Definizione, criteri, finalità e limiti dell’operazione di miscelazione

di Mauro SANNA

pubblicato su unaltroambiente.it. Si ringraziano Autore ed Editore

Nonostante che l’art. 6 comma 1, lett. b), del D.Lgs. 5.2.1997 n 22 definisse come “produttore” sia la persona la cui attività produceva i rifiuti che quella che effettuava operazioni di miscuglio o altre operazioni che mutavano la natura o la composizione dei rifiuti, definizione ripresa poi dall’art. 183, comma 1, lett. f), del D.Lgs. 152/06, la miscelazione per molti anni, dopo il 1997, a meno che non si trattasse di miscelazioni ammissibili solo in deroga al divieto previsto dal comma 1 dell’articolo 187 del d.lgs.152/06, non è stata considerata una operazione di trattamento rifiuti che come tale doveva essere assoggettata ad autorizzazione.

Solo molto più tardi, almeno da una parte minoritaria delle amministrazioni competenti, la miscelazione, è stata assoggettata a specifica autorizzazione, come tutte le altre operazioni di gestione dei rifiuti previste dall’allegato B o dall’allegato C del D.Lgs. 152/06, a seconda che fosse finalizzata allo smaltimento o al recupero.

Tale differente comportamento da parte delle varie amministrazioni italiane ha prodotto varie discussioni che hanno portato alla fine a mettere in dubbio che la miscelazione dovesse essere assoggettata ad autorizzazione.

Tale situazione infatti determinò infine la decisione di modificare l’art. 187 del D.Lgs. 152/2006, integrandolo, con la L. 221/2015 art. 49 comma 1 (Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali), con il comma 3-bis.

Tale modifica prevedeva appunto che: ”Le miscelazioni non vietate in base al presente articolo non sono sottoposte ad autorizzazione e, anche se effettuate da enti o imprese autorizzati ai sensi degli artt. 208, 209 e 211, non possono essere sottoposte a prescrizioni o limitazioni diverse od ulteriori rispetto a quelle previste per legge”.

Tale integrazione della disciplina della miscelazione fu impugnata di fronte alla Corte Costituzionale dalla Regione Lombardia che lamentava la violazione «degli articoli 11 e 117, comma 1, della Costituzione, in relazione alla Direttiva 2008/98/CE, e dell’art. 117, commi 2 e 3 della Costituzione».

Con questa norma, infatti sarebbe stata sottratta all’autorizzazione «e alle prescrizioni ad essa connesse» la miscelazione di rifiuti con uguali caratteristiche di pericolosità e quella fra rifiuti non pericolosi, operazione che invece era assoggettata ad autorizzazione dall’art. 23, paragrafo 1, della direttiva n. 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti.

La direttiva n. 2008/98/CE all’art. 23 infatti, disponeva: «[g]li Stati membri impongono a qualsiasi ente o impresa che intende effettuare il trattamento dei rifiuti di ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente. Autorizzazioni che precisano almeno quanto segue: a) i tipi e i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati; b) per ciascun tipo di operazione autorizzata, i requisiti tecnici e di altro tipo applicabili al sito interessato; c) le misure precauzionali e di sicurezza da prendere; d) il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione; e) le operazioni di monitoraggio e di controllo che si rivelano necessarie; f) le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi ad essa successivi che si rivelano necessarie». Argomenti poi ripresi dal comma 11 dell’art. 208 del D.Lgs.152/06.

La stessa Sentenza 75/2017 della Corte costituzionale, Decisione del 21/03/2017, Depositata il 12/04/2017 e pubblicata in G. U. 19/04/2017 n. 16, evidenziava che in base all’art. 3, numero 14), della direttiva, per «trattamento» si intendono le «operazioni di recupero o smaltimento, inclusa la preparazione prima del recupero o dello smaltimento». L’art. 3, numero 15), definisce il concetto di «recupero» e rinvia all’elenco di cui all’Allegato II. L’art. 3, numero 19), a sua volta, definisce il concetto di «smaltimento» e rinvia all’elenco di cui all’Allegato I della direttiva. Questo comprende fra le «Operazioni di smaltimento», al punto D13, il «Blending or mixing prior to submission to any of the operations numbered D1 to D12», tradotto nella versione italiana come «Raggruppamento preliminare prima di una delle operazioni indicate da D1 a D12». L’Allegato II comprende fra le «Operazioni di recupero», al punto R12, una voce analoga, alla quale può essere ricondotta la miscelazione dei rifiuti.

Dalle Linee guida sull’interpretazione della direttiva n. 2008/98/CE risulta che «[l]a miscelazione dei rifiuti è una pratica comune nell’UE ed è riconosciuta come operazione di trattamento dagli Allegati I e II della Direttiva quadro sui rifiuti» (punto 5.1).

Effettivamente anche la versione francese, almeno per l’operazione di smaltimento D13 prevedeva di considerare in questa operazione la miscelazione dei rifiuti:

  • D13: Regroupement ou mélange préalablement à l’une des opérations numérotées D1 à D12;
  • R 12 | Échange de déchets en vue de les soumettre à l’une des opérations numérotées R1 à R 11.

Con la sentenza della Corte Costituzionale veniva perciò definitivamente affermata la necessità di autorizzazione per lo svolgimento delle operazioni di miscelazione dei rifiuti, tuttavia, l’accettazione di questo principio è rimasta spesso solo formale.

Infatti, in molti casi, le autorizzazioni rilasciate non sono conformi a quanto prescritto dall’art. 208 del D.Lgs.152/06, in particolare a quanto stabilito dal comma 11 di tale articolo. Nelle autorizzazioni viene infatti del tutto trascurato di definire gli elementi fondamentali da considerare in una operazione di miscelazione, argomenti sotto riportati ben esplicitati e dettagliati nella sentenza del TAR Veneto Sez. II n.235 del 17 febbraio 2021 in cui viene presa in esame la D.G.R. Veneto 07/02/2018, n. 119, contenente – Indirizzi tecnici in materia di miscelazione e gestione rifiuti.

Elementi fondamentali da considerare in una operazione di miscelazione1

  • I tipi e i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati
  • definizione dei criteri di miscelazione, con indicazione della tipologia del successivo impianto di destino e dello specifico trattamento;
  • individuazione, per ciascun gruppo di miscelazione delle tipologie di rifiuti considerati, i relativi codici CER, le eventuali altre sostanze/materiali, specificazione delle ragioni tecniche del loro utilizzo in funzione del destino del gruppo di miscelazione;
  • individuazione della potenzialità, espressa in tonnellate/giorno e in t/anno, delle operazioni di miscelazione, distinte tra recupero e smaltimento, con specificazione della aliquota di rifiuti pericolosi gestiti;
  • individuazione delle attrezzature, aree e modalità di gestione utilizzate relative ai gruppi di miscelazione, una specifica sezione del Piano di Gestione Operativa;
  • caratterizzazione delle miscele con indicazione della frequenza di caratterizzazione, dimensione dei lotti, tipi di analisi, ecc.;
  • I requisiti tecnici e di altro tipo applicabili al sito interessato per ciascun tipo di miscelazione autorizzata e metodo da utilizzare
  • possibile miscelazione solo tra rifiuti originariamente indirizzati al medesimo destino purché essa faciliti le operazioni di gestione e ne garantisca il livello minimo di prestazione previsto per ciascun rifiuto originario;
  • necessità che l’impianto di destinazione per lo smaltimento o il recupero della miscela sia autorizzato a ricevere singolarmente tutti i CER che compongono la miscela stessa;
  • inammissibilità della diluizione degli inquinanti, attraverso la miscelazione o l’accorpamento tra rifiuti o la miscelazione con altri materiali, per ridurre la concentrazione di inquinanti al di sotto delle soglie di pericolosità;
  • mantenimento per le miscele in uscita delle HP possedute da rifiuti in ingresso;
  • inammissibilità per la miscela in uscita di possedere HP nuove rispetto a quelle originariamente possedute dai rifiuti miscelati;
  • inammissibilità della miscelazione degli inquinanti che non sono oggetto di trattamento presso i successivi impianti di smaltimento o recupero al fine di ridurre la concentrazione di tali inquinanti al di sotto delle soglie previste presso i medesimi impianti;
  • . inammissibilità della miscelazione per il recupero di materia di rifiuti costituiti da frazioni merceologiche che non possono essere recuperate congiuntamente;
  • possibilità di miscelazione di rifiuti destinati allo smaltimento in discarica solo nel caso in cui le caratteristiche dei rifiuti originari, prima della miscelazione, siano ammissibili nella discarica;
  • Le misure precauzionali e di sicurezza da prendere
  • accorgimenti necessari per evitare rischi dovuti a eventuali incompatibilità delle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti gestiti;
  • verifiche da effettuare sulla compatibilità dei singoli componenti sottoposti a miscelazione,
  • accertamenti preliminari sulla compatibilità e non reattività dei singoli componenti sottoposti a miscelazione e registrati su un apposito registro di miscelazione direttamente collegabile ai dati del registro di carico e scarico;
  • Le operazioni di monitoraggio e di controllo che si rivelano necessarie
  • registrazioni obbligatorie che permettano di risalire ai lotti originari che hanno generato il rifiuto;
  • la gestione delle miscele prodotte per lotti, caratterizzati con specifiche analisi chimiche, e necessari accertamenti atti a caratterizzare i rifiuti prodotti e a garantirne il corretto avvio ai successivi impianti di destinazione;
  • definizione degli impianti e delle operazioni a cui possono essere conferite le miscele di rifiuti ottenute.

Comunque, anche se con atti non pienamente conformi a quanto stabilito dall’art. 208 del D.Lgs.152/06, per l’assenza di molte delle prescrizioni sopra dette, l’applicazione dell’autorizzazione per le operazioni di miscelazioni da parte di tutte le amministrazioni competenti progressivamente è divenuta generale sul territorio nazionale.

La regolare autorizzazione delle operazioni di miscelazione, tuttavia ancora non ha determinato una corretta applicazione della normativa sui rifiuti ma anzi, la stessa autorizzazione in determinate occasioni è divenuto uno strumento per non sottostare alla normativa stessa.

Infatti, proprio sulla base della definizione già citata prevista dall’art. 183, c. 1, lett. f), del D.Lgs. 152/06, per cui viene definito come “produttore” colui che effettua le operazioni di miscelazione dei rifiuti (nuovo produttore) generando in questo modo un nuovo rifiuto, viene a realizzarsi la possibilità che il materiale prodotto dalla miscelazione costituisca un materiale End of waste e quindi come tale non sia soggetto alla disciplina dei rifiuti.

In questo modo infatti anche la miscelazione diviene una strada percorribile per non assoggettare alla disciplina dei rifiuti quei materiali che scaturiscono da tale operazione.

Perché tale comportamento sia possibile o ammissibile per i materiali oggetto di miscelazione è necessario però verificare non solo che essi posseggano i requisiti previsti dall’art. 184-ter del D.Lgs. 152/06 per la cessazione della qualifica di rifiuto, ma anche che essi, pregiudizialmente, siano ammissibili ed autorizzabili al recupero secondo quanto previsto dalla normativa comunitaria e italiana in materia e che le autorizzazioni siano legittime.2

Per verificare la correttezza delle autorizzazioni si dovrà necessariamente considerare il periodo in cui esse sono state rilasciate e la disciplina vigente all’epoca, si dovrà perciò individuare quale sia l’autorità che la ha rilasciata e se questo sia avvenuto prima o dopo la sentenza del Consiglio di Stato del 28 febbraio 2018 n. 1229/2018.

Infatti, la suddetta sentenza aveva precluso la possibilità di rilasciare autorizzazioni per la produzione di End of waste caso per caso da parte delle autorità competenti anche quando fosse stato verificato il rispetto delle condizioni stabilite per la cessazione della qualifica di rifiuti previste dall’articolo 184-ter, comma 1, Dlgs 152/2006.

Per lo stesso motivo si dovrà anche verificare se l’autorizzazione al recupero sia avvenuta prima o dopo la sentenza della Corte di Giustizia del 28 marzo 2019, relativa alla interpretazione dell’articolo 6 della direttiva 2008/98/Ce presente nel testo precedente alla modifica apportata dalla direttiva 2018/851/Ue, sulla base della quale la cessazione della qualifica di rifiuto dipende dalla sussistenza per tale tipo di rifiuti di criteri generali stabiliti dallo Stato con un atto giuridico nazionale che fissa i criteri volti a definire quando un rifiuto cessa di essere tale.

Infatti solo se il procedimento di autorizzazione si è realizzato durante la vigenza del nuovo articolo 6 della direttiva 2008/98/Ce, modificato dalla direttiva 2018/851/Ue (con termine di recepimento fissato al 5 luglio 2020), che ha introdotto a determinate condizioni la possibilità di rilasciare le autorizzazioni per l’ottenimento dei materiali End of Waste caso per caso, tale procedimento potrà considerarsi legittimo.

Questo perché, solo la direttiva nella sua nuova formulazione, diversamente dalla precedente, consente le autorizzazioni caso per caso da parte dell’autorità competente dello stato membro comunitario.

Proprio in considerazione della possibilità del rilascio delle autorizzazioni caso per caso da parte delle diverse autorità, nel tentativo di mitigare possibili derive nei criteri presi come riferimento nelle autorizzazioni da parte delle autorità competenti, è stato previsto che esse siano precedute dal parere obbligatorio e vincolante da parte dell’ARPA competente per territorio.

Tale parere è stato perciò introdotto a seguito delle modifiche apportate dall’art. 14-bis, comma 2, legge n. 128 del 2019, integrato dall’art. 34 della Legge 29 luglio 2021, n. 108 a quanto previsto dall’art.184-ter del D.Lgs. 152/06.

Infine perché un rifiuto sia ammissibile ed autorizzabile al recupero e quindi da esso possa prodursi un materiale, End of Waste si dovrà anche verificare che per quel rifiuto non vi siano ulteriori vincoli previsti dalla normativa comunitaria e italiana in materia che ne disciplinino la possibilità di recupero.

Un caso emblematico è rappresentato dal possibile recupero dei fanghi di depurazione in agricoltura.

Infatti, gli unici fanghi ammessi per l’impiego diretto o indiretto in agricoltura sono i fanghi individuati dall’articolo 2 del D.Lgs. 99/1992, tra i quali per origine e caratteristiche non possono essere compresi i fanghi che originano dalla depurazione dei reflui industriali, fatta eccezione per quelli derivanti dalla lavorazione di alimenti vegetali o animali. 3

Perciò, per i fanghi di depurazione anche la loro miscelazione con altri materiali o prodotti quali ad esempio fertilizzanti, in quanto operazione di condizionamento resterà comunque soggetta all’art. 12 comma 4 del D.Lgs. 99/1992, che prevede:

È considerata come condizionamento anche l’operazione di miscelazione. I fanghi possono essere miscelati con altri fanghi di cui all’art. 2 e/o con altri rifiuti a matrice organica naturale o a composizione analoga a quella dei fertilizzanti disciplinati dalla legge 748/84, secondo criteri che saranno valutati in sede di procedure per il rilascio della specifica autorizzazione regionale di cui al precedente articolo 8. In caso di miscelazione è obbligatoria la procedura di cui all’art. 11 per ciascun componente la miscela.

Pertanto gli unici fanghi ammissibili alla miscelazione per pervenire al loro recupero ed ottenere dei materiali End of Waste da utilizzare in agricoltura saranno esclusivamente i fanghi individuati dall’articolo 2 del D.Lgs. 99/1992.

È evidente che le medesime considerazioni ostative valgono anche per fanghi sottoposti al compostaggio per la produzione di ammendanti compostati misti e quindi anche essi dovranno essere compresi tra quelli previsti dall’articolo 2 del D.Lgs. 99/1992 altrimenti non saranno ammissibili.4

In conclusione, tutti i tipi di fanghi diversi da quelli individuati dall’articolo 2 del D.Lgs 99/1992, non saranno perciò comunque ammissibili al recupero per un loro impiego in modo diretto o indiretto in agricoltura.


  1. Art. 208 c. 11 del D.Lgs. 152/06): 11. L’autorizzazione individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l’attuazione dei principi di cui all’articolo 178 e contiene almeno i seguenti elementi: a) i tipi ed i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati; b) per ciascun tipo di operazione autorizzata, i requisiti tecnici con particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti e alla modalità di verifica, monitoraggio e controllo della conformità dell’impianto al progetto approvato; c) le misure precauzionali e di sicurezza da adottare; d) la localizzazione dell’impianto autorizzato; e) il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione; f) le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi ad essa successivi che si rivelino necessarie; g) le garanzie finanziarie richieste, che devono essere prestate solo al momento dell’avvio effettivo dell’esercizio dell’impianto; le garanzie finanziarie per la gestione della discarica, anche per la fase successiva alla sua chiusura, dovranno essere prestate conformemente a quanto disposto dall’articolo 14 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36; h) la data di scadenza dell’autorizzazione, in conformità con quanto previsto al comma 12; i) i limiti di emissione in atmosfera per i processi di trattamento termico dei rifiuti, anche accompagnati da recupero energetico.↩︎
  2. D.Lgs. 152/06. Art- 184-ter. Cessazione della qualifica di rifiuto 1. Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto sono destinati a essere utilizzati per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;↩︎
  3. D.Lgs 99/1992 Articolo 2 Definizioni 1. Ai sensi del presente decreto, si intendono per: a) Fanghi: i residui derivanti dai processi di depurazione: 1) delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti civili come definiti dalla lettera b), art. 1-quater, legge 8 ottobre 1976, n. 670; 2) delle acque reflue provenienti da insediamenti civili e produttivi: tali fanghi devono possedere caratteristiche sostanzialmente non diverse da quelle possedute dai fanghi di cui al punto a.1.; 3) delle acque reflue provenienti esclusivamente da insediamenti produttivi, come definiti dalla legge 319/76 e successive modificazioni ed integrazioni; tali fanghi devono essere assimilabili per qualità a quelli di cui al punto a.1↩︎
  4. D.Lgs. 75/2010 L’allegato 2 Ammendanti, punto 2. Ammendanti, è aggiunto il seguente prodotto 13: Ammendante compostato con fanghi. Note: Per “fanghi” di cui alla presente colonna e alla colonna n. 3 si intendono quelli di cui al Decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 e successive modifiche e integrazioni.↩︎