TAR, Lazio, Roma, Sez.IIQuater, n. 7725 del 12 settembre 2012,
Rifiuti. Diniego autorizzazione impianto di compostaggio e riciclaggio rifiuti inerti non pericolosi.

Non è necessario che gli impianti di smaltimento o di recupero rifiuti debbano essere allocati esclusivamente in zone a vocazione industriale, ma è altrettanto vero che, non per questo, la localizzazione dell'insediamento può essere del tutto indifferente, prescindendo dalla considerazione e comparazione degli interessi in gioco. In altri termini, la sola circostanza che l'area di insediamento abbia una determinata destinazione urbanistica non è di per sé circostanza ostativa e non è valida giustificazione per il diniego di approvazione del progetto , in quanto l' approvazione costituisce un'ipotesi di variante automatica alla disciplina urbanistico-territoriale dell'area interessata. Ma non per questo in sede di autorizzazione si può prescindere dalla considerazione delle esigenze di carattere (anche) urbanistico-territoriale e degli interessi comunque legati alla localizzazione dell'impianto, in quanto rilevanti. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 07725/2012 REG.PROV.COLL.

N. 08995/2011 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8995 del 2011, proposto da:

Soc Recin Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Emanuele Quadraccia, Francesca Preziosi, con domicilio eletto presso Francesca Preziosi in Roma, viale dei Parioli, 124;

contro

Regione Lazio, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Lazio, Asl 106 - Rm/F;

Provincia di Roma, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanna De Maio, con domicilio eletto presso Giovanna De Maio in Roma, via IV Novembre, 119/A;

Comune di Ladispoli, rappresentato e difeso dall'avv. Pasquale Di Rienzo, con domicilio eletto presso Pasquale Di Rienzo in Roma, v.le G. Mazzini, 11;

per l'annullamento

adozione provvedimento negativo - autorizzazione impianto di compostaggio e riciclaggio rifiuti inerti non pericolosi da realizzarsi nel comune di Ladispoli

e per la condanna

al risarcimento dei danni derivanti del provvedimento impugnato e del danno da ritardo.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia di Roma e di Comune di Ladispoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 aprile 2012 il dott. Maria Laura Maddalena e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe, la società ricorrente impugna il provvedimento con cui la Provincia di Roma ha rigettato la sua istanza di autorizzazione ai sensi dell’art. 208 del d.lgs. 152/2006 per un impianto di compostaggio e riciclaggio di rifiuti inerti non pericolosi, da realizzarsi nel comune di Ladispoli.

Espone la ricorrente di svolgere attività di recupero sia di rifiuti inerti, provenienti da attività di costruzioni, sia di sfalci e potature destinate alla produzione di compost di qualità.

Dette attività sono attualmente svolte dalla ricorrente in regime di “procedure semplificate” ai sensi degli artt. 214 e 216 del D.lgs. 152/2008.

Riferisce inoltre la ricorrente che vi è una convenzione con il comune di Ladispoli, in base alla quale il comune usufruisce dei servizi offerti dalla società ad un prezzo agevolato nonché di altri vantaggi.

Avendo l’intenzione di aumentare i quantitativi di rifiuti da recuperare, la società ricorrente ha presentato al comune di Ladispoli e alla Provincia un’istanza di autorizzazione al passaggio al regime di procedura ordinaria di cui all’art. 208 d.lgs. 152/2006.

E’ stata quindi convocata dalla Provincia di Roma una conferenza di servizi. Il comune di Ladispoli ha fatto pervenire alla conferenza un parere tecnico (n. 55671 del 2.4.2010) in cui rendeva noto l’avvio della procedura di variante al P.R.G. per la variazione della destinazione dell’area su cui insiste l’impianto della ricorrente da zona di tipo F (agricola) a zona di tipo D (industriale). In tale senso si è espressa anche la Giunta comunale con delibera n. 21 del 9.2.2009.

Nel corso della riunione della conferenza di servizi, in data 15.4.2010, tuttavia il sindaco del comune di Ladispoli ha affermato che il parere tecnico del 2.4.2010 doveva essere considerato come mera nota informativa e ha mostrato di discostarsene. Infatti, in data 11.6.2010, il comune ha espresso un parere contrario al mutamento di destinazione dell’area.

La Provincia, stante il parere contrario del comune, ha rimesso la decisione alla conferenza unificata ai sensi dell’art. 14 quater della l. 241/90, ma poi la procedura veniva riassunta dinanzi alla Provincia di Roma, in quanto la Presidenza del consiglio non aveva ravvisato i presupposti per la remissione alla conferenza unificata, visto che il parere negativo era stato espresso dal comune al di fuori della conferenza di servizi.

Su invito della Provincia di Roma, la società RECIN ha accettato di chiedere al comune di Ladispoli la delocalizzazione dell’impianto e di ridurre i quantitativi dei rifiuti nel periodo transitorio.

Detta proposta - a dire della ricorrente - sarebbe stata presentata ma il comune non avrebbe espresso il proprio parere su di essa.

La Provincia ha quindi comunicato il preavviso di diniego ex art. 10 bis e poi ha adottato il definitivo provvedimento di diniego.

Il ricorso è articolato in varie doglianze di violazione di legge ed eccesso di potere e contiene anche la richiesta di condanna al risarcimento del danno.

Tanto la Provincia che il comune di Ladispoli si sono costituiti e hanno depositato memorie per chiedere il rigetto del ricorso.

Espone in particolare la Provincia nella sua memoria difensiva che la Recin in realtà non le ha mai inviato la proposta di delocalizzazione ma solo quella concernente la riduzione dei quantitativi di rifiuti non pericolosi. In particolare, nella raccomandata a mano del 3.3.2011, la Recin avrebbe comunicato alla Provincia che “l’ipotesi di delocalizzazione, in mancanza dell’auspicato parere favorevole del comune di Ladispoli, debba automaticamente venire a cadere e sia da considerarsi, di conseguenza, posta nel nulla.” Pertanto, la provincia aveva comunicato alla ricorrente il preavviso di rigetto, il comune aveva ribadito il proprio parere negativo (con nota del 13.5.2011) e la provincia aveva dichiarato la conclusione negativa della conferenza di servizi e il diniego di autorizzazione all’ampliamento dell’impianto ex art. 208 del codice dell’ambiente. La Provincia ha quindi concluso chiedendo il rigetto del ricorso perché infondato.

Anche il comune di Ladispoli ha rilevato che la soc. Recin in realtà non ha mai presentato alcun progetto di delocalizzazione e ha chiesto il rigetto del ricorso perché infondato.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

Con il primo motivo, la società ricorrente deduce la violazione dell’art. 3 della l. 241 del 1990 sotto un duplice profilo: perché la Provincia non avrebbe motivato perché non ha ritenuto di autorizzarla transitoriamente all’esercizio della attività in regime ordinario in attesa della messa in esercizio del nuovo sito e perché il diniego della Provincia sarebbe unicamente fondato sul parere negativo del comune di Ladispoli.

La doglianza non può trovare accoglimento in relazione ad entrambi gli aspetti denunciati.

Quanto alla mancanza di motivazione circa la proposta di delocalizzazione, rileva il collegio che – come si è già detto – sia la Provincia che il comune hanno negato che una tale proposta sia mai stata presentata.

Tale dato non è sconfessato nemmeno dal doc. 17 della produzione di parte ricorrente, “Proposta RECIN s.r.l. di riduzione dei quantitativi e contestuale delocalizzazione dell’impianto del 3.3.2011”. Tale atto infatti non contiene invero una proposta di delocalizzazione ma unicamente di riduzione dei quantitativi dei rifiuti non pericolosi. Spiega infatti la RECIN in detta comunicazione che la riduzione dei quantitativi è finalizzata unicamente a favorire l’acquisizione del parere favorevole del comune di Ladispoli al rilascio della autorizzazione all’esercizio in procedura ordinaria dell’impianto, la quale costituisce appunto il presupposto per una futura delocalizzazione. In sostanza, prosegue la RECIN, in mancanza di tale parere favorevole l’ipotesi di delocalizzazione deve automaticamente venire a cadere.

La prospettazione della RECIN tuttavia non coincide con quanto risulta nel verbale della conferenza di servizi del 2 febbraio 2011 (doc. 16 della produzione di parte ricorrente), nel quale si legge che il rappresentante della Provincia aveva richiesto alla RECIN e al comune di trovare un accordo sulla delocalizzazione e sul contestuale esercizio provvisorio dell’impianto in procedura ordinaria.

Sul punto, si registrava l’intesa tanto del rappresentante della RECIN (il quale esprimeva “la disponibilità della ditta alla delocalizzazione a condizione che nel periodo transitorio la ditta lavori sull’impianto esistente in regime ordinario tramite autorizzazione rilasciata ai sensi dell’art. 208 del d.lgs. 152/2006 sino alla messa in esercizio sul nuovo sito”) che del comune (il cui rappresentante ribadiva “la disponibilità dell’amministrazione comunale ad esaminare nel modo più idoneo le proposte che saranno presentate in termini di riduzione dei quantitativi di rifiuti nel periodo transitorio, finalizzato alla delocalizzazione”).

Appare dunque chiaro, dalla lettura del verbale del 2 febbraio 2011, come il rilascio della autorizzazione all’esercizio in regime ordinario per il periodo transitorio fosse inscindibilmente connessa al raggiungimento di un accordo circa la delocalizzazione dell’impianto, essendo ad essa strumentale.

In sostanza, anche dal punto di vista logico, appare chiaro che il presupposto del rilascio della autorizzazione provvisoria era la delocalizzazione dell’impianto e non il contrario, come vorrebbe la società ricorrente, che nella comunicazione del 3.3.2011 subordina la propria proposta di delocalizzazione all’ottenimento di una preventiva autorizzazione per l’esercizio in regime ordinario dell’impianto.

Per tutte queste ragioni, non sussiste il dedotto vizio motivazione in relazione alla mancata considerazione della proposta di delocalizzazione, la quale in effetti non risulta essere mai stata formulata dalla RECIN.

Per identiche ragioni va disattesa anche la doglianza di cui al terzo motivo di ricorso con la quale la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 14 ter della l. 241/90 in quanto la Provincia avrebbe omesso di informare le amministrazioni partecipanti alla Conferenza di servizi della presentazione della sua proposta di delocalizzazione.

Non essendo stata presentata alcuna proposta di delocalizzazione, nessun onere di informazione poteva gravare sulla Provincia.

Quanto alla ulteriore censura, sempre di cui al terzo motivo di ricorso, secondo la quale la Provincia avrebbe dovuto considerare come acquisito il parere del comune di Ladispoli da momento che tale ente non aveva espresso in via definitiva il proprio parere sul progetto di delocalizzazione, richiamandosi solo a quello espresso in data 11 6.2010, si osserva che – come rilevato dalla Provincia nella sua difesa nonché nel testo dello stesso provvedimento impugnato – il comune di Ladispoli si è nuovamente espresso in data 13.5.2011, ribadendo il proprio precedente parere del 11.6.2010 anche in relazione alla riduzione dei quantitativi di rifiuti trattati.

Sempre in base alle stesse considerazioni va rigettato il sesto motivo di ricorso nella parte in cui con esso si deduce la carenza di istruttoria per “la mancanza di qualsivoglia deduzione circa la possibilità di realizzare la proposta di delocalizzazione presentata dalla RECIN” (p. 26 del ricorso).

La ricorrente lamenta anche il difetto di motivazione in relazione alla circostanza che la Provincia si sarebbe limitata a registrare il parere contrario del comune di Ladispoli.

La censura va trattata congiuntamente al secondo motivo di impugnazione con il quale la ricorrente si duole della violazione dell’art. 208, comma 6, del d.lgs. n. 152/2006, in base al quale l’approvazione del progetto può valere anche come variante al piano regolatore generale.

In sostanza, secondo la ricorrente, la Provincia si sarebbe limitata a far proprio il parere del comune di Ladispoli, senza tener conto del fatto che il dato formale della classificazione dell’area come zona agricola non è motivo sufficiente a negare l’autorizzazione ex art. 208, stante quanto previsto dal sopra citato comma 6 dello stesso articolo.

Il motivo non può trovare accoglimento.

La stessa giurisprudenza richiamata dalla ricorrente afferma infatti: “Nell'intenzione del legislatore non è necessario che gli impianti di smaltimento o di recupero rifiuti debbano essere allocati esclusivamente in zone a vocazione industriale, ma è altrettanto vero che, non per questo, la localizzazione dell'insediamento può essere del tutto indifferente, prescindendo dalla considerazione e comparazione degli interessi in gioco. In altri termini, la sola circostanza che l'area di insediamento abbia una determinata destinazione urbanistica non è di per sé circostanza ostativa e non è valida giustificazione per il diniego di approvazione del progetto , in quanto l' approvazione costituisce un'ipotesi di variante automatica alla disciplina urbanistico-territoriale dell'area interessata. Ma non per questo in sede di autorizzazione si può prescindere dalla considerazione delle esigenze di carattere (anche) urbanistico-territoriale e degli interessi comunque legati alla localizzazione dell'impianto, in quanto rilevanti.” (T.A.R. Napoli Campania sez. I, 17 giugno 2011, n. 3243 e sent. 15600/2007).

Anche il Consiglio di Stato si è di recente espresso in termini non dissimili, affermando: “La posizione di favore con la quale il legislatore nazionale considera gli impianti di smaltimento, implica l’introduzione dell’automatismo fra approvazione del progetto e variante urbanistica, a patto che ne esistano i presupposti e le condizioni: in questo senso il decreto Ronchi consente che il progetto approvato esplichi efficacia di variante, qualora necessitata dalla diversa destinazione dell’area secondo lo strumento urbanistico vigente e il codice dell’ambiente agevola gli impianti di smaltimento e recupero allorché compatibili con le caratteristiche delle aree. Peraltro, l’interesse sotteso alla realizzazione degli impianti di smaltimento sia pure connotato dall’inerenza ad interessi propri della collettività non è dotato di assolutezza tale da escluderne il bilanciamento con altri interessi pure di rilevanza generale quale l’assetto del territorio urbano e le scelte programmatorie dell’amministrazione.”

Ora, nel caso di specie, il parere negativo comunale, al quale la Provincia ha fatto riferimento, non si è limitato a richiamare il dato formale della diversa classificazione urbanistica dell’area, ma ha evidenziato tutta una serie di elementi di fatto (la vocazione agricola dell’area, l’esistenza di aziende zootecniche, la coltivazione di colture pregiate nel sito, l’inadeguatezza del sistema viario al trasporto pesante, la vicinanza del complesso architettonico del Castellaccio di Monteroni, di prossima trasformazione in un polo culturale e scientifico di rilievo internazionale, ecc.) ostativi alla autorizzazione nell’area dell’impianto in questione. Nel rinviare a tale parere, la Provincia ha mostrato di condividere tali motivate valutazioni e di non volersene discostare. Non si ravvisa pertanto il dedotto vizio di difetto di motivazione.

Sempre nel secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione del termine di conclusione del procedimento fissata, dal comma 8 dell’art. 208, in 150 giorni.

La doglianza è sotto questo profilo inammissibile giacché la violazione dei termini procedimentali può rilevare ai fini di un eventuale risarcimento del danno da ritardo ma non può costituire motivo di illegittimità del provvedimento adottato fuori termine.

Con il quarto motivo, la società ricorrente deduce la violazione della delibera di Giunta regionale del Lazio del 20.5.2011, n. 244, con la quale è stato adottato il “piano di gestione dei rifiuti” della regione Lazio e il difetto di istruttoria e di motivazione quanto alla mancata approvazione almeno dell’esercizio in procedura ordinaria dell’impianto di compostaggio, in quanto il citato piano di gestione dei rifiuti prevede per questo tipo di attività che esse possano essere situate sia su aree industriali che su aree agricole.

Il motivo non può essere accolto poiché, come ha rilevato la Provincia nella sua memoria, il piano di gestione dei rifiuti è stato solo adottato dalla Giunta regionale ma deve essere ancora approvato dal consiglio regionale.

D’altro canto, come si è detto, le motivazioni addotte dal comune di Ladispoli non si limitano a rilevare la contrarietà dell’impianto rispetto alla formale destinazione urbanistica dell’area ma fanno riferimento a plurimi elementi di fatto considerati ostativi ad un ampliamento dell’attività della RECIN sia con riferimento all’impianto di compostaggio che di recupero di inerti.

Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta la contraddittorietà del provvedimento in quanto la Provincia, nonostante abbia considerato alla stregua di servizio di pubblico interesse l’attività svolta dalla RECIN e abbia anche cercato soluzioni alternative, si è poi uniformata al parere negativo del comune.

Il motivo è infondato.

Come si è visto, il comportamento della Provincia non è stato affatto contraddittorio, giacché essa ha tentato appunto di conciliare le esigenze di tutela del territorio evidenziate dal comune con il pubblico interesse per lo svolgimento di attività di riciclaggio dei rifiuti. Purtroppo, gli sforzi della Provincia per trovare una soluzione di compromesso (delocalizzazione dell’impianto con contestuale autorizzazione provvisoria in situ fino alla messa in opera del nuovo impianto) non sono stati premiati.

Infine, con il sesto motivo, la ricorrente deduce che non è stato il parere tecnico favorevole rilasciato in un primo momento dall’Ufficio tecnico del comune di Ladispoli in data 2.4.2010 non è stato preso in considerazione.

Tale doglianza è infondata poiché, come si è visto anche nella parte in fatto, il suddetto parere, reso da un Ufficio tecnico e non da un organo rappresentativo dell’ente, è stato poi superato dalle determinazioni negative esposte dal sindaco del comune di Ladispoli e ratificate dal consiglio comunale.

Il conclusione, dunque, il ricorso deve essere respinto.

Quanto alla domanda risarcitoria, essa va disattesa per mancanza del requisito della illegittimità del provvedimento lesivo.

La domanda di risarcimento del danno da ritardo tout court, presentata come disancorata dalla questione della spettanza del provvedimento favorevole, va invece dichiarata inammissibile – a tacere di ogni altra considerazione - per carenza di allegazione circa i danni patiti.

Come è noto, infatti, il risarcimento del danno da ritardo è stato riconosciuto in talune pronunce del Consiglio di Stato e del Consiglio di Giustizia per la regione siciliana anche a prescindere dalla prova della spettanza del bene della vita ingiustamente negato dal provvedimento impugnato, ma solo limitatamente al c.d. interesse negativo, ovvero alle spese sostenute a causa della eccessiva durata del procedimento e alla perdita di analoghe occasioni favorevoli.

Le spese allegate e documentate dalla ricorrente (concernenti l’acquisto di macchinari e attrezzature) sono state effettuate – come afferma la stessa RECIN – in previsione dell’accoglimento delle proprie istanze e del passaggio alla procedura ordinaria. Esse, dunque, per essere risarcite presuppongono la prova della spettanza dell’autorizzazione negata, non essendo spese riconducibili etiologicamente al solo superamento del termine per la conclusione del procedimento.

In conclusione, anche la domanda risarcitoria deve essere respinta.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, respinge sia la domanda di annullamento che quella di risarcimento del danno.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite nei confronti della Provincia di Roma e del comune di Ladispoli, che liquida in 1.500 euro ciascuno.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 12 aprile e 28 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:

Angelo Scafuri, Presidente

Stefania Santoleri, Consigliere

Maria Laura Maddalena, Consigliere, Estensore

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 12/09/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)