avvocati Graziosi e Stella Richter;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. I signori Quaglio Gianluigi, Quaglio Francesco, Quaglio Daniele e Quaglio Anna hanno appellato, chiedendone la riforma, la sentenza di estremi indicati in epigrafe con il quale il T.a.r. per l’Emilia Romagna, sede di Bologna, ha respinto il ricorso proposto in primo grado contro l’ordine di demolizione ( n. 196743 dell’11.8.2010), intimato dal Comune di Bologna di un edificio (di cui gli appellanti sono comproprietari), sito in Bologna, via La Bastia n. 7, identificato al foglio 203, mappale 501.

2. Si è costituito il Comune di Bologna chiedendo il rigetto dell’appello.

3. Con ordinanza cautelare n. 1580 del 23 aprile 2012, la Sezione, “avuto riguardo alla risalenza dell’abuso (anteriore al 1960) e all’entità dello stesso”, ha accolto l’istanza cautelare di sospensione della sentenza appellata, ravvisandofumus boni iuris e periculum in mora.

4. All’odierna udienza di discussione l’appello è stato trattenuto in decisione.

5. L’appello merita accoglimento.

6. Il Comune di Bologna ha ravvisato nella fattispecie in esame una ipotesi di variazione essenziale rispetto al titolo edilizio, rilevando che l’edificio era stato realizzato su un diverso mappale rispetto a quello di progetto, oltre che con difformità rispetto al progetto stesso. Muovendo da tale premessa, il Comune ha ritenuto che le difformità riscontrate dessero luogo ad un abuso totale e, di conseguenza, richiamando l’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2011 e l’art. 40 l.r. n. 23 del 2004, ha ordinato la demolizione dell’edificio.

7. La qualificazione delle riscontrate difformità in termini di variante essenziale (e, dunque, di abuso totale) risulta, tuttavia, viziata da difetto di motivazione e di istruttoria.

Risulta dagli atti, invero, che la differenza tra l’edificio licenziato nel 1958 (licenza edilizia n. 13294 del 1958) e l’edificio realizzato consiste soltanto nella maggiore superficie di mq 3,194 per 2 piani (per un totale di circa mq 6,55 ) e nel fatto che il fabbricato è stato costruito in una posizione leggermente diversa da quanto indicato in linea di massima nel progetto (uno spostamento di circa 45 metri).

Il carattere lieve di tali difformità, anche in considerazione del fatto che nel progetto approvato con la licenza edilizia del 1958 mancavano quote o misure che vincolassero l’esatta localizzazione dell’edificio (essendo presenti solo indicazioni di massima), rende immotivata la qualificazione di tali difformità in termini di variante essenziale e, dunque, di abuso totale.

8. Va, peraltro, rilevato che, anche a ritenere che vincolanti le indicazioni (di massima ) contenute nel progetto approvato relative alla localizzazione dell’edificio, la fattispecie di indebita traslazione della localizzazione dell’edificio sul lotto è stata introdotta solo con l’art. 8 della legge n. 47 del 1985 (oggi trasporto nell’art. 32, lett. c) d.P.R. n. 380 del 2001), in epoca cioè ampiamente successiva rispetto alla realizzazione dell’intervento oggetto del presente giudizio.

9. A ciò deve aggiungersi il notevole lasso temporale trascorso dalla commissione del supposto abuso (risalente alla fine degli anni ’50) e l’adozione del provvedimento di demolizione (avvenuta nel 2010).

Deve, al riguardo ricordarsi come la giurisprudenza, anche quella maggiormente rigorosa nell’affermare che l´ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è sufficientemente motivata con riferimento all´oggettivo riscontro dell´abusività delle opere ed alla sicura assoggettabilità di queste al regime del permesso di costruire (non essendo necessario, in tal caso, alcun ulteriore obbligo motivazionale, come il riferimento ad eventuali ragioni di interesse pubblico), fa presente che tale obbligo motivo sussiste “nel caso di un lungo lasso di tempo trascorso dalla conoscenza della commissione dell´abuso edilizio ed il protrarsi dell´inerzia dell´amministrazione preposta alla vigilanza, tali da evidenziare la sussistenza di una posizione di legittimo affidamento del privato”.

Questo Consiglio di Stato ha, in epoca recente, condiviso tale approdo ( Consiglio di Stato sez. V 15/07/2013 n. 3847) affermando che “l’ingiunzione di demolizione, in quanto atto dovuto in presenza della constatata realizzazione dell´opera edilizia senza titolo abilitativo o in totale difformità da esso, è in linea di principio sufficientemente motivata con l´affermazione dell´accertata abusività dell´opera; ma deve intendersi fatta salva l´ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell´abuso ed il protrarsi dell´inerzia dell´Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato; ipotesi questa in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all´entità ed alla tipologia dell´abuso, il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato”

Alla luce di tale orientamento, tenuto conto della limitate entità delle difformità riscontrate e del notevole lasso di tempo trascorso dal supposto abuso, il provvedimento impugnato si appalesa illegittimo laddove non fornisce alcuna adeguata motivazione né sulle ragioni che hanno indotto l’Amministrazione a rilevare nella fattispecie una variante essenziale, né tanto meno sull’esigenza della demolizione nonostante il tempo trascorso e il conseguente affidamento ingeneratosi in capo al privato.

10. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello deve, pertanto, essere accolto.

Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in complessivi € 6.000, oltre agli accessori di legge.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado, annullando il provvedimento impugnato.

Condanna il Comune di Bologna al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio che liquida in complessivi € 6.000, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore

Claudio Contessa, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/05/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)