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DELITTO DI “ATTIVITÀ ORGANIZZATE PER IL TRAFFICO ILLECITO DI RIFIUTI”: NUOVI CHIARIMENTI DALLA CORTE DI CASSAZIONE

di Luca RAMACCI (pubblicato su Rivista Penale 2006)

Cass. Sez. III sent.. 40827 del 10112005 (ud. 6 ottobre 2005)

Pres. De Maio Est. Fiale Ric. Carretta

Rifiuti – Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti

  1. Le condotte sanzionate dall’articolo 53bis del D.Lv. 22 del 1997 si riferiscono a qualsiasi gestione dei rifiuti (anche attraverso attività di intermediazione e commercio) che sia svolta in violazione della normativa speciale disciplinante la materia, sicché esse non posso intendersi ristrette alla definizione di gestione di cui all’articolo 6, comma primo lett. d), del D.Lgs. n, 22-1997, né limitate ai soli casi in cui l'attività venga svolta al di fuori delle prescritte autorizzazioni.

  2. Non può porsi in discussione la sussistenza dell’elemento dell’allestimento di mezzi e attività continuativamente organizzate, a fronte di una struttura organizzativa di tipo imprenditoriale, idonea ed adeguata o realizzare l'obiettivo criminoso preso di mira. Tale struttura non deve essere destinata in via esclusiva alla commissione di attività illecite

  3. Il termine “ingente” ha un chiaro significato semantico nel linguaggio comune e deve riferirsi all'attività abusiva nel suo complesso cioè al quantitativo di rifiuti complessivamente gestito attraverso la pluralità di operazioni (le quali, singolarmente considerate, potrebbero riguardare anche quantità modeste) e non può essere desunto automaticamente dalla stessa organizzazione e continuità dell’attività di gestione dei rifiuti

  4. Il reato ipotizzato è punibile a titolo di dolo specifico, in quanto la norma richiede in capo all'agente il fine di conseguire un "profitto ingiusto". Tale profitto non deve necessariamente assumere natura di ricavo patrimoniale ben potendo lo stesso essere integrato dal mero risparmio di costi o dal perseguimento di vantaggi di altra natura. Non è affatto necessario, però, ai fini della configurazione del reato, l’effettivo conseguimento di tale vantaggio

 

 

DELITTO DI “ATTIVITÀ ORGANIZZATE PER IL TRAFFICO ILLECITO DI RIFIUTI”: NUOVI CHIARMENTI DALLA CORTE DI CASSAZIONE.

 

Nato in modo estremamente travagliato, l’articolo 53bis del D.Lv. 22\971 si è rivelato, nel tempo, un formidabile strumento di contrasto delle più pericolose tra le attività illecite in tema di rifiuti.

 

Introdotto, infatti, con l’articolo 22 della Legge 23 marzo 2001, n. 93 "Disposizioni in campo ambientale"2 a fine legislatura, rappresenta il primo delitto contro l’ambiente3 all’interno di un complesso e disarticolato corpus normativo caratterizzato esclusivamente da violazioni sanzionate amministrativamente o da reati contravvenzionali.

 

Della inefficacia di tali strumenti, a fronte delle conseguenze derivanti dalle condotte illecite che riguardano questo settore, si è già detto in altre occasioni, evidenziando la inopportuna propensione del legislatore ambientale4 alla depenalizzazione e la sostanziale impunità che il ricorso alle sanzioni amministrative assicura ai contravventori meno sprovveduti5.

 

Del resto, difficoltà non minori si rinvengono nella sostanziale applicazione dei reati contravvenzionali anche per la facilità con la quale giungono a maturazione i brevi termini di prescrizione prima del compimento di tutti i gradi di giudizio6 e per l’impossibilità di applicare misure cautelari personali o utilizzare alcuni strumenti investigativi, quali le intercettazioni.

 

In tale contesto, il delitto contemplato dall’articolo 53bis del D.Lv. 22\97 rimane ancora un’eccezione nonostante si sia, da più parti, riconosciuta la necessità di incrementare il ricorso alla sanzione penale con riferimento alle violazioni ambientali.

 

Può ricordarsi, a tale proposito, quanto osservato in sede comunitaria. Illuminante appare, ad esempio, questo recente passaggio: “…La Comunità ha cominciato a legiferare in campo ambientale 25 anni fa e da allora, in questa materia, sono state emanate oltre duecento direttive. Si è tuttavia rilevato che in molti casi la normativa ambientale comunitaria subisce ancora gravi violazioni. Ciò dimostra che le sanzioni attualmente irrogate dagli Stati membri non bastano a garantire la piena osservanza del diritto comunitario. La presente proposta di direttiva della Commissione chiede agli Stati membri di istituire sanzioni penali, perché solo questo tipo di misure sembra appropriato e sufficientemente dissuasivo per assicurare un livello adeguato di osservanza della normativa ambientale”7.

 

In campo nazionale, però, un coraggioso progetto di legge (il n. 3282) presentato nella scorsa legislatura, per l’inserimento nel codice penale del titolo VI-bis riferito ai “delitti contro l’ambiente”, è rimasto lettera morta. Nell’attuale legislatura, tuttavia, un folto numero di deputati ha presentato una nuova proposta di legge8 che prevede, ancora una volta, l’introduzione di un nuovo titolo nel codice penale, relativo ai delitti contro l’ambiente, tra i quali si prevede, nell’articolo 452ter, quello di “associazione a delinquere finalizzata al crimine ambientale”, individuabile nelle condotte finalizzate non solo alla commissione di alcuni tra i più gravi delitti di nuova introduzione, ma anche di quello previsto dall’articolo 53bis in esame. Si prevede, peraltro, una modifica dell’articolo 51 c.p.p., con conseguente attribuzione della competenza investigativa per il reato associativo alle direzioni distrettuali antimafia e nuovi strumenti procedurali quali il differimento o l’omissione dell’arresto o del sequestro.

 

L’iniziativa, interessante anche per avere previsto, finalmente, una forma di responsabilità delle persone giuridiche integrando il contenuto del D.Lv. 8 giugno 2001 n. 2319, non sembra tuttavia coordinarsi con altre disposizioni normative attualmente in corso di approvazione che sembrano, ancora una volta, incentrate sul potenziamento delle sanzioni amministrative con conseguenze che, nella pratica attuazione, potrebbero rivelarsi sorprendenti10.

 

Ancora isolato nel panorama normativo ambientale, l’articolo 53bis del D.Lv. 22\97 ha mostrato subito, come si è detto, la sua utilità anche se ha reso necessaria una maggiore professionalità tra gli operatori di polizia giudiziaria (e la sostanziale esclusione delle polizie locali) per la necessità di procedere ad attività investigative complesse, spesso utilizzando mezzi, come le intercettazioni, che richiedono apparecchiature ed esperienza di cui non tutti dispongono e per l’esigenza di estendere gli accertamenti in un ambito territoriale molto vasto seguendo i percorsi, spesso tortuosi, dei rifiuti illecitamente gestiti.

 

La disposizione in esame punisce, infatti le “Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”11 che vengono poste in essere attraverso modalità complesse consistenti ad esempio, come si desume dalla casistica, nella miscelazione di più tipologie di rifiuti e la predisposizione di falsa documentazione per rendere impossibile l’individuazione della loro provenienza, la collocazione definitiva in discariche abusive anche attraverso l’intermediazione di altri soggetti, lo smaltimento occultato in attività apparentemente lecite (utilizzazione agronomica, uso come materia prima o combustibile etc.).

La struttura della disposizione, come si è osservato in dottrina12, suscita non poche perplessità che riguardano, in sintesi:

  • il riferimento al “traffico illecito di rifiuti” che, nel testo del D.Lv. 22\97, attiene a condotte del tutto diverse;

  • il riferimento, ritenuto superfluo e illogico stante la fattispecie esaminata, alla natura abusiva delle attività di gestione e alla nozione di “ingiusto profitto”;

  • il contenuto della circostanza aggravante prevista dal secondo comma e relativa ai “rifiuti ad alta radioattività” che non solo riguarda una tipologia di rifiuti espressamente sottratta alla disciplina del D.Lv. 22\97 dall’articolo 8, comma primo, lettera a) ma non appartiene neppure a classificazioni scientificamente accettate

  • L’erroneo richiamo all’articolo 33 C.P. che riguarda i delitti colposi

  • Il riferimento al “ripristino dello stato dell’ambiente”, figura altrimenti sconosciuta, il senso e la portata della quale è difficile individuare.

  • La previsione della possibilità di subordinare la sospensione condizionale della pena “ove possibile… all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente”, con conseguente difficoltà di individuazione degli adempimenti e della loro effettiva attuazione a causa della genericità dei termini utilizzati

 

Ciò nonostante, la struttura della norma, definita giustamente “rudimentale”,13 è stata sufficientemente delineata dalla dottrina consentendone un’applicazione sostanzialmente uniforme.

 

Sempre in maniera estremamente sintetica, appare dunque opportuno ricordare che si tratta di un reato comune, in quanto ascrivibile a “chiunque” ponga in essere la condotta sanzionata, per il quale si richiede il dolo specifico. E’, inoltre, un reato di pericolo presunto come si ricava dalla semplice lettura della fattispecie.

 

I requisiti della condotta14 riguardano il compimento di più operazioni e l’allestimento di mezzi e “attività continuative organizzate” tra loro strettamente correlate, posto che il legislatore utilizza la congiunzione “e” (“…con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate…”)15; l’attività di cessione, ricezione, trasporto, esportazione, importazione, o comunque gestione abusiva di rifiuti. Il quantitativo dei rifiuti illecitamente gestiti deve essere “ingente”.

 

Quanto al bene giuridico protetto, lo stesso viene individuato nella tutela della pubblica incolumità16. Richiamando l’articolo 2 del D.Lv. 22\97 - laddove si riconosce la valenza di attività di pubblico interesse alla gestione di rifiuti, da svolgersi in modo da assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e controlli efficaci – e ricordando che la tutela dell’incolumità pubblica deve essere considerata tenendo conto della nozione evolutiva del bene “ambiente”, la lesione del quale incide sulla sicurezza della vita e l’integrità della salute delle persone, si è evidenziato che la plurioffensività del reato in esame riguarda oltre che la pubblica incolumità, anche “la protezione dell’interesse ad uno svolgimento ordinato, decoroso ed efficace della pubblica amministrazione preposta ai controlli ed all’esercizio delle funzioni attinenti la programmazione e l’organizzazione della gestione dei rifiuti”17.

 

Si riscontra, invece, una diversità di opinioni con riferimento alla portata del termine “abusivamente“ utilizzato dal legislatore, a volte considerato come riferibile alle sole condotte “clandestine” o che comunque non consentano un effettivo controllo delle autorità preposte sulle attività svolte, in altre occasioni ritenuto correlato alle sole condotte al di fuori di qualsiasi autorizzazione amministrativa, in quanto si sarebbe dovuto utilizzare l’espressione “illegittimamente” per contemplare anche le attività svolte in violazione di norme amministrative18.

 

Alle opinioni della dottrina, manifestate prevalentemente prima ancora che la giurisprudenza di legittimità avesse modo di pronunciarsi sulla disposizione in esame, hanno fatto seguito alcune decisioni dei giudici di merito, gran parte delle quali inedite19.

 

Diverse pronunce della Cassazione, sebbene in numero limitato nonostante il tempo trascorso dall’introduzione nel D.Lv. 22\97 dell’articolo 53bis, hanno fornito un rilevante contributo alla corretta lettura della norma.

 

In particolare, in una prima pronuncia, si è ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame sollevata, in relazione all’art. 25 Cost., per contrasto con i principi di determinatezza e tassatività della norma nella parte in cui l’individuazione dell’ingente quantitativo di rifiuti è rimessa al giudice e non è preventivamente individuata dal legislatore, in quanto il relativo giudizio risulta condizionato, di volta in volta, dalla tipologia del rifiuto, dalla sua qualità, dalla situazione specifica del caso concreto20. Nella stessa occasione si rilevava l’ammissibilità del sequestro preventivo dell’intera azienda in presenza di indizi tali da far ritenere che “…taluno soltanto dei beni aziendali sia, proprio per la sua collocazione strumentale, in qualche modo utilizzato per la consumazione del reato di cui all’articolo 53bis D.Lv. 22\97, a nulla rilevando che l’azienda in questione svolga anche normali attività imprenditoriali” e si precisava anche che l’esistenza di un’autorizzazione al trasporto non escludeva la possibilità di un uso illegale dei mezzi autorizzati.

 

In altra pronuncia, più recente,21 la cassazione ha confermato l’esattezza dell’ipotesi maggiormente accreditata in dottrina circa il significato del termine “abusivamente” e della quale si è detto in precedenza.

 

Ricordando, infatti, come il Tribunale, nell’ordinanza impugnata, avesse ritenuto che a detto termine dovesse riconoscersi un'accezione residuale rispetto alle specifiche ipotesi contravvenzionali e che perciò, in assenza di autorizzazione o d'inosservanza delle disposizioni in essa contenute, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 51 D.Lv. 22\97, la Corte sottolineava la diversità radicale tra l’articolo 53bis e l’articolo 51 affermando che “…fra le due norme non è configurabile un rapporto di specialità, ne' le stesse sono alternative, sicché l'applicazione dell'una escluda necessariamente l'applicazione in concreto dell'altra, ma nella fattispecie concreta possono ricorrere sia gli elementi sostanziali indicati dell'una (l'allestimento di mezzi e di attività continuative organizzate) che quelli formali previsti dall'altra (mancanza di autorizzazione), dando luogo al concorso di entrambi i reati ai sensi dell'art. 81 c. 1 c. p.. In questo senso il termine "abusivamente", contenuto nell'art. 53 bis, lungi dall'avere valore "residuale" e, quindi, alternativo rispetto alla disposizione dell'art. 51, ne costituisce un esplicito richiamo in quanto si riferisce alla mancanza di autorizzazione, che determina l'illiceità della gestione organizzata e costituisce l'essenza del traffico illecito di rifiuti”.

 

Ancor più rilevante appare il contributo fornito nella medesima pronuncia in merito alla portata dell’aggettivo “ingente”, contenuto nell’articolo in esame.

 

Va detto, a tale proposito, che ad una prima lettura della norma parve opportuno il richiamo22 alla copiosa giurisprudenza in tema di stupefacenti, che pure utilizza il medesimo aggettivo, rilevando che la valutazione da parte del giudice sulla quantità dei rifiuti avrebbe dovuto fondarsi su criteri obiettivi e non soggettivi, prescindenti dal dato meramente quantitativo quali, ad esempio, la pericolosità per l’ambiente e la salute dei cittadini e ricordando anche come detta giurisprudenza in tema di stupefacenti avesse avuto modo di precisare che il temine “ingente” indica un valore molto elevato nella scala delle quantità ma non ne raggiunge i vertici, esprimibili con aggettivazioni più appropriate (“enorme”, “sproporzionato”, “spropositato” etc.)23. Altri osservavano che l’aggettivo in questione andrebbe inevitabilmente collegato al danno ambientale ipotizzabile, derivante anche dalla (potenziale) dispersione dei rifiuti nell’ecosistema e nei costi conseguenti per il ripristino ambientale24.

 

La corte, nell’occuparsi di un caso in cui il traffico illecito di rifiuti veniva posto in essere in una discarica regolarmente autorizzata, pur ammettendo che l'ingente quantità quale elemento costitutivo del reato non potesse desumersi automaticamente dalla stessa organizzazione e continuità dell'attività di gestione di rifiuti, precisava che “nel testo della norma non si rinviene alcun dato che autorizzi a relativizzare il concetto, riportandone la determinazione al rapporto tra il quantitativo di rifiuti illecitamente gestiti e l'intero quantitativo di rifiuti trattati nella discarica, per cui l'ingente quantità dev'essere accertata e valutata con riferimento al dato oggettivo della mole dei rifiuti non autorizzati abusivamente gestiti”, con la conseguenza che il rapporto tra i rifiuti lecitamente smaltiti e quelli trattati illecitamente nella discarica può essere valido semmai “…per stabilire se l'autorizzazione alla discarica sia un paravento predeterminato per un'attività ontologicamente diversa da quella autorizzata”. Si precisava, inoltre, che la presenza in alcuni pozzi piezometrici della discarica di parametri eccedenti i valori tabellari, con conseguente grave inquinamento delle acque di falda, costituisce un riscontro importante circa l'ingente quantità dei rifiuti pericolosi abusivamente smaltiti.

Quanto alle modalità esecutive del reato, la cassazione ha avuto modo di ricordare che la redazione di certificati falsi costituisce apporto causale penalmente rilevante per la consumazione del delitto di cui all'articolo 53bis D.Lv. 22\9725.

Un contributo importante della giurisprudenza viene ora fornito dalla sentenza in rassegna26 nella quale si affrontano alcuni aspetti della disposizione in esame in margine ad una vicenda che rispecchia la abituale prassi operativa dei “trafficanti” di rifiuti: il mascheramento dell’abusiva gestione attraverso altra attività apparentemente lecita, la produzione di “conglomerati cementizi” costituiti in realtà da materiali contenenti quantitativi rilevanti di IPA e metalli pesanti.

 

In tale contesto, la Corte rammenta che la fattispecie astratta dell’articolo 53bis riguarda qualsiasi gestione dei rifiuti (anche attraverso attività di intermediazione e commercio) svolta in violazione della normativa speciale disciplinante la materia e non può intendersi ristretta alla definizione di gestione di cui all’articolo 6, comma primo lett. d), del D.Lgs. n, 22\1997, né limitata ai soli casi in cui l'attività venga svolta al di fuori delle prescritte autorizzazioni rafforzando, così, quanto già evidenziato precedentemente27.

 

Non meno rilevanti appaiono le considerazioni in tema di “allestimento di mezzi e attività continuativamente organizzate”, ritenuto sussistente a fronte di una struttura organizzativa di tipo imprenditoriale, idonea ed adeguata a realizzare l'obiettivo criminoso preso di mira anche quando la struttura non sia destinata in via esclusiva alla commissione di attività illecite, cosicché il reato può configurarsi anche quando l’attività criminosa sia marginale o secondaria rispetto all’attività principale lecitamente svolta (sempreché sussistano, ovviamente, gli altri requisiti richiesti dall’articolo 53bis).

 

Un nuovo, importante, chiarimento riguarda poi la nozione di "profitto ingiusto" che, come si è detto in precedenza, aveva suscitato perplessità nei primi commentatori. Chiarisce dunque la Cassazione che il profitto non deve necessariamente consistere in un ricavo patrimoniale, potendosi ritenere integrato anche dal mero risparmio di costi o dal perseguimento di vantaggi di altra natura senza che sia necessario, ai fini della configurazione del reato, l’effettivo conseguimento di tale vantaggio e dandone un esempio concreto descrivendo la fattispecie esaminata.

 

Un ulteriore esempio dei possibili “vantaggi di altra natura” conseguibili mediante la consumazione del reato in esame, è stato fornito in altra pronuncia28, immediatamente successiva, nella quale la Corte si occupa di una vicenda nella quale gli indagati consentivano, mediante la attività illecita, un rilevante risparmio dei costi di produzione dell'azienda ove erano impiegati, rafforzando così notevolmente la loro posizione apicale nell'ambito della struttura dirigenziale della stessa, con conseguente vantaggio personale, immediato e futuro.

 

I recenti interventi della giurisprudenza di legittimità hanno dunque confermato, sembra in maniera definitiva, la sostanziale “tenuta” di una disposizione che, pur mantenendo quei difetti genetici da più parti sottolineati, continua a rappresentare l’unico valido strumento operativo di contrasto delle più pericolose attività illecite in tema di rifiuti.

 

Luca RAMACCI

 

1 Tra i diversi contributi sulla disposizione in esame v. AMENDOLA in “Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti: introdotto il primo delitto contro l’ambiente, commento alla legge 23 marzo 2001 n. 93” in Dir. Pen. e proc., 2001 pag. 708; PRATI “Il nuovo reato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti: una norma problematica” in Ambiente - Consulenza e pratica per l'impresa n. 7\2001 pag. 625 e ss.; RAMACCI “L’articolo 53bis del D.Lv. 22\97” in Rivistambiente n. 10\2003; BELTRAME “Traffico illecito di rifiuti: tra dubbi e perplessità… alla ricerca di parametri interpretativi” in Ambiente Consulenza e pratica per l'impresa n.3\2004 pag. 229; VERGINE “Sul delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti “ (in www.lexambiente.it); RAMACCI “Manuale di diritto penale dell’ambiente”, Padova 2005 parte seconda, cap. III par. 12

2 Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 79 del 4 aprile 2001.

3 Lo evidenziava AMENDOLA, op.cit.

4 Che, è il caso di ricordarlo, secondo una condivisibile opinione di VERGINE (“A proposito della L.192/04.” in www.lexambiente.it) “…non conosce vergogna”.

5 Sul punto mi permetto di richiamare quanto osservato in altro intervento (RAMACCI “ Sanzione penale o depenalizzazione, nessuna alternativa?” in Rivistambiente n. 12\2003)

6 Situazione resa ora ancor più allarmante dopo la approvazione delle nuove disposizioni antiterrorismo che non consentono al pubblico ministero, se non in minima parte, l’esecuzione delle notifiche a mezzo polizia giudiziaria.

7 Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla tutela dell'ambiente attraverso il diritto penale in GUCE del 28 gennaio 2003

8 N. 5783 “Disposizioni in materia di tutela penale dell’ambiente” depositata il 13 aprile 2005 e visibile in www.lexambiente.it

9 Giova richiamare l’attenzione sulla incompleta attuazione data dal nostro legislatore alla direttiva comunitaria in materia con la legge 29 settembre 2000 n. 300 che delegava il governo a disciplinare la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica. Il D.Lv. 23/11/2001 ha però tralasciato di considerare la responsabilità amministrativa degli enti predetti per i reati in materia di tutela dell’ambiente e del territorio (e di quelli di cui agli artt. 589 e 590 c.p. commessi in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ovvero di tutela dell’igiene e della salute sul lavoro). La parziale utilizzazione della delega da parte del governo è stata da più parti imputata alle pressioni del mondo dell’impresa. In dottrina, sull’argomento, v. SELVAGGI “ La responsabilità penale della persona giuridica: un dibattito europeo” in Cass. Pen. 1999 pag. 2778 e ss.; DI GERONIMO “Aspetti processuali del D.Lg. n. 231\2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti per fatti costituenti reato: prime riflessioni” ibid. n.4\2002 pag. 1564; PASCULLI “Questioni insolute ed eccessi di delega nel D.Lvo n. 231\01” in questa Riv. N. 9\2002 pag.739; AA.VV. “La responsabilità degli enti per i reati commessi nel loro interesse” (Atti del convegno di Roma 30 novembre – 1 dicembre 2001) in supplemento al n. 6\2003 di Cass. Pen.; MANNA “La c.d. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: il punto di vista del penalista” in Cass. Pen. 3\2003 pag. 1101; FARES, “La responsabilità dell’ente pubblico per i reati commessi nel proprio interesse” in Cass. Pen. 6\2004 pag. 2201

10 Nel disegno di legge della “finanziaria 2006” (articolo 60, comma undicesimo) è previsto, con riferimento alle sanzioni amministrative, un aumento dei minimi fino a 10 volte e dei massimi fino a 50 volte. Osserva a tale proposito ANILE (“Sanzioni amministrative e danno ambientale nel disegno di legge della finanziaria 2006” in www.lexambiente.it) che in conseguenza di tale aumento una semplice irregolarità nella tenuta dei formulari dei rifiuti potrebbe essere sanzionata con una pena di oltre 45.000 euro, mentre si potrà estinguere con oblazione di 12.500 euro (meno della metà della sanzione amministrativa citata) il reato di gestione illecita di rifiuti non pericolosi.

 

11 Appare opportuno riportare il testo dell’articolo per comodità di consultazione:

“Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni.

Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.

Alla condanna conseguono le pene accessorie di cui agli articoli 28, 30, 32 bis e 32 ter del codice penale, con la limitazione di cui all’articolo 33 del medesimo codice.

Il giudice, con la sentenza o con la decisione emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, ordina il ripristino dello stato dell’ambiente, e può subordinare ove possibile la concessione della sospensione condizionale della pena all’eliminazione del danno o del pericolo per l’ambiente.

12 Per la dettagliata analisi degli errori contenuti (attribuiti da PRATI, op. cit. alla approssimazione con la quale è stata redatta la norma) si rinvia alle osservazioni di VERGINE, op. cit. che li ha evidenziati.

13 BELTRAME, op. cit.

14 Riporto quanto evidenziato nel “Manuale di diritto penale dell’ambiente”, Padova 2005 parte seconda, cap. III par. 12 cit.

15 Circostanza confermata da Cass. Sez. III 17\1\2002, Paggi

16 V. FIMIANI “Il reato di traffico illecito di rifiuti” in Ambiente e sicurezza n. 11\2001; PRATI, op. cit.

17 BELTRAME, op. cit.

18 La prima opinione, sicuramente condivisibile, è manifestata da PRATI, op. cit. e fatta propria da BELTRAME.,op. cit. che, ricordando anche la seconda, richiama le coincidenti conclusioni della giurisprudenza di merito (GIP Milano ord. 16\12\2003).

19 Per un esempio v. “Prime applicazioni del reato di organizzazione per il traffico illecito di rifiuti” in Ambiente - Consulenza e pratica per l'impresa n. 6\2004 pag. 569 e ss. relativo a Trib. Bari Sez. riesame ord. 28/7/2003 (pubblicata unitamente al ricorso del P.M. ed alla memoria difensiva della difesa).

20 Cass. Sez. III 16\12\2003, Rosafio ed altri in Ambiente consulenza e pratica per l’impresa n. 4\2004 pag. 379 con nota di BELTRAME

21 Cass. Sez. III n. 30373 del 13\7\2004, Ostuni in Riv. Amb. e Lavoro n. 2\2005, pag. 22 e in Ambiente Consulenza e Pratica per l'impresa n. 4\2005 pag. 382 con nota di BELTRAME. La sentenza riguarda peraltro Trib. Bari Sez. riesame ord. 28/7/2003 cit.

22 Riporto qui le considerazioni svolte dapprima in RAMACCI “L’articolo 53bis del D.Lv. 22\97” cit. e, successivamente, in RAMACCI “Manuale di diritto penale dell’ambiente”, cit. la disciplina in tema di stupefacenti è richiamata anche da BELTRAME op. cit.

23 Si richiamava così, ex pl., Cass. Sez. VI n. 8637 del 24\9\1996

24 Così BELTRAME, op. cit. che con riferimento al danno ambientale richiama anche i contenuti di Cass. Sez. III n. 796 del 5\4\2002, P.M. in proc. Kiss ed altri in Ambiente Consulenza e pratica per l'impresa n. 9\2002 pag. 872, annotata dalla stessa A.

25Cass. Sez III n. 19955 del 27\5\2005, P.M. in proc. Abbaticchio in www.lexambiente.it. La Corte ha aggiunto anche che la predisposizione di certificati di analisi senza essere in possesso della strumentazione tecnica necessaria per la valutazione di determinati parametri, inseriti invece nella certificazione, costituisce valido elemento per escludere l'errore o la buona fede dell'analizzatore.

26 Cass. Sez. III sent.. 40827 del 10\11\2005, Caretta

27 In Cass. Sez. III n. 30373 del 13\7\2004, Ostuni cit. Si noterà che la sentenza in rassega richiama anche le conclusioni della “sentenza Ostuni” sulla nozione di ingente quantità

28 Cass. Sez. III sent.. 40828 del 10\11\2005 P.M. in proc. Fradella ed altri. La Corte precisa anche che “…la circostanza che la riduzione dei costi da parte dell’azienda, costituisca soltanto uno dei parametri da valutare ai fini del conferimento dei premi di produzione, non esclude affatto che detto parametro concorra a determinare l'erogazione dei citati incentivi economici, con conseguente profitto personale e patrimoniale da parte degli interessati”.

 

 

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