Procura della Repubblica di ASTI proc. 1006 3 Richiesta di archiviazione
(est. V. PAONE)
art.51 comma primo D.Lv. 22 febbraio 1997 n. 22
Legge delega ambientale - Rifiuti - Rottami ferrosi - Questione di legittimità costituzionale.
N. 1006/03 R.G. notizie di reato
Procura
della Repubblica
di
Asti
RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE
- art. 554, comma 1 c.p.p. -
Al Giudice per le indagini preliminari di Asti
Il Pubblico Ministero dott Vincenzo Paone;
Letti gli atti del procedimento penale nei confronti di XX per il reato di cui all’art. 51,1c. dlg 22 febbraio 1997 n. 22
in Costigliole d’Asti il 4/3/03 iscritto nel registro delle notizie di reato in data 7/4/03
osserva
I. Premessa
Il presente procedimento origina da una serie di sopralluoghi compiuti nel 2003 e nel 2004 presso lo stabilimento della ditta YY con sede in Costigliole d'Asti. Tale ditta è autorizzata all'esercizio delle operazioni di smaltimento rifiuti (operazioni D13 e D15) e di recupero (operazione R13); inoltre, svolge anche operazioni di recupero come da comunicazioni presentate ai sensi dell'art. 33 dlg 22/97 per diverse tipologie di rifiuti previste dal D.M. 5 febbraio 1998, all. 1 suball. 1, tra le quali 3.1, 3.2,5.1 ecc.
Dalle molteplici ispezioni eseguite è emerso – in buona sostanza - che la ditta riceve materiali ferrosi (fusti di lamiera e imballaggi in metallo classificati con il CER 150104, ma si annoverano anche altri materiali ferrosi e non ferrosi) da varie ditte produttrici. Questi rottami sono introitati dalla YY come rifiuti (sono, infatti, presenti in atti alcuni formulari di identificazione acquisiti a titolo di esempio).
Tale classificazione, al di là del comportamento della ditta (la quale si è comunque munita di autorizzazioni per la loro gestione), è sicuramente corretta perché non vi è dubbio che essi siano scarti o residui di lavorazioni svolte da una molteplicità di imprese i cui titolari se ne sono disfatti non potendo utilizzarli altrimenti.
La YY esegue le operazioni previste dal D.M. 5 febbraio 1998 per le quali ha dato la preventiva comunicazione alla Provincia di Asti. Tali operazioni di trattamento dei rifiuti si riducono, al definitivo, a ben poca cosa: si tratta cioè per lo più di operazioni di cernita e di adeguamento volumetrico finalizzate ad ottenere materiali di dimensioni conformi alle cd specifiche CECA richieste per l’invio alle fonderie. Secondo le dichiarazioni del responsabile tecnico della ditta, i materiali derivanti da queste operazioni sono “recuperati” e vengono perciò considerati “materia prima secondaria” pronta per la destinazione in acciaieria.
Sicchè, secondo la ditta YY, una volta eseguite le operazioni di recupero su delineate, il rottame non è più un rifiuto e quindi non deve essere più movimentato nel rispetto delle norme del 1997. Ciò vale, a “cascata”, anche per le fonderie (cui sono avviati i rottami in questione) nel senso cioè che questi impianti produttivi acquisirebbero materie prime e non rifiuti.
Questa impostazione trova un riscontro nelle
conclusioni dal servizio ispettivo dell’ARPA che, nella relazione del 21
luglio 2003, giunge a classificare i rottami e gli sfridi ferrosi e non ferrosi
rinvenuti in stabilimento non come rifiuti, bensì come “materie recuperate”
(conformi alle specifiche CECA) avallando perciò la tesi
che quei materiali perdono l’originaria qualifica di rifiuto dopo
l’esecuzione delle operazioni di recupero di cui al dm del 1998.
Questo Pubblico ministero non condivide questa impostazione ed anzi ritiene che si ravvisino nella fattispecie estremi del reato previsto dall'art. 51, primo comma, dlg 22/97 sotto diverse angolazioni e a carico di diversi soggetti come ora cercheremo di spiegare.
II. Il concetto di recupero
Invero occorre soffermarsi sul concetto di recupero prendendo le mosse, prima di esaminare la giurisprudenza comunitaria che si è formata sul punto, da quanto sostenuto dalla Commissione Europea in data 28 febbraio 2000, con il primo atto della procedura di infrazione relativa al D.M. 5 febbraio 1998 sulle procedure agevolate per i rifiuti non pericolosi.
La Commissione aveva infatti notato che l’allegato 1 (suballegato 1) e l’allegato 2 (suballegato 1) del citato decreto definiscono “operazioni di recupero” a pieno titolo alcune attività che sono soltanto fasi del processo di recupero (ad esempio la selezione, la separazione, la compattazione, la cernita manuale, il cambiamento di volume, il vaglio, la frammentazione, la triturazione e la miscela con materie prime, la verifica strutturale).
Secondo la Commissione questa attività non costituiscono operazioni di recupero “pieno” poiché devono essere seguite da ulteriori trattamenti industriali o operazioni che consistono a loro volta in operazioni di recupero (o loro fasi) disciplinate dalla normativa sui rifiuti. Ad esempio, il riciclaggio della carta, del vetro o delle materie plastiche sono tutte operazioni che richiedono una fase di selezione, di cernita, di frantumazione e così via.
Perciò, a parere della Commissione, il fatto di definire le sopra ricordate operazioni come “recupero” provoca una riduzione del campo di applicazione della direttiva: la loro classificazione tra quelle di “recupero” è quindi in contrasto con l’art. 1, lettera f), con l’allegato II B della direttiva 75/442/CEE, modificata, e con la decisione 96/350/CE. E’ parimenti contrastante con le direttive il sistema che esclude le sostanze, che derivano dalle suddette operazioni, dal campo di applicazione del regime vigente in materia di rifiuti: infatti, secondo la normativa italiana, poiché esse sono state “recuperate”, non costituiscono più rifiuto e non sono disciplinate dalla normativa del 1997.
Per completezza, va detto che la procedura di infrazione di cui si è fatto cenno è sfociata nella sentenza 7 ottobre 2004, causa C-103/02 che, però, non ha esaminato questa particolare questione perchè non le era stata più sottoposta dalla Commissione Europea.
Nondimeno resta intatta la forza persuasiva delle argomentazioni sopra riportate peraltro perfettamente in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia come ora si dirà.
In primo luogo, ricordiamo Corte giust 15 giugno 2000, C-418/97, 419/97, ARCO che ha per l’appunto chiarito che se un'operazione di recupero completo non priva necessariamente un oggetto della qualifica di rifiuto, ciò vale a maggior ragione per una semplice operazione di cernita o di trattamento preliminare di tali oggetti, come la trasformazione in trucioli di residui di legno impregnati di sostanze tossiche ovvero la riduzione dei trucioli in polvere di legno che, non depurando il legno delle sostanze tossiche che lo impregnano, non ha l'effetto di trasformare i detti oggetti in un prodotto analogo ad una materia prima, con le medesime caratteristiche e utilizzabile nelle stesse condizioni di tutela ambientale.
La questione è stata ulteriormente affrontata da Corte giust. 19 giugno 2003, C-444/00, Mayer Parry che si è pronunciata sulla nozione di «riciclaggio» (art. 3, punto 7, della direttiva 94/62).
E’ opportuno riportare questo brano della pronuncia:
“resta
da accertare se l'utilizzo del materiale di grado 3 B nella produzione di
lingotti, lamiere o bobine di acciaio, in casi come quello della causa
principale, si possa definire un'operazione di riciclaggio di rifiuti di
imballaggio. Effettivamente è così, poiché il processo di produzione di cui
trattasi sfocia nella fabbricazione di nuovi prodotti, cioè lingotti, lamiere o
bobine di acciaio, con caratteristiche paragonabili a quelle del materiale di
cui erano originariamente costituiti i rifiuti di imballaggio e che si possono
impiegare per la medesima funzione iniziale cui era desinato il materiale
originario, vale a dire per gli imballaggi metallici, o per altri scopi. Alla
luce di tutto quanto precede, occorre risolvere la seconda questione
pregiudiziale nel senso che la nozione di «riciclaggio» di cui all'art. 3,
punto 7, della direttiva 94/62 deve essere interpretata nel senso che essa non
comprende il ritrattamento di rifiuti di imballaggio contenenti metallo quando
questi sono trasformati in materia prima secondaria, come il materiale di grado
3 B, ma riguarda il ritrattamento di tali rifiuti quando sono utilizzati per la
fabbricazione di lingotti, lamiere o bobine di acciaio”.
In materia, è rilevante infine anche l’ordinanza della Corte giust. 27 febbraio 2003, cause da C-307/00 a C-311/00, che ha concluso perentoriamente che:
"Le
operazioni di ricupero mediante riciclo o di recupero dei metalli o dei composti
metallici mediante riciclo o mediante recupero di altre sostanze inorganiche,
contemplate rispettivamente ai punti R 4 e R 5 dell'allegato II B della
direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come
modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE, e dalla
decisione della Commissione 24 maggio 1996, 96/350/CE, possono egualmente
integrare il «ricupero» di cui all'art. 3, n. 1, lett. b), primo trattino, di
tale direttiva. Dette operazioni non implicano necessariamente che la sostanza
considerata sia oggetto di un trattamento, a prescindere dal fatto che possa
essere utilizzata più volte o che possa essere successivamente recuperata".
Infine, nella recentissima sentenza 11 novembre 2004, C-457 significativamente (punto 52) si legge:
“materiali
come quelli oggetto del procedimento principale – rottami ferrosi - non
sono riutilizzati in maniera certa e senza previa trasformazione nel corso di un
medesimo processo di produzione o di utilizzazione, ma sono sostanze o materiali
di cui i detentori si sono disfatti. Stando alle spiegazioni del sig. Niselli,
i materiali in discussione sono stati successivamente sottoposti a cernita ed
eventualmente a taluni trattamenti, e costituiscono una materia prima secondaria
destinata alla siderurgia. In un tale contesto essi devono tuttavia conservare
la qualifica di rifiuti finché non siano effettivamente riciclati in prodotti
siderurgici, finché cioè non costituiscano i prodotti finiti del processo di
trasformazione cui sono destinati. Nelle fasi precedenti, essi non possono
ancora, infatti, essere considerati riciclati, poiché il detto processo di
trasformazione non è terminato. Viceversa, fatto salvo il caso in cui i
prodotti ottenuti siano a loro volta abbandonati, il momento in cui i materiali
in questione perdono la qualifica di rifiuto non può (che) essere
fissato ad uno stadio industriale o commerciale successivo alla loro
trasformazione in prodotti siderurgici poiché, a partire da tale momento, essi
non possono più essere distinti da altri prodotti siderurgici scaturiti da
materie prime primarie”.
III.
La disapplicazione del D.M. 5 febbraio 1998
Sulla scorta di quanto sopra si deve ritenere che il D.M. 5 febbraio 1998 sulle procedure agevolate per i rifiuti non pericolosi è illegittimo per contrasto con la normativa comunitaria e, trattandosi di atto amministrativo, può essere disapplicato dal giudice nel caso concreto.
Per l’effetto, le sostanze di cui al presente procedimento non possono essere qualificate come “materie recuperate” perchè derivano da un trattamento che non può essere definito come recupero completo. Le stesse costituiscono ancora un rifiuto ed in base alla normativa del 1997 la loro gestione è soggetta – a seconda dei casi – ad autorizzazione o comunicazione. Poiché la ditta YY commercia i rifiuti destinati alle fonderie senza averne titolo e poiché, a loro volta, le stesse fonderie recuperano rifiuti senza la prescritta autorizzazione è configurabile il reato di cui all’art 51, primo comma.
Questo Pubblico Ministero non nasconde che questa ricostruzione del problema pone più di un dubbio circa la prova dell’elemento soggettivo del reato. Ma, a prescindere da questo problema, si osserva che sussiste un altro ostacolo a configurare l’anzidetto reato (ragione per la quale omettiamo, in questa fase, di identificare compiutamente i soggetti responsabili delle fonderie che trattano i rifiuti bastando, allo stato, ipotizzare quantomeno il concorso della ditta YY con queste imprese).
L’ostacolo consiste nel fatto che il legislatore, prima con l’art. 14 l. 178/02 e ora con l’art. 1, commi da 25 a 29, l. 15 dicembre 2004, n. 308, avente ad oggetto «Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione», in vigore dall’11 gennaio 2005, ha stabilito che certi materiali (come i rottami ferrosi) siano esclusi dal regime ordinario dei rifiuti.
Invero, l'art.14, 2° comma, stabilisce che
“Non
ricorrono le fattispecie di cui alle lettere b) e c) del comma 1, per beni o
sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle
seguenti condizioni:
a)
se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati
nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire
alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio
all'ambiente;
b)
se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati
nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver
subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione
di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n.
22”.
Il più recente intervento legislativo (l. 15 dicembre 2004, n. 308) aggrava il problema. Vediamone il testo per la parte che ci interessa:
25. In attesa di
una revisione complessiva della normativa sui rifiuti che disciplini in modo
organico la materia, alla lettera a) del comma 29, sono individuate le
caratteristiche e le tipologie dei rottami che, derivanti come scarti di
lavorazione oppure originati da cicli produttivi o di consumo, sono definibili
come materie prime secondarie per le attività siderurgiche e metallurgiche,
nonché le modalità affinché gli stessi siano sottoposti al regime delle
materie prime e non a quello dei rifiuti.
26. Fermo restando
quanto disposto dall’articolo 14 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138,
convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, sono
sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti, se
rispondenti alla definizione di materia prima secondaria per attività
siderurgiche e metallurgiche di cui al comma 1, lettera q-bis), dell’articolo
6 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, introdotta dal comma 29, i
rottami di cui al comma 25 dei quali il detentore non si disfi, non abbia deciso
o non abbia l’obbligo di disfarsi e che quindi non conferisca a sistemi di
raccolta o trasporto di rifiuti ai fini del recupero o dello smaltimento, ma
siano destinati in modo oggettivo ed effettivo all’impiego nei cicli
produttivi siderurgici o metallurgici.
29. Al decreto
legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo
6, comma 1, dopo la lettera q) sono aggiunte le seguenti:
"q-bis)
materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche: rottami
ferrosi e non ferrosi derivanti da operazioni di recupero e rispondenti a
specifiche CECA, AISI, CAEF, UNI, EURO o ad altre specifiche nazionali e
internazionali, nonché i rottami scarti di lavorazioni industriali o
artigianali o provenienti da cicli produttivi o di consumo, esclusa la raccolta
differenziata, che possiedono in origine le medesime caratteristiche riportate
nelle specifiche sopra menzionate.
Dal combinato disposto degli articoli da ultimo citati emerge dunque che è sottoposta al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti la “materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche” costituita da:
a) rottami ferrosi e non ferrosi derivanti da operazioni di recupero e rispondenti a specifiche CECA, AISI, CAEF, UNI, EURO o ad altre specifiche nazionali e internazionali
b) rottami ferrosi e non ferrosi non conferiti a sistemi di raccolta o trasporto di rifiuti ai fini del recupero o dello smaltimento, ma destinati in modo oggettivo ed effettivo all’impiego nei cicli produttivi siderurgici o metallurgici.
La domanda che ci poniamo è se queste normative si applichino nella fattispecie. Come si è già detto, dalle operazioni svolte dalla YY si ottengono materiali ferrosi e non ferrosi conformi alle specifiche CECA richieste per l’invio alle fonderie (dove vengono effettivamente inviati per il successivo trattamento). Le imprese interessate dal presente procedimento potrebbero perciò sostenere che non è rifiuto il materiale di che trattasi perché “effettivamente e oggettivamente” riutilizzato come materia prima in un nuovo processo industriale.
Alla luce del fatto che il reato di cui all’art. 51, primo comma, che si potrebbe nella fattispecie contestare ha natura di reato permanente, non risultando che la ditta YY e le fonderie abbiano cessato l’esercizio delle attività descritte nella presente richiesta, né apparendo verosimile che abbiano mutato rispetto al passato le modalità di trattamento dei rifiuti, per le disposizioni in tema di successione delle leggi nel tempo deve applicarsi la normativa più favorevole con la conseguenza che dovrebbe essere chiesta l’archiviazione del procedimento perché il fatto non sussiste o non costituisce reato.
Questo sbocco potrebbe invece essere precluso se venissero espunte dall’ordinamento le norme speciali di cui si è parlato.
IV. Contrarietà al diritto comunitario delle normative del 2002 e del 2004
La già citata Corte giust. 11 novembre 2004, causa C-457/02, occupandosi in sede di interpretazione pregiudiziale dell’art. 14 l. 178/02, ha stabilito che:
“La nozione di rifiuto ai sensi dell’art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156 e dalla decisione 96/350, non dev'essere interpretata nel senso che essa escluderebbe l’insieme dei residui di produzione o di consumo che possono essere o sono riutilizzati in un ciclo di produzione o di consumo, vuoi in assenza di trattamento preventivo e senza arrecare danni all’ambiente, vuoi previo trattamento ma senza che occorra tuttavia un’operazione di recupero ai sensi dell’allegato II B di tale direttiva”.
Non ci vuole molto a capire che la Corte lussemburghese ha censurato la legge italiana per erronea trasposizione della direttiva del 1975.
Mutatis mutandis, la legge 15 dicembre 2004, n. 308 va ritenuta ugualmente in contrasto con la normativa di fonte comunitaria perché sottrae all’ambito di applicazione della legge sui rifiuti determinati oggetti che sono rifiuti a tutti gli effetti.
Ciò posto, questo Pubblico ministero non concorda con la posizione espressa in dottrina secondo cui i giudici e i funzionari dovrebbero far ricorso direttamente alla nozione di rifiuto contenuta nella normativa Cee non applicando quella nazionale con essa configgente. Questa tesi è stata motivata appellandosi al principio dettato da Corte cost. 8 giugno 1984, n. 170 e cioè che nelle materie riservate alla sfera di competenza della comunità, il giudice ordinario deve provvedere ad assicurare la piena e continua osservanza delle norme comunitarie direttamente applicabili senza tener conto delle leggi nazionali, anteriori o successive, eventualmente configgenti.
Non accettiamo questa tesi non solo perchè, a quanto ci risulta, il principio in parola non è mai stato enunciato con riferimento alla materia penale, ma anche perchè una direttiva comunitaria di per sé non può creare obblighi a carico di un soggetto né può avere l'effetto, di per sé ed indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o di aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni.
D’altra parte, se è vero che la sentenza 457 non spende una parola sull’argomento, è altrettanto vero che, nelle conclusioni rese in questa causa, l'Avvocato Generale Kokott da un lato ha scritto che “il Giudice dello Stato membro ha l'obbligo di fare osservare la direttiva 75/442, nel senso di disapplicare una legge penale più mite emanata successivamente al reato, se e in quanto tale legge sia incompatibile con la direttiva”, ma dall’altro lato ha puntualizzato che “Il caso si sarebbe potuto valutare diversamente se i fatti si fossero verificati successivamente all'adozione del decreto legge n. 138/08. Le disposizioni di tale decreto legge hanno portato, tra l'altro, ad una limitazione degli obblighi esistenti con riferimento ai residui di produzione o di consumo. Se si disapplicasse il decreto legge n. 138/08 in tale periodo, sarebbe più giustificato sostenere che l'applicazione diretta della direttiva determini alcuni obblighi”.
In altre parole, l’indicazione che si può ricavare da queste affermazioni è che l’applicazione diretta della norma più severa, ma conforme al diritto comunitario, è legittima se il fatto illecito da giudicare si sia esaurito prima dell’entrata in vigore dell’art. 14 l. 178/02 perchè, in caso contrario, anche in coerenza con Cass. 26 giugno 1997, Aprà, l’interpretazione di una norma nazionale in senso conforme al dettato comunitario “incontra un limite qualora essa abbia l'effetto di determinare o aggravare, in forza della direttiva e in mancanza di una legge emanata per la sua attuazione, la responsabilità penale di coloro che ne trasgrediscono le disposizioni”.
Orbene, nel presente procedimento, in cui si discute di un reato permanente in corso di consumazione, non siamo in presenza di un fatto esaurito prima della l. 178/02 e della l. n. 308/04 e quindi non si può applicare direttamente la direttiva Cee.
V. La questione
di legittimità: non manifesta infondatezza
A questo punto non resta che una strada e cioè quella di sollevare questione di legittimità in primo luogo dell’art. 1, commi da 25 a 29, l. 15 dicembre 2004, n. 308 e in secondo luogo dell’art. 14 l. 178/02 per contrasto con gli artt. 11 e 117 Cost.
Invero, si propone eccezione avverso entrambe le disposizioni perchè la deroga al regime ordinario dettato dal d.leg. 22/97 è contenuta in modo specifico nella prima legge (per quanto attiene ai rottami ferrosi e non ferrosi) e perché la seconda legge disciplina in generale lo stesso fenomeno sicchè l’eventuale annullamento della sola normativa del 2004 non escluderebbe la possibile applicazione di quella del 2002.
Sul requisito della non manifesta infondatezza ci siamo già espressi: gli art. 11 e 117 Cost. sono violati perché attraverso le normative più volte citate si determina un’ingiustificata riduzione della sfera di operatività della direttiva sui rifiuti che l’Italia è invece obbligata a trasporre mediante apposite norme interne.
VII. La questione di legittimità: rilevanza
La questione proposta è rilevante perché incide direttamente sull'applicabilità della norma incriminatrice contestata all'indagato. Tuttavia, un dubbio potrebbe riguardare la rilevanza dell’eccepita questione. Ci chiediamo cioè se sia ammissibile una pronuncia da cui consegua una modificazione in peius del trattamento penale dell’individuo.
In tal senso, da ultimo, Corte cost. 1° giugno 2004, n. 161, in materia di falso in bilancio, ha ribadito che
“All'adozione
della pronuncia invocata osta, tuttavia, il 2° comma dell'art. 25 Cost., il
quale — per costante giurisprudenza di questa Corte — nell'affermare il
principio secondo cui nessuno può essere punito se non in forza di una legge
entrata in vigore prima del fatto commesso, esclude che la Corte costituzionale
possa introdurre in via additiva nuovi reati o che l'effetto di una sua sentenza
possa essere quello di ampliare o aggravare figure di reato già esistenti,
trattandosi di interventi riservati in via esclusiva alla discrezionalità del
legislatore”.
In questa sede non ci interessa discutere della questione concernente la differenza tra le vere “norme di favore” e il concetto di normativa favorevole: solo le prime creano una disciplina particolare e per questo sono soggette al controllo di ragionevolezza, mentre le seconde non sono derogatorie e come tali sfuggono alla censura di illegittimità.
In realtà, il problema della sindacabilità di una normativa di favore si è posto per lo più in casi in cui è stata denunciata la violazione del principio costituzionale di uguaglianza, mentre nella fattispecie si dibatte della violazione del principio del primato del diritto comunitario.
Una conferma indiretta di quanto appena rilevato è offerta dall’ordinanza 1° giugno 2004 (26 maggio 2004), n. 165, con cui la Corte Costituzionale – nella stessa vicenda relativa al falso in bilancio - ha deciso di rinviare a nuovo ruolo, in attesa della già invocata pronuncia della Corte di giustizia delle Comunità europee, la trattazione della questione di legittimità costituzionale degli artt. 2621 e 2622 c.c., nella parte in cui non prevedono un «adeguato mezzo processuale» atto a consentire la definizione del processo penale entro i termini di prescrizione dei reati previsti dalle stesse norme, sollevata in riferimento agli artt. 10, 11 e 117 Cost. e in relazione alla direttiva 9 marzo 1968, n. 68/151/CEE.
Quale significato si può attribuire a questa sospensione? Si tratta di un rinvio imposto da mere esigenze procedurali o è un modo per aprire a un giudizio di incostituzionalità nell’ipotesi che la Corte di giustizia consideri inadeguata per difetto la tutela offerta dai nuovi artt. 2621 e 2622 c.c.?
La nostra risposta non può che essere a favore della seconda opzione.
In ogni caso, non si può fare a meno di esprimere un’altra ragione per cui si opina che non vi siano particolari limiti al controllo di costituzionalità qui prospettato.
Infatti, va valorizzato l’orientamento della stessa Corte costituzionale che ha ripetutamente censurato l’esercizio della potestà legislativa delle regioni svolta in contrasto con la legge statale (sono state infatti dichiarate illegittime le norme regionali che consentivano lo stoccaggio provvisorio di rifiuti tossici e nocivi senza autorizzazione o con autorizzazioni tacite o generiche). Orbene, nessuno ha mai dubitato della legittimità di siffatte pronunce, sotto il profilo del rispetto dell’art. 25 Cost., giacchè la norma penale incriminatrice – ridotta nella sua sfera di applicazione dalla disposizione regionale – preesisteva al fatto storico e quindi l’annullamento della seconda non poteva ledere il principio di irretroattività (restando ovviamente fermo che l’effettiva conoscibilità del precetto penale poteva rilevare nell’ottica dell’art. 5 c.p.).
Lo stesso meccanismo potrebbe operare nel caso in esame in cui una norma statale è invasiva delle competenze della Comunità europea: l'annullamento della norma interna avrebbe, infatti, come effetto quello di ripristinare la sfera di applicazione della preesistente disposizione che aveva correttamente recepito la direttiva Cee.
visto l’art. 554 comma 1 c.p.p.
C H I E D E
che, prima di pronunciarsi sulla richiesta di archiviazione del presente procedimento, codesto Gip dichiari rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità proposta in motivazione;
C H I E D E
che, in caso di mancato accoglimento dell’istanza suddetta, voglia disporre l’archiviazione del procedimento e la conseguente restituzione degli atti al proprio Ufficio.
Asti, li' 13 gennaio 2005
Il Sost. Procuratore della Repubblica
Dr. Vincenzo PAONE
depositata nella Cancelleria del Giudice in data