TAR Emilia Romagna (PR) Sez.III n. 59 del 1 marzo 2021
Rifiuti.Limiti e abrogazione di norme

Considerando che il D.M. n. 124/2000 non abroga espressamente il D.M. 392/1996, va osservato che nella materia ambientale, in presenza di normativa tecnica di dettaglio, quale quella oggetto dei predetti D.M., non risulta praticabile l’opzione ermeneutica relativa all’abrogazione implicita (e non esplicita) della norma sopravvenuta, visto che trattasi di settore in cui le prescrizioni tecniche imposte (espresse, fra l’altro, dalle numerose tabelle allegate ai due provvedimenti) sono talmente puntuali che non consentono, in assenza di una chiara e manifesta indicazione in tal senso, di ritenere superati i valori esposti in un provvedimento da una successiva normazione non pianamente sovrapponibile in quanto afferente a diverso (seppur collegato) campo di applicazione (nel presente caso, all’incenerimento ed il coincenerimento dei rifiuti pericolosi rispetto alla eliminazione degli oli usati) e ciò in considerazione della rilevanza del bene ambiente cui gli stessi sono preordinati e del rischio fondato di una diminuzione della necessaria tutela ambientale rispetto al campo di intervento (eliminazione degli oli) normato dal D.M. che si ritiene (implicitamente) abrogato. Non risulta condivisibile nemmeno la tesi secondo cui l’avvenuta abrogazione, da parte del D. Lgs. n. 152/2006, dell’art. 4 del D. Lgs. n. 95/1992 comporterebbe l’automatica abrogazione anche del D.M. n. 392/1996, emesso sulla base di tale norma, atteso che l’invocato effetto automatico abrogativo si pone in contrasto con il dato letterale

Pubblicato il 01/03/2021

N. 00059/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00190/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

sezione staccata di Parma (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 190 del 2017, proposto da
Laterlite S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Claudio Vivani, Barbara Mazzullo, Giovanni Corbyons, Francesca Triveri, con domicilio eletto presso lo studio Barbara Mazzullo in Parma, borgo Antini 3;

contro

Arpae - Agenzia Regionale per la Prevenzione, l’Ambiente e l’Energia dell’Emilia-Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Fantini, Maria Elena Boschi, con domicilio eletto presso lo studio Emila-Romagna Arpae Agenzia Regionale in Parma, p.zza della Pace 1;
Arpae - Struttura Autorizzazioni e Concessioni di Parma, Provincia di Parma, Comune di Solignano, Asl 102 - Parma, Asl 102 - Parma - Distretto Valli Taro e Ceno, Ente di Gestione per i Parchi e la Biodiversità - Emilia Occidentale, Comune di Solignano - Sportello Unico per le Attività Produttive, Sportello Unico per le Attività Produttive Bassa Val Taro, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento,

previa sospensione dell’efficacia,

- della determinazione dirigenziale Arpae - Agenzia Regionale per la Prevenzione, l’Ambiente e l’Energia dell’Emilia-Romagna, DET-AMB-2016-5064 del 16 dicembre 2016, comunicata alla società ricorrente in data 30 dicembre 2016, avente ad oggetto l’aggiornamento dell’autorizzazione rilasciata con atto SUAP n. 41/2013 (atto della Provincia di Parma n. 1588/2013) e s.m.i.;

- di tutti gli atti del relativo procedimento, presupposti e consequenziali, e segnatamente dei verbali delle conferenze di servizi del 29 settembre 2015, del 20 novembre 2015, del 15 dicembre 2015 e del 21 settembre 2016 e relativi allegati, della determinazione dirigenziale n. 2750/2015 del 22 dicembre 2015 della Provincia di Parma, del parere dell’Arpae prot. PGPR/2016/19723 del 24 novembre 2016, nelle parti relative ai limiti di Cloro, di sostanze organiche alogenate, di Fluoro e di Fluoruri presenti negli oli e nelle miscele oleose nonché nelle parti espressamente impugnate nel ricorso.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Arpae - Agenzia Regionale per la Prevenzione, l’Ambiente e l’Energia dell’Emilia-Romagna;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 ottobre 2020 il dott. Massimo Baraldi e uditi, per le parti, i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società Laterlite S.p.A., odierna ricorrente, produce argilla espansa all’interno dello stabilimento situato nel Comune di Solignano, Frazione di Rubbiano, stabilimento avviato alla produzione sin dal 1965.

In particolare, la predetta attività è svolta in virtù di Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) rilasciata originariamente dalla Provincia di Parma con determinazione dirigenziale n. 3545 del 23/10/2007.

L’AIA del 2007 è stata successivamente integrata e modificata nell’anno 2013 per l’esercizio di attività ausiliarie al processo produttivo ed, in particolare, delle attività di cui al punto 5.1, All. I, D.Lgs. 59/05, relativa allo smaltimento o recupero di rifiuti pericolosi (nella specie, oli usati) con capacità di oltre 10 Mg al giorno.

Nel corso dell’anno 2016 l’autorizzazione rilasciata con il citato provvedimento del 10 luglio 2013 n.1588 è stata quindi oggetto di ulteriore aggiornamento ad esito di un nuovo procedimento, gestito da Arpae attraverso il modulo della Conferenza di Servizi alla quale la società odierna ricorrente ha preso parte mediante l’utilizzo degli strumenti partecipativi previsti dalla legge n. 241/1990.

Con l’atto conclusivo del procedimento, ossia la determinazione dirigenziale n. DET-AMB-2016-5064 del 16 dicembre 2016, di cui in epigrafe, l’AIA del 10 luglio 2013 è stata aggiornata ai sensi dell’art. 29-nonies del D. Lgs. n. 152/2006 da parte della Struttura Autorizzazioni e Concessioni di Parma dell’Agenzia Regionale per la Prevenzione, l’Ambiente e l’Energia dell’Emilia-Romagna.

Avverso tale provvedimento, nonché gli altri indicati in epigrafe, la società Laterlite S.p.A. ha proposto Ricorso Straordinario al Capo dello Stato, depositato in data 28 aprile 2017 presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e, in data 9 maggio 2017, presso il Consiglio di Stato.

Arpae ha notificato all’odierna ricorrente atto di opposizione ai sensi e per gli effetti dell’art. 10 del D.P.R. n. 1199/1971, in data 22 giugno 2017 nel domicilio eletto da Laterlite e in data 19 giugno 2017 presso la sede della medesima, chiedendo la trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale.

Con parere n. 1562 del 21 giugno 2017, il Consiglio di Stato ha, pertanto, dichiarato il ricorso straordinario improcedibile per richiesta di trasposizione in sede giurisdizionale, dichiarando la relativa domanda cautelare assorbita.

Preso atto di tale opposizione, la società odierna ricorrente ha conseguentemente depositato, in data 9 agosto 2017, il ricorso presso questo Tribunale, chiedendo l’annullamento dei provvedimenti di cui in epigrafe, previa sospensione dei medesimi, deducendo i seguenti motivi:

1) Errata applicazione del D.M. n. 392/1996 e del D.M. n. 124/2000. Violazione dell’art. 237-sexies, dell’art. 237-octies e dell’art. 237-decies del TUA. Eccesso di potere per illogicità, sproporzione e difetto di motivazione. Violazione del principio di precauzione;

2) Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, per contraddittorietà e per illogicità;

3) Errata applicazione del D.M. n. 392/1996 e del D.M. n. 124/2000. Violazione dell’art. 237-sexies e dell’art. 237-octies del TUA. Eccesso di potere per difetto di motivazione, istruttoria, contraddittorietà e illogicità.

Si è costituita in giudizio, in data 25 agosto 2017, l’Agenzia Regionale per la Prevenzione, l’Ambiente e l’Energia dell’Emilia-Romagna, chiedendo il rigetto del ricorso con corposa memoria.

Con nota depositata in data 25 agosto 2017, parte ricorrente ha dato atto di rinunciare alla richiesta misura cautelare e questo Tribunale, con ordinanza n. 107/2017, ha preso atto di tale rinuncia.

Con nota depositata in data 29 aprile 2020, parte ricorrente ha chiesto il rinvio dell’udienza pubblica, già fissata per il 20 maggio 2020, chiedendo altresì la rimessione in termini per il deposito di ulteriori documenti, e, conseguentemente, alla predetta udienza pubblica del 20 maggio 2020 la causa è stata rinviata a data da destinarsi.

Successivamente, parte ricorrente ha depositato nuovi documenti in data 23 settembre 2020 e relativa memoria in data 28 settembre 2020.

L’Agenzia Regionale per la Prevenzione, l’Ambiente e l’Energia dell’Emilia-Romagna ha depositato note d’udienza in data 6 ottobre 2020, eccependo la tardività della produzione documentale di parte ricorrente nonché della memoria presentata, insistendo per la reiezione del ricorso.

Infine, all’udienza pubblica del 14 ottobre 2020, su istanza di parte la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

0. - In via preliminare, con riferimento alla documentazione presentata da parte ricorrente in data 23 settembre 2020 ed alla memoria presentata dalla medesima parte in data 28 settembre 2020, il Collegio prende atto dell’eccezione di tardività formulata dall’Arpae Emilia-Romagna in data 6 ottobre, eccezione con cui parte resistente ha rilevato come la predetta produzione finale (documenti e memoria) sia, con ogni evidenza, tardiva.

1. - Premesso quanto sopra con riferimento alla tardività dell’ultima produzione di parte ricorrente, il Collegio può passare all’esame del ricorso e, al riguardo, osserva che lo stesso è infondato nel merito e va respinto.

2.1. - Col primo motivo di ricorso, parte ricorrente censura il provvedimento del 16 dicembre 2016, nonchè gli altri di cui in epigrafe, con cui l’Arpae Emilia-Romagna ha aggiornato l’autorizzazione integrata ambientale rilasciata con atto n. 41/2013, con riferimento ad alcune precise disposizioni contenute nel predetto aggiornamento.

2.1.1. - In particolare, secondo parte ricorrente i provvedimenti impugnati sarebbero illegittimi nelle parti in cui “stabiliscono per il Cloro (sia per gli oli, sia per le miscele e tanto in ingresso allo Stabilimento quanto in alimentazione al forno) il limite ingiustificatamente restrittivo dello 0,6%; stabiliscono per il Fluoro e per i Fluoruri un illegittimo contenuto massimo, quantificato in 20 mg/kg (0,002 %) per gli oli e le miscele in ingresso allo stabilimento e in “tracce” per le miscele in alimentazione al forno; prescrivono un potere calorifico inferiore di almeno 30 MJ/kg non solo per gli oli (come è pacifico) ma anche per le miscele degli oli esausti, per la fase oleosa delle emulsioni e per la fase acquosa delle emulsioni ed, infine, prescrivono i limiti di contenuto massimo per il Cloro e le sostanze organiche alogenate non solo in ingresso allo Stabilimento (il che non si contesta) ma anche in alimentazione al forno.”.

2.1.2. - Le sopra elencate prescrizioni sarebbero illegittime in quanto, con riferimento ai primi tre profili, “la fissazione di tali limiti (dello 0,6% di Cloro e di 20 mg/Kg per Fluoro e per i Fluoruri, nonché il potere calorifico minimo di 30 MJ per le miscele ed emulsioni) discende, negli atti impugnati, dall’applicazione del D.M. 124/2000 e del D.M. 392/1996.” ma, a tal riguardo, “Le Amministrazioni resistenti hanno tuttavia errato nel ritenere che tale fonte sia ancora vigente, al pari del D.M. 392/1996.”.

Infatti, nella ricostruzione di parte ricorrente, il D.M. n. 392/1996 ed il D.M. n. 124/2000 sarebbero non più vigenti per una serie di ragioni puntualmente elencate e, dunque, l’Autorità competente avrebbe dovuto determinare i valori sopra menzionati “in autonomia, con una valutazione adeguata al caso concreto e idoneamente motivata…” e “ove una tale valutazione vi fosse stata, i suddetti contenuti massimi prescritti dagli atti impugnati sarebbero risultati illogici e sproporzionati”.

In particolare, posto che i provvedimenti impugnati prevedono, in piana applicazione dell’art. 237-octies, comma 5, del D. Lgs. n. 152/2006, il limite massimo di contenuto dell’1% di sostanze organiche alogenate negli olii e miscele oleose poste in combustione (dato incontestato anche da parte ricorrente, p. 9 ricorso), parte ricorrente asserisce, con riferimento alle sostanze organiche alogenate di cui al sopra menzionato art. 5 (cioè Fluoro, Cloro, Bromo e Iodio), che “Nelle miscele oleose, tuttavia, Fluoro, Bromo e Iodio sono presenti solamente in tracce, di talché per poter rispettare il limite dell’1% di sostanze organiche alogenate non è affatto necessario rispettare un contenuto massimo di Cloro dello 0,6%, ma sarebbe sufficiente un limite ben superiore, compreso fra 0,6% e 1%. Inoltre, occorre osservare che, prevedendo un contenuto massimo dell’1 % di sostanze organiche alogenate, stabilire – come hanno fatto gli atti impugnati – anche un contenuto massimo di Fluoro e di Fluoruri, è del tutto pleonastico, sproporzionato, illogico e quindi illegittimo. Infatti, i rifiuti che secondo quanto stabilito dall’AIA possono essere impiegati nello stabilimento sono sostanzialmente privi di Bromo e Iodio e, dunque, a causa dell’illegittimo provvedimento di ARPAE nella sostanza Laterlite è illegittimamente e contraddittoriamente tenuta a rispettare un limite di sostanze organiche alogenate ben inferiore all’1 % previsto dal TUA.”.

Inoltre, con riferimento alla parte del provvedimento impugnata in cui lo stesso prescrive “un potere calorifico inferiore di almeno 30 MJ/kg non solo per gli oli (come è pacifico) ma anche per le miscele degli oli esausti, per la fase oleosa delle emulsioni e per la fase acquosa delle emulsioni”, parte ricorrente sostiene che tale prescrizione sia illegittima, oltre che per le censure sopra riportate (ossia applicazione di decreti ministeriali abrogati), anche in quanto “è palesemente in contrasto con quanto disposto dall’art. 237-decies, comma 2, del TUA il quale prevede che soltanto gli oli usati e non anche le emulsioni in alimentazione al forno debbano rispettare tale requisito”.

Parte ricorrente col primo motivo di ricorso contesta, altresì, il richiamo al principio di precauzione effettuato dall’Arpae nella Conferenza di servizi del 29 settembre 2015, in quanto ritenuto “non pertinente” e, infine, anche la prescrizione, sopra menzionata, per cui sono stati imposti limiti di contenuto massimo per il Cloro e le sostanze organiche alogenate “non solo in ingresso allo Stabilimento (il che non si contesta) ma anche in alimentazione al forno”, in quanto tale ultima prescrizione sarebbe in contrasto con l’art. 237-sexies del D. Lgs. n. 152/2006 che, riferendosi ai contenuti massimi dei rifiuti pericolosi che possono essere trattati nell’impianto, “evidentemente si riferisce all’ingresso dei rifiuti nell’impianto medesimo, e non allo stato dei medesimi nelle singole sue articolazioni, fasi, apparati.”.

2.2. - Il motivo è infondato.

2.2.1. - Con riferimento alla prima censura svolta, relativa all’illegittima applicazione, nei provvedimenti impugnati, del D.M. n. 392/1996, in quanto provvedimento normativo non più vigente, il Collegio osserva che gli argomenti dedotti a sostegno dell’avvenuta abrogazione del predetto D.M. non sono convincenti.

2.2.1.1. - A tal riguardo, difatti, non risulta condivisibile la tesi secondo cui il predetto D.M. n. 392/1996 sarebbe stato abrogato dal successivo D.M. n. 124/2000, atteso che, come condivisibilmente dedotto sul punto da parte resistente, “con il D.M. 25 febbraio 2000, n. 124 sono state emanate le prescrizioni relative ai limiti di emissione e alle norme tecniche relative, in generale, agli inceneritori di rifiuti pericolosi. Tale decreto, dunque, è intervenuto su una materia diversa e più ampia (l’incenerimento di rifiuti) rispetto alla sola eliminazione degli oli usati e, quanto ai limiti di contenuto massimo degli oli usati e delle miscele, richiama, in Allegato 3, proprio le prescrizioni contenute nell’Allegato A, Tab. 4 e 5 del D.M. 392/1996. Il D.M. 124/2000 non solo non abroga espressamente il D.M. 392/1996, ma non detta una disciplina con esso incompatibile né provvede ad innovare la disciplina sulla stessa materia. Semplicemente le disposizioni dei due decreti, una dedicata agli impianti di incenerimento dei rifiuti, una alle modalità di eliminazione degli oli usati, vanno necessariamente applicate in maniera coordinata fra loro”.

Partendo dalla circostanza, incontestata, che il D.M. n. 124/2000 non abroga espressamente il D.M. 392/1996, il Collegio osserva che nella materia ambientale, in presenza di normativa tecnica di dettaglio, quale quella oggetto dei predetti D.M., non risulta praticabile l’opzione ermeneutica relativa all’abrogazione implicita (e non esplicita) della norma sopravvenuta, visto che trattasi di settore in cui le prescrizioni tecniche imposte (espresse, fra l’altro, dalle numerose tabelle allegate ai due provvedimenti) sono talmente puntuali che non consentono, in assenza di una chiara e manifesta indicazione in tal senso, di ritenere superati i valori esposti in un provvedimento da una successiva normazione non pianamente sovrapponibile in quanto afferente a diverso (seppur collegato) campo di applicazione (nel presente caso, all’incenerimento ed il coincenerimento dei rifiuti pericolosi rispetto alla eliminazione degli oli usati) e ciò in considerazione della rilevanza del bene ambiente cui gli stessi sono preordinati e del rischio fondato di una diminuzione della necessaria tutela ambientale rispetto al campo di intervento (eliminazione degli oli) normato dal D.M. che si ritiene (implicitamente) abrogato.

2.2.1.2. - Il Collegio osserva, poi, che non risulta condivisibile nemmeno la tesi secondo cui l’avvenuta abrogazione, da parte del D. Lgs. n. 152/2006, dell’art. 4 del D. Lgs. n. 95/1992 comporterebbe l’automatica abrogazione anche del D.M. n. 392/1996, emesso sulla base di tale norma, atteso che l’invocato effetto automatico abrogativo si pone in contrasto con il dato letterale dell’art. 264 del D.Lgs. 152/2006, che costituisce norma di chiusura del Titolo IV dedicato alla gestione dei rifiuti.

Difatti, il sopra menzionato art. 264 del D. Lgs. n. 152/2006 elenca puntualmente ed espressamente le norme direttamente abrogate dalla nuova disciplina del Testo Unico Ambientale e, in tale elenco, il citato D.M. n. 392/1996 non vi rientra.

Il Collegio osserva, poi, che, come condivisibilmente sostenuto da parte resistente, “La volontà di procedere all’abrogazione delle sole norme specificatamente individuate è confermata dal secondo comma dell’articolo 264, che riserva ad un successivo atto ministeriale la precisa individuazione delle ulteriori norme da abrogare”.

Il sopra menzionato secondo comma dell’art. 264 del D. Lgs. n. 152/2006 prevede che “Il Governo, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, adotta, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto (…), apposito regolamento con il quale sono individuati gli ulteriori atti normativi incompatibili con le disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto, che sono abrogati con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento medesimo.”.

Orbene, preso atto del fatto - incontestato - che tale regolamento non è stato ad oggi mai emanato, risulta condivisibile la conclusione di parte resistente secondo cui “Sarebbe perciò illegittima un’interpretazione dell’effetto abrogativo dell’art. 264 che andasse oltre la volontà chiaramente mostrata dal legislatore, a maggior ragione in una materia caratterizzata da un così alto livello specialistico, nella quale non può ammettersi, da parte delle pubbliche amministrazioni tenute ad adottare gli atti amministrativi di autorizzazione, un’interpretazione estensiva delle disposizioni legislative.”.

2.2.1.3. - Il Collegio rileva, inoltre, che prova della persistente vigenza del D.M. n. 392/1996 è stata fornita da parte resistente anche rappresentando la circostanza che il predetto D.M. risulta richiamato da altri provvedimenti normativi successivi all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 152/2006, ossia il Decreto del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare (di concerto con il Ministero dello Sviluppo Economico e con il Ministero della Salute) 29 gennaio 2007, recante “Emanazione di linee guida per l'individuazione e l'utilizzazione delle migliori tecniche disponibili, in materia di gestione dei rifiuti, per le attività elencate nell'allegato I del D.Lgs. 18 febbraio 2005, n. 59”, il Decreto del Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare 8 aprile 2008, recante “Disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato, come previsto dall'articolo 183, comma 1, lettera cc) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modifiche.” nonché il sopra menzionato Testo Unico Ambientale (TUA), ossia il D. Lgs. n. 152/2006.

In particolare, il primo provvedimento normativo sopra citato, con cui sono state individuate le linee guida relative alle migliori tecniche disponibili in materia di gestione dei rifiuti, fra cui anche gli oli usati, richiama il D.M. n. 392/1996 all’allegato B delle medesime linee guida per la parte relativa ai predetti oli usati, allegato in cui viene riportata puntualmente la normativa rilevante (e vigente) per il settore, fra cui, appunto, il D.M. n. 392/1996, e, inoltre, le medesime Linee Guida richiamano il D.M. n. 392/1996 anche all’allegato C relativo alla rigenerazione degli oli usati e, specificamente, alle tabelle C.1, C.2 e C.3.

Per quanto concerne, invece, il D.M. 8 aprile 2008, relativo alla disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani in modo differenziato, parte resistente ha ricordato che l’Allegato 1, punto 5.6, prescrive che “Il deposito di oli minerali usati deve essere realizzato nel rispetto delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 95/1992 e succ. mod., e al D.M. 392/1996.”.

Infine, per quanto concerne il TUA, parte resistente ha ricordato come l’art. 216-bis del predetto testo normativo, introdotto nel 2010 e relativo specificamente agli oli usati, prevede, al comma 7, l’emanazione di uno o più regolamenti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare finalizzati a definire le norme tecniche per la gestione di oli usati e che, inoltre, fino all’emanazione dei sopra menzionati decreti “le autorità competenti possono autorizzare, nel rispetto della normativa dell'Unione europea, le operazioni di rigenerazione degli oli usati anche in deroga all’allegato A, tabella 3, del decreto ministeriale 16 maggio 1996, n. 392, fermi restando i limiti stabiliti dalla predetta tabella in relazione al parametro PCB/PCT.”, così dando atto, esplicitamente, della vigenza della tabella 3 dell’Allegato A del D.M. n. 392/1996 e, implicitamente, della vigenza del più volte citato D.M.

2.2.1.4. - Infine, relativamente all’asserita abrogazione del D.M. n. 392/1996, il Collegio non ritiene significativo il precedente giurisprudenziale citato da parte ricorrente, ossia la sentenza del Tribunale di Genova n. 805 del 29 febbraio 2012, anche in considerazione della circostanza che diversa (e più significativa) giurisprudenza, ossia Cassazione Civile, Sez. II, sentenza n. 23864/2011, si era pronunciata nel senso della perdurante vigenza del predetto D.M. n. 392/1996.

2.2.2. - Stabilito quanto sopra con riferimento alla perdurante vigenza del D.M. n. 392/1996, il Collegio può ora passare all’esame della seconda censura svolta da parte ricorrente, relativa all’illegittima applicazione, nel caso de quo, del D.M. n. 124/2000 che, secondo la ricostruzione di parte ricorrente, non sarebbe anch’esso, al pari del D.M. n. 392/1996, più vigente.

2.2.2.1. - La censura è infondata.

Parte ricorrente sostiene che il D.M. n. 124 “è stato implicitamente abrogato e comunque ha perso efficacia, sia perché la direttiva 94/67/CE, in attuazione del quale il D.M. era stato emanato, è stata abrogata dalla direttiva 2000/76/CE, sia perché il TUA ha dettato una disciplina complessiva e innovativa della materia, oltretutto caratterizzata da un’impostazione differente e in parte incompatibile, costituita dagli artt. 237-sexies e octies.”.

A tal riguardo, il Collegio osserva che l’avvenuta abrogazione della direttiva 2000/76/CE certo non comporta il venir meno di tutti gli atti attuativi della stessa, pena il rischio di creazione di un vuoto normativo in una materia, quale la tutela ambientale, in cui certo non possono sussistere vuoti normativi o soluzioni di continuità.

Per quanto attiene, poi, all’abrogazione implicita del D.M. n. 124/2020 da parte del TUA (e, in particolare, degli articoli 237-sexies e 237-octies), il Collegio osserva che tale abrogazione non sussiste in quanto la disciplina dettata dal TUA non è incompatibile col sopra menzionato D.M. né con il D.M. n. 392/1996.

L’art. 237-sexies, comma 2, invocato da parte ricorrente, testualmente recita che “2. In aggiunta alle prescrizioni di cui al comma 1, l'autorizzazione rilasciata per un impianto di incenerimento e di coincenerimento che utilizza rifiuti pericolosi contiene:

a) un elenco delle quantità ed i poteri calorifici inferiori minimi e massimi delle diverse tipologie di rifiuti pericolosi che possono essere trattati nell'impianto;

b) i flussi di massa minimi e massimi di tali rifiuti pericolosi, i loro valori calorifici minimi e massimi e il loro contenuto massimo di policlorobifenile, pentaclorofenolo, cloro, fluoro, zolfo, metalli pesanti e altre sostanze inquinanti.”.

Orbene, prendendo le mosse da tale disposizione, parte ricorrente sostiene che “l’Autorità competente dovrebbe determinare il contenuto massimo di Cloro, di Fluoro e di Fluoruri solo se e in quanto necessario, e comunque in autonomia, con una valutazione adeguata al caso concreto e idoneamente motivata, ai sensi dell’art. 237-sexies, comma 2.” ma, al riguardo, risultano convincenti le argomentazioni sviluppate dall’Arpae secondo cui la stessa ha correttamente applicato i limiti previsti dal D.M. n. 392/1996 in quanto, posto che “la normativa del TUA non prescrive direttamente i limiti da applicare, ma rimette tale determinazione alla valutazione dell’Amministrazione preposta al rilascio dell’autorizzazione”, l’Autorità procedente “non avrebbe potuto discostarsi arbitrariamente, senza una plausibile ragione tecnica e amministrativa, da quanto previsto dalle fonti ad oggi vigenti tra le quali, in particolare, le linee guida ministeriali relative alle BAT in materia di AIA per gli impianti di incenerimento di oli usati, le quali, a loro volta, riportano le tabelle 4 e 5 di cui all’Allegato A del D.M. 392/1996. In altri termini, in assenza del regolamento governativo che, ai sensi dell’art. 216-bis, dovrà dettare ulteriori norme tecniche per gli oli usati, e in assenza del regolamento che individui le ulteriori norme da ritenersi abrogate in questa materia ai sensi dell’art. 264 comma 2, Arpae non avrebbe potuto discostarsi dai limiti previsti dal D.M. 392/1996 e recepiti dalle linee guida ministeriali sulle migliori tecnologie disponibili.”.

Le sopra riportate argomentazioni risultano, come già detto sopra, pienamente condivisibili, anche perché l’autorità compente, in base al disposto dell’art. 237-sexies, comma 2, sopra riportato, deve determinare sempre (e non “solo se e in quanto necessario”, come invece dedotto da parte ricorrente) le quantità ed i poteri calorici dei rifiuti pericolosi trattati nell’impianto e, dunque, nel fare ciò l’Amministrazione non può che basarsi, per le proprie valutazioni tecniche, sulla base delle Linee guida sopra citate che, va ricordato, contemplano quale normativa vigente anche il D.M. n. 392/1996, nonché sulla base del D.M. n. 124/2000, da ritenersi vigente per quanto sopra esposto.

2.2.3. - Si può ora passare all’esame della censura svolta da parte ricorrente con riferimento alla prescrizione, contenuta nell’aggiornamento dell’AIA, relativa al potere calorifico inferiore di almeno 30 MJ/kg non solo per gli oli (come è pacifico anche per la predetta parte ricorrente) ma anche per le miscele degli oli esausti, per la fase oleosa delle emulsioni e per la fase acquosa delle emulsioni; secondo parte ricorrente, tale prescrizione sarebbe illegittima in quanto “palesemente in contrasto con quanto disposto dall’art. 237-decies, comma 2, del TUA il quale prevede che soltanto gli oli usati e non anche le emulsioni in alimentazione al forno debbano rispettare tale requisito”.

2.2.3.1. - La censura è infondata.

Al riguardo, il Collegio rileva che la previsione di cui all’art. 237-decies, comma 2, del TUA, che parla solo di oli usati, deve essere correlata con quanto previsto dall’art. 216-bis, comma 8, del medesimo TUA, in base al quale “I composti usati fluidi o liquidi solo parzialmente formati di olio minerale o sintetico, compresi i residui oleosi di cisterna, i miscugli di acqua e olio, le emulsioni ed altre miscele oleose sono soggette alla disciplina sugli oli usati.” e, dunque, come condivisiblmente dedotto da parte resistente, “E’ dunque la stessa normativa a premettere che quanto dettato in relazione agli oli (i.e. dall’art. 237-decies) si applichi anche alle emulsioni e alle altre miscele oleose”.

2.2.4. - Parte ricorrente censura, poi, sempre nel primo motivo di ricorso, l’applicazione del principio di precauzione effettuato dall’Arpae nella conferenza di servizi del 29 settembre 2015, in quanto, a suo dire, “difettano, infatti, tutti i presupposti per l’applicazione del principio medesimo”.

2.2.4.1. - La censura è infondata.

Il Collegio osserva che parte resistente ha applicato correttamente il principio di precauzione nel presente caso, atteso che la stessa, in primis, non ha invocato tale principio per vietare del tutto l’attività, bensì per conformare, ai sensi dell’art. 237-sexies, comma 5, i contenuti massimi di cloro alle specificità dell’impianto in questione.

Inoltre, il predetto principio non è stato invocato “a supporto di scelte il cui contenuto risulti svincolato dai parametri fissati, in modo puntuale e preciso, come avviene nella specie, dalle vigenti disposizioni normative”, come sostenuto da parte ricorrente, atteso che, invece, come detto con riferimento alle censure precedenti, l’Arpae ha correttamente applicato, nella fissazione dei limiti delle sostanze contenute negli oli, i vigenti parametri normativi a titolo di linee guida per le migliori pratiche e, nel fare ciò, ha operato entro lo spazio di discrezionalità tecnica riservatale dall’art. 237-sexies, comma 2, motivando la propria scelta sulla base della pericolosità del cloro per l’ambiente e la salute e, proprio per evitare che tale misura risultasse sproporzionata o in alcun modo sovradimensionata, prendendo a riferimento le Best Available Technologies (BAT) e la normativa tecnica specificamente dettata in materia di oli esausti.

2.2.5. - Con un’ulteriore censura del primo motivo di ricorso, parte ricorrente deduce l’illegittimità degli atti impugnati relativamente alla circostanza che i limiti di contenuto massimo di determinate sostanze (in particolare, del Cloro e delle sostanze organiche alogenate, ma anche del Fluoro, dei Fluoruri, etc.) sono stati imposti non solo in ingresso allo Stabilimento, ma anche in alimentazione al forno, mentre, in considerazione di quanto previsto dall’art. 237-sexies, comma 2, l’obbligo sarebbe correlato al solo ingresso in impianto e non allo stato dei rifiuti “nelle singole sue articolazioni, fasi, apparati”.

2.2.5.1. - La censura è infondata.

A tal riguardo, il Collegio osserva che i limiti imposti al contenuto chimico degli oli da bruciare sono tesi, con tutta evidenza, ad evitare l’inquinamento derivante dalla combustione di oli aventi caratteristiche chimiche dannose e, dunque, risulta chiaro che le caratteristiche chimiche degli oli (ed altre miscele) da bruciare devono essere controllate non solo al loro ingresso ma (anche e soprattutto) al momento della loro combustione, al fine di evitare di bruciare materiale inquinante, in quanto la fase di alimentazione del forno, come evidenziato da parte resistente, “costituisce la fase dalla quale dipendono le emissioni in atmosfera e gli altri effetti pericolosi per l’ambiente e la salute derivanti dall’attività di coincenerimento di rifiuti pericolosi”.

3.1 - Col secondo motivo di ricorso, Laterlite S.p.A. deduce l’illegittimità dei provvedimenti impugnati nella parte in cui gli stessi prescrivono le modalità di campionamento e controllo dei rifiuti in ingresso.

In particolare, parte ricorrente deduce la contraddittorietà ed illogicità del provvedimento, in quanto le modalità di campionamento previste a p. 5 e 6 del provvedimento sarebbero incompatibili con quelle previste alle successive pagine 15 e 16 dello stesso.

3.2. - Il motivo è infondato.

Il Collegio osserva che non sussiste la dedotta contraddittorietà interna del provvedimento e ciò si evince dalla piana lettura delle due parti dello stesso relative al campionamento.

In particolare, a pagina 6 dell’impugnato provvedimento viene statuito che “Se tutti i controlli della documentazione danno esito positivo, il carico in ingresso viene pesato ed avviato alla zona di scarico dove si procede con le operazioni di campionamento conformemente a quanto previsto dalla norma UNI 10802:2013.” e, poi, che “Qualora i risultati analitici dimostrassero un contenuto di cloro, zolfo e metalli superiore a quanto sopra riportato, si procede alla ripetizione del campionamento.” mentre, a pagina 18 è stabilito che “Se tutti i controlli della documentazione daranno esito positivo, il carico in ingresso potrà essere pesato ed avviato alla zona di scarico dove si procederà con le operazioni di campionamento sul pelo libero del materiale e all’analisi chimica del campione presso il laboratorio interno.” e che “Qualora i risultati analitici dimostrassero un contenuto di cloro e zolfo metalli superiore a quanto sopra riportato, si procederà alla ripetizione del campionamento a diverse altezze della cisterna, utilizzando idonea attrezzatura, in modo da ottenere, tramite omogeneizzazione, un campione medio del materiale in ingresso.”.

Premesso quanto sopra riportato in merito al contenuto del provvedimento, il Collegio rileva che la dedotta contraddittorietà dello stesso palesemente non sussiste, atteso che, in accordo a quanto condivisibilmente dedotto da parte resistente, “Nella prima parte dell’atto, invero, si prescrive che le operazioni di campionamento sui rifiuti accettati in ingresso debbano essere svolte in conformità alla norma UNI 10802:2013, nella seconda si precisa che queste debbano avvenire “sul pelo libero del materiale e all’analisi chimica del campione presso il laboratorio interno”. Ebbene, tale seconda specificazione nulla dispone di contrario o incompatibile con quanto previsto dalla citata norma UNI 10802:2013. A tal riguardo basta richiamare quanto previsto nel par.6 della citata disposizione UNI relativo al campionamento dei rifiuti liquidi (tra i quali vengono inclusi anche i rifiuti viscosi e le emulsioni) e nella scheda di campionamento n. 7, i quali contemplano, tra le tipologie di campioni, anche il “campione superficiale”.”.

Inoltre, per quanto concerne l’obbligo di ripetizione del campionamento in caso di valori di Cloro, Zolfo e metalli superiore ai limiti consentiti, nella prima parte del provvedimento si prescrive che “si procede alla ripetizione del campionamento” mentre nella seconda parte, semplicemente, si specifica che - in tali casi - “si procederà alla ripetizione del campionamento a diverse altezze della cisterna, utilizzando idonea attrezzatura, in modo da ottenere, tramite omogeneizzazione, un campione medio del materiale in ingresso” e le due statuizioni, con tutta evidenza, non sono tra loro in contrasto, costituendo la secondo una semplice specificazione della prima.

4.1 - Col terzo, ed ultimo, motivo di ricorso, parte ricorrente deduce l’illegittimità dei provvedimenti impugnati nella parte in cui “hanno stabilito ulteriori prescrizioni in materia di deposito, stoccaggio, messa in riserva, serbatoi di stoccaggio e bacini di contenimento” in quanto le prescrizioni stabilite dall’Autorità competente sarebbero illegittime in quanto “discendono dall’applicazione del D.M. 124/2000 e del D.M. 392/1996.”, ossia disposizioni normative che, nella ricostruzione di parte ricorrente, non sono più vigenti.

4.2. - Il motivo, appena accennato, è infondato.

Il Collegio osserva, al riguardo, che, per quanto concerne la vigenza dei D.M. nn. 392/1996 e 124/2000, valgono le considerazioni già espresse con riferimento al primo motivo di ricorso, considerazioni che rendono del tutto infondato anche il terzo motivo di ricorso in cui, peraltro, parte ricorrente, a parte tale sintetica deduzione, si è limitata a citare, per due pagine consecutive, un estratto della determina impugnata - e segnatamente quello relativo alle modalità di gestione dei rifiuti costituiti dagli oli usati (deposito, stoccaggio e messa in riserva) - senza declinare alcuna argomentata censura ma semplicemente (ed apoditticamente) asserendo che tali previsioni sarebbero viziate “da violazione dell’art. 237-sexies, comma 2, del TUA nonché da eccesso di potere per illogicità e violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa.”.

5. - Per tutto quanto innanzi esposto, il ricorso deve essere respinto.

6. - Le spese processuali, ex art. 91 c.p.c., seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore di Arpae Emilia-Romagna, delle spese del presente giudizio, che liquida in € 3.000,00 (tremila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 14 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:

Germana Panzironi, Presidente

Marco Poppi, Consigliere

Massimo Baraldi, Referendario, Estensore