Il cigno verde e la separazione dei poteri 
(nota a sentenza Tribunale civile di Roma del , sez. II, causa n. 39415 del 2021)

 di Giuseppe TROPEA

pubblicato su giustiziainsieme.it.Si ringraziano Autore ed Editore

Sommario: 1. La vicenda contenziosa. – 2. Alcuni antecedenti giurisprudenziali e talune premesse culturali. – 3. Quale situazione giuridica è agita nel contenzioso climatico? – 4. Spunti conclusivi sul giudice.

1. La vicenda contenziosa

Deve prevalere un concetto di verità “forte”, in quanto “naturale”, ossia composta delle sue cinque classiche qualità epistemiche (corrispondenza, rivelazione, conformità, coerenza e utilità) scopribili attraverso protocolli scientifici, oppure una verità “debole”, perché soltanto “istituzionale”, ossia frutto dell’ermeneutica giuridica che inquadra tutti i fatti come interpretazioni e reputa insindacabile l’interpretazione fornita dal potere, quando questo è legittimato democraticamente?[1] Il giudice è custode dei “principi”, nonostante le “leggi di natura” e la scienza, o delle “garanzie”, grazie anche alle “leggi di natura” e alle scoperte scientifiche sulla sopravvivenza umana?[2] E ancora: le leggi di natura possono condizionare, come parametro di validità, le previsioni normative, interponendosi la predizione scientifica come parametro di legalità cui il giudice soggiace secondo una logica di legalità di risultato e di anticipatory regulation?[3]

Tali capitali domande, sottese alla sentenza del Tribunale civile di Roma qui in commento, dimostrano quanto essa fosse attesa, non solo fra gli addetti ai lavori, e quanti fronti di interesse essa sottende, in tutte le scienze sociali[4]. Già la denominazione enfatica del caso, “Giudizio universale”, la dice lunga sul carattere storico della pronuncia.

I numerosi ricorrenti sono costituiti da alcune organizzazioni non-governative, da un ampio numero di individui maggiorenni, da alcuni minori rappresentati in giudizio dai propri genitori. L’obiettivo generale dell’azione giudiziaria è accertare l’inadempimento da parte dello Stato italiano degli obblighi internazionali, europei e domestici in tema di contrasto al cambiamento climatico di origine antropica. Il contenzioso non mira ad ottenere uno specifico strumento legislativo né un risarcimento dei danni.

Quello che si domanda al Tribunale è di ordinare al Governo italiano di ridurre le proprie emissioni di gas a effetto serra del 92% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e di adottare un piano comunicativo efficace in relazione ai rischi connessi al cambiamento climatico e alle politiche di prevenzione e adattamento a tali rischi da questo intraprese. 

Il caso, che rappresenta la prima causa climatica in Italia, si colloca sulla scia di importanti sentenze già rese in altri paesi europei. 

Basti pensare alla sentenza resa il 20 dicembre 2020 dalla Corte Suprema olandese nel caso Urgenda, in cui la Corte ordina al governo olandese di ridurre urgentemente e significativamente le emissioni in linea con i propri obblighi in materia di diritti umani.

Oppure alla sentenza resa dal Tribunale amministrativo di Parigi del 3 febbraio 2021, con la quale si riconosce una diretta responsabilità omissiva dello Stato francese in relazione agli obiettivi e agli impegni dell’Unione Europea e nazionali in materia di riduzione dei gas a effetto serra. 

Vi sono delle differenze di fondo tra questi due precedenti. Mentre infatti con la decisione Urgenda i giudici hanno deciso non alla luce del dato positivo, ma del dato scientifico[5], nella vicenda Affaire du siècle, invece, il giudice amministrativo francese ha deciso sulla base del dato positivo, a cominciare dall’Accordo di Parigi del 2015 e dalla sua attuazione interna[6]. L’approccio human rights based che ha caratterizzato il caso Urgenda non ha avuto quindi la stessa rilevanza nel caso Affaire du siècle. Qui non è stato necessario mettere in luce la contrarietà della condotta dello Stato rispetto agli obblighi di protezione di diritti fondamentali quali la vita[7] e la salute delle persone, in quanto i ricorrenti avevano lamentato che la condotta dello Stato francese fosse in contrasto, prima ancora che con tali previsioni, con la stessa normativa nazionale in materia di lotta al cambiamento climatico, la cui legittimità non era in discussione[8].

Infine, si consideri la sentenza della Corte costituzionale tedesca del 29 aprile 2021(Neubauer et al. c. Germania), la quale ha ritenuto la legge sul cambiamento climatico (c.d. Klimaschutzgesetz, “KSG” o “Legge sul Clima”) adottata dal governo tedesco nell’ottobre del 2019 come inadeguata a raggiungere gli obiettivi posti dagli obblighi internazionali sulla riduzione di emissioni di gas serra assunti da quest’ultimo.

Insomma, vi erano una serie di precedenti che facevano ritenere in molti che il Tribunale di Roma avrebbe accolto l’istanza di parte attrice[9].

Così non è stato, e in questo senso la posizione restrittiva del Tribunale italiano sembra maggiormente avvicinarsi, con le debite differenze del caso, alla recente giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale ha ritenuto lo Stato francese non responsabile per la non piena attuazione delle direttive sulla qualità dell’aria, in quanto le direttive perseguono gli obiettivi della tutela della salute e dell’ambiente e, pertanto, non sono in grado di far sorgere diritti differenziati in capo ai cittadini europei[10].

Il giudice ha osservato, infatti, che la domanda risarcitoria ricollegata alla titolarità di un diritto soggettivo (e come tale considerata scrutinabile dal giudice ordinario), per come formulata, è diretta in concreto a chiedere, quale petitum sostanziale, un sindacato sulle modalità di esercizio delle potestà statali previste dalla Costituzione. Sennonché, l’interesse di cui si invoca la tutela risarcitoria ex art. 2043 e 2051 c.c. non rientra nel novero degli interessi soggettivi giuridicamente tutelati, in quanto le decisioni relative alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno del cambiamento climatico antropogenico - che comportano valutazioni discrezionali di ordine socio-economico e in termini di costi-benefici nei più vari settori della vita della collettività umana - rientrano nella sfera di attribuzione degli organi politici e non sono sanzionabili nel giudizio.

La responsabilità dello Stato sarebbe originata dalle condotte omissive, commissive e provvedimentali del Governo e del Parlamento che non consentirebbero il raggiungimento di obiettivi più ambiziosi rispetto a quelli cui lo Stato si è vincolato. Quelli posti in essere dal Governo e dal Parlamento sono tuttavia atti, provvedimenti e comportamenti manifestamente espressivi della funzione di indirizzo politico, consistente nella determinazione delle linee fondamentali di sviluppo dell’ordinamento e della politica dello Stato nella delicata e complessa questione del cambiamento climatico antropogenico. Le censure mosse si appuntano sull’azione di indirizzo politico realizzata dai titolari della sovranità statuale in ordine alle concrete modalità con cui stanno contrastando il cambiamento climatico per il raggiungimento degli obiettivi individuati nell’ambito dell’ordinamento eurounitario e internazionale.

Da qui il giudice trae il proprio difetto assoluto di giurisdizione, pur ricordando che la domanda proposta in via subordinata, volta ad ottenere una modifica del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), attenendo alla legittimità dell’atto amministrativo e, comunque, a comportamenti e omissioni riconducibili all’esercizio di poteri pubblici in materia di contrasto al cambiamento climatico antropogenico, è afferente alla giurisdizione amministrativa generale di legittimità.

2. Alcuni antecedenti giurisprudenziali e talune premesse culturali

Riassumendo: il Tribunale di Roma respinge con tali secche argomentazioni tre punti essenziali di attacco su cui si fondava la strategia degli attori.

Da un lato l’azione rappresenta un tipico esempio di lite strategica, sulla falsariga del già menzionato caso Urgenda. Vi è poi l’aspetto ambientale, basato per lo più sulla violazione del diritto internazionale del clima e delle norme che ne hanno dato attuazione sia sul piano comunitario che sul piano interno. Infine, vi è l’aspetto puramente civilistico, per cui si reclama la responsabilità extracontrattuale dello Stato italiano (ex art. 2043 c.c.) per non aver rispettato obblighi di prevenzione di danni in situazioni di ‘minaccia urgente’; minaccia, secondo i ricorrenti, comprovata ampiamente dalla scienza.

Un altro aspetto interessante riguarda proprio il rapporto fra scienza e autonomia della politica. I ricorrenti, in linea con questo tipo di contenzioso, rimarcano come la politica debba agire secondo quelle che sono le più autorevoli indicazioni scientifiche in materia di cambiamento climatico (a livello internazionale si considerino i rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change), da cui discende anche un obbligo di informare correttamente i cittadini circa l’attuazione dei piani nazionali (cd. ‘riserva di scienza’), obbligo recepito dal diritto internazionale ambientale nonché dalla giurisprudenza della Corte EDU e della Corte costituzionale italiana[11].

Invero, la strategia dei ricorrenti, non si fondava solo su importanti precedenti in altri Stati, anche di civil law.

Essa ha come base una importante corrente dottrinale[12] fondata su alcuni snodi essenziali. La premessa è che viviamo un’emergenza sia ecosistemica che climatica, aggravata dall’urgenza del necessario abbandono di qualsiasi opzione di transizione energetica ancora fossile, perché ormai «minacciosa» essa stessa.

In tale contesto, i contenuti dell’obbligazione climatica, tracciati primariamente a livello internazionale dal Preambolo e dai primi quattro articoli dell’UNFCCC[13], sono self-executing e integrabili con fattispecie tipiche già disciplinate dai singoli ordinamenti (come, per es., l’art. 2051 c.c. sulla «custodia di cose», non a caso richiamato dalle parti attrici della causa “Giudizio Universale”). 

Quindi la tipizzazione resta tutta di matrice internazionale, integrandosi, in ragione della relazione di specialità dell’UNFCCC con le fonti degli Stati, con gli istituti interni compatibili con quella ratio. Si spiega in questo modo il ricorso, nelle c.d. climate change litigation, alle categorie del tort e dell’illecito extracontrattuale. Esse rivendicano il principio del neminem laedere come norma generale interna/esterna, espressiva di un principio di diritto internazionale umanitario, e in secondo luogo ricorrono ancora a esso come regola di responsabilità, non derogabile da nessun genere di diposizione interna[14].

In questo approccio il principio di riserva di scienza ha delle ricadute inevitabili sul piano dei poteri del giudice e dei rapporti di quest’ultimo con l’amministrazione[15], la legislazione e la stessa scienza. In buona sostanza, la discrezionalità politica viene ritenuta pienamente sindacabile nel modo in cui utilizza le conoscenze scientifiche istituzionalizzate dall’UNFCCC[16]; quanto alla cognizione del giudice, il principio ha delle evidenti ricadute con riguardo all’individuazione dei fatti notori (art. 115 c.p.c.) e di quelli non contestabili[17].

La sentenza del Tribunale di Roma si distacca da questo paradigma teorico, non solo nella misura in cui invoca il rispetto della discrezionalità politica e del principio di separazione dei poteri, ma anche ove lamenta la mancanza delle informazioni necessarie per l’accertamento della correttezza delle complesse decisioni prese dal Parlamento e dal Governo.

3. Quale situazione giuridica è agita nel contenzioso climatico?

È accettabile questo self restaint giudiziale? O, al contrario, lo Stato di eccezione permanente che viviamo, col picco del Covid-2019, autorizza severe deroghe ai principi cardine dello Stato di diritto, su tutti quello di separazione dei poteri[18], mercé la riserva di scienza? 

Forse si dovrebbe tornare a riflettere sui fondamenti, e in particolare sul rapporto fra giurisdizione e teorica delle situazioni soggettive. Una suggestione in tal senso ci viene proprio dalla sentenza del Tribunale di Roma, che per un verso in maniera condivisibile si dichiara sfornito di giurisdizione di fronte alle immani questioni poste dal “cigno verde” (sono state individuate ben ventiquattro co-emergenze fra loro interdipendenti, fra le quali la «sesta estinzione di massa» e il possibile collasso degli ecosistemi nel 2030[19]), per altro verso individua un margine di intervento – più modesto ma forse più efficace – in capo al giudice amministrativo, rispetto a un atto di pianificazione generale quale il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima.

Quando parlo di teorica delle situazioni soggettive lo faccio all’interno di un discorso che non vuole toccare il tema, altrettanto spinoso, delle condizioni legittimanti e dell’interesse all’azione. Sul punto nella nostra dottrina è in corso un fecondo dibattito, con diverse opinioni, più o meno favorevoli a un’estensione della legittimazione per via del recupero della teorica astratta dell’azione o di una valorizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale in chiave di standing processuale[20]

Mi limito ad osservare come il tema è spesso filtrato, o forse inquinato, dal profilo dell’insindacabilità delle scelte politiche di Governo e Parlamento sul punto, a sua volta collegato (e confuso) col tema del controllo giudiziale sull’atto politico. Non è un caso che il Tribunale di Roma preferisca atterrare sul tema del difetto assoluto di giurisdizione, piuttosto che soffermarsi su possibili dichiarazioni di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione o per sussistenza dell’atto politico.

Anche a mio avviso queste ultime due questioni sono dei falsi problemi[21], perché comunque rifrazioni del nucleo duro costituito dalla riserva di scienza e dal suo rapporto potenzialmente destabilizzante e dirompente rispetto all’acciaccato principio di separazione dei poteri. A meno di non prenderne in prestito aspetti euristici utili e interessanti, come quello che guarda alla teoria dell’atto politico come modalità – scettica e storicista, come in un filone delle origini francesi della teoria – di indagine sui rapporti mobili tra giudice, politica e amministrazione[22].

Il Tribunale di Roma, in ogni caso, evidenzia la sommatoria di due lacune connesse: la mancanza nel caso di specie di interessi soggettivi giuridicamente tutelati, in quanto le decisioni relative alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno del cambiamento climatico rientrano nella sfera di attribuzione degli organi politici e non sono sanzionabili nel giudizio. Insomma: l’eccesso di potere giurisdizionale ai danni del legislatore e dell’amministrazione si coniuga qui al il difetto assoluto di giurisdizione per radicale assenza di una posizione giuridica soggettiva meritevole di tutela da parte di qualsiasi giudice[23]. Nonostante la sentenza parli di difetto assoluto di giurisdizione, in realtà essa si riferisce più propriamente all’eccesso di potere giurisdizionale, categoria di più rara frequenza statistica ma meno soggetta a rilievi critici rispetto al difetto assoluto di giurisdizione[24].

Il punto è, quindi, se muoverci in una tradizionale ottica individualista o assumere una diversa prospettiva rispetto al problema.

Anche le più avanzate e coraggiose tesi sulla tutela climatica talora restano intrappolate nella prima, più rassicurante, logica. 

Sul punto esistono molte impostazioni sul campo[25]: il diritto alla natura, il diritto della natura, il diritto al clima, la natura come patrimonio comune, la public trust doctrine. Non è questa la sede per approfondirle tutte, ma posso dire di essere dell’idea che anche le più raffinate elaborazioni soggettivistiche, come quella del diritto al clima[26], scontano la crisi della tirannia del diritto[27] e perpetuano una visione antropocentrica del problema.

Contro questa impostazione si è osservato che la diversa narrazione del clima come “bene comune” o “Global Common”, ha portato ad affrontare la classica “tragedia” dell’utilizzo comune senza danni reciproci. Non ci sarebbe più spazio per nessuna inerzia: l’unica tragedia all’orizzonte sarebbe quella «dell’orizzonte temporale», e semmai si dovrebbe aprire ad orizzonti deliberativi e di gestione “comune” in tema di energia e beni vitali da cui la stabilità climatica dipende[28].

Il giudice della sentenza qui in commento non ha evidentemente seguito questa linea, sia pure nel ristretto rigore delle aule e delle “carte” processuali, che solo fino a un certo punto possono riecheggiare le altezze della speculazione teorica. Ma c’è una certa saggezza in questa autolimitazione giudiziale, da non leggere solo in una difesa conservativa e di retroguardia della separazione dei poteri[29]

Forse, dunque, c’è qualcosa d’altro.

È stato osservato[30] che l’idea dell’ambiente come patrimonio collettivo comune, terreno di incontro tra diritto alla natura e diritto della natura, mette al centro la teoria dei doveri, che a sua volta rafforza la dimensione pubblicistica della problematica ambientale[31]. In questo senso, la criticità non sta solo nel profilo dello spostamento delle competenze dalla politica alla giurisdizione[32], ma anche nel senso di collocare le decisioni fondamentali sui complessi rapporti tra ambiente, economia e società fuori dalla mediazione politica ed entro un campo essenzialmente sofocratico, giudice o scienziato che sia[33]

4. Spunti conclusivi sul giudice

Questa sentenza non è evidentemente un punto di arrivo, ma di partenza.

Guarda al passato, ma talora può esser sano un approccio di questo genere, anche se non può portarci a dimenticare la prospettiva disastrosa del “cigno verde”, per riprendere l'immagine suggestiva utilizzata dalla Banca dei regolamenti internazionali per indicare i rischi provenienti dal climate change in relazione alla stabilità finanziaria mondiale[34].

In questo senso, il richiamo finale nella sentenza al giudice amministrativo e alla sua sfera di cognizione sul potere mi pare interessante.

Mi rendo ben conto che la “microfisica” del giudice speciale e del suo processo è tuttora sottoposta ad attacchi, anche salaci e in più punti condivisibili[35].

Ma qui interessa l’opzione teorica di fondo che sembra sottesa al passaggio finale della sentenza del Tribunale civile di Roma.

L’idea mi pare evocare l’applicazione della tecnica del bilanciamento[36], ormai intrinseca alla logica del diritto fondamentale, come sappiamo sin dalla sentenza sull’Ilva di Taranto del 2013 della Consulta, sentenza non a caso definita schmittiana[37], confermata poi dalla giurisprudenza del tempo pandemico. In buona sostanza, emergenze e criticità talmente gravi da mettere in pericolo un assetto sociale impongono di disporre in una scala discendente di interessi; esse, inoltre, implicano unità e prontezza di decisione e valorizzazione di doveri e responsabilità. Insomma, si pongono nuovamente al centro della scena i doveri inderogabili di cui parla l’art. 2 Cost. Il nostro giudice amministrativo ha riflesso in più occasioni tale posizione, ritenendo che l’interesse privato vada contemperato con quello della collettività a prevenire il diffondersi del virus.

Tutto ciò, peraltro, a fonte della ritenuta inadeguatezza del diritto soggettivo a dar conto di determinate dimensioni di doverosità e responsabilità, sull’onda lunga della categoria, di sempre maggiore dignità teorica, dell’interesse legittimo fondamentale, e della centralità del giudice amministrativo non solo al fine di rendere giustizia al privato, ma sempre più anche come arbitro del dialogo e del confronto tra le amministrazioni e del conflitto di attribuzioni fra enti[38].

In campi come il biodiritto e l’immigrazione, ad esempio, le resistenze del legislatore hanno se possibile accresciuto gli interstizi della normazione secondaria e terziaria, sovente tecnica, e spesso in contrazione di “nuovi” diritti o meglio libertà, con nuovamente accresciuto ruolo del giudice, sempre più mediatore di conflitti cui la politica non vuole o non può accedere. In questi casi il giudice al centro della scena, oltre a quello amministrativo, è anche quello costituzionale, il quale spesso stigmatizza l’inerzia legislativa per lo più nei settori eticamente sensibili, e nel farlo colma la lacuna dettando – sia pure in forma embrionale – la disciplina del procedimento da seguire per erogare le prestazioni costituzionalmente dovute.

Probabilmente anche i climate change litigation attecchiranno presso il giudice amministrativo, specie dopo la sentenza in commento, e magari con più fortuna.

La parabola, quindi, sembra essere tornata alle origini: più amministrazione, meno giudice; mi riferisco evidentemente al giudice civile, non a quello amministrativo e costituzionale, che, come detto, si collocano progressivamente al centro della scena, talora peraltro con una ripartizione dei reciproci confini non sempre agevole (si pensi, ancora, alla giurisprudenza pandemica). 

Questo non toglie, comunque, che i limiti tra giudice e legislatore dovrebbero essere fatti salvi anche in questo caso, pena la frantumazione sociale e l’esposizione della stessa giurisprudenza a tentativi di delegittimazione da parte della politica. 

Peraltro, proprio il carattere embrionale di queste discipline svela i limiti di effettività della tutela solo giurisdizionale proprio in settori come quello delle crisi ambientali, settori che richiedono il coinvolgimento di altri decisori e chiamano ampiamente in causa il sapere tecnico. Anche le liti strategiche come le climate change litigation, quindi, da un lato segnalano i difetti e le insufficienze delle politiche ambientali, dall’altro non possono consentire che il giudice supplisca a inadeguati contemperamenti di interessi del legislatore e dell’amministrazione[39]

Poteri, questi, che a loro volta devono rispettare il – pur discusso – principio di “riserva di scienza”, in base al quale le evidenze scientifiche giocano ormai un ruolo rilevante nel sottrarre spazi di discrezionalità al decisore. 

Sulle modalità con cui ciò deve accadere il dibattito è aperto presso i costituzionalisti, che guardano con interesse alla nostra teoria del procedimento amministrativo per rimediare alle annose criticità di quello legislativo[40].

Ma il tema immane della crisi della politica, e dei suoi meccanismi di funzionamento, non può certo essere oggetto di queste brevi note.

  

[1] Sulla concezione tarskiana della verità cfr. N. Abbagnano, Storia della filosofia, vol. 12, Novara-Roma, 2006.

[2] Su questo dilemma, si pensi ad alcune note contrapposizioni: in ambito giuridico fra Robert Alexy e Luigi Ferrajoli, e, in quello filosofico-sociale, fra Niklas Luhmann e Jürgen Habermas.

[3] G. Campeggio, La causa “Giudizio Universale” e il problema della verità, in www.diritticomparati.it, 21 settembre 2022.

[4] Per un’ampia e recente ricognizione v. AA.VV., Handbook of the Philosophy of Climate Change, ed. G. Pellegrino-M. Di Paola, Cham, 2023.

[5] M. Morvillo, Climate change litigation e separazione dei poteri: riflessioni a partire dal caso Urgenda, in www.forumcostituzionale.it, 28 maggio 2019.

[6] P. Patrito, Cambiamento climatico e responsabilità dei pubblici poteri: aspetti (più o meno) problematici di un recente fenomeno, in Resp. civ. prev., 2023, 1934 ss.

[7] Sulla centralità del diritto alla vita in materia ambientale v. ora M. Monteduro, La tutela della vita come matrice ordinamentale della tutela dell’ambiente (in senso lato e in senso stretto), in Riv. quad. dir. amb., 2022, 423 ss.

[8] L. Del Corona, Brevi considerazioni in tema di contenzioso climatico alla luce della recente sentenza del Tribunal Administratif de Paris sull’“Affaire du siècle”, in La Rivista “Gruppo di Pisa”, 2021, 333.

[9] Per una ragionata rassegna v. M. Delsignore, Il contenzioso climatico dal 2015 ad oggi, in Giorn. dir. amm., 2022, 265 ss.; AA.VV., Environmental Law Before the Courts. A US-EU Narrative, ed. G. Antonelli, M. Gerrard, S. Colangelo, G. Montedoro, M. Santise, L. Lavrysen, M.V. Ferroni, Cham, 2023. Sull’importanza dei casi giurisprudenziali avvenuti nel Global South v. M. Schirripa,Climate Change Litigation and the Need for ‘Radical Change’, in www.federalismi.it. Si consideri che mentre il presente contributo era in corso di pubblicazione è sopraggiunta la sentenza della Corte Edu, del 9 aprile 2024, con la quale i giudici di Strasburgo hanno dato ragione alle ricorrenti dell’associazione svizzera «Klimaseniorinnen», ovvero «le nonne svizzere» data l’età media over 70, che hanno accusato il governo elvetico di aver violato i loro diritti umani non impegnandosi abbastanza rapidamente per affrontare la «febbre» della Terra. In particolare, la Corte Edu ha stabilito la violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, riguardante «il rispetto della vita privata e familiare», ma ha escluso la violazione dell’articolo 2, ovvero «il diritto alla vita». Nella stessa data la Corte Edu è stata chiamata a esprimersi anche sul caso «Duarte Agostinho and Others v. Portugal and 32 Other States», una causa promossa da un gruppo di giovani portoghesi nei confronti di 32 Stati membri dell’Unione Europea (Italia compresa), accusati di non fare abbastanza per ridurre le emissioni. Il loro ricorso è stato dichiarato inammissibile dai giudici di Strasburgo, secondo cui i ricorrenti avrebbero dovuto rivolgersi ai tribunali portoghesi prima di fare ricorso alla Cedu. La stessa sorte è toccata anche al terzo e ultimo contenzioso climatico finito sul tavolo della Corte europea dei diritti dell’uomo. A presentare ricorso in questo caso è stato Damien Carême, ex sindaco di Grande-Synthe, che ha fatto causa alla Francia per non aver agito con abbastanza convinzione ed efficacia per limitare gli effetti dei cambiamenti climatici. La Corte di Strasburgo ha fatto notare però che Carême non vive più in Francia e di conseguenza non può dichiararsi vittima dell’inazione del governo francese.

[10] Corte di Giustizia UE, Grande sezione, 22 dicembre 2022, Causa C-61/21 - J.P. c. Ministre de la Transition écologique e Premier ministre, in Giorn. dir. amm., 2023, con nota di M. Delsignore, Il giudice europeo e il risarcimento del danno per inquinamento dell’aria, la quale, pur criticando la pronuncia, mette in luce la preferibilità di strumenti di public enforcement piuttosto che di private enforcement.

[11] V. ad esempio le sentenze della Corte costituzionale n. 169/2017, n. 338/2003, n. 282/2002.

[12] M. Carducci, Cambiamento climatico (diritto costituzionale), in Dig. disc. pubbl., Agg. 2021, 51 ss. 

[13] La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, da cui l'acronimo UNFCCC o FCCC), nota anche come Accordi di Rio.

[14] Cfr. Corte cost. n. 16/1992.

[15] M.F. Cavalcanti, Fonti del diritto e cambiamento climatico: il ruolo dei dati tecnico-scientifici nella giustizia climatica in Europa, in DPCE online, 2/2023. Per una tassonomia dei diversi ruoli svolti e assunti dai giudici rispetto alla scienza (ricostruzione “soggettiva” del giudice, assunzione del parere consolidato all’interno della comunità scientifica, determinazione in concreto del contenuto scientifico di una disposizione legislativa scientificamente indeterminata, utilizzo di una tecnica innovativa a livello medico-scientifico, interpretazione conforme a Costituzione che risulta condizionata dal dato scientifico, self-restraint rispetto alla discrezionalità politica del legislatore, self-restraint a favore di istanze medico-scientifiche), rilevandosi un’inevitabile pluralità di approcci, cfr. S. Penasa, Giudice “Ercole” o giudice “Sisifo”? Gli effetti del dato scientifico sull’esercizio della funzione giurisdizionale in casi scientificamente connotati, in www.forumcostituzionale.it, 17 dicembre 2015.

[16] S. Jasanoff, A World of Experts: Science and Global Environmental Constitutionalism, in B.C. Envtl. Aff. L. Rev., 2, 2013, 439-452.

[17] L. Bergkamp, Adjudicating Scientific Disputes in Climate Science, in Envtl Liability, 2015, 80-102.

[18] M. Ramajoli, Il cambiamento climatico tra Green Deal e Climate Change Litigation, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2021, 53 ss.

[19] M. Carducci, Cambiamento climatico (diritto costituzionale), cit., 62.

[20] Mi permetto di rinviare a G. Tropea, La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo: una rassegna critica della letteratura recente, in Dir. proc. amm., 2021, 462 ss.

[21] L. Magi, Giustizia climatica e teoria dell’atto politico: tanto rumore per nulla, in www.osservatoriosulle fonti.it, 2021, 1030 ss. Di contro, tra i primi critici della sentenza del Tribunale di Roma, v’è chi richiama la sentenza n. 81/2012 della Corte costituzionale sull’atto politico. Cfr. L. Cardelli, La sentenza “Giudizio Universale”: una decisione retriva, in www.lacostituzione.info, 11 marzo 2024.

[22] Ribadisco tale idea, da ultimo, in G. Tropea, Teoria e ideologia del controllo giurisdizionale sull’amministrazione, Relazione al Convegno annuale Aipda Lo spazio della pubblica amministrazione. Vecchi territori e nuove frontiere, Napoli, 29-30 settembre 2023, in corso di stampa sull’Annuario Aipda 2023. 

[23] Riprendo qui la terminologia dell’attento studio di A. Cassatella, L’eccesso di potere giurisdizionale e la sua rilevanza nel sistema di giustizia amministrativa, in Riv. trim. dir. pubbl., 2018, 625 ss.

[24] Cfr. M. Mazzamuto, L'eccesso di potere giurisdizionale del giudice della giurisdizione, in Dir. proc. amm., 2012, 1677 ss.

[25] Si v. l’attento studio di S. Valaguzza, Liti strategiche: il contenzioso climatico salverà il pianeta?, in Dir. proc. amm., 2021, 293 ss.

[26] A. Pisanò, Il diritto al clima. Una prima concettualizzazione, in L’ircocervo, 2021, 261 ss.

[27] R. Bin, Critica della teoria dei diritti, Milano, 2018.

[28] M. Carducci, Cambiamento climatico (diritto costituzionale), cit., 72.

[29] È la garbata critica che (sia pure in una condivisione dei valori e dei temi di fondo, e nella consapevolezza del modo in cui la separazione dei poteri viene declinata, bilanciata, attuata ed accettata in tutte le sue conseguenze) viene avanzata all’importante ultimo libro di M. Luciani da A. Cassatella, Separazione dei poteri, ruolo della scienza giuridica, significato del diritto amministrativo e del suo giudice. Osservazioni a margine di “Ogni cosa al suo posto. Restaurare l’ordine costituzionale dei poteri” di Massimo Luciani, in corso di pubblicazione. 

[30] S. Valaguzza, Liti strategiche: il contenzioso climatico salverà il pianeta?, cit.

[31] F. Fracchia, Coronavirus, senso del limite, deglobalizzazione e diritto amministrativo: nulla sarà più come prima?, in www.dirittodelleconomia.it, n. 3/2019, 575 ss.; P. Pantalone, La crisi pandemica dal punto di vista dei doveri, Napoli, 2023.

[32] Così D. Porena, Giustizia climatica e responsabilità intergenerazionale, in www.rivistaaic, 2023, 186 ss.

[33] Aggiungo che questa centralità del giudice, in un contesto eminentemente di soft law quale il diritto internazionale della crisi ecologica, è tipica della de-politicizzazione derivante dal contesto neoliberale che pervade i nostri ordinamenti. In esso a spiccare è il concetto di resilienza, tipico lemma che può facilmente divenire vettore di assestamenti neoliberali, come dimostrano le pionieristiche ricerche sul tema di Crawford Holling. Si v., se si vuole, G. Tropea, Considerazioni sulla rimeditazione delle relazioni giuridiche di diritto amministrativo dopo la pandemia. Il libro di Pasquale Pantalone sulla “Crisi pandemica del punto di vista dei doveri”, in corso di pubblicazione.

[34] Sui rapporti tra crisi ecologica e attività economica di produzione di beni e di servizi per fini ambientali v. ora F. de Leonardis, Lo Stato ecologico, Approccio sistemico, economia, poteri pubblici e mercato, Torino, 2023.

[35] F. Volpe, Un marziano a spasso per il processo amministrativo (divertissement sul non processo), in www.giustiziainsieme.it, 13 marzo 2024.

[36] Sulla teoria del bilanciamento nella crisi ecologica in atto v. M. Monteduro, Le decisioni amministrative nell’era della recessione ecologica, in www.rivistaaic.it, n. 2/2018.

[37] M. Luciani, Ogni cosa al suo posto, Milano, 2023, 58.

[38] G. Tropea, Teoria e ideologia del controllo giurisdizionale sull’amministrazione, cit.

[39] Cfr. C. Tripodina, La tutela dei diritti fondamentali tra diritto politico e diritto giurisprudenziale, in M. Cavino, C. Tripodina (a cura di), La tutela dei diritti fondamentali tra diritto politico e diritto giurisprudenziale: “casi difficili” alla prova, Milano, 2012, 78, la quale, pur riconoscendo la «primazia della decisione legislativa» su quella giurisdizionale, ritiene che «il “buon legislatore” è quello che non si sottrae al dovere di dettare una disciplina sui “casi difficili”, ma sa farlo rimanendo in equilibrio lungo il sottile crinale che gli è imposto dal rispetto di costituzione, scienza, coscienza e corpo».

[40] Cfr., da ultimo, L. Del Corona, Libertà della scienza e politica. Riflessioni sulle valutazioni scientifiche nella prospettiva del diritto costituzionale, Torino, 2022. Sulla produzione di norme attuative del principio di precauzione come archetipo del rapporto tra scienza e tecnica da un lato e fra politica e diritto dall’altro, e come principio procedurale che non oscura la dimensione politico-valutativa del rapporto fra scienza e diritto, v. L. Buffoni-A. Cardone, Il procedimento normativo precauzionale come caso paradigmatico del ravvicinamento “formale-procedurale” delle “fonti” del diritto, in www.osservatoriosullefonti.it, n. 3/2012. 

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA SEZIONE SECONDA CIVILE 

Il Tribunale, in persona del Giudice designato dott.ssa Assunta Canonaco, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 39415 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2021, trattenuta in decisione all’udienza del 13 settembre 2023 e vertente

TRA

OMISSIS

tutti rappresentati e difesi congiuntamente e disgiuntamente dagli Avv.ti Raffaele Cesari, del Foro di Lecce e Luca Saltalamacchia, del Foro di Napoli, presso il cui studio in Napoli alla via dei Greci n. 36 hanno eletto domicilio, affiancati dal Prof. Avv. Michele Carducci, del Foro di Lecce giusta procure in atti

ATTORI

E

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui Uffici, in Roma, via dei Portoghesi è domiciliata per legge

CONVENUTO

OGGETTO:azione di risarcimento dei danni per responsabilità dello Stato italiano in materia di contrasto al cambiamento climatico di origine antropica.

CONCLUSIONI:come verbale di udienza del 13.09.2023 da intendersi interamente richiamato e trascritto.

IN FATTO

Con atto di citazione notificato in data 4 giugno 2021, le associazioni e i soggetti persone fisiche indicate in epigrafe hanno convenuto in giudizio dinanzi a questo Tribunale, lo Stato italiano e per esso la Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente del Consiglio, chiedendo l’accoglimento delle seguenti conclusioni:

“- In via principale, accertare e dichiarare, per le ragioni di cui ai punti da VI.1 a VI.12 della narrativa, la responsabilità ex art. 2043 c.c. dello Stato italiano e per esso della Presidenza del Consiglio in persona del Presidente del Consiglio p.t;

- per l’effetto, condannare il convenuto ex art. 2058, co. 1, c.c. all’adozione di ogni necessaria iniziativa per l’abbattimento, entro il 2030, delle emissioni nazionali artificiali di CO2-eq nella misura del 92% rispetto ai livelli del 1990, ovvero in quell’altra, maggiore o minore, in corso di causa accertanda.

-  In via subordinata, accertare e dichiarare, per le ragioni di cui ai punti da VI.13 a VI.18 della narrativa, la responsabilità ex art. 2051 c.c. dello Stato italiano e per esso della Presidenza del Consiglio in persona del Presidente del Consiglio p.t;

- per l’effetto, condannare il convenuto ex art. 2058, co. 1, c.c., all’adozione di ogni necessaria iniziativa per l’abbattimento, entro il 2030, delle emissioni nazionali artificiali di CO2-eq nella misura del 92% rispetto ai livelli del 1990, ovvero in quell’altra, maggiore o minore, in corso di causa accertanda.

- Con vittoria di spese e compensi di giudizio da distrarsi in favore dei sottoscritti procuratori antistatari”.

In via ulteriormente subordinata, in accoglimento delle domanda proposta dalle Associazioni A Sud Ecologia e Cooperazione Onlus, Medici per l'Ambiente ISDE Italia onlus, Coordinamento Nazionale No Triv e Biblioteca di Sarajevo, accertare e dichiarare, per le ragioni di cui ai punti da VI.19 a VI.26 della narrativa, l’inadempimento da parte dello Stato italiano e per esso della Presidenza del Consiglio in persona del Presidente del Consiglio p.t, dell’obbligazione di protezione riveniente dall’instaurato contatto sociale qualificato;

- per l’effetto, condannare il convenuto ex art. 1453 c.c. a conformare (adeguare) il PNIEC alle disposizioni idonee a realizzare l’abbattimento, entro il 2030, delle emissioni nazionali

artificiali di CO2-eq nella misura del 92% rispetto ai livelli del 1990, ovvero in quell’altra, maggiore o minore, in corso di causa accertanda.

- In via ancor più gradata, sempre in accoglimento della domanda proposta dalle Associazioni A Sud Ecologia e Cooperazione Onlus, Medici per l'Ambiente ISDE Italia onlus, Coordinamento Nazionale No Triv e Biblioteca di Sarajevo, accertare e dichiarare, per le ragioni di cui ai punti da VI.27 a VI.28 della narrativa, la responsabilità da contatto sociale qualificato dello Stato italiano e per esso della Presidenza del Consiglio in persona del Presidente del Consiglio p.t;

- per l’effetto, condannare il convenuto ex art. 2058, co. 1, c.c., a conformare (adeguare) il PNIEC alle disposizioni idonee a realizzare l’abbattimento, entro il 2030, delle emissioni nazionali artificiali di CO2-eq nella misura del 92% rispetto ai livelli del 1990, ovvero in quell’altra, maggiore o minore, in corso di causa accertanda.

- Con vittoria di spese e compensi di giudizio da distrarsi in favore dei sottoscritti procuratori antistatari”.

A sostegno della propria domanda gli attori, dopo avere descritto diffusamente nel corposo e articolato atto introduttivo i gravi problemi climatici del pianeta imputabili al surriscaldamento globale provocato dalle emissioni antropogeniche dei gas che alterano la composizione della atmosfera, hanno evidenziato come la grave e preoccupate condizione planetaria di emergenza climatica fosse stata accertata dalla comunità scientifica mondiale e dichiarata dall’UE (che ne aveva rilevato gli elementi determinanti di urgenza). Hanno descritto la condizione emergenziale nel territorio italiano e gli obblighi dello Stato di intervento al fine di “porre fine all’aumento costante della temperatura, perseguire e mantenere la stabilità climatica, contribuire ad arrestare gli effetti degenerativi dell’emergenza climatica, quindi rendere effettivi, nel presente e nel futuro, i contenuti essenziali dei diritti fondamentalissimi della persona umana, prevenendone la lesione”.

Hanno individuato le fonti di tali “doveri statali”, rinvenibili, oltre che nella Costituzione e nella Convenzione Europea sui Diritti Umani (CEDU), anche nell’ordinamento euro-unitario, e quindi: nella n. 65/1994 di ratifica e di esecuzione della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 1992 (UNFCCC); nella l. n. 204/2016 di ratifica ed esecuzione dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015; nel diritto europeo, originario e derivato (che include e integra UNFCCC e Accordo di Parigi); nelle ulteriori fonti connesse o integrative (Report del “Panel intergovernativo sul cambiamento climatico” - IPCC); nelle decisioni e dichiarazioni di organi e organismi di cui l’Italia è componente.

Sul presupposto della “perdurante (permanente) violazione dei modi e tempi dei doveri statali di protezione”hanno quindi rappresentato “una responsabilità climatica dello Stato italiano convenuto, riconducibile alle fattispecie di cui agli artt. 2043 c.c. ovvero 2051 c.c., nonché degli artt. 1173 e 1218 c.c.”.

Si è costituita la Presidenza del Consiglio dei Ministri che - pure evidenziando la consapevolezza da parte dell’Amministrazione convenuta, e più in generale delle autorità italiane, delle gravi problematiche indicate dagli attori - dopo avere fornito una ricostruzione della normativa in materia di lotta ai cambiamenti climatici (diretta a dimostrare l’impegno profuso dallo Stato italiano per fronteggiare l’emergenza connessa ai cambiamenti climatici) ha eccepito: 1. l’inammissibilità della domanda svolta, diretta alla condanna dello Stato “all’esercizio del potere legislativo, governativo e amministrativo per sconfinamento ed eccesso di potere giurisdizionale”, e il difetto di giurisdizione del giudice ordinario; 2. il difetto di legittimazione ad agire dei singoli cittadini e delle associazioni attoree titolari di un mero interesse semplice e di fatto, non qualificato, né differenziato da quello della collettività generale; 3. l’insussistenza di una responsabilità dello Stato, in mancanza di una obbligazione civile degli Stati nei confronti dei singoli riguardo agli interventi da adottare e stabiliti dalle fonti sovranazionali, a fronte del carattere planetario del fenomeno del surriscaldamento globale, non essendo peraltro i danni dedotti nell’atto introduttivo collegabili causalmente alla condotta dello Stato italiano. Ha precisato altresì che la richiesta condanna ex art. 2058 c.c. avrebbe comportato “un'inammissibile intrusione del potere giudiziario nell'ambito delle competenze del Parlamento e del Governo, con ciò violando il superiore principio della separazione dei poteri”. Ha escluso la configurabilità di una responsabilità della convenuta ai sensi dell’art. 2051 c.c. e da contatto sociale ex art. 1173 e 1218 c.c., in difetto dei presupposti di fatto e giuridici-normativi. Ha chiesto quindi di dichiarare inammissibili le domande e, comunque, di respingerle nel merito.

Il Tribunale, concessi i termini exart. 183 comma 6 c.p.c., ha trattenuto la causa (istruita mediante produzione documentale) in decisione, previa precisazione delle conclusioni e concessione dei termini di legge per il deposito degli scritti difensivi conclusionali.

IN DIRITTO

In via pregiudiziale va esaminata l’eccezione di difetto giurisdizione formulata da parte convenuta. La questione è delicata e complessa, in ragione delle richieste specifiche avanzate con il rimedio azionato e della particolarità con la quale è stata strutturata la domanda, in quanto diretta ad ottenere dal Giudice una pronuncia di condanna dello Stato legislatore e del governo ad un facere in una materia tradizionalmente riservata alla “politica”.

Prima di affrontare la dirimente questione pregiudiziale, è necessario premettere che, come anche rilevato da parte attrice, la domanda si inserisce nell’ambito di una serie di controversie azionate in diversi paesi europei che hanno come comune denominatore la tematica del cambiamento climatico antropogenico, ma che si ispirano a modelli di azione differenti in ragione della diversità degli ordinamenti giuridici nazionali nell’ambito dei quali sono state svolte.

Il riferimento è al contenzioso sviluppatosi successivamente al noto caso Urgenda,dove lo Stato olandese, (considerato tra i Paesi maggiormente emissivi d’Europa) è stato condannato definitivamente dalla Corte Suprema nel dicembre 2019 a ridurre del 25 % le emissioni di CO2 nell’atmosfera entro la fine del 2020 e del 40% entro il 2030. Successivamente altre pronunce sono state rese in cause promosse nei diversi Stati: la sentenza pronunciata dal Tribunale amministrativo di Parigi il 3 febbraio 2021 (con la quale è stata riconosciuta una responsabilità omissiva in relazione agli obiettivi e agli impegni comunitari e nazionali in materia derivanti dalla Decisione n. 406/2009/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009); la sentenza della Corte

Costituzionale tedesca del 29 aprile 2021 che si è pronunciata sulla parziale incostituzionalità della legge federale sui cambiamenti climatici del 2019.

Ciò detto è opportuno ricostruire il quadro normativo di riferimento in materia di contrasto al fenomeno del riscaldamento globale. Trattandosi di un problema provocato da una molteplicità di fattori che coinvolgono il pianeta, il contrasto ai cambiamenti climatici richiede un impegno unitario degli Stati che sul tema si sono “autoregolamentati”.

A livello internazionale sono noti gli accordi intervenuti in materia: nel 1992 la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (UNFCCC) che rappresenta la prima risposta globale al problema; il Protocollo di Kyoto nel 1997 poi modificato dall’emendamento di Doha del 2012, ratificato dall’Italia e approvato dall’UE , con cui è stato previsto un rafforzamento degli impegni delle parti; la Convenzione Aahurs del 1998, entrata in vigore in Italia nel 2001 (il cui obiettivo è quello di assicurare ai cittadini l’informazione e la partecipazione alle decisioni in materia di ambiente); l’accordo di Parigi entrato in vigore nel 2016, firmato dall’EU e da tutti gli Stati membri, con cui sono stati fissati degli obiettivi a lungo termine per la riduzione delle emissioni e piani aggiornati in materia di clima. Quest’ultimo accordo ha trovato la sua base scientifica nel IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change)e si è prefissato l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale al di sotto di 2° C rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire l’impegno per limitarlo a 1,5° C, prevedendo delle verifiche periodiche sulla attuazione degli impegni presi e l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica (emissioni zero) entro il 2050.

L’ordinamento europeo ha evidentemente un ruolo fondamentale nelle politiche ambientali in generale e, proprio al fine di realizzare gli impegni assunti con l’accordo di Parigi, sono stati individuati i piani europei per il clima. La disciplina europea è contenuta in una serie di atti legislativi raggruppabili in due periodi. Il primo periodo dal 2007-2020 (pacchetto clima-energia 2020, dove i provvedimenti più rilevanti sono la Direttiva 2003/87/CE, modificata dalla 2009/29/CE e la Decisione 406/2009/CE13) e il periodo 2021-2030 (il cd. pacchetto "Energia pulita per tutti gli europei"). Il Consiglio UE del dicembre 2020 ha approvato un orientamento generale e ha indicato un obiettivo UE di riduzione interna netta delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, per consentire all’UE il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. Invero, l’intero sistema normativo europeo è oggetto di una pregnante rivisitazione per effetto del c.d. Green Deal europeo (patto europeo per il Clima) rappresentato da un insieme di iniziative politiche, coinvolgenti diversi settori, proposte dalla Commissione europea al fine di raggiungere tale obiettivo.

Parte convenuta nella comparsa di costituzione ha illustrato le politiche e le misure adottate dallo Stato italiano (cfr. pp. 10 e ss.) che dovrebbero concorrere “al raggiungimento degli obiettivi al 2020 e al 2030 ,allegando (cfr. doc. n. 1 del fascicolo di parte convenuta) la “Relazione sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra”.

Nel documento è peraltro ben illustrato il criterio utilizzato dalla politica europea per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra che, per il settore industriale, è rappresentato dalla Direttiva 2003/87/CE che ha previsto un sistema di scambio di quote di emissione (Emissions Trading System EU ETS). Nel documento si legge che “Nel 2009, tale direttiva è stata profondamente rivista per tenere conto dei nuovi obiettivi di riduzione al 2020. Il sistema EU ETS opera secondo il principio del cosiddetto ‘cap and trade’, ovvero fissa un tetto massimo di emissioni consentite (‘quote di emissione’) e permette lo scambio di quote tra i partecipanti al sistema”.Nello stesso documento è stata descritta la Decisione 406/2009/CE che “ripartisce tra gli Stati Membri l’obiettivo comunitario di riduzione delle emissioni di gas serra per i settori non regolati dalla Direttiva EU ETS, ovvero trasporti, civile, piccola industria (<20MW), agricoltura e rifiuti”.

Così sinteticamente ricostruito il quadro complessivo in cui si si inserisce l’odierna domanda, deve evidenziarsi che gli attori, lamentando la lesione di una situazione giuridica soggettiva qualificata e differenziata da quella della collettività generale, non hanno attivato i rimedi pure previsti dall’ordinamento europeo per contestare la legittimità degli atti della UE sopra sinteticamente illustrati (ex artt. 263 del TFUE). Non hanno inteso censurare gli atti emanati dalle istituzioni europee, né hanno esperito l’azione risarcitoria ex art. 340 TFUE.

Nemmeno la pretesa risarcitoria è collegata, nella prospettiva attorea, alla violazione da parte dello Stato degli obblighi assunti nell’ordinamento euro unitario. Gli attori hanno espressamente azionato un rimedio civilistico previsto dall’ordinamento italiano, individuando il fondamento normativo della domanda esperita nell’art. 2043 e 2051 c.c.

Gli attori hanno allegato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario e hanno dedotto che la domanda proposta nei confronti dello Stato deve inquadrarsi nella fattispecie della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. (o, in subordine, ex 2051 c.c.), a fronte della lesione di un diritto di cui tutti gli essere umani sono titolari, considerato diritto fondamentale della persona e presupposto di ogni altro diritto umano, anche nella prospettiva delle generazioni future, con richiamo a tal fine alla c.d. tutela intergenerazionale dei diritti umani che troverebbe fondamento nell’art. 2 della Cost. (disposizione che imporrebbe anche la tutela futura dei diritti umani).

Nella sostanza gli attori ritengono di essere titolari di una situazione giuridica differenziata, ovvero di un diritto al clima e di un diritto a conservare le condizioni di vivibilità per le generazioni future che trova fondamento, oltre che nella Costituzione che tutela i diritti inviolabili della persona umana (tra cui anche il diritto umano al clima stabile e sicuro), anche nel Trattato dell’Unione Europa (art.6) nella Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea (art. 52) , nonché nelle disposizioni CEDU (artt. 2,8,14).

Si tratterebbe, secondo l’operazione ermeneutica fornita dalle parti attrici, di un diritto non correlato a un potere pubblico, ma connesso e corrispondente a una obbligazione civilistica in capo allo Stato nei confronti dei singoli che troverebbe fondamento nei vincoli assunti dallo Stato stesso con la sottoscrizione dei trattati e degli accordi internazionali sopra richiamati (con riferimento in particolare al UNFCCC e all’Accordo di Parigi) e con l’adesione ai metodici scientifici utilizzati dal IPCCC. L’obbligo dello Stato di ridurre le emissioni nel senso voluto dagli attori sarebbe l’effetto della dedotta “riserva di scienza”, intesa come limite alla discrezionalità politica dello Stato che nel legiferare e nell’adottare gli atti di indirizzo in materia di contrasto al cambiamento climatico antropogenico sarebbe tenuta ad osservare le conoscenze e le informazioni scientifiche acquisite dalle istituzioni e dagli organismi (nazionali e sovranazionali) a ciò deputati e ad applicare il principio di precauzione (richiamato dall’art. 191 dal trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) .

Su queste basi quindi, gli attori chiedono al Giudice di accertare la sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano o della fattispecie di cui all’art. 2051 c.c., al fine di ottenere la condanna dello Stato al risarcimento in forma specifica.

In particolare, gli attori non chiedono una condanna al risarcimento del danno provocato da specifici provvedimenti normativi illeciti che avrebbero comportato la lesioni dei diritti umani fondamentali, ma una pronuncia di condanna dello Stato ad adottare qualsivoglia provvedimento necessario e idoneo a provocare l’abbattimento delle emissioni nazionali, al fine di prevenire la lesione futura di diritti umani.

Con la pretesa risarcitoria azionata (ex art. 2058 c.c.) si chiede nella sostanza al giudice civile di imporre alle Autorità statali la forzata adozione di una politica normativa necessaria al fine di contrastare il grave e complesso fenomeno del cambiamento climatico, evidentemente nelle materie dove più incisiva può risultare l’azione per fronteggiare il grave fenomeno in atto (settore energetico, industriale, della agricoltura, dei trasporti, dei rifiuti ecc.). Al giudice civile si chiede di imporre allo Stato la realizzazione di un preciso risultato (più ambizioso di quello previsto a livello euro unitario), ovvero di ridurre entro il 2030 le emissioni di gas a effetto serra del 92% rispetto all’anno 1990 (obiettivo di gran lunga superiore a quello previsto dall’UE-ETS e dalla successiva regolamentazione eurounitaria, come sopra indicata).

La domanda, così prospettata, non è diretta a richiedere l’accertamento del diritto degli attori al risarcimento del danno per l’illegittimo esercizio da parte dello Stato della potestà legislativa afferente al cambiamento climatico in violazione degli obblighi vincolanti e a tutela dei diritti umani fondamentali. La domanda risarcitoria ricollegata alla titolarità di un diritto soggettivo (e come tale considerata scrutinabile dal giudice ordinario), per come formulata, è diretta in concreto a chiedere, quale petitum sostanziale, al giudice un sindacato sulle modalità di esercizio delle potestà statali previste dalla Costituzione.

La dimensione emergenziale del fenomeno non è oggetto di contestazione tra le parti (cfr. p.4 e ss della comparsa di costituzione della convenuta); l’oggetto del giudizio è nella sostanza incentrato sull’accertamento della correttezza e/o legittimità di una serie di provvedimenti emanati dal legislatore e dal governo - finalizzati al raggiungimento degli obiettivi individuati a livello europeo e internazionale - che nel loro complesso sono espressione della politica nazionale in materia di lotta al cambiamento climatico. Si chiede al giudice di accertare i presupposti dell’illecito, ma tale accertamento non può prescindere da un sindacato sul “quando” e sul quomodo dell’esercizio di potestà pubbliche (che pure tiene conto delle indicazioni provenienti dalla scienza) e la pretesa risarcitoria è solo la conseguenza eventuale di tale accertamento.

Le valutazioni prognostiche di parte attrice, in ordine alla inadeguatezza delle scelte politiche effettuate per la realizzazione degli obiettivi cui lo Stato si è auto vincolato, si basano su dati contestati da parte convenuta (che ha allegato l’attuazione da parte dell’Italia degli impegni assunti nell’ambito eurounitario sulla base dei dati dell’ISPRA considerato “l’unico soggetto pubblico che detiene il dato ambientale”, ovvero in grado di “certificare i dati e le informazioni statistiche ambientali ufficiali”) e non verificabili in questa sede, non disponendo questo Giudice delle informazioni necessarie per l’accertamento della correttezza delle complesse decisioni prese dal Parlamento e dal Governo, mentre non può ritenersi sussistere una obbligazione dello Stato (di natura civile coercibile da parte del singolo) di ridurre le emissioni nel senso voluto dagli attori.

In questi termini, l’interesse di cui si invoca la tutela risarcitoria ex art.2043 e 2051 c.c. non rientra nel novero degli interessi soggettivi giuridicamente tutelati, in quanto le decisioni relative alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno del cambiamento climatico antropogenico - che comportano valutazioni discrezionali di ordine socio-economico e in termini di costi-benefici nei più vari settori della vita della collettività umana - rientrano nella sfera di attribuzione degli organi politici e non sono sanzionabili nell’odierno giudizio. Con l’azione civile proposta gli attori chiedono nella sostanza al Tribunale di annullare i provvedimenti anche normativi di carattere primario e secondario (come illustrati dalla Difesa erariale nelle pp. 11 e ss. della comparsa di costituzione ed evincibili dalla documentazione depositata in data 15.03.2022), che costituiscono attuazione delle scelte politiche del legislatore e del governo per il raggiungimento degli obiettivi assunti a livello internazionale ed europeo (nel breve e lungo periodo) in violazione di un principio cardine dell’ordinamento rappresentato dal principio di separazione dei poteri.

Gli attori nel contestare l’inadeguatezza e l’insufficienza della condotta dello Stato nel contrastare i cambiamenti, lamentano una responsabilità del c.d. Stato-legislatore, non predicabile fuori dai casi di violazione del diritto dell’Unione europea. Come si evince dalla stessa prospettazione attorea, la responsabilità dello Stato sarebbe originata dalle condotte omissive, commissive e provvedimentali del Governo e del Parlamento che non consentirebbero il raggiungimento di obiettivi più ambiziosi rispetto a quelli cui lo Stato si è vincolato.

Quelli posti in essere dal Governo e dal Parlamento, e qui oggetto di censura, sono tuttavia atti, provvedimenti e comportamenti manifestamente espressivi della funzione di indirizzo politico, consistente nella determinazione delle linee fondamentali di sviluppo dell’ordinamento e della politica dello Stato nella delicata e complessa questione, indubbiamente emergenziale, del cambiamento climatico antropogenico. Le censure mosse si appuntano sull’azione di indirizzo politico posta in essere dai titolari della sovranità statuale in ordine alle concrete modalità con cui stanno contrastando il cambiamento climatico per il raggiungimento degli obiettivi individuati nell’ambito dell’ordinamento eurounitario e internazionale.

Riguardo all’eccepito difetto di giurisdizione, secondo la giurisprudenza di legittimità “il difetto assoluto di giurisdizione è configurabile quando manca nell'ordinamento una norma di diritto astrattamente idonea a tutelare l'interesse dedotto in giudizio e se la domanda non risulta conoscibile, né in astratto, né in concreto, da alcun giudice ” (cfr. Cass. Sez. U - , Ordinanza n. 15601 del 01/06/2023; in questo senso anche Cass. Sez. U Ordinanza n.15058 del 29.05.2023, che ha statuito che “sulla domanda proposta nei confronti dello Stato italiano per il risarcimento dei danni derivanti dalla mancanza di una disciplina normativa per la tutela della maternità delle donne avvocato vi è difetto assoluto di giurisdizione, poiché essa comporta non già la delibazione di una posizione di diritto soggettivo o di interesse legittimo, ma un sindacato sulla sfera riservata dalla Costituzione allo Stato legislatore ”).

E’ peraltro utile evidenziare che la giurisprudenza di legittimità, chiamata a pronunciarsi su altra questione avente ad oggetto le conseguenze dell’inadempimento dello Stato agli obblighi derivanti dal diritto euro unitario, ha precisato come debba escludersi qualsiasi diritto soggettivo dei cittadini al corretto esercizio del potere legislativo (cfr. Cass. n.9147/2009; Cass. n.23730/2016), in ragione della insindacabilità dell'attività esplicativa di funzioni legislative.

In conclusione, le domande proposte dagli attori con cui si chiede accertare la responsabilità dello Stato e di “condannare il convenuto ex art. 2058, co. 1, c.c., all’adozione di ogni necessaria iniziativa per l’abbattimento, entro il 2030, delle emissioni nazionali artificiali di CO2-eq nella misura del 92% rispetto ai livelli del 1990, ovvero in quell’altra, maggiore o minore, in corso di causa accertanda” sono inammissibili per difetto assoluto di giurisdizione del Tribunale adito.

Sotto altro aspetto, deve ricordarsi che la giurisprudenza è costante nel ritenere (in tema di riparto di giurisdizione) che “la giurisdizione si determina in base alla domanda e, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il "petitum" sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della "causa petendi", ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione.(cfr. tra tante Cass. Sez. U., Ordinanza n. 20350 del 31/07/2018). Invero, riguardo alla domanda proposta, in via subordinata, volta ad ottenere una modifica del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), dalle stesse difese svolte da parte attrice si evince che si tratta di un atto di pianificazione generale predisposto dai Ministeri delle Infrastrutture e dei Trasporti, dello Sviluppo Economico, dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare, previo esperimento della procedura di consultazione pubblica. Il regolamento europeo UE 2018/1999 disciplina il procedimento di formazione del piano, lasciando agli Stati discrezionalità nell’individuazione delle misure più idonee al raggiungimento degli obiettivi definiti a livello europeo. Le asserite carenze del piano sotto il profilo della adeguatezza, coerenza e ragionevolezza rispetto a tali obiettivi nel nostro ordinamento sono censurabili dinanzi al Giudice amministrativo. La questione attiene alla legittimità dell’atto amministrativo e, comunque, a comportamenti e omissioni riconducibili all’esercizio di poteri pubblici in materia di contrasto al cambiamento climatico antropogenico e quindi è afferente alla giurisdizione amministrativa generale di legittimità.

In questo senso la giurisprudenza la Corte di Cassazione ha infatti statuito che rientrano nella giurisdizione amministrativa le controversie, anche di natura risarcitoria, relative a comportamenti materiali riconducibili – ancorché solo mediatamente – al concreto esercizio di un potere autoritativo (cfr. Cass. sez. un., n. 5513/2021; Cass. sez. un., n. 19667/2020), mentre sono devolute alla giurisdizione ordinaria quelle in cui il comportamento materiale della pubblica amministrazione è del tutto avulso dall’esercizio di quel potere (cfr. tra tante Cass. sez. un., n. 21769/2021; Cass. sez. un., n. 32364/2018).

Anche sotto tale profilo la domanda deve essere pertanto dichiarata inammissibile.

La mancanza di precedenti specifici sulla questione oggetto di causa e la oggettiva complessità e gravità della emergenza a carattere planetario provocata dal cambiamento climatico antropogenico, che ha dato impulso alla domanda, giustificano la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, definitivamente pronunciando, così provvede:

-dichiara inammissibili le domande proposte dagli attori per difetto assoluto di giurisdizione del Tribunale adito e per essere la questione (nei termini di cui in motivazione) devoluta al Giudice amministrativo;

- compensa le spese del giudizio tra le parti.

Roma, 26.02.2024

Il Giudice

Assunta Canonaco