TAR Piemonte Sez.I n.987 del 30 agosto 2012
Rifiuti. Realizzazione impianto di gestione e comuni limitrofi

Va riconosciuta, ai comuni limitrofi a quello interessato dalla realizzazione di un impianto di gestione di rifiuti, la qualità di soggetto interessato, sia al fini della partecipazione alla conferenza di servizi indetta ai sensi dell’art. 208 D. L.vo 152/06 sia ai fini della impugnazione degli atti che autorizzano la realizzazione dell’impianto

N. 00987/2012 REG.PROV.COLL.

N. 01083/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1083 del 2011, proposto da:
Comune di Villata, Comune di Casalino, Comune di Borgo Vercelli, Comune di Casalbeltrame, Comune di San Nazzario Sesia ed Ente Parco Lame del Sesia e Riserve, rappresentati e difesi dagli avv. Paolo Scaparone, Jacopo Gendre, con domicilio eletto presso Paolo Scaparone in Torino, via S. Francesco D'Assisi, 14;

contro

Provincia di Novara, rappresentata e difesa dall'avv. Carlo Emanuele Gallo, con domicilio eletto presso Carlo Emanuele Gallo in Torino, via Pietro Palmieri, 40;
Comune di Casalvolone, Regione Piemonte, Azienda Sanitaria Locale Asl No, Azienda Sanitaria Locale Asl Vc, Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali;

nei confronti di

Ec.Am S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Daniele Rovelli, con domicilio eletto presso Maurizio Maria Dicherio in Torino, via Vittorio Veneto, 14;

per l'annullamento:

- della determinazione del Dirigente del Settore Ambiente Ecologia Energia della Provincia di Novara 7.6.2011 n. 1925/2011 avente ad oggetto l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio dell'impianto di recupero mediante trattamento aerobico e anaerobico di rifiuti organici non pericolosi finalizzato alla produzione di compost ed energia elettrica nel Comune di Casalvolone, rilasciata a favore della EC.AM.;

- di tutti gli atti preparatori, presupposti, consequenziali e comunque connessi e, in specie, di tutti i verbali delle sedute della Conferenza di servizi nonché dei pareri espressi in quella sede dalle Amministrazioni partecipanti;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia di Novara e di Ec.Am S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 maggio 2012 il dott. Roberta Ravasio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con il ricorso in epigrafe indicato si impugna il provvedimento del Dirigente del Settore Ambiente Ecologia Energia della Provincia di Novara a mezzo del quale la società E.CA.M. s.r.l. è stata autorizzata ad installare e mettere in esercizio, in Comune di Casalvolone, un impianto per la produzione di compost ed energia elettrica tramite trattamento aerobico ed anaerobico di Frazione Organica di Rifiuti Solidi Urbani (in prosieguo FORSU).

Premettendo che sin dal 3 novembre 2009 la E.CA.M. s.r.l. aveva presentato domanda finalizzata al rilascio del giudizio positivo di compatibilità ambientale in relazione ad un impianto finalizzato alla produzione di compost ed energia elettrica tramite trattamento aerobico di FORSU, gli enti ricorrenti riferiscono di essere stati invitati a partecipare, in quanto confinanti con il Comune di Casalvolone, alla Conferenza di Servizi indetta dalla Provincia di Novara ai sensi degli artt. 12 e 13 della L.R. 40/98. Precisano inoltre che il territorio di rispettiva competenza subisce già il carico derivante dalla presenza di plurimi impianti di smaltimento di rifiuti e che l’impianto autorizzato con il provvedimento oggetto di gravame è idoneo a generare esalazioni gassose e di rumori fastidiose per la popolazione e per la fauna locale. Sostengono quindi che detto impianto non sarebbe compatibile con la programmazione di settore approvata e vigente nella Provincia di Novara, alla quale appartiene il Comune di Casalvolone e che tale rilievo, benché inizialmente accolto dalla Provincia, veniva superato sulla base della constatazione che il progetto é stato modificato nel corso del procedimento in modo da utilizzare la FORSU solo nella linea di trattamento anaerobico e non anche nella linea di trattamento aerobico.

Gli enti ricorrenti hanno pertanto deciso di impugnare la determinazione conclusiva della Provincia di Novara, meglio in epigrafe indicata, deducendone l’illegittimità per i seguenti motivi:

I) violazione delle linee guida provinciali in materia di programmazione per la gestione dei rifiuti solidi urbani, conseguente violazione degli artt. 182, 183, 184 bis e 208 del D. L.vo 152/06, eccesso di potere per violazione della delibera del Consiglio Provinciale n. 93 del 29.11.2010: le linee guida provinciali di programmazione della gestione dei rifiuti solidi urbani si applicano ad ogni impianto che sia finalizzato al trattamento di FORSU ed indica chiaramente che la realizzazione di nuovi impianti per lo smaltimento di FORSU si deve ritenere allo stato non giustificata per la capacità di quelli già esistenti di smaltire la produzione di FORSU a livello provinciale. Il fatto che l’impianto impieghi la FORSU implica che esso é sottoposto alla osservanza delle norme in materia di rifiuti, non potendosi ad essa riconoscere la qualifica di “sottoprodotto”. Sussiste infine la competenza delle Province, ai sensi della L.R. 24/02, ad esercitare il potere programmatorio in materia di localizzazione degli impianti di smaltimento di rifiuti;

II) violazione dell’art. 6 L. 24/1/90 e dell’at. 12 D. L.vo 387/03, eccesso di potere per violazione delle “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” di cui al D.M. 10/09/2010, difetto di istruttoria: la ricorrente non ha prodotto documentazione idonea a comprovare la disponibilità del sito destinato ad ospitare l’impianto, di cui la E.CA.M. s.r.l. non ha la proprietà, di guisa che il procedimento avrebbe dovuto essere sospeso; inoltre non risulta che siano state date alla Soprintendenza le comunicazioni di cui all’art. 13.3. del D.M. 10/09/2010;

III) violazione degli art. 3, 6 e 14 ter della L. 241/90, dell’art. 9 L.R. 40/98, degli artt. 26 e 208 del D. L.vo 152/06 nonché dell’art. 12 D. L.vo 387/03: si riscontra difetto di motivazione in ordine alle osservazioni presentate dal Comune di Villata e da altri Comuni nel corso del procedimento; inoltre il procedimento risulta viziato dal fatto che alla Conferenza di Servizi non sono stati invitati a partecipare la ASL di Vercelli, che dista pochi chilometri dal sito di progetto, ed il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che é stato escluso in forza di un insufficiente accertamento relativo alla distanza tra il sito di progetto e l’area protetta della Palude di Casalbeltrame; il provvedimento impugnato, infine, non dà conto delle ragioni per cui, a fronte del dissenso espresso da taluni degli enti invitati alla Conferenza di Servizi, é stata data prevalenza alle posizioni favorevoli alla realizzazione dell’impianto.

Si sono costituite in giudizio, per resistere al ricorso, la Provincia di Novara e la controinteressata E.CA.M s.r.l., quest’ultima eccependo in particolare anche l’inammissibilità del ricorso, trattenuto a decisione alla pubblica udienza del 31 maggio 2012.

DIRITTO

1. Il Collegio deve preliminarmente esaminare le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla difesa della controinteressata E.CA.M. s.r.l.

1.1. Questa ha rilevato, sotto un primo profilo, che il Comune di Casalvolone sin dal 19 aprile 2011 rilasciava ad E.CA.M. s.r.l. il permesso di costruire n. 4/2011 per la realizzazione dell’impianto oggetto degli atti impugnati, il quale non è stato fatto oggetto di alcuna impugnativa: tale circostanza determinerebbe, a dire della controinteressata, il difetto di interesse a coltivare il ricorso per mancata impugnazione di un atto presupposto avente autonoma capacità lesiva.

L’eccezione non merita di essere accolta.

Il citato permesso di costruire n. 4/2011 ha ad oggetto “la realizzazione di un impianto di recupero mediante trattamento aerobico ed anaerobico di rifiuti organici finalizzato alla produzione di compost ed energia elettrica in Comune di Casalvolone, località Pisnengo, in mappa al foglio 6, particelle nn. 17, 18, 19 e 25”, ed è stato rilasciato sotto l’osservanza di una serie di prescrizioni tra le quali il rispetto di “tutte le disposizioni e prescrizioni contenute nel provvedimento autorizzativo unico che sarà rilasciato dalla Provincia di Novara”.

La citata prescrizione evidenzia che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della controinteressata, qui non è l’autorizzazione ambientale ad essere stata rilasciata sul presupposto dell’esistenza del permesso di costruire, della cui esistenza la determina impugnata si limita a dare atto, ma è invece il permesso di costruire ad essere condizionato dalla esistenza della autorizzazione ambientale: è ben vero che questa ultima non é stata fatta oggetto di una vera e propria condizione di efficacia apposta al permesso di costruire, ma la prescrizione sopra ricordata testimonia che comunque il titolo edilizio è stato rilasciato nella convinzione che il procedimento di autorizzazione ambientale si sarebbe concluso favorevolmente per E.CA.M. s.r.l.. Si può pertanto affermare che il rilascio della autorizzazione ambientale nello specifico è stato ritenuto, ai fini del rilascio del permesso di costruire, un presupposto determinante, come tale idoneo a cagionare, ove annullato, la caducazione del titolo edilizio. Del resto non è chi non veda che non ha alcun senso il mantenimento in vita di un permesso di costruire riferibile ad un intervento non assentibile in base a norme diverse de quelle di natura strettamente urbanistico-edilizia.

L’interesse all’annullamento dell’atto impugnato non può quindi essere messo in discussione in relazione alla mancata impugnazione del permesso di costruire .

1.2. Sotto diverso profilo la controinteressata sostiene l’inammissibilità del ricorso per mancanza, in capo ai Comuni ricorrenti, di un interesse diretto, concreto ed attuale, e ciò in relazione alla inidoneità dell’impianto a cagionare danni ed alla insufficienza del mero criterio della vicinitas al fine di radicare l’interesse ad impugnare un atto amministrativo.

Anche questa eccezione va disattesa.

A prescindere dalla considerazione che buona parte della giurisprudenza considera sufficiente il criterio della vicinitas al fine di radicare l’interesse a ricorrere avverso la realizzazione di un’opera (tra le più recenti si veda ad esempio la pronuncia di C.d.S. sez. VI n. 1529 del 19 marzo 2012, con i richiami ivi effettuati), va osservato che comunque nella fattispecie non può negarsi ai Comuni ricorrenti l’interesse a contestare l’atto impugnato per almeno due ordini di ragioni.

Si allude, in primo luogo, alla circostanza che un impianto della consistenza di quello che qui viene in considerazione è per natura idoneo ad incidere, a tacer d’altro, sulla amenità dei luoghi: che esso possa essere poco visibile, che possa provocare immissioni di vario tipo contenute nei limiti di legge o che addirittura alcun tipo di disagio possa essere risentito dai Comuni viciniori sono evenienze che perdono di importanza a fronte della ovvia considerazione che per la popolazione locale è meglio non avere nelle vicinanze un impianto del genere. Tale considerazione risulta poi rafforzata dalla constatazione che i disagi paventati dai Comuni ricorrenti (conseguenti al processo di degradazione delle biomasse ed alla movimentazione del compost dentro e fuori l’area dell’impianto) costituiscono (come si vedrà infra, sub paragrafo 2) criticità tipiche degli impianti a digestione anaerobica di tipo “discontinuo”, la cui accettabilità è strettamente legata ad una corretta progettazione degli impianti, ma anche ad una corretta gestione e manutenzione nel tempo degli stessi. Per questa ragione il fatto che all’attualità il progetto possa dirsi inidoneo a cagionare pregiudizi ai Comuni ricorrenti non garantisce affatto che in futuro non si creeranno inconvenienti. Si tratta quindi di una attività che reca in sé un indice di rischio a fronte del quale si deve riconoscere alle comunità viciniore, e quindi agli enti che le rappresentano, la possibilità di sottrarvisi opponendosi alla realizzazione dell’intervento. Proprio per tale ragione in giurisprudenza è stata riconosciuta, ai comuni limitrofi a quello interessato dalla realizzazione di un impianto di gestione di rifiuti, la qualità di soggetto interessato, sia al fini della partecipazione alla conferenza di servizi indetta ai sensi dell’art. 208 D. L.vo 152/06 sia ai fini della impugnazione degli atti che autorizzano la realizzazione dell’impianto: si veda, tra le più recenti, la pronuncia del Consiglio di Stato, sez. V, n 5193 del 16 settembre 2011.

Già sulla base di tali considerazioni non è revocabile in dubbio l’interesse dei Comuni ricorrenti, che sono limitrofi e che hanno partecipato alla Conferenza di Servizi, alla impugnazione della determina conclusiva procedimento.

Va dipoi considerato che l’opera di che trattasi provoca comunque un carico impiantistico ed ambientale del quale dovrà tenersi conto nella futura attività di programmazione settoriale, che ne resterà condizionata: così, per effetto della realizzazione dell’impianto di che trattasi tra qualche anno potrebbe diventare difficile, dal punto di vista della sostenibilità ambientale, autorizzare la realizzazione di nuovi impianti di cui si sentisse la necessità in ragione di un aumento della produzione dei rifiuti locali. Sussiste pertanto l’interesse dei Comuni confinanti ad impugnare la determina in epigrafe indicata anche in vista di preservare la futura capacità di trattamento dei rifiuti dell’ a.t.o. di rispettiva appartenenza in ossequio al principio di autosufficienza.

1.3. Vanno quindi respinte le censure afferenti la carenza di legittimazione e di interesse dei Comuni ricorrenti.

2. Prima di passare alla disamina del merito del ricorso il Collegio ritiene opportuno puntualizzare quanto segue in punto di fatto.

2.1. Giova infatti rammentare che i c.d. impianti impianti di compostaggio altro non sono che impianti di trattamento aerobico nei quali sostanze organiche di vario tipo vengono poste a giacenza all’aria aperta affinché la relativa massa, opportunamente ossigenata ed umidificata, sia metabolizzata da micro-organismi: al termine del processo si ottiene un prodotto stabilizzato, una sorta di terriccio detto compost, che può essere utilizzato come fertilizzante.

La metabolizzazione di sostanza organica tramite “digestione” può però avvenire anche in ambiente anaerobico,e cioé in ambienti completamente chiusi all’interno dei quali si induce, tramite opportuno riscaldamento, la digestione della massa per opera di vari tipi di batteri che si attivano a seconda della temperatura: più è alta la temperatura più si velocizza il processo di digestione. Si hanno “digestori” di tipo “continuo”, i quali possiedono dispositivi meccanici o idraulici atti a mescolare il materiale e ad estrarne in continuazione gli eccessi durante l’aggiunta continua di materiale organico. Si hanno anche digestori di tipo “discontinuo abatch” nei quali una volta avvenuta l’alimentazione iniziale il “digestore” viene chiuso e sull’intera massa non agisce alcun dispositivo di sorta : tali “digestori” hanno lo svantaggio di emettere odori e di possedere cicli di svuotamento problematici. Nell’ultimo stadio di digestione anaerobica, detto metanogenesi, si ha la produzione di metano, di biossido di carbonio e di acqua: il biogas così ottenuto può essere captato e utilizzato per la produzione di energia termica tramite combustione in caldaia oppure per la produzione di energia elettrica attraverso gruppi di cogenerazione.

Il materiale in uscita dal digestore è un fango liquido che non è ancora completamente stabilizzato e che deve essere sottoposto ad ulteriore digestione aerobica, previa centrifugazione: all’esito di essa si ottiene una frazione liquida, destinata al processo di depurazione o al riutilizzo nel processo di digestione, ed una frazione solida, destinata al compostaggio.

Quanto sopra evidenzia che negli impianti di digestione anaerobica la produzione di biogas non costituisce il prodotto finale, ma solo un prodotto intermedio che, opportunamente catturato, viene utilizzato per la produzione di calore od energia elettrica. Prodotti finali di tale processo biologico sono invece il c.d. compost nonché un liquame destinato allo smaltimento, salvo essere utilizzato come fertilizzante organico in agricoltura o reimmesso nel digestore. In effetti la digestione anaerobica viene anche definita come una fase di pre-trattamento rispetto a quella di compostaggio aerobico.

2.2. Con domanda inoltrata il 3 novembre 2009 la E.CA.M. s.r.l. chiedeva il rilascio della compatibilità ambientale ai sensi della L. 40/98 in relazione ad un impianto di trattamento aerobico ed anaerobico di rifiuti organici finalizzato alla produzione di compost ed energia elettrica: in questo primo progetto originario si prevedeva di sottoporre a processo una quantità complessiva di 88.000 tonnellate all’anno di rifiuti organici, delle quali circa 50.000 tonnellate costituite da Frazione Organica di Rifiuti Solidi Urbani provenienti, nelle intenzioni della controinteressata, dalla Provincia di Novara, dal Piemonte o da Regioni limitrofe: parte di essa, pari a circa 35.000 tonnellate, doveva essere conferita all’impianto di compostaggio anaerobico - da realizzarsi con ricorso ad una tecnologia “a secco” con gestione a”batch” e tempo di digestione di 28 giorni -; la residua parte di 15.000 tonnellate era destinata all’impianto di digestione aerobica, al quale erano però destinate anche 33.776 tonnellate di “digestato” proveniente dalla digestione anaerobica.

2.3. Con delibera del Consiglio Provinciale di Novara n. 93 del 29 novembre 2010 veniva approvata una modifica alle Linee Guida approvate nel 2006 per la Gestione dei rifiuti, che ha stabilito quanto segue:

2.4. Impianti di compostaggio.

Tali impianti costituiscono un supporto indispensabile la sistema di raccolta differenziata già implementato sul territorio provinciale e alle prospettive dello stesso.

2.4.1. Situazione attuale.

Sul territorio provinciale attualmente risulta autorizzato all’esercizio dell’attività di compostaggio della frazione organica dei rifiuti solidi urbani derivanti dalla raccolta differenziata, un impianto ubicato in San Nazzaro Sesia in località Tenuta Devesio con una capacità di trattamento di 18.090 t/anno di FORSU. Il suddetto impianto ha ottenuto l’approvazione del progetto che prevede l’ampliamento della capacità annua di trattamento a 64.600 t/anno di cui 30.000 7/anno di FORSU.

2.4.2. Situazione a regime.

La proposta di modifica di Piano Regionale, approvata con D.G.R. 68-703 del 27.09.2010, stima di raggiungere nel 2015, ove la situazione territoriale lo consenta, l’obiettivo di raccolto di 90 Kg di FORU per abitante. Il fabbisogno impiantistico pertanto è di ca. 30.000 t/anno. L’autosufficienza a livello provinciale è garantita dall’ampliamento, già autorizzato, dell’impianto di San Nazzaro Sesia e pertanto in aderenza al principio di prossimità degli impianti di recupero sancito dall’art. 182 comma 5 del D. L.vo 152/06 si ritiene allo stato attuale non giustificato il rilascio di autorizzazioni alla realizzazione di altri impianti di trattamento della FORSU.

2.4. Nel corso della Conferenza di Servizi del 17 dicembre 2010 emergeva la possibile contrarietà dell’intervento rispetto alle nuove Linee Guida Programmatiche provinciali: a tale rilievo la controinteressata replicava, alla Conferenza del successivo 25 febbraio 2011, deducendo la inapplicabilità della modifica alla linea di digestione anaerobica e proponeva quindi una modifica al progetto nel senso di eliminare la FORSU dalla sezione di compostaggio, utilizzando la stessa solo nella linea anaerobica: tale proposta veniva effettivamente formalizzata il 3.3.2011.

2.5. La Conferenza di Servizi si riuniva quindi per l’ultima volta il 16 marzo 2011. Ad essa seguiva la determina oggetto di impugnazione.

3. Ciò premesso in fatto, è ora possibile procedere con la disamina dei motivi di ricorso, che è fondato e va accolto.

4. Va anzitutto chiarito che le Linee Guida provinciali, di cui si è testé riportato l’integrale punto 2.4. , debbono essere effettivamente interpretate nel senso che allo stato non consentono la apertura di nuovi impianti finalizzati al recupero della FORSU attesa la capacità degli impianti esistenti o già autorizzati a ricevere quella prodotta dal bacino di riferimento: è ben vero che esse non contengono un espresso divieto alla autorizzazione di nuovi impianti di trattamento della FORSU proveniente da diversi bacini d’utenza, ma nello specificare che eventuali nuovi impianti non sono giustificabili “in aderenza al principio di prossimità degli impianti di recupero sancito dall’art. 182 comma 5 del D. L.vo 152/06 “ la Provincia di Novara ha chiaramente affermato di volersi fare carico solo della gestione dei rifiuti prodotti nell’ambito del territorio di sua competenza: essa ha quindi optato per una politica di gestione dei rifiuti tendente ad escludere sia la realizzazione di impianti ultronei rispetto al fabbisogno del relativo territorio, sia la realizzazione di impianti destinati al trattamento di rifiuti provenienti da diversi bacini di utenza.

4.1. La legittimità delle Linee Guida provinciali di cui si discute non è messa in causa nel presente giudizio e segnatamente non risulta che esse siano contrastanti con le norme del Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti, atto di pianificazione contemplato all’art. 199 del D. L.vo 152/06 (e prima ancora dall’art. 22 del D. L.vo 22/97), che ad esso affida, tra l’altro, il compito di prevedere “b)la tipologia ed il complesso degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti urbani da realizzare nella regione, tenendo conto dell’obiettivo di assicurare la gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all’interno degli ambiti territoriali ottimali di cui all’art. 200 nonché dell’offerta di smaltimento e di recupero da parte del sistema industriale; c) la delimitazione di ogni singolo ambito territoriale ottimale sul territorio regionale, nel rispetto delle linee guida di cui all’art. 195 comma 1 lett. n); d) il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all’interno di ciascuno degli ambiti territoriali di cui all’art. 200, nonché ad assicurare lo smaltimento dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti;…” .

La norma in esame assegna inequivocabilmente alle sole regioni il compito di determinare il fabbisogno degli impianti di gestione dei rifiuti. La ragione per cui la previsione del fabbisogno di impianti di smaltimento e di recupero di rifiuti deve essere effettuata in sede regionale è evidente, e risiede nella esigenza di assicurare che la distribuzione dei suddetti impianti sul territorio regionale avvenga in guisa da garantire il rispetto dei principi di precauzione, di prevenzione e di proporzionalità, e così la sostenibilità ambientale, oltre all’ autosufficienza di ogni a.t.o.

In giurisprudenza (TAR Marche sez. I, sentenza n. 1441/09) si è osservato che tale norma fonda il potere delle regioni di opporre limitazioni alla libera circolazione dei rifiuti speciali prodotti in ambito regionale e che sarebbe irrazionale che tale potere non potesse essere esercitato con riferimento ai rifiuti speciali provenienti da altre regioni. Il Collegio ritiene condivisibile tale orientamento. Le numerose pronunce della Corte Costituzionale che si sono pronunciate in materia (si veda ad esempio la sentenza n 10/09 ed i precedenti ivi richiamati) hanno chiarito che il divieto di smaltimento di rifiuti di produzione extraregionale ed il connesso principio di autosufficienza vigono solo con riferimento ai rifiuti urbani non pericolosi, non potendo essere applicabili ai rifiuti speciali per i quali è impossibile a priori determinare un ambito territoriale ottimale che ne garantisca lo smaltimento. Da tale indicazione non può però trarsi la conclusione che l’esportazione fuori regione di rifiuti speciali sia libera al punto tale da prescindere da qualsiasi programmazione regionale, che anzi appare necessaria proprio al fine di garantire che tali rifiuti siano smaltiti nell’ambito territoriale più consono a riceverli.

Ciò precisato in punto rifiuti speciali, pare al Collegio che a maggior ragione anche la individuazione degli impianti destinati al recupero di rifiuti urbani non pericolosi di provenienza regionale o extraregionale debba avvenire in sede di approvazione del Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti, ancorché per tale tipologia di rifiuti valga il principio di libera circolazione: l’art. 181 comma 5 del D. L.vo 152/06 stabilisce infatti che “Per le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio ed al recupero è sempre ammessa la libera circolazione sul territorio nazionale tramite enti o imprese iscritti nelle apposite categorie dell’Albo nazionale gestori ambientali ai sensi dell’art. 212 comma 5, al fine di favorire il più possibile il loro recupero privilegiando il principio di prossimità agli impianti di recupero”.

Ad avviso del Collegio non deve perdersi di vista il fatto che in via generale i rifiuti urbani non pericolosi devono essere gestiti solo in ambito regionale (argomento ex art. 182 comma 3 D. L.vo 152/06); che il principio di libera circolazione valevole per quella frazione di essi destinata al recupero costituisce dunque una deroga ad un divieto generale che deve essere fatta oggetto di stretta interpretazione; che l’attività di recupero dei rifiuti urbani non pericolosi crea un carico impiantistico e genera una quantità di prodotti che per rientrare nel concetto di “prodotto secondario” devono avere un effettivo valore economico e di scambio e debbono rispondere a criteri di sicurezza e merceologici ben determinati: una attività di recupero di rifiuti, quindi, non garantisce necessariamente la completa reimmissione in commercio del rifiuto trattato e perciò reca in sé il rischio di gravare l’ambito territoriale interessato di un non preventivato quantitativo di rifiuti urbani non pericolosi soggetto a smaltimento ma proveniente da fuori regione. Tale considerazione vale, in particolare, con riferimento al compost, che, stante l’ormai sempre più accentuata sproporzione esistente tra offerta e domanda, in mancanza di politiche mirate non viene così facilmente ricollocato sul mercato, rimanendo giacente negli impianti di compostaggio, che poi nel tempo debbono ampliarsi. A tale inconveniente si può far fronte solo approntando un programma di utilizzazione del compost, ad esempio prevedendone l’utilizzo in larga scala per il recupero ambientale di determinate cave o discariche, o per la realizzazione di stadi o di giardini pubblici. Nell’ambito delle previsioni regionali che autorizzino, in deroga al principio di prossimità, l’apertura di impianti di recupero di rifiuti di provenienza “esterna” dovrebbero quindi trovare posto, auspicabilmente, anche delle prescrizioni tendenti a garantirne l’effettivo riutilizzo.

Queste considerazioni inducono il Collegio a ritenere che anche la allocazione di impianti destinati al recupero di rifiuti urbani non pericolosi, di qualsiasi provenienza, debba essere presa in considerazione dalla programmazione regionale di settore. Indiretta conferma in tal senso si trae anche dall’art. 5 comma 3 del D. L. 263/06, che ha attribuito al Commissario delegato per la gestione della emergenza dei rifiuti in Campania il potere di “disporre, d’intesa con le regioni interessate, lo smaltimento ed il recupero fuori regione, nella massima sicurezza ambientale e sanitaria, di una parte dei rifiuti prodotti”: la norma, come si vede, non distingue tra le varie tipologie di rifiuti prodotti, e così implicitamente riconosce che anche il recupero fuori regione di rifiuti urbani non pericolosi debba passare – nonostante il principio di libera circolazione - attraverso un atto di intesa con le regioni “riceventi”. E’estremamente significativo il fatto che una tale limitazione risulti inserita in una legislazione emergenziale come quella che riguarda lo smaltimento dei rifiuti della Regione Campania, legislazione che proprio in ragione della situazione di emergenza che affligge questo territorio favorisce in generale lo smaltimento dei rifiuti ivi prodotti fuori regione: se ne deduce che anche per il legislatore il principio di libera circolazione dei rifiuti urbani non pericolosi destinati al recupero non esclude che tale attività debba conciliarsi con la programmazione di settore regionale e provinciale.

L’art. 181 comma 5 del D. L.vo 152/06 deve quindi essere letto tenendo presente che comunque la allocazione degli impianti di recupero dei rifiuti urbani non pericolosi deve rispettare le previsioni regionali: queste ultime, proprio in forza della menzionata disposizione, possono derogare al principio di prossimità consentendo l’insediamento di impianti destinati al trattamento di rifiuti urbani non pericolosi provenienti da località esterne all’a.t.o. ed alla Regione di interesse; ma ove simili previsioni facciano difetto la allocazione di simili impianti non può ritenersi consentita. Opinare diversamente significherebbe – come rilevato dal TAR Marche nella sopra ricordata pronuncia – ammettere che la politica di gestione dei rifiuti rimanga affidata ai singoli gestori degli impianti, il che non si può evidentemente accettare in una materia in cui la programmazione e la coordinazione degli interventi è di fondamentale importanza.

4.1.1. Orbene, l’esistenza, nel vigente Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti di previsioni che consentano la allocazione nella Provincia di Novara di nuovi impianti di compostaggio e di trattamento anaerobico di biomasse non è stata mai invocata dalla ditta interessata in sede procedimentale.

Viceversa, nella odierna fase giurisdizionale la controinteressata ha indicato l’esistenza, in un non meglio identificato Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti che la Regione Piemonte avrebbe allo stato solo adottato, di una previsione secondo la quale nell’a.t.o. 2, ove dovrebbe situarsi l’impianto in discussione, “in alternativa al trattamento della forsu in impianti di compostaggio, anche i fini del raggiungimento degli obiettivi energetici riguardanti l’utilizzo di fonti rinnovabili, è possibile ricorrere alla digestione anaerobica come forma di pre-trattamento della forsu, seguita da successive operazioni di recupero”.

A prescindere dalla considerazione che l’atto regionale di che trattasi non è stato compiutamente identificato né prodotto dalla ricorrente e che comunque si tratterebbe solo di un atto adottato, come tale non ancora applicabile (non esistono, infatti, norme che collegano alla adozione di un piano regionale dei rifiuti l’applicazione di misure di salvaguardia, che comunque avrebbero ad oggetto solo le norme più limitative), il Collegio osserva che la previsione in oggetto in realtà ha più valenza programmatica che pratica: da essa infatti non è dato evincere chiaramente che nell’a.t.o. 2 è possibile l’apertura di impianti di trattamento della FORSU ulteriori rispetto a quelli esistenti, e tanto meno si evince che possano essere autorizzati impianti per il trattamento di FORSU proveniente da zone esterne alla a.t.o. medesimo. L’affermata alternatività degli impianti a trattamento anaerobico rispetto a quelli di compostaggio aerobico indica poi semplicemente, ad avviso del Collegio, la propensione dell’amministratore regionale al contenimento degli impianti di compostaggio tradizionale al fine del contenimento del complessivo carico impiantistico (infatti, ove i rifiuti organici di un a.t.o. fossero tutti sottoposti ad un pre-trattamento in impianto anaerobico per essere indirizzati solo successivamente agli impianti di compostaggio esistenti, la necessità di autorizzare nuovi impianti di compostaggio o di autorizzare l’aumento di capacità di quelli esistenti sarebbe contenuta e dipenderebbe solo dall’aumento della produzione dei rifiuti locali; viceversa la mancata coordinazione della attività dei due tipi di impianti induce i gestori degli impianti anaerobici a ricercare fuori a.t.o. i rifiuti da pre-trattare, ma tale fenomeno induce poi, all’interno dell’a.t.o., un aumento della quantità di massa destinata agli impianti di compostaggio aerobici: da qui l’esigenza di creare nuovi impianti di compostaggio o di aumentare la capacità di quelli esistenti). La previsione in esame è dunque inapplicabile in mancanza di misure atte a coordinare l’attività degli impianti di compostaggio esistenti con quelli a trattamento anaerobico di futura realizzazione, essendo evidente che l’attività degli impianti in esercizio o già autorizzata non può essere interrotta o revocata solo in dipendenza della apertura di un nuovo impianto a trattamento aerobico.

La disposizione del Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti che la controinteressata ha invocato nelle sue difese è quindi allo stato inidonea a sorreggere l’autorizzazione alla apertura di una nuova linea di trattamento della FORSU e tale constatazione rafforza quanto già rilevato al precedente paragrafo 4 in ordine alla interpretazione delle Linee Guida provinciali.

4.2. La contestata previsione delle Linee Guida provinciali é applicabile ad avviso del Collegio sia agli impianti di compostaggio che agli impianti di digestione anaerobica: questo per la ragione che, come sopra già precisato, il prodotto finale degli impianti di digestione anaerobica non è costituito dal biogas, bensì da un fango non stabilizzato che, una volta centrifugato, dà luogo ad una frazione liquida destinata a smaltimento, se non utilizzata come fertilizzante o se non reimmessa nel digestore, e ad una frazione solida, destinata ad una ulteriore fase di stabilizzazione in impianto di compostaggio aerobico: gli impianti a digestione anaerobica, insomma, non provocano l’annientamento o la sparizione dei rifiuti e sostanze organiche da cui sono alimentati, ma sono anzi idonei a creare una quantità di frazione solida che è destinata ad alimentare proprio quegli impianti di compostaggio cui si riferisce la rubrica della norma. Non per niente gli impianti di digestione anaerobica dei rifiuti sono anche definiti come impianti di pre-trattamento.

Non si comprende, allora, per quale ragione dovrebbe ritenersi consentita dalla Linee Guida provinciali la realizzazione di impianti di digestione anaerobica che impieghino la FORSU: la ratio delle Linee Guida è quella di evitare l’inutile proliferare degli impianti di compostaggio ed a tal fine esse hanno determinato il fabbisogno di impianti in quelli necessari e sufficienti a trattare la FORSU prodotta dal solo bacino di interesse. E’ chiaro, tuttavia, che nel momento in cui nell’a.t.o. si comincia a trattare per via anaerobica anche FORSU di provenienza esterna all’a.t.o. si va ad incidere sul fabbisogno di impianti di compostaggio, vanificando le previsioni delle Linee Guida . Si noti poi che nel caso di specie E.CA.M. s.r.l. è stata autorizzata alla apertura non solo della linea di trattamento anaerobico, ma anche di una linea di compostaggio aerobico della quale, in teoria, non doveva sentirsi la necessità. Infatti risulta già autorizzato un ampliamento dell’impianto di S. Nazzaro Sesia sufficiente ad accogliere la FORSU di cui è prevista la produzione nell’a.t.o. 2 sino al 2015: poiché E.CA.M.. s.r.l. sostiene di voler recuperare la FORSU dell’a.t.o. medesimo e poiché la massa pre-trattata deve comunque terminare il ciclo di recupero in un impianto di compostaggio, l’impianto di S. Nazzaro Sesia avrebbe ben potuto accogliere la FORSU pre-trattata da E.CA.M. s.r.l. Invece questa ultima è stata autorizzata ad aprire una nuova linea di compostaggio aerobico, nella quale farà confluire 50.000 tonnellate di FORSU “digestata” derivante dal pre-trattamento negli impianti anaerobici. Ciò significa: a) che nell’impianto di compostaggio comunque confluisce della FORSU, sia pure pre-trattata; b) che l’impianto di S. Nazzaro Sesia non avrà più alcuna utilità, a meno che in realtà E.CA.M. s.r.l. conti di recuperare FORSU proveniente da fuori a.t.o., così andando ad aggravare il carico territoriale di FORSU da sottoporre a trattamento aerobico in disaccordo con l’obiettivo delle Linee Guida provinciali.

Si tratta di semplici considerazioni, che però spiegano bene la ragione per cui non ha alcun senso applicare le Linee Guida ai soli impianti di trattamento aerobico della FORSU, come ha fatto la Provincia di Novara. Del resto è agevole osservare che al di là del mero dato formale costituito dalla rubrica del punto 4.2. delle Linee Guida provinciali, nulla autorizza a credere che esso abbia inteso vietare solo nuovi impianti a trattamento aerobico della FORSU: è invece un dato di fatto che la previsione si chiude con una affermazione che si riferisce genericamente ad “altri impianti di trattamento della FORSU” senza ulteriore specificazione.

4.3. A conclusione dell’esame del primo motivo di ricorso resta da verificare se l’impianto di che trattasi possa ritenersi sottratto alla normativa speciale sui rifiuti in ragione della sua finalizzazione alla produzione di energia elettrica e della riconducibilità della FORSU al concetto di “biomassa” utile alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

Al proposito il Collegio rammenta preliminarmente come l’attività di “recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi (comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche)” sono definite dall’allegato C alla parte quarta del D. L.vo 152/06, lettera R.3, tra le operazioni di recupero dei rifiuti, indipendentemente dalla finalizzazione della attività. Allo stesso modo al punto R.1. si considera attività di recupero dei rifiuti l’utilizzo di rifiuti “principalmente come combustibile e come altro mezzo per produrre energia”, indipendentemente dalla energia sviluppata.

Pare quindi non potersi revocare in dubbio che le attività di compostaggio di rifiuti nonché l’attività di trattamento anaerobico di rifiuti finalizzata alla creazione di biogas e, dipoi, alla produzione di energia o calore, debbano essere annoverate tra le attività di recupero dei rifiuti, la quale attività appartiene al ciclo di gestione dei rifiuti (art. 183 lett. n D. L.vo 152/06) ed è quindi soggetta alla relativa disciplina, nella quale è compresa la programmazione territoriale di settore.

E.C.A.M. s.r.l. sostiene, in pratica, che la FORSU utilizzata per la produzione di energia rinnovabile perde la sua connotazione di “rifiuto” per assumere quella di “biomassa”, e pretende derivare da ciò la non applicabilità della normativa in materia di rifiuti agli impianti che utilizzano rifiuti biodegradabili per la produzione di energia rinnovabile.

Il Collegio non è di questo avviso.

A prescindere dal dato chiarissimo emergente dal sopra ricordato allegato C alla parte quarta del D. L.vo 152/06, va considerato che la circostanza che la FORSU, come altri rifiuti biodegradabili, possa qualificarsi come “biomassa” ai fini della applicabilità delle norme in materia di produzione di energia rinnovabile non toglie che essa è e continua ad essere un rifiuto sino a che, ad ultimazione del ciclo di trattamento, viene definitivamente trasformata in un prodotto secondario. L’energia traibile dalla attività di recupero dei rifiuti biodegradabili costituisce solo una utilità che si affianca a quella insita nel recupero dei rifiuti stessi, e che tale utilità possa costituire il motivo principale che induce il gestore alla apertura dell’impianto non altera la natura della attività, che resta pur sempre anche una attività oggettivamente deputata al recupero degli stessi. Del resto è evidente che il trattamento dei rifiuti biodegradabili utilizzati per la produzione di energia rinnovabile ne garantisce il corretto recupero solo ove assoggettato interamente alla normativa sui rifiuti, la quale costringe il gestore dell’impianto a non disinteressarsi dei rifiuti trattati dopo averne sfruttato le capacità energetiche.

Agli impianti che producono energia rinnovabile tramite trattamento di rifiuti biodegradali sarà quindi certamente applicabile - come la Sezione ha già chiarito nella sentenza n. 1563/09, che ha chiarito che i rifiuti biodegradabili sono suscettibili di utilizzazione quali “biomasse” ai fini della applicazione della disciplina inerente la produzione di energia di fonti rinnovabili, senza peraltro far derivare da tale statuizione la inapplicabilità delle norme sui rifiuti - sia la normativa afferente la produzione di energia da biomasse sia la normativa sulla gestione dei rifiuti.

Tale statuizione non si pone in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria sulla produzione di energia da fonti rinnovabili, la cui applicazione non può e non deve tradursi nella selvaggia proliferazione di impianti di notevole impatto ambientale e soprattutto non deve portare a pratiche idonee a compromettere la programmazione della gestione dei rifiuti ed il corretto recupero degli stessi.. A tale proposito si rammenta che il considerando n. 8 della direttiva 2001/77/CE, sulla promozione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, anche nel testo consolidato ribadisce che la utilizzazione di rifiuti come fonte energetica implica la applicazione della normativa europea sui rifiuti; che “il sostegno dato alle fonti energetiche rinnovabili dovrebbe essere compatibile con gli altri obiettivi comunitari, specie per quanto riguarda la gerarchia di trattamento dei rifiuti”; e che la definizione di biomassa utilizzata dalla direttiva medesima “lascia impregiudicato l’utilizzo di una definizione diversa nelle legislazioni nazionali per fini diversi da quelli della presente direttiva”.

4.4. Per tutte le dianzi esposte ragioni il Collegio ritiene fondato il primo motivo di ricorso.

5. E’ peraltro fondato, e va accolto, anche il secondo motivo, a mezzo del quale i Comuni ricorrenti censurano l’atto impugnato per violazione di alcune prescrizioni contenute nelle Linee Guida di cui al D.M. 10/09/2010 n. 47987, che, essendo entrate in vigore in data anteriore alla conclusione del procedimento sfociato nell’atto impugnato, avrebbero dovuto essere applicate: si veda in tal senso la pronuncia di Consiglio di Stato sez. V n. 34 del 10 gennaio 2012, secondo la quale “La corretta applicazione del principio “tempus regit actum” comporta che l’Amministrazione deve tener conto anche delle modifiche normative intervenute durante l’iter procedimentale, non potendo al contrario considerare l’assetto cristallizzato una volta per tutte alla data dell’atto che vi ha dato avvio; conseguentemente, la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato ad istanza di parte va valutata con riferimento alle norme vigenti al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale e non a quello della presentazione della istanza.

5.1. Sotto un primo profilo i ricorrenti censurano la determina impugnata per non aver la Provincia rilevato la mancanza di disponibilità del suolo in capo alla E.CA.M. s.r.l.

Al riguardo va anzitutto precisato che la censura è pertinente ed ammissibile in quanto il difetto di disponibilità del suolo è stato eccepito, dai ricorrenti, non con riferimento al titolo edilizio ma con riguardo ad una specifica previsione contenuta nelle Linee Guida di cui al D.M. 10/09/2010 n. 47987, che all’art. 13.1. lett. c) stabilisce che all’istanza per il rilascio della autorizzazione unica relativa ad impianti alimentati da fonti rinnovabili, deve essere allegata, “nel caso di impianti alimentati a biomassa e impianti fotovoltaici, ..la documentazione da cui risulti la disponibilità dell’area su cui realizzare l’impianto e delle opere connesse, comprovata da titolo idoneo alla costruzione dell’impianto e delle opere connesse….”. La allegazione della menzionata documentazione costituisce, a norma del punto 14.2. delle medesime Linee Guida nazionali, una condizione di procedibilità; pertanto la mancanza di essa influisce sulla legittimità sia del permesso di costruire – che nel caso di specie è stato irritualmente rilasciato in separata sede – sia della autorizzazione unica conclusiva.

Nel merito si osserva che il suolo sul quale deve essere realizzato l’impianto non risulta essere in proprietà di E.CA.M. s.r.l., che ha sottoscritto il 29 luglio 2008 solo un contratto preliminare per l’acquisto dello stesso: la stipula del suddetto contratto ha comportato, secondo quanto si evince dalle pattuizioni in esso contenute, la trasmissione in capo ad E.CA.M. s.r.l. della “materiale detenzione “ del suolo; tuttavia subito dopo viene chiaramente specificato che il “possesso giuridico di quanto in oggetto ad ogni effetto utile e oneroso verrà trasferito a far tempo dalla data del contratto definitivo”. A ciò si deve aggiungere che dal testo complessivo del regolamento negoziale non emerge il consenso dei promittenti venditori all’intervento costruttivo prima della stipula del contratto definitivo: se è vero che la vendita viene chiaramente programmata in funzione della realizzazione dell’impianto oggetto dell’atto impugnato, è pur vero che con il contratto preliminare i promittenti venditori nè conferiscono ai promittenti acquirenti il potere di chiedere in loro nome e conto le necessarie autorizzazioni (impegnandosi invece a prestare la collaborazione necessaria a tal fine), né autorizzano l’inizio dei lavori di costruzione prima della stipula del contratto definitivo.

Pare quindi evidente che nelle intenzioni degli stipulanti il preliminare in questione doveva servire ad E.CA.M. s.r.l. solo per entrare nel godimento del terreno a titolo di mera detenzione, evidentemente allo scopo di facilitare la predisposizione degli atti progettuali e per acquisire un titolo preferenziale di acquisto non azionabile, però, in caso di mancato rilascio delle necessarie autorizzazioni: le parti hanno infatti sottoposto il contratto “alla condizione risolutiva del mancato ottenimento, entro il 30 ottobre 2009, condizione essenziale nell’interesse della parte promittente acquirente o dalla persona nominata dalla stessa per la stipula del contratto di vendita, di tutte le autorizzazioni a tal fine necessarie nel senso più ampio del termine….”. In siffatto contesto la mancata trasmissione del possesso giuridico del suolo in capo alla promittente acquirente appare coerente con la volontà delle parti di mantenere il controllo del bene in capo ai promittenti venditori in attesa della evoluzione degli eventi, e ciò conferma che il preliminare di che trattasi non conferiva alla promittente acquirente il potere di realizzarvi costruzioni e dunque non costituiva titolo idoneo a comprovare la disponibilità del suolo ai sensi del punto 13.1. lett. c) delle Linee Guida.

Tenuto conto dei rilievi che precedono e delle acquisizioni giurisprudenziali (si veda ad esempio la recente pronuncia di Consiglio di Stato, sez. IV, n. 4968 del 2 settembre 2011) le autorizzazioni avrebbero dovuto essere richieste, a proprio nome, dai promittenti venditori, perché in capo ad essi permaneva, in qualità di proprietari e possessori del suolo, il potere di realizzarvi delle costruzioni: ad avvenuta stipula del contratto definitivo le autorizzazioni avrebbero poi potuto essere volturate a favore di E.CA.M. s.r.l. Nel caso di specie, al contrario, le autorizzazioni sono state richieste direttamente da E.CA.M. s.r.l. a proprio nome e conto, sulla base di un contratto che non le conferiva il potere di compiere atti di disposizione del suolo, giuridici o materiali.

Inconferente è il richiamo che la difesa della controinteressata effettua all’art. 1356 c.c., che autorizza il titolare di un diritto sotto condizione ad esercitarlo: il preliminare in esame, infatti, non ha conferito ad E.CA.M. s.r.l. la proprietà del suolo né il diritto di costruirvi, e quindi in pendenza della condizione essa non era abilitata a presentare le necessarie istanze autorizzative.

Né risulta dirimente la circostanza che la Provincia di Novara non abbia mai eccepito l’improcedibilità della istanza per mancata produzione del titolo di disponibilità del suolo: il punto 14.4. delle Linee Guida, infatti, si limita a stabilire che ove le eventuali carenze della domanda non siano rilevate nei 15 giorni successivi “il procedimento si intende avviato”, ma questo non significa che esso non possa e non debba successivamente essere interrotto per rilevare il difetto di una condizione di procedibilità che incide sulla legittimità dell’atto conclusivo, qual è quella relativa alla disponibilità del bene oggetto di intervento.

5.2. Il secondo motivo di ricorso è fondato anche laddove censura l’operato della Provincia per non essere stata data alla competente Soprintendenza comunicazione del procedimento.

La comunicazione di che trattasi è contemplata al punto 13.3. delle Linee Guida nazionali , ove si stabilisce che “Nei casi in cui l’impianto non ricada in zona sottoposta a tutela ai sensi del d. lgs. 42 del 2004, il proponente effettua una comunicazione alle competenti Soprintendenze per verificare la sussistenza di procedimenti di tutela ovvero di procedure di accertamento della sussistenza di beni archeologici, in itinere alla data di presentazione della istanza di autorizzazione unica. Entro 15 giorni dal ricevimento della comunicazione, le Soprintendenze informano l’amministrazione procedente circa l’eventuale esito positivo di tale verifica al fine di consentire alla stessa amministrazione, nel rispetto dei termini previsti dal punto 14.6, di convocare alla conferenza di servizi le soprintendenze nel caso previsto dal punto 14.9, lett. e”.

La prescrizione in esame tende a prevenire il rilascio di atti di assenso che coinvolgano beni sui quali siano in corso procedimenti finalizzati alla dichiarazione di interesse culturale o paesaggistico: essa nulla ha a che vedere con la necessità di convocare alla Conferenza di Servizi il Ministero per i Beni e le Attività Culturali in relazione all’interessamento di beni che risultino già sottoposti a tutela ai sensi del D. L.vo 42/04, ma è invece funzionale ad ampliare l’oggetto della istruttoria in modo da ricomprendervi l’accertamento della eventuale pendenza di procedimenti finalizzati alla dichiarazione di interesse culturale o paesaggistico del sito sul quale deve sorgere l’impianto e a consentire alla Soprintendenza di far valere le esigenze di tutela pertinenti a tale interesse, sia partecipando alla Conferenza di Servizi sia adottando provvedimenti cautelativi.

La carenza di tale comunicazione ed il difetto di istruttoria che ne consegue inficiano la legittimità del provvedimento conclusivo.

Il secondo motivo di ricorso merita pertanto di essere accolto anche in ragione dell’indicato vizio, non constando che E.CA.M. s.r.l. abbia mai comunicato alle competenti Soprintendenze la pendenza del procedimento oggetto del provvedimento impugnato.

6. Il terzo motivo di ricorso può essere accolto limitatamente alla censura di difetto di motivazione con riferimento alle ragioni che hanno indotto la Provincia a disattendere le osservazioni presentate nel corso del procedimento dal Comune di Villata relativamente alla interpretazione delle Linee Guida provinciali nonché, più in generale, a superare il dissenso opposto da alcuni degli enti partecipanti alla Conferenza: in effetti il provvedimento impugnato si limita, fondamentalmente, a dare atto delle varie tappe del procedimento e dei vari pareri raccolti, senza tuttavia esplicitare le ragioni che hanno indotto la Provincia a superare il dissenso opposto da alcuni dei partecipanti alla Conferenza di Servizi.

6.1. Il motivo deve invece essere disatteso nella parte in cui censura la mancata convocazione della ASL di Vercelli e del MIBAC.

6.1.1. Il Collegio rileva che l’art. 9 della L.R. 40/98 indica, tra i soggetti interessati al procedimento di VIA, “l’Azienda Sanitaria Locale (ASL) competente”, utilizzando la locuzione al singolare e così escludendo implicitamente che possano sussistere più aziende sanitarie locali competenti.

Il Collegio ritiene pertanto che legittimata a partecipare ai procedimenti di che trattasi sia solo la ASL nel cui territorio deve essere realizzata l’opera soggetta a valutazione di impatto ambientale: pare del resto superfluo il coinvolgimento di altre ASL , dal momento che questi organi tecnici sono chiamati ad esprimersi sulla conformità alle norme sanitarie degli impianti di volta in volta sottoposti a valutazione ed appare inutile che tale parere sia espresso da più di una ASL.

6.1.2. Quanto alla mancato invito del MIBAC il Collegio osserva che in effetti non vi è prova del fatto che l’impianto si collochi in area “contermine” rispetto alla Palude di Casalbeltrame.

Nella specie è incontroverso tra le parti che la distanza minima di tutela che dovrebbe sussistere tra l’impianto e la menzionata Palude dovrebbe essere di 600 metri, distanza che nel provvedimento impugnato si dice essere stata accertata in misura superiore. I Comuni eccepiscono il difetto di istruttoria sul punto, che però non è dimostrato, così come non è dimostrato che l’impianto venga a collocarsi a distanza inferiore ai ricordati 600 metri dalla Palude di Casalbeltrame.

Va quindi respinta la censura afferente la mancata convocazione alla Conferenza di Servizi del MIBAC.

7. Il ricorso merita conclusivamente di essere accolto per le dianzi esposte ragioni.

Le spese possono essere compensate in ragione della complessità e della novità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe indicato, lo accoglie e per l’effetto annulla la determinazione del Dirigente del Settore Ambiente Ecologia Energia della Provincia di Novara 7.6.2011 n. 1925/2011.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani, Presidente

Roberta Ravasio, Primo Referendario, Estensore

Ariberto Sabino Limongelli, Referendario





L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE










DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 30/08/2012