Il trattamento sanzionatorio in tema di terre e rocce da scavo alla luce delle innovazioni introdotte dal d.p.r. 120/2017 e dalla l. 68/2015: analisi dei primi orientamenti della magistratura inquirente.

di Davide CORBELLA

A seguito dell’entrata in vigore del D.P.R. 13.06.2017, n. 120 (Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell’articolo 8 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164) è stata introdotta una forma semplificata inerente alla gestione delle terre e rocce da scavo.
In particolare viene stabilito che, se le terre e rocce da scavo rispettano i requisiti di cui all’art. 4 del citato D.P.R., le stesse potranno essere qualificate quali “sottoprodotti” e non più quali “rifiuti”.
A tal fine sono previste diverse formalità, a seconda che si tratti di terre e rocce da scavo generate da cantieri di grandi dimensioni (in questo caso è previsto un piano di utilizzo soggetto ad autorizzazione da parte dell’Autorità competente), ovvero da cantieri di piccole dimensioni o da cantieri di grandi dimensioni non sottoposti a VIA e AIA (in questi casi è prevista una dichiarazione di utilizzo).
In tutti i casi è prevista, al termine delle operazioni di utilizzo, la presentazione di una “dichiarazione di avvenuto utilizzo”.
La gestione in difformità alle modalità previste, per esempio la mancata o tardiva presentazione della “dichiarazione di avvenuto utilizzo”, comporta la cessazione immediata quale “sottoprodotto” delle terre e rocce da scavo; le quali, quindi, tornano ad essere considerate “rifiuto” (art. 7 comma 3 D.P.R. 120/2017).
Di conseguenza, troverà applicazione, nei casi previsti, il procedimento estintivo previsto dagli artt. 318 bis e ss. D.Lgs 152/2006, introdotto dalla L. 68/2015, per violazione all’art. 256 comma 1 lett. a) del medesimo D.Lgs. (punita con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro).
Come è noto, l’obiettivo del procedimento estintivo è quello di consentire una definizione “agevolata” del procedimento penale per l’indagato il quale, dopo aver ottemperato integralmente e tempestivamente alle prescrizioni impartite dalla polizia giudiziaria (art. 318 ter) e dopo aver versato, in sede amministrativa, una sanzione pecuniaria pari a un quarto del massimo dell’ammenda prevista per il reato commesso, sempre impartita dalla polizia giudiziaria operante (art. 318 quater comma 2), otterrà l’estinzione del reato allo stesso ascritto (art. 318 septies).
Il legislatore ha, quindi, deciso, con tale procedura, di “premiare” il contravventore che, dapprima, ha commesso un reato contravvenzionale di natura formale e, poi, ha ottemperato alle prescrizioni, mettendo così in atto una sorta di “ravvedimento operoso”, sia pur “stimolato” dall’organo accertatore.
Così evitando al contravventore il processo e l’eventuale condanna (con tutte le conseguenze che ciò comporterebbe in tema, ad esempio, di iscrizione della stessa nel casellario giudiziario), pur colpendolo con una sanzione pecuniaria.
Così facendo il legislatore ha ottenuto un significativo sgravio dei ruoli delle udienze penali, con conseguente possibilità di concentrare le (poche) energie disponibili in ambito processuale sul fronte dei reati ambientali gravi e di sostanza.
In ordine alla specifica tematica delle terre e rocce da scavo, però, diversi operatori di polizia giudiziaria, in particolare del personale ispettivo delle Agenzie Regionali di Protezione dell’Ambiente, si sono trovati a decidere, nell’ambito dei poteri prescrittivi, se imporre o meno all’indagato l’allontanamento dal sito di quei materiali che appena prima erano considerati “terre e rocce da scavo” e che, poco dopo e solo per motivi squisitamente formali, sono divenuti “rifiuti”.
La casistica è ricca di esempi concreti: tardivo deposito della dichiarazione di avvenuto utilizzo, discrepanze tra il quantitativo indicato nella dichiarazione di utilizzo o nel piano di utilizzo e quello indicato nella dichiarazione di avvenuto utilizzo, sconfinamento di mappale per ciò che concerne il sito di utilizzo, utilizzo in epoca antecedente a quella indicata nella dichiarazione di utilizzo ecc.
Come è evidente si tratta di violazioni squisitamente formali perché, di fatto, non è mutata la natura e la composizione dei materiali; i quali, però, proprio a causa del non integrale rispetto della norma, tornano a essere qualificati come “rifiuto”.
Il tema è interessante e inedito anche perché sul punto e, in particolare, sull’obbligatorietà o sull’opportunità (o meno) di prescrivere la rimozione dei “rifiuti” dal sito di utilizzo e il loro conseguente smaltimento come tali, non vi sono, ad oggi, molte pronunce.
Nell’ambito della magistratura inquirente una significativa presa di posizione è quella del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Busto Arsizio il quale, sin dal 24.04.2018, si è espresso con la direttiva prot. n. 1060/2018.
Il Procuratore di Busto Arsizio ha ritenuto inopportuno, in linea generale e fatti salvi casi particolari da valutarsi di volta in volta, imporre, nel verbale di prescrizione, la rimozione.
Ciò sia perché si tratta di violazioni formali, sia perché si potrebbe essere già verificato l’utilizzo entro il termine di validità del piano o della dichiarazione di avvenuto utilizzo, sia perchè i “costi ambientali” derivanti dalla rimozione e dal trasporto in altro sito sarebbero maggiori di quelli derivanti dalla permanenza in loco (si pensi al solo inquinamento atmosferico causato da numerosi viaggi di camion per la movimentazione dei materiali).
Ovviamente con ciò riferendosi ai casi in cui l’omessa o tardiva presentazione della dichiarazione di avvenuta utilizzo costituisca l’unica violazione documentale commessa, senza che ricorrano ulteriori violazioni sostanziali.
Il Procuratore di Busto Arsizio ha suggerito di imporre, con il verbale di prescrizione, la presentazione della dichiarazione di avvenuto utilizzo qualora mancante, ovvero di considerare l’illecito a condotta esaurita e applicare la relativa sanzione pecuniaria in caso di comunicazione tardiva.
Anche nel caso di volumi superiori al 20% rispetto a quanto previsto nel piano di utilizzo, ovvero nella dichiarazione di avvenuto utilizzo (e in assenza di variante) i volumi eccedenti non saranno più considerabili “sottoprodotti” bensì “rifiuti”.
Andrà applicata la procedura estintiva ma, anche in questo caso, il Procuratore di Busto Arsizio suggerisce di prescrivere l’aggiornamento della dichiarazione di avvenuto utilizzo o del piano di utilizzo senza, in linea di massima, imporre la rimozione, e ciò per le medesime ragioni sopra indicate.  
Il Procuratore di Busto Arsizio esclude, poi, una generalizzata e automatica sussistenza dei delitti di falso (previsti dal Libro II Titolo VII Capo III del codice penale) allorquando si verifichino incongruenze tra i quantitativi originariamente dichiarati dal produttore nel piano di utilizzo o nella iniziale dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà e quelli dichiarati dallo stesso, successivamente, nella dichiarazione di avvenuto utilizzo.
Quanto sopra poiché talune discrepanze ben possono derivare da errori nella stima iniziale dei quantitativi, nel qual caso difetterebbe l’elemento psicologico del dolo richiesto dal delitto di falsità ideologica, trattandosi di delitto doloso.       
Pertanto, il Procuratore di Busto Arsizio indica di procedere con una comunicazione di notizia di reato per il reato ex art. 483 c.p. solo allorquando dalle indagini emerga un quadro di evidente dolosità della condotta.    
A questa linea interpretativa ha fatto eco il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lodi il quale, con la successiva direttiva prot. n. 40/19 del 03.01.2019, ha condiviso l’orientamento della Procura di Busto Arsizio con riferimento alle proposte modalità di definizione del procedimento estintivo, specificando unicamente che l’utilizzo di materiali per volumi di molto superiori al 20% (in linea di massima dal 100% in su rispetto a quelli indicati) potrebbe escludere la possibilità di ipotizzare una mera violazione formale e, quindi, di applicare il procedimento estintivo.
Anche il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rovereto, con la direttiva prot. n. 1188/2018 del 07.09.2018, ha ripercorso, in sostanza, il medesimo ragionamento del Capo della Procura della Repubblica di Busto Arsizio per ciò che concerne la perdita della qualifica di “sottoprodotto” e l’acquisizione della qualifica di “rifiuto” in capo alle terre e rocce da scavo qualora non sia stato integralmente rispettato il D.P.R. 120/2017.
Il Capo della Procura di Rovereto ha anche condiviso l’applicabilità della procedura estintiva, in caso di violazioni formali, senza imporre la rimozione dei materiali dal sito ma semplicemente prescrivendo la presentazione della denuncia (in caso di mancata presentazione), ovvero ammettendo il contravventore al pagamento della sanzione pecuniaria in caso di tardivo deposito della stessa (violazione a condotta esaurita).    
Quest’ultima direttiva introduce anche un ulteriore elemento di valutazione: dopo aver ricordato che, a fronte della violazione dell’art. 256 comma 1 lett. a) D.Lgs 152/2006 è, in generale, obbligatorio il sequestro preventivo dei mezzi di trasporto ai fini della confisca ex art. 259 comma 2 D.Lgs 152/2006, dispone che non si proceda a tale sequestro nel caso di violazioni formali in tema di terre e rocce da scavo (e come tali, di regola, rientranti tra quelle sottoponibili a procedimento estintivo) relative a omessa o tardiva comunicazione di avvenuto utilizzo.
Si può allora ragionevolmente concludere che le prime pronunce sul tema, da parte della magistratura inquirente, accolgono l’obiettivo deflattivo voluto dal legislatore: da un lato snellire le procedure formali di gestione delle terre e rocce da scavo, dall’altro snellire le relative procedure sanzionatorie.
Il tutto, però, nell’ottica di un costante e rigoroso controllo delle attività, a tutela dell’ambiente e della salute, diritti fondamentali costituzionalmente garantiti.