Decreto sicurezza, piani di emergenza per impianti di rifiuti senza sanzioni e comportamento creativo del ministero dell’ambiente

di Gianfranco AMENDOLA

PUBBLICATO SU DGA 2019, N. 2

Il 3 dicembre 2018 è entrato in vigore il decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 convertito con legge

1º dicembre 2018, n. 132 recante: « Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonchè misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata .».

Dal titolo non sembra che questo Decreto si interessi alla tutela ambientale. Tuttavia, leggendolo attentamente, ci si imbatte in un importante articolo relativo agli impianti di stoccaggio e lavorazione di rifiuti. Leggiamolo insieme.

Art. 26-bis

Piano di emergenza interno per gli impianti di stoccaggio e lavorazione dei rifiuti


1 . I gestori di impianti di stoccaggio e di lavorazione dei rifiuti, esistenti o di nuova costruzione, hanno l'obbligo di predisporre un piano di emergenza interna allo scopo di:
a) controllare e circoscrivere gli incidenti in modo da minimizzarne gli effetti e limitarne i danni per la salute umana, per l'ambiente e per i beni;
b) mettere in atto le misure necessarie per proteggere la salute umana e l'ambiente dalle conseguenze di incidenti rilevanti;
c) informare adeguatamente i lavoratori e i servizi di emergenza e le autorita' locali competenti;
d) provvedere al ripristino e al disinquinamento dell'ambiente dopo un incidente rilevante.

2 . Il piano di emergenza interna e' riesaminato, sperimentato e, se necessario, aggiornato dal gestore, previa consultazione del personale che lavora nell'impianto, ivi compreso il personale di imprese subappaltatrici a lungo termine, ad intervalli appropriati, e, comunque, non superiori a tre anni. La revisione tiene conto dei cambiamenti avvenuti nell'impianto e nei servizi di emergenza, dei progressi tecnici e delle nuove conoscenze in merito alle misure da adottare in caso di incidente rilevante.

3 . Per gli impianti esistenti, il piano di emergenza interna di cui al comma 1 e' predisposto entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

4 . Il gestore trasmette al prefetto competente per territorio tutte le informazioni utili per l'elaborazione del piano di emergenza esterna, di cui al comma 5.

5. Per gli impianti di cui ai commi precedenti, al fine di limitare gli effetti dannosi derivanti da incidenti rilevanti, il prefetto, d'intesa con le regioni e con gli enti locali interessati, predispone il piano di emergenza esterna all'impianto e ne coordina l'attuazione.

6 . Il piano di cui al comma 5 e' predisposto allo scopo di:
a) controllare e circoscrivere gli incidenti in modo da minimizzarne gli effetti e limitarne i danni per la salute umana, per l'ambiente e per i beni;
b) mettere in atto le misure necessarie per proteggere la salute umana e l'ambiente dalle conseguenze di incidenti rilevanti, in particolare mediante la cooperazione rafforzata con l'organizzazione di protezione civile negli interventi di soccorso;
c) informare adeguatamente la popolazione, i servizi di emergenza e le autorità locali competenti;
d) provvedere sulla base delle disposizioni vigenti al ripristino e al disinquinamento dell'ambiente dopo un incidente rilevante.

7. Il prefetto redige il piano di emergenza esterna entro dodici mesi dal ricevimento delle informazioni necessarie da parte del gestore, ai sensi del comma 4.

8 . Il piano di cui al comma 5 e' riesaminato, sperimentato e, se necessario, aggiornato, previa consultazione della popolazione, dal prefetto ad intervalli appropriati e, comunque, non superiori a tre anni. La revisione tiene conto dei cambiamenti avvenuti negli impianti e nei servizi di emergenza, dei progressi tecnici e delle nuove conoscenze in merito alle misure da adottare in caso di incidenti rilevanti.

9. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con il Ministro dell'interno per gli aspetti concernenti la prevenzione degli incendi, previo accordo sancito in sede di Conferenza unificata, sono stabilite le linee guida per la predisposizione del piano di emergenza esterna e per la relativa informazione alla popolazione.


10 . All'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo si provvede senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Già ad una prima lettura 1 appare evidente che il titolo dell’articolo non è del tutto appropriato. Infatti l’art. 26-bis prevede che, per gli impianti di stoccaggio e di lavorazione dei rifiuti (esistenti e nuovi) vengano redatti due piani di emergenza, uno interno, a carico del gestore, e l’altro esterno, a carico del Prefetto su informazioni del gestore.

Il contenuto di questi piani è indicato in modo molto sommario e generico.

Quello interno (comma 1) deve : << a) controllare e circoscrivere gli incidenti in modo da minimizzarne gli effetti e limitarne i danni per la salute umana, per l'ambiente e per i beni; b) mettere in atto le misure necessarie per proteggere la salute umana e l'ambiente dalle conseguenze di incidenti rilevanti; c) informare adeguatamente i lavoratori e i servizi di emergenza e le autorità locali competenti; d) provvedere al ripristino e al disinquinamento dell'ambiente dopo un incidente rilevante >>.

Quello esterno (comma 6) è speculare al primo, e deve : <<a ) controllare e circoscrivere gli incidenti in modo da minimizzarne gli effetti e limitarne i danni per la salute umana, per l'ambiente e per i beni;b) mettere in atto le misure necessarie per proteggere la salute umana e l'ambiente dalle conseguenze di incidenti rilevanti, in particolare mediante la cooperazione rafforzata con l'organizzazione di protezione civile negli interventi di soccorso; c) informare adeguatamente la popolazione, i servizi di emergenza e le autorità locali competenti; d) provvedere sulla base delle disposizioni vigenti al ripristino e al disinquinamento dell'ambiente dopo un incidente rilevante>>.

Non viene, quindi, specificato di quali incidenti si tratta, si impongono <<misure necessarie>> ma senza alcuna specificazione, la informazione deve essere <<adeguata>>, e, per entrambi i piani di emergenza, si ordina di provvedere al ripristino e al disinquinamento dell’ambiente 2 .

Era, peraltro, prevedibile che questa genericità della norma, unitamente all’uso di formulazioni comuni ad altre, diverse normative avrebbe creato confusione e dubbi in sede di prima applicazione.

In primo luogo, infatti, già la normativa di sicurezza sul lavoro (D. Lgs 81/2008) prevede che il datore di lavoro predisponga specifiche misure di emergenza per incendi nei luoghi di lavoro in cui sono impiegati più di dieci lavoratori, parlando anche esso di << piano di emergenza>>.

Più specificamente, l’art. 5 del D.M. 10 marzo 1998 (<<Gestione dell'emergenza in caso di incendio>>) dispone che, in questo caso, << all'esito della valutazione dei rischi d'incendio, il datore di lavoro adotta le necessarie misure organizzative e gestionali da attuare in caso di incendio riportandole in un piano di emergenza elaborato in conformità ai criteri di cui all'allegato VIII >>.

Trattasi, con ogni evidenza, di un piano che attiene specificamente solo a rischi e danni da incendio mentre l’art. 26-bis riguarda le misure da adottare in caso di un qualsiasi incidente (non solo da incendio). E, pertanto, appare altrettanto evidente che si tratta di due piani diversi, uno a oggetto e contenuto specifici, l’altro a oggetto e contenuto indeterminati, che, per una evidente esigenza di semplificazione e di efficacia, potevano e dovevano essere coordinati.

Avrebbe dovuto, ovviamente, pensarci il legislatore dell’art. 26-bis ma evidentemente o non se ne è accorto o aveva troppa fretta.

E così, ha tentato di farlo, dopo, il Ministero dell’Ambiente. La Direzione Generale per i rifiuti e per l’inquinamento, infatti, con circolare n. 1121 del 21 gennaio 2019, recante << Linee guida per la gestione operativa degli stoccaggi negli impianti di gestione dei rifiuti e per la prevenzione dei rischi >>, emanata << a seguito dei diffusi e frequenti episodi di incendi in impianti di trattamento di rifiuti che hanno recentemente interessato il territorio nazionale >>, evidenziava che << il piano di emergenza è già uno strumento obbligatorio per i luoghi di lavoro in cui sono impiegati più di 10 lavoratori, ai sensi dell’art. 5 D.M 10 marzo 1998 >>, e aggiungeva che <<la legge n. 132 del 2018 ne prevede la predisposizione per tutti gli impianti esistenti, ovvero l’adeguamento con il recepimento dei contenuti indicati dall’art. 26 bis, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge 1 dicembre 2018, n. 132 .>>

Si dice, cioè, che il piano di emergenza (generico) previsto dall’art. 26-bis deve essere collegato al piano di emergenza per gli incendi previsto, nell’ambito del D. Lgs 81/2008, dall’art. 5 del citato D.M., nel senso che, adesso, secondo il Ministero, la predisposizione di questo piano (per gli incendi) diventa obbligatoria per tutti gli impianti di stoccaggio e lavorazione di rifiuti, anche se i dipendenti sono meno di 10, e in questo piano (per gli incendi) devono essere recepiti (ex novo o tramite adeguamento del piano esistente) i contenuti dell’art. 26-bis.

Si noti che il citato art. 5 riguarda solo i rischi da incendio e attiene certamente alla sicurezza dei soli lavoratori 3 mentre, come abbiamo visto, l’art. 26-bis riguarda, << danni per la salute umana, per l'ambiente e per i beni>>; senza alcun riferimento espresso o esclusivo ai danni da incendio o ai soli lavoratori.

E peraltro, pur prescindendo dalla efficacia e legittimità di siffatta circolare, sarebbe logico prevedere che nel piano generale di emergenza dell’art. 26-bis debba rientrare anche il piano specifico per gli incendi; e non, come fa il Ministero, viceversa.

In secondo luogo, la semplice lettura dell’art. 26-bis evidenzia che, quanto agli <<incidenti>>, sei volte su otto, si parla di <<incidenti rilevanti>>. Il che, ovviamente, induce subito a pensare alla cd. direttiva Seveso, e quindi al D. Lgs. 26 giugno 2015, n. 105, relativo, appunto al << controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose >>, che, tuttavia, così come il D. Lgs 81/2008, non risulta mai richiamato nell’art. 26-bis. Creando dubbi circa le relazioni tra le due normative.

Il problema è stato affrontato, anche questa volta, in sede ministeriale, dopo la emanazione della legge. Il Dipartimento dei VV. FF. del Ministero dell’Interno e la Direzione generale per i rifiuti e l’inquinamento del Ministero dell’Ambiente, nella circolare congiunta n. 2730 del 13 febbraio 2019, recante << Disposizioni attuative dell’art. 26-bis, inserito dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132 – prime indicazioni per i gestori degli impianti >>, precisavano, infatti, che << le norme del d.lgs. n. 105/2015 riguardano …. ipotesi di rischio specificamente individuate essenzialmente con riferimento a parametri quantitativi di sostanze pericolose, al fine di regolare con una disciplina specifica e di particolare rigore i casi in cui i potenziali incidenti sono in grado di arrecare i danni più intensi ed estesi >>, mentre l’art. 26-bis è volto << a disciplinare ipotesi di rischio genericamente individuate, al fine di minimizzare il più possibile i pericoli per la salute umana e per l’ambiente che possono prodursi per effetto delle attività che si svolgono nei diversi impianti di gestione 4 dei rifiuti >>; concludendo, pertanto, che << le disposizioni di cui all’art. 26-bis del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 non trovano applicazione con riferimento agli impianti che ricadano nell’ambito di applicazione del d.lgs. n. 105/2015 >>.

Anzi, andavano oltre. Perché anche questa circolare governativa del febbraio 2019 (come la prima già citata) collega, in via generale, l’art. 26-bis alla normativa del D. Lgs. 81/2008 per la tutela dei lavoratori, precisando espressamente che << i gestori di impianti di stoccaggio e trattamento di rifiuti …., esistenti o di nuova costruzione, dovranno predisporre le pianificazioni di emergenza entro i termini stabiliti dall’art. 26-bis citato, secondo quanto contemplato dal D.lgs. 81/2008, e dal comma 1 dell’art. 26-bis, inserito dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, nonché fornire ogni altro elemento utile per la predisposizione del piano di emergenza esterno da parte del prefetto competente >>.

Si noti, peraltro, che questa volta il collegamento che si vuole imporre non è solo con il piano di emergenza incendi previsto nell’ambito della normativa di cui al D. Lgs 81/2008, ma con tutta la normativa a tutela dei lavoratori di cui al D. Lgs 81/2008.

In tal modo, quindi, attraverso circolari ministeriali, si sostiene che, senza alcun appiglio letterale normativo, una legge a sé, relativa genericamente alla tutela dell’ambiente da incidenti in impianti di rifiuti (la legge 132/2018) venga inserita, letta ed applicata nell’ambito di una normativa ad oggetto, termini temporali e contenuto diversi (D. Lgs. 81/2008), mai neppure richiamata indirettamente dalla legge in esame.

In questo quadro, se torniamo all’art 26-bis, appare evidente che presto si porrà un problema rilevante, che qualcuno potrebbe essere tentato di risolvere richiamando le citate circolari ministeriali.

Infatti, il 4 marzo 2019 è scaduto il termine entro cui i gestori di impianti di stoccaggio e di lavorazione di rifiuti esistenti dovevano predisporre il piano di emergenza interna e fornire al Prefetto i relativi elementi conoscitivi per la redazione del piano di emergenza esterna.

E presto si porrà, quindi, il problema di sanzionare i gestori inadempienti.

Ma la legge 132 del 2018 ha dimenticato di inserire le sanzioni per inottemperanza agli abblighi dell’art. 26-bis ed al termine temporale ivi previsto.

A questo punto, rifacendosi alle circolari governative sopra citate, qualcuno (ad esempio una Direzione Generale del Ministero dell’Ambiente) potrebbe proporre la applicazione delle sanzioni previste dal D. Lgs. 81/2008 per la inosservanza degli obblighi sulle misure di sicurezza e di emergenza ivi previste.

Ma è appena il caso di specificare che sarebbe una proposta impraticabile. Il principio costituzionale di tassatività e determinatezza della fattispecie penale di certo non può consentire che sanzioni previste da una legge per violazioni di quella legge possano essere applicate <<analogicamente>> alle violazione di altra legge avente oggetto, contenuto e termini diversi; e che non richiama mai la prima neppure indirettamente; né contiene norme in bianco. Tanto più quando si tratta di sanzionare la inosservanza di un termine temporale che non ha alcun riscontro nella legge munita di sanzioni.

E allora, l’unica soluzione è rimediare con legge o atto avente forza di legge. Non certo rifacendosi a circolari ministeriali che non possono modificare o integrare una legge. Tanto più quando ne derivano conseguenze penali.

Due osservazioni finali.

La prima riguarda la qualità dell’art. 26-bis e, in genere, della normativa ambientale di questi ultimi anni. Già un articolo bis indica, se ce ne fosse bisogno, che è stato inserito, in tutta fretta in un contesto normativo estraneo. Osservazione confermata dalla sciatteria della formulazione, dall’assenza di coordinamento con il quadro normativo esistente e dall’uso di termini ed espressioni atti ad ingenerare confusione 5 . Cui si aggiunge la dimenticanza delle sanzioni e la totale genericità della norma.

A nostro sommesso avviso, invece di fare una legge generica, sciatta ed esistente solo sulla carta in quanto vanificata dall’assenza di sanzioni, sarebbe stato e sarebbe molto meglio promuovere controlli sul territorio verso tutti gli impianti di gestione dei rifiuti, al fine di garantire la applicazione delle leggi esistenti per la tutela dell’ambiente, per la sicurezza dei luoghi di lavoro e per gli incendi.

La seconda osservazione riguarda il <<comportamento creativo >> della Direzione Generale per i rifiuti e l'inquinamento del Ministero dell'ambiente, la quale, certamente in perfetta buona fede e con i migliori propositi, insiste a volere interpretare (al posto della magistratura) una legge o, addirittura, a modificarla (al posto del Parlamento) tramite circolari e note dirigenziali regolarmente protocollate.

Come quando riteneva possibile la competenza regionale per decretare la fine-rifiuto, con <<nota>> del 1 luglio 2016, prot. n. 10045, definita dal Consiglio di Stato <<irrilevante>> 6 .

Ovvero quando, con nota prot. 1199 del 26 gennaio 2017, per eliminare i limiti imposti dalla legge per i rifiuti con <<codici a specchio>> , proponeva un <<intervento esplicativo>>, definito dalla Cassazione come << del tutto irrilevante, perché non vincolante ed espressione di una semplice opinione >> 7 .

Ovvero quando, con circolare del 10 novembre 2017, intitolata « Disciplina delle matrici materiali di riporto - chiarimenti interpretativi », in totale contrasto con la normativa comunitaria e con il buon senso, dichiarava «non contaminate» (e, quindi, oggetto della esclusione dalla disciplina sui rifiuti di cui all’art. 185, comma 1, lett. c, D. Lgs. 152/06), anche terre da scavo non allo stato naturale ma contenenti rifiuti di origine antropica con materiali artificiali di ogni tipo, dal calcestruzzo alla vetroresina 8 .

1 In dottrina, per una prima lettura, cfr. BERTUZZI- TEDALDI, I nuovi obblighi per gli impianti di stoccaggio e lavorazione di rifiuti. Analisi dell’art. 26-bis del D.L. 113/2018 e delle recenti circolari esplicative , inwww.lexambiente.it , 13 marzo 2019

2 Il che fa presumere che i piani di emergenza di cui all’art. 26-bis debbano riferirsi ad un incidente da cui sia derivato un inquinamento ambientale (e non, ad esempio, un crollo di fabbricati, la saturazione di una cisterna con sostanze pericolose, ecc.).

3 L’allegato VIII espressamente richiamato dall’art. 5 riguarda la indicazione di protezioni perticolari per i lavoratori

4 si noti che l’art. 26-bis parla di << impianti di stoccaggio e di lavorazione>> dei rifiuti mentre la circolare parla di << impianti di gestione>> dei rifiuti e cioè, di impianti per << la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento>> dei rifiuti (art. 183, comma 1, lett. n D. Lgs 152/06).

5 quando a volte si parla di <<incidenti>> e altre di <<incidenti rilevanti>>; oppure quando, ignorando le definizioni del D. Lgs 152/06, si parla di ripristino e <<disinquinamento>> (senza neppure accennare alla <<bonifica>>); oppure di impianti di <<lavorazione>> (non <<trattamento>> né <<gestione>>) dei rifiuti; dove non è dato comprendere se, ad esempio, vi rientrino anche le discariche, ecc.

6 Cons. Stato, 28 febbraio 2018, n. 1229, inwww.rivistadga.it , 3, maggio-giugno 2018. La sentenza, peraltro, aggiungeva che << al Ministero dell’Ambiente compete, più propriamente, l’esercizio del potere regolamentare in materia..>>. In dottrina, cfr.il nostro End of waste, recupero di rifiuti e Consiglio di stato. Chiariamo le responsabilità, in www.rivistadga.it , n. 3, 2018

7 Cass. pen., Sez. 3, 27 luglio 2017, n. 37460 inwww.lexambiente. it, 27 luglio 2017. In dottrina, cfr. il nostroCodici a specchio. meno male che la Cassazione c’è ! ivi, 1 agosto 2017

8 Per approfondimenti, cfr., da ultimo, il nostro Il miracolo italiano delle terre da scavo che non sono contaminate e non sono rifiuti anche se contaminate da rifiuti in www.rivistadga.it n.6, 2017