La tariffa di conferimento dei rifiuti diminuisce in caso di variazioni ISTAT negative secondo il principio di copertura dei costi efficienti
di Luca VERGINE

Si segnala di particolare interesse la sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, del 23.04.24 n.3696 in materia di revisione tariffaria secondo l’indice ISTAT generale dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali.

Il caso ha ad oggetto l’impugnazione delle determinazioni dell’Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio di gestione dei Rifiuti (AGER PUGLIA) di aggiornamento ISTAT della tariffa di conferimento degli RSU (Rifiuti Solidi Urbani), in relazione alle variazioni dello stesso indice dal 2009 al 2017. Avverso tali provvedimenti ha proposto ricorso la società concessionaria dell’impianto pubblico per la selezione e linea di biostabilizzazione per rifiuti solidi urbani che aveva visto applicato l’ISTAT negativo per gli anni 2014 e 2015 con conseguente diminuzione tariffaria.

Con l’appello alla sentenza n.480/2021 del TAR Puglia – sez. di Lecce – che ha deciso favorevolmente per AGER, la società ha prospettato quale motivo di impugnazione la questione della compatibilità del principio comunitario di copertura dei costi “FULL RECOVERY COST”, di cui all’art. 15 del D.Lgs n.36/2006, con la clausola contrattuale di revisione ISTAT del canone di concessione che, in periodi di particolare crisi economica potrebbe avere indice negativo (nella specie, tale condizioni si sono verificate nelle annualità del 2015 e del 2016); il principale motivo di impugnazione, quindi, è fondato sul presupposto che determinare la tariffa decrementata dei costi di gestione, secondo l’indice ISTAT negativo, non assicura la copertura dei costi con inevitabile effetti sulla qualità ed efficienza del servizio.

Il Consiglio di Stato, nel respingere la tesi della società, dichiara come l’aggiornamento tariffario secondo l’indice ISTAT non è contrario al rispetto del la copertura dei costi.

La decisione dei giudici amministrativi muove dalla considerazione che il meccanismo di revisione tariffaria non deve giungere ad un livello del servizio di gestione dei rifiuti con standard quantitativi e qualitativi peggiorativi rispetto all’originario equilibrio economico finanziario fissato dall’offerta economica di aggiudicazione della gara di gestione dell’impianto.

Anzi, secondo precedenti approdi giurisprudenziali (in particolare, il TAR Lazio – sez. Roma -, sez. I quater, del 07.02.2020 n.1701) il meccanismo di aggiornamento tariffario all’indice ISTAT deve avvenire rispettando precise condizioni: “ Ad ogni aggiornamento, quindi, deve tenersi conto della tariffa originaria e verificare se il suo importo è adeguato rispetto ai prezzi medi dei prodotti industriali, ovvero se si discosta da essi: solamente in questo secondo caso, la tariffa va sottoposta a revisione. Non rilevano, invece, i precedenti adeguamenti tariffari, in quanto altrimenti il gestore potrebbe beneficiare di un aumento costante e continuo della tariffa, non necessariamente rispondente all’andamento dei prezzi e, quindi, dei costi”.

Tale regola persegue un interesse comune al concessionario del servizio ed all’amministrazione concedente; quanto al primo, non può vedere ridursi il margine di remunerazione di gestione dell’impianto pubblico, quanto al secondo, non potrà riconoscere somme maggiori di quelle che assicurano il corretto aggiornamento della tariffa e l’equilibrio contrattuale. L’applicazione corretta di siffatto principio nella procedura di revisione impone che la tariffa di erogazione del servizio non debba avere un adeguamento maggiore rispetto all’andamento dell’indice dei prezzi dei prodotti di produzione industriale; né che possa risultare senza motivo peggiorativa della tariffa originaria.

Il metodo tariffario di aggiornamento, quindi, deve essere di ”… “tipo incentivante”, dove i ricavi ottenibili dall’impresa regolata non sono direttamente collegati ai costi sostenuti da quest’ultima” (così, Cons. di Stato, sez. VI, 14.05.2021, n.3809).

In altri termini non è consentito che si verifichino delle forme di depauperamento della prestazione patrimoniale garantita per la corretta esecuzione del servizio, in danno del concessionario, sia delle forme di arricchimento ingiustificato del patrimonio del medesimo, oltre il regolare margine di utile, eccedendo l’aggiornamento della controprestazione.

L’indirizzo giurisprudenziale innanzi descritto è conforme al precedente pronunciamento del Consiglio di Stato, sez. IV, 25.01.2021 n..750, nella quale era stato chiarito con riferimento alla legittimità delle determinazioni tariffarie di AGER Puglia in analogo contenzioso , che:“…è proprio il diritto dell’Unione Europea (art. 15 della direttiva 2006/12/CE, siccome interpretata da Corte di giustizi UE, 16 luglio 2009, C- 254/08, e art.15 della direttiva 2008/98/CE siccome interpretata dalla medesima Corte, 18 dicembre 2014, C- 551/13) a stabilire che “in assenza di disposizioni del diritto dell’Unione che impongano agli Stati membri un metodo preciso quanto al finanziamento del costo della gestione dei rifiuti, detto finanziamento può, a scelta dello Stato membro interessato, essere indifferentemente assicurato mediante una tassa, un canone o qualsiasi altra modalità e che una normativa nazionale la quale preveda, ai fini del finanziamento della gestione di un tale sistema, ad esempio, una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non al quantitativo di rifiuti effettivamente prodotto e conferito”. Una determinazione incentrata su tali criteri, quindi, non potrebbe essere considerata contrastante con il diritto dell’Unione Europea, né con il diritto nazionale, che dal primo mutua il proprio assetto normativo. Ciò che giova maggiormente precisare, però, è che dai considerando 55 e segg. della prima decisione citata, e 47 e 48 della seconda sentenza richiamata, emerge che le autorità nazionali competenti in materia dispongono di un ampio margine di discrezionalità per la determinazione delle modalità di calcolo della tassa sulla raccolta dei rifiuti, con l’unico limite che “la tassa così stabilita non deve eccedere quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito.”.

In conformità al citato indirizzo, anche la sentenza del Consiglio di Stato, in commento, secondo cui risponde al principio della copertura dei costi, l’adeguamento della tariffa anche con ISTAT negativo. In tal caso, infatti, è rispettato il concetto di remunerazione della tariffa secondo l’obbligo di copertura dei costi efficienti; in particolare, “…la finalità incentivante della tariffa incontra un limite non valicabile nel principio delfull cost recovery e, dunque, nell'obbligo del regolatore di garantire comunque agli operatori la copertura dei costi efficienti”.

Le motivazioni del Consiglio di Stato presuppongono che l’applicazione di un indice negativo, essendo essenzialmente legata alla riduzione dei costi di produzione rilevata dall’indice stesso, si rivela neutra rispetto al perseguimento dell’obiettivo della piena copertura economica del servizio.

Infatti, è posto in evidenza come “Applicando tali principi al caso in esame, reputa la Sezione che non appare irragionevole l’applicazione, ai fini della determinazione della tariffa, dell’indice ISTAT dei costi di produzione negativo, in quanto si tratta di un indice agganciato alle condizioni di mercato e quindi coerente con i postulati teorici di fondo del nuovo modello regolatorio, come sopra delineato. Come puntualmente osservato dal giudice di primo grado, il meccanismo di aggiornamento della tariffa costituisce il principale presidio per assicurare in corso di rapporto il rispetto del già evocato principio di copertura dei costi e non anche la remuneratività in sé del servizio per il concessionario.

In tale prospettiva, l’applicazione di un indice negativo, infatti, essendo essenzialmente legata alla riduzione dei costi di produzione rilevata dall’indice stesso, si rivela neutra rispetto al perseguimento dell’obiettivo della piena copertura economica del servizio. Diversamente opinando e lasciando inalterata la tariffa in presenza di variazioni si consentirebbe al concessionario di incassare maggiori somme, non giustificate dall’andamento dei prezzi, realizzando una ingiustificata locupletazione”.

In conclusione, si può affermare che se per un verso la revisione tariffaria secondo l’indice negativo è coerente con il principio della copertura dei costi efficienti, per altro verso la tariffa non adeguata all’indice istat negativo, genera, sul piano patrimoniale, un arricchimento ingiustificato.

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Pubblicato il 23/04/2024

N. 03696/2024REG.PROV.COLL.

N. 05315/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5315 del 2021, proposto da S.R.L. Progetto Ambiente Bacino Lecce Tre, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Quinto, Pietro Quinto, con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia;

contro

Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio di Gestione dei Rifiuti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Luca Vergine, con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia;

nei confronti

Comune di Ugento, non costituito in giudizio;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Terza) n. 00480/2021..


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio di Gestione dei Rifiuti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2024 il Cons. Luigi Furno e uditi per le parti gli avvocati e viste le conclusioni delle parti come da verbale.


FATTO

1.Con ricorso di primo grado Progetto Ambiente Bacino Lecce Tre S.r.l., gestrice in concessione del Centro di selezione e linea di biostabilizzazione per rifiuti solidi urbani con discarica di soccorso sito in Ugento (bacino di utenza Lecce/3), ha domandato l’annullamento, previa sospensione, del decreto n. 38 del 12 maggio 2017 del Commissario ad acta dell’Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il servizio di gestione dei rifiuti che ha concluso il procedimento di revisione ISTAT della tariffa di conferimento R.S.U. presso l'impianto pubblico gestito dalla ricorrente per l'anno 2017 stabilendo la tariffa di €/t 58,19 (calcolando la decorrenza dell’adeguamento tariffario a partire dal novembre 2009 ed applicando l’indice generale dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali come variato dal 2009 al 2017).

1.1 A sostegno della domanda proposta con ricorso ha dedotto le seguenti censure:

1) violazione dell’accordo sottoscritto tra le parti in data 30/6/2014;

2) violazione e falsa applicazione delle regole sulla revisione prezzi, eccesso di potere per erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, sviamento, difetto di motivazione, contraddittorietà.

2. Con atto per motivi aggiunti la Progetto Ambiente Bacino Lecce Tre S.r.l. ha successivamente impugnato il decreto n. 40 del 14 maggio 2019 del Commissario ad acta dell’Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il servizio di gestione dei rifiuti nella parte in cui lo stesso ha confermato, per gli anni 2018 e 2019, le tariffe di cui al precedente decreto n. 38 del 12 maggio 2017 (impugnato con il ricorso introduttivo), nonché i decreti n. 38 del 12 maggio 2017 e n. 40 del 14 maggio 2019 nella parte in cui hanno fatto applicazione di un indice ISTAT negativo.

2.1 A sostegno della domanda di annullamento proposta con i predetti motivi aggiunti ha dedotto i seguenti motivi:

1) violazione dell’accordo sottoscritto tra le parti in data 30/6/2014;

2) violazione e falsa applicazione delle regole sulla revisione prezzi, eccesso di potere per erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, sviamento, difetto di motivazione, contraddittorietà.

3. Con sentenza 31 marzo 2021, n. 480, il T.a.r Lecce ha respinto il ricorso, integrato da motivi aggiunti proposti in corso di causa. In particolare, per quanto di rilievo nel presente giudizio di appello, il T.a.r. ha ritenuto irricevibile, e comunque infondata, la censura proposta da Progetto Ambiente avverso la decisione di Ager di applicare l’indice istat negativo in occasione della revisione tariffaria.

4. Progetto Ambiente Bacino Lecce Tre S.r.l ha proposto appello con un uncico motivo riportato nella parte in diritto.

5. Si è costituita in giudizio l’Agenzia Territoriale della Regione Puglia chiedendo di dichiarare l’appello infondato.

6. La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica dell’11 gennaio 2024.

DIRITTO

1. L’appello non è fondato.

2. L’appellante con un unico motivo di appello deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella sola parte in cui ha dichiarato irricevibile, e comunque infondata, la censura proposta da Progetto Ambiente avverso la decisione di Ager di applicare l’indice Istat negativo in occasione della revisione tariffaria.

In particolare, la parte appellante assume che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, la misura della revisione Istat è questione che attiene a diritti soggettivi, come tali tutelabili entro l’ordinario termine di prescrizione.

A sostegno dell’assunto la parte appellante rileva:

- che negli appalti pubblici di servizi e nelle pubbliche forniture, a differenza degli appalti di lavori pubblici, la pretesa ai compensi revisionali, siccome scaturente da una clausola che si inserisce automaticamente nei relativi contratti, ha sempre consistenza di diritto soggettivo perfetto come tale soggetta al solo termine di prescrizione;

- tale pretesa è azionabile davanti al giudice amministrativo in virtù della riserva di giurisdizione esclusiva in materia di revisione prezzi prevista dall’art. 133, comma 1, lett. e), punto 2), cpa (cfr, sentenza Consigli di Stato, sez. V, n. 2729/2014, resa in una fattispecie identica a quella per cui è causa).

L’errore commesso dal T.a.r consisterebbe, nella prospettiva in esame, nell’aver obliterato la distinzione tra an e quantum della revisione.

Solo con riferimento al primo profilo (an della revisione), si assume, la giurisprudenza ha riconosciuto una posizione di interesse legittimo dell’operatore, quindi da far valere nel termine decadenziale, mentre in relazione al secondo (quantum della revisione) la posizione dell’appaltatore è di diritto soggettivo, soggetta al termine di prescrizione.

Quanto alla decisione di Ager di applicare l’indice Istat negativo in occasione della revisione tariffaria, assume la parte appellante che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, la riduzione dei costi della produzione non determinerebbe un minor costo per l’impresa che opera nei settori - come è quello di gestione di impianti di rifiuti - in cui le principali componenti di costo sono rappresentate dalla quota di ammortamento dell’investimento e dal costo del lavoro.

A tal riguardo sarebbe sufficiente considerare che il costo del lavoro (come testimoniato dai vari CCNL di categoria) non ha mai registrato un decremento a partire dal secondo dopoguerra pur a fronte di alcune annualità in cui si sono verificate spinte deflattive.

Di qui l’errore in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel ritenere applicabile in via automatica una variazione negativa dell’indice Istat, senza neppure indagare e verificare se la stessa corrisponda ad un effettivo decremento dei costi della produzione.

Così facendo il primo giudice avrebbe violato il principio del full recovery cost, poiché ai fini dell’adeguamento della tariffa sarebbero stati utilizzati criteri non rappresentativi degli effettivi costi subiti dal gestore.

La corretta applicazione del principio del full recovery cost imporrebbe di aggiornare la tariffa in modo da consentire al gestore il recupero integrale dei costi.

In questa prospettiva, l’Ager prima ed il T.a.r. dopo avrebbero disatteso il predetto principio, perché hanno ritenuto applicabile l’indice Istat negativo senza verificare se vi fosse corrispondenza con una effettiva riduzione dei costi della produzione.

Né, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, tale conclusione necessiterebbe di essere suffragata sul piano probatorio.

Questo perché l’inadeguatezza di quel criterio di adeguamento emergerebbe dal semplice raffronto con i due principali costi della produzione (costo del lavoro e quota di ammortamento), che negli anni considerati non hanno subito alcun decremento (circostanza che rappresenta un fatto notorio e che non necessità di ulteriore dimostrazione

3. Il motivo complessivamente articolato non è fondato.

In via preliminare la Sezione rileva che, secondo un consolidato orientamento del Consiglio di Stato, le posizioni giuridiche fatte valere in giudizio nelle controversie che attengono pretese per compensi revisionali, sono diversamente ricostruite a seconda che la pretesa stessa concerna l’an ovvero il quantum del compenso revisionale.

Il Consiglio di Stato ha chiarito, a tal proposito, che la domanda giudiziale avente ad oggetto la revisione prezzi di un contratto di appalto deve essere definita, sul piano processuale, secondo un’indagine di tipo bifasico, volta dapprima all’accertamento dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale – aspetto per il quale è consentito il giudizio impugnatorio riferito all’atto autoritativo della P.A. e al suo surrogato costituito dal silenzio rifiuto – e, solo in un momento successivo, alla verifica del quantum debeatur, secondo meccanismi propri della tutela delle posizioni di diritto soggettivo.

Di conseguenza, la posizione di quest’ultimo si articola nella titolarità di un interesse legittimo con riferimento all'an della pretesa ed eventualmente in una situazione di diritto soggettivo solo con riguardo a questioni involgenti l'entità della pretesa, una volta risolto in senso positivo il riconoscimento della spettanza del compenso revisionale (ex multis Cons. Stato, sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4207; sez. V, 24 gennaio 2013, n. 465; sez. V, 3 agosto 2012, n. 4444; Corte di Cassazione, SS.UU., 30 ottobre 2014, n. 23067; 15 marzo 2011, n. 6016; 12 gennaio 2011, n. 511; 12 luglio 2010, n. 16285).

Nelle materie rientranti nell’ambito della giurisdizione esclusiva, questo Consiglio ha già avuto modo di affermare che la distinzione relativa alle modalità temporali di proposizione delle azioni dipendenti dalla presenza di diritti e interessi derivi dalla natura della domanda proposta. In particolare, «se in presenza di diritti soggettivi, l’azionabilità della pretesa è presidiata dal rispetto del termine prescrizionale per essi previsto, laddove – diversamen-te – venga in considerazione la contestata legittimità di un atto amministrativo (non espressione di condizione di pariteticità), allora la relativa impugnazione dovrà, ne-cessariamente, rispettare l’ordinario termine di decadenza, fissato in sessanta giorni» (Cons. Stato, sez. II, 28 dicembre 2020, n. 8374).

Più recentemente, analoghi principi sono stati confermati dalla Sezione nella sentenza 3 agosto 2023, n. 7503.

Nel caso in esame la domanda proposta attiene ad un diritto soggettivo e, pertanto, non opera il termine di decadenza di sessata giorni.

Sotto il profilo appena esaminato, merita pertanto condivisione la prima parte dell’appello che assume la ricevibilità della pretesa fatta valere nel termine di prescrizione e non di decadenza.

3.1. Nondimeno, la sentenza impugnata, dopo aver dichiarato irricevibile l’impugnazione formulata nel termine di prescrizione, ha comunque esaminato anche il merito della domanda fatta valere in giudizio, ritenendola infondata.

Tale conclusione merita di essere confermata.

In termini generali, va rilevato che la determinazione delle modalità di copertura dei costi di produzione dei pubblici servizi costituisce uno degli aspetti di maggiore impatto sul piano della garanzia degli equilibri gestionali dell'impresa erogatrice. Se, infatti, non viene remunerata adeguatamente la funzione svolta dall'unità economica, il servizio non è in grado di offrire alcuna garanzia di continuità e di sviluppo nel tempo.

A tal riguardo, il Consiglio di Stato ha condivisibilmente avuto modo di chiarire che l'evoluzione normativa dei servizi di interesse economico generale è il portato del radicale ripensamento — teorico, prima ancora che giuridico — delle modalità di regolamentazione delle imprese operanti in mercati caratterizzati da limiti alla concorrenza. Si tratta del passaggio da un modello regolatorio che garantiva all'impresa regolata la copertura dei costi effettivamente sostenuti (il cui fallimento è stato comprovato dall'evidenza empirica degli elevati livelli di inefficienza produttiva delle attività remunerate tramite meccanismi di regolamentazione c.d. «cost of service»), ad una forma di regolamentazione, di tipo «incentivante», dove i ricavi ottenibili dall'impresa regolata non sono direttamente collegati ai costi sostenuti da quest’ultima.

La regolamentazione incentivante ha assunto due principali forme: la prima è quella che fissa il livello dei prezzi (o dei ricavi) consentiti all'impresa regolata in relazione a quelli determinatisi nel periodo precedente, con la previsione di un correttivo in funzione dei possibili guadagni di efficienza che si prevede l'impresa regolata possa ottenere (c.d. price cap); la seconda lega invece il livello dei prezzi (o dei ricavi) dell'impresa regolata ad una qualche misura standard dei costi.

Nel previgente quadro regolatorio, in cui operava il c.d. «metodo normalizzato», il riconoscimento dei costi di capitale, oltre che i costi per il capitale di debito e gli oneri fiscali, avveniva in modo forfetario, indipendentemente dalle condizioni di mercato e dunque dall'effettivo costo sopportato dai prestatori di capitale, attraverso la componente tariffaria «remunerazione» (Consiglio di Stato, Sez. VI, 14 maggio 2021, n. 3809).

Ne discende che la finalità incentivante della tariffa incontra un limite non valicabile nel principio del full cost recovery e, dunque, nell'obbligo del regolatore di garantire comunque agli operatori la copertura dei costi efficienti.

Applicando tali principi al caso in esame, reputa la Sezione che non appare irragionevole l’applicazione, ai fini della determinazione della tariffa, dell’indice ISTAT dei costi di produzione negativo, in quanto si tratta di un indice agganciato alle condizioni di mercato e quindi coerente con i postulati teorici di fondo del nuovo modello regolatorio, come sopra delineato.

Come puntualmente osservato dal giudice di primo grado, il meccanismo di aggiornamento della tariffa costituisce il principale presidio per assicurare in corso di rapporto il rispetto del già evocato principio di copertura dei costi e non anche la remuneratività in sé del servizio per il concessionario.

In tale prospettiva, l’applicazione di un indice negativo, infatti, essendo essenzialmente legata alla riduzione dei costi di produzione rilevata dall’indice stesso, si rivela neutra rispetto al perseguimento dell’obiettivo della piena copertura economica del servizio. Diversamente opinando e lasciando inalterata la tariffa in presenza di variazioni si consentirebbe al concessionario di incassare maggiori somme, non giustificate dall’andamento dei prezzi, realizzando una ingiustificata locupletazione.

Del resto, sotto altro profilo, è lo stesso diritto UE a riconoscere un ampio margine di discrezionalità per la determinazione delle modalità di calcolo della tassa sulla raccolta dei rifiuti (e, quindi, degli accorgimenti quale l’aggiornamento ISTAT congegnati per assicurare il rispetto del c.d. “full cost recovery”), con l’unico limite che “la tassa così stabilita non deve eccedere quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito” (così Consiglio di Stato, Sez. IV, 25/01/2021 n.750).

Per le ragioni esposte l’appello deve essere rigettato.

5. In ragione della parziale novità delle questioni sottese al gravame in esame, il Collegio ravvisa eccezionali ragioni, ex artt. 26 comma 1, c.p.a, e 92, c.p.c, per compensare integralmente le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto:

a) rigetta l’appello;

b) dichiara integralmente compensate tra tutte le parti costituite le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Lopilato, Presidente FF

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Michele Conforti, Consigliere

Luigi Furno, Consigliere, Estensore

Ofelia Fratamico, Consigliere