TAR Piemonte, Sez. II  n. 1257 del 22 novembre 2012
Rifiuti.Legittimità Ordinanza del Sindaco per progetto di indagine e risanamento ambientale

E’ legittima l’ordinanza del Sindaco con la quale è stato ingiunto di presentare un progetto di indagine ambientale ex art. 242 d.lgs. 152/ 2006 “al fine di verificare l’eventuale soglia di contaminazione (CSC) nelle matrici ambientali impattate” e di procedere alla rimozione, all’avvio a recupero ed allo smaltimento dei rifiuti abbandonati sull’area, con ripristino dello stato dei luoghi, ed è stata anche irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria. Le esigenze di tutela ambientale di cui all’art. 192 d.lgs. 152/2006 rendono evidente che il riferimento a chi è titolare di diritti reali o personali di godimento va inteso in senso lato, essendo destinato a comprendere qualunque soggetto si trovi con l'area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli, e per ciò stesso imporgli, di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l'area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell'ambiente; per altro verso, il requisito della colpa postulato da detta norma ben può consistere proprio nell'omissione degli accorgimenti e delle cautele che l'ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un'efficace custodia e protezione dell'area, così impedendo che possano essere in essa indebitamente depositati rifiuti nocivi . (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01257/2012 REG.PROV.COLL.

N. 01475/2011 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1475 del 2011, proposto da: 
DITTA RICCIARDO VINCENZINO, rappresentata e difesa dagli avv. Marco Sertorio, Valentina Lovisetto, con domicilio eletto presso Marco Sertorio in Torino, via G.B. Vico, 10;

contro

COMUNE DI ROMENTINO, rappresentato e difeso dagli avv. Sebastiano Zuccarello, Piero Pollastro, con domicilio eletto presso Sebastiano Zuccarello in Torino, via Magenta, 36; 
PROVINCIA DI NOVARA, rappresentata e difesa dall'avv. Edoardo Pozzi, con domicilio eletto presso Massimo Bajma Picit in Torino, via Principi D'Acaja, 6;

nei confronti di

ECOL SERVICE S.R.L., rappresentata e difesa dagli avv. Roberto Basilico, Davide Ferrieri, con domicilio eletto presso T.A.R. Piemonte Segreteria in Torino, corso Stati Uniti, 45;

per l'annullamento

- dell'ordinanza del Sindaco del Comune di Romentino n. 40 in data 11 ottobre 2011, notificata alla ditta Ricciardo Vincenzino, in persona del titolare Ricciardo Vincenzino, in data 12 ottobre 2011;

- del provvedimento in data 23 novembre 2011, prot. n. 16772, con il quale il Comune di Romentino ha respinto l'istanza di revoca in autotutela;

- di ogni altro atto o provvedimento presupposto, preparatorio, connesso o consequenziale.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Romentino, della Provincia di Novara e di Ecol Service S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 novembre 2012 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. A seguito di sopralluogo presso la cava esistente in Località Cascina Vallona, Lotto E, nel territorio del Comune di Romentino (NO), effettuato in data 25 maggio 2011 congiuntamente da personale della Provincia di Novara e del Corpo Forestale dello Stato, venivano accertate attività di escavazione abusiva con presenza di materiali (terre e rocce da scavo) provenienti dall’esterno. L’amministrazione comunale, ricevutane notizia, ha avviato un procedimento nei confronti della Ditta “Ricciardo Vincenzino” (proprietaria dell’area nonché già autorizzata alla coltivazione di una cava in località Cascina Invernizzi e Cascina Vallona in forza di convenzione datata 31 marzo 2010) volto alla rimozione del materiale rinvenuto. Il procedimento si è concluso con l’adozione dell’ordinanza n. 40, del 12 ottobre 2011, del Sindaco del Comune di Romentino, con la quale è stato ingiunto alla ditta Ricciardo Vincenzino a) di presentare un progetto di indagine ambientale ex art. 242 d.lgs. n. 152 del 2006 “al fine di verificare l’eventuale soglia di contaminazione (CSC) nelle matrici ambientali impattate” e b) di procedere alla rimozione, all’avvio a recupero ed allo smaltimento dei rifiuti abbandonati sull’area, con ripristino dello stato dei luoghi, “nell’eventualità che l’indagine ambientale evidenzi il non superamento della soglia di contaminazione (CSC)”. E’ stata anche irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 4.500,00, ai sensi dell’art. 255 d.lgs. n. 152 del 2006.

A fronte di un’istanza di riesame in autotutela, avanzata dalla Ditta suddetta, il Comune di Romentino ha risposto con la nota prot. n. 16772, del 23 novembre 2011, con la quale – nel respingere l’istanza – ha affermato (per quello che qui specificamente interessa) che, anche “ammesso che il deposito non autorizzato in cava di materiali assimilabili a terre e rocce da scavo (relativamente alle quali è stato per di più accertato un superamento dei limiti fissati per legge in relazione alla presenza di policlorobifenili) sia avvenuto ad opera di terzi, di detto fatto non può non considerarsi responsabile la ditta Ricciardo Vincenzino, quanto meno sotto il profilo del mancato controllo”.

 

2. La ditta Ricciardo Vincenzino, in persona del titolare, ha dunque impugnato entrambi gli atti dinnanzi a questo TAR, chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare.

Nel ricorso si espone che la ditta ricorrente controlla la società “Cava Torre s.r.l.” insieme alla quale era stata incaricata, sin dall’ottobre del 2007, di realizzare un progetto di recupero ambientale dell’area oggetto di miglioramento fondiario in località Vallona. Per l’esecuzione di tale opera la società Cava Torre aveva stipulato, nel maggio 2011, un contratto di fornitura di terre e rocce da scavo con la società Ecol Service s.r.l.: e proprio in occasione di una prima fornitura di materiale, nel medesimo mese di maggio, quest’ultima società “anziché scaricare la terra [...] nella zona operativa di Cava Torre, lotti 5-6-9-10 (Cava Cascina Vallona), l’[ha] depositata per errore ed all’insaputa della ditta Ricciardo nella zona di escavazione della ditta Ricciardo Vincenzino Lotto E Cava Cascina Vallona”. Questo sarebbe, quindi, l’antefatto che ha determinato, nella ricostruzione della ricorrente, il deposito non autorizzato nella cava di materiali provenienti dall’esterno, così come contestato dal Comune con l’ordinanza impugnata.

In diritto il ricorso è affidato ai seguenti motivi di gravame:

- violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, per omissione della comunicazione di avvio del procedimento: tale non sarebbe la nota, prot. n. 10377, che il Comune aveva inviato alla ricorrente in data 13 luglio 2011, con la quale si era unicamente contestato l’esecuzione di opere in difformità dall’autorizzazione alla coltivazione della cava;

- erronea individuazione del soggetto cui la contestazione doveva essere effettuata: si ribadisce che il deposito di materiale è avvenuto ad opera della Ecol Service s.r.l., e quindi “all’insaputa della odierna ricorrente”;

- violazione e falsa applicazione degli artt. 186, 192 e 183 del d.lgs. n. 152 del 2006: le terre e rocce da scavo depositate non costituivano “rifiuto” ai sensi delle richiamate disposizioni, con conseguente inapplicabilità delle misure di ripristino ordinate dal Comune;

- violazione dell’art. 255 d.lgs. n. 152 del 2006, con riferimento all’irrogazione della sanzione pecuniaria;

- violazione e falsa applicazione degli artt. 242 e 245 d.lgs. n. 152 del 2006, con riferimento all’ordine di presentare un progetto di indagine ambientale: secondo la ricorrente tale incombente potrebbe essere imposto solo al soggetto responsabile dell’inquinamento (nel caso: la società Ecol Service) e non anche al proprietario dell’area, sussistendo in capo alla Provincia “l’obbligo di attivarsi per identificare il soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica”;

- violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, per mancato coinvolgimento della ditta ricorrente nelle analisi di campionamento effettuate dall’ARPA sul materiale rinvenuto.

3. Si è costituito in giudizio il Comune di Romentino, in persona del Sindaco pro tempore, depositando documenti e chiedendo il rigetto del gravame. L’amministrazione osserva, in particolare, che la società Ecol Service, nel depositare i materiali, “ha agito su incarico della ditta odierna ricorrente, cui va imputata l’attività dei soggetti prescelti per dare esecuzione, in proprio nome e per proprio conto, quale committente”: tra gli obblighi della ditta Ricciardo, peraltro, “doveva essere ricompreso anche quello di regolamentare e sorvegliare l’accesso di terzi sull’area di cava stessa, area che si trovava nella sua disponibilità e sotto la sua custodia”.

Si è costituita in giudizio anche la Provincia di Novara, in persona del Presidente pro tempore, depositando documenti e concludendo, anch’essa, per il rigetto del gravame. Anche la Provincia, nelle proprie difese, si richiama alla “grave e colposa inosservanza del dovere di vigilanza e custodia e di ogni opportuna cautela” in capo alla ditta ricorrente, “sopratutto trattandosi di operatore professionale”.

4. Alla camera di consiglio del 25 gennaio 2012, chiamata per la discussione dell’incidente cautelare, la causa è stata rinviata al merito.

5. Si è successivamente costituita in giudizio anche la società Ecol Service s.r.l. eccependo, preliminarmente, la propria “carenza di interesse [...] in quanto estranea al provvedimento impugnato”, non sussistendo – a suo avviso – gli elementi per poterla qualificare come controinteressata. Nel merito essa riferisce di aver “consegnato la terra al legittimo destinatario – Cava Torre S.r.l. – come si evince inequivocabilmente dalla stessa documentazione prodotta da parte ricorrente” (con riferimento ai documenti di trasporto depositati in giudizio).

6. In vista della pubblica udienza di discussione il Comune di Romentino e la ditta ricorrente hanno depositato memorie e successive repliche, soffermandosi, in particolare, sui risultati delle analisi ARPA svolte sui campioni prelevati presso il sito de quo.

Alla pubblica udienza del 7 novembre 2012 la ditta ricorrente ha riferito di aver presentato il progetto di indagine ambientale che costituiva adempimento richiesto dall’impugnata ordinanza n. 40 del 12 ottobre 2011 (con deposito in giudizio dei relativi documenti). In proposito il Comune resistente ha, allora, eccepito la sopravvenuta carenza di interesse per la decisione del gravame. La causa, quindi, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. E’ contestata, nel presente giudizio, la legittimità degli atti con i quali il Comune di Romentino ha ordinato alla ditta ricorrente, in qualità di proprietaria delle aree, di presentare un progetto di indagine ambientale, ex art. 242 d.lgs. n. 152 del 2006, nonché di procedere alla rimozione dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi, a seguito del rinvenimento, presso un sito adibito a cava, di materiali (terre e rocce da scavo) provenienti dall’esterno. L’ordinanza del Comune – con la quale è stata anche irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria ex art. 255 d.lgs. n. 152 del 2006, pari ad euro 4.500,00 – riferisce, in motivazione, anche degli esami clinici compiuti dall’ARPA sui materiali rinvenuti, esami dai quali è risultato superato il limite fissato dalla Tabella 1, colonna A, dell’Allegato n. 5 al d.lgs. n. 152 del 2006 per i PCB (policlorobifenili), “elementi altamente nocivi ed inquinanti”.

La ditta ricorrente si difende richiamando, in particolare, le norme del d.lgs. n. 152 del 2006 che addossano le conseguenze dell’inquinamento al soggetto che l’ha causato e non anche al proprietario delle aree solo perché tale. In merito, essa riferisce che i materiali rinvenuti sarebbero stati ivi depositati dalla società Ecol Service s.r.l. (chiamata, quindi, contestualmente in causa quale controinteressata) all’insaputa della proprietà.

2. Deve anzitutto escludersi che l’avvenuta presentazione in corso di causa, da parte della ricorrente, del progetto di indagine ambientale possa aver determinato la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del presente gravame, come eccepito dal Comune resistente. In disparte la circostanza che tale adempimento non era l’unico richiesto dall’ordinanza impugnata (la quale, come sopra descritto, aveva anche intimato il ripristino dello stato dei luoghi mediante rimozione ed avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti), è dirimente considerare che la ricorrente conserva comunque interesse all’impugnazione con riferimento ad eventuali profili di natura risarcitoria discendenti da un eventuale accoglimento.

3. Venendo ora alla disamina del ricorso, deve anzitutto essere respinta l’eccezione di “carenza di interesse” (ossia, di difetto di legittimazione passiva) formulata dalla Ecol Service s.r.l., chiamata in causa – in qualità di controinteressata – dalla ricorrente. E’ evidente, infatti, la sua qualità di controinteressata in senso sostanziale perché essa (ancorché non citata nell’atto impugnato) è stata indicata dalla ditta proprietaria delle aree quale soggetto “responsabile dell’inquinamento” o, quantomeno, come soggetto responsabile dell’avvenuto abbandono di rifiuti ex art. 192, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006. Ne deriva un sicuro interesse della medesima di natura contrapposta a quello della ricorrente, in quanto volto alla conservazione dell’atto in questa sede gravato (quantomeno nella parte in cui non si individua alcun soggetto responsabile del presunto inquinamento e si addossano le conseguenze di legge alla proprietà).

4. Nel merito, il ricorso non è fondato, essendo prive di pregio le censure sia di natura formale che sostanziale mosse avverso gli impugnati atti. Per ragioni espositive, verranno dapprima trattati i motivi che sono diretti alla sostanza dei provvedimenti impugnati.

4.1. Non fondata è, anzitutto, la doglianza concernente l’asserita erronea individuazione del soggetto destinatario della contestazione ex art. 192 d.lgs. n. 152 del 2006.

Vero è, in proposito, che tale norma, ai fini del coinvolgimento del proprietario delle aree nell’opera di rimozione dei rifiuti e di ripristino dello stato dei luoghi, richiede che la violazione sia a costui imputabile per dolo o per colpa (così come, del resto, già prevedeva l’art. 14 del d.lgs. n. 22 del 1997, che ne costituisce il precedente normativo): ma è anche vero che, nel caso di specie, non vi è dubbio che l’amministrazione abbia richiamato proprio tale ipotesi di coinvolgimento colposo, come è stato chiarito nella (parimenti impugnata) nota n. 16772 del 23 novembre 2011 (con la quale si respingeva l’istanza di riesame in autotutela della precedente ordinanza n. 40). L’amministrazione ha, infatti, chiamato in causa la ditta ricorrente, pur solo proprietaria delle aree, “sotto il profilo del mancato controllo”, ossia per l’omessa vigilanza (che senz’altro ad essa spettava in quanto avente la giuridica disponibilità dei luoghi) in ordine ai materiali che erano stati depositati presso la cava. Anche ammesso, pertanto, che risponda al vero quanto sostenuto dalla ricorrente – ossia che i materiali sarebbero stati depositati da un terzo, in violazione degli obblighi contrattuali intercorrenti tra le parti (sul punto, si vd. comunque infra, par. n. 4.4) – ciò che tuttavia conta, ai fini della corretta applicazione dell’art. 192 d.lgs. n. 152 del 2006, è che l’amministrazione, in modo non manifestamente irragionevole, abbia rinvenuto un coinvolgimento colposo della ditta Ricciardo nell’abbandono dei rifiuti: ciò, in particolare, in considerazione della qualifica di “operatore professionale” della ricorrente (come è correttamente notato dalla difesa della Provincia di Novara), qualifica che, in base al diritto comunitario dell’ambiente, fa sorgere una particolare posizione di controllo ambientale sull’attività svolta (cfr. la definizione offerta dall’art. 2, par. n. 6, della direttiva n. 2004/35/CE).

Va del resto ricordato che, come sostenuto di recente dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, le esigenze di tutela ambientale sottese alla norma di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152 del 2006 rendono evidente che il riferimento a chi è titolare di diritti reali o personali di godimento va inteso in senso lato, essendo destinato a comprendere qualunque soggetto si trovi con l'area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli – e per ciò stesso imporgli – di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l'area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell'ambiente; per altro verso, il requisito della colpa postulato da detta norma ben può consistere proprio nell'omissione degli accorgimenti e delle cautele che l'ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un'efficace custodia e protezione dell'area, così impedendo che possano essere in essa indebitamente depositati rifiuti nocivi (così Cassaz., sez. un., sent. n. 4472 del 2009).

Né, per tornare al caso di specie, può ragionevolmente sostenersi che i materiali rinvenuti fossero classificabili come terre e rocce da scavo riutilizzabili per reinterri, riempimenti o rimodellazioni, ai sensi degli artt. 186, 192 e 183 del d.lgs. n. 152 del 2006. A norma dell’(allora vigente) art. 186 cit., infatti, condizione per cui possa affermarsi ciò è che sia accertata la provenienza del materiale da siti non contaminati e che non risultino rischi per la salute: condizione qui senz’altro non ricorrente perché, al momento dell’adozione dell’atto impugnato, c’era già stato il pronunciamento dell’ARPA che aveva accertato la nocività del materiale rinvenuto. In quanto non utilizzate nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 186, pertanto, le terre e rocce da scavo rinvenute dovevano considerarsi “rifiuti”, ai sensi del comma 5 dell’art. 186 (quale vigente all’epoca dei fatti). Non ha nessuna rilevanza, in proposito, la circostanza – evidenziata dalla ricorrente – che gli accertamenti dell’ARPA siano stati condotti in assenza di contraddittorio e che – al momento della redazione del ricorso – si fosse ancora in attesa di una loro “revisione”: al fine di qualificare giuridicamente come rifiuti il materiale rinvenuto, ai sensi dell’art. 192 d.lgs. n. 152 del 2006 (oggetto di applicazione con l’ordinanza impugnata), erano infatti senz’altro sufficienti le risultanze scientifiche fino a quel momento disponibili.

4.2. Con riferimento alla censura dedotta ex art. 255 d.lgs. n. 152 del 2006, riguardante l’irrogazione della sanzione amministrativa, deve declinarsi la giurisdizione. A norma dell’art. 262, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, infatti, avverso le ordinanze-ingiunzione relative alle sanzioni amministrative pecuniarie di cui alla parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006 è esperibile il giudizio di opposizione ex art. 22 della legge n. 689 del 1981.

4.3. Venendo ora all’esame della parte dell’ordinanza impugnata, con la quale l’amministrazione ha intimato alla ditta ricorrente di presentare un progetto di indagine ambientale, deve respingersi la censura di violazione degli artt. 242 e 245 d.lgs. n. 152 del 2006. Vero è che l’art. 242, comma 2, in caso di potenziale contaminazione di un sito, pone in capo al “responsabile dell’inquinamento” la realizzazione degli interventi di natura preventiva (successivi all’adozione delle misure di prevenzione immediate da attuarsi nelle prime ventiquattr’ore), tra i quali anche la predisposizione di un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento: con ciò allineandosi al principio, di origine comunitaria, che accolla al soggetto che ha dato causa all’inquinamento il dovere di intervenire per eliminarlo (“chi inquina paga”: art. 191, comma 2, del Trattato sul Funzionamento dell’U.E.; direttiva n. 2004/35/CE). Ma è anche vero che – come sostenuto da un recente filone giurisprudenziale, al quale il Collegio aderisce – quel principio comunitario è direttamente connesso al profilo della necessità di un elevato livello di tutela ambientale e sanitaria, obiettivo parimenti perseguito dal diritto dell'Unione Europea e che risulta fondato sui principi della precauzione, dell'azione preventiva e della correzione in via prioritaria alla fonte dei danni causati all'ambiente; in tale contesto, e solo quale misura di chiusura, vi è infine l'invocato principio secondo cui il responsabile dell'inquinamento è responsabile per le obbligazioni ripristinatorie e risarcitorie (così TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, n. 4215 del 2011). Ne consegue che le misure di tutela necessarie ed urgenti che vengano poste a carico del proprietario del sito non hanno natura né sanzionatoria né risarcitoria, bensì di salvaguardia ambientale e sanitaria, nel superiore interesse pubblico generale ambientale ed ai fini della tutela dell'inviolabile diritto alla salute della popolazione esposta, come si ricava sia dagli artt. 2, 9 e 32 della Costituzione sia dal diritto europeo, fermi restando l'obbligo dell'Amministrazione di procedere all'individuazione del responsabile e la facoltà del proprietario di rivalersi nei suoi confronti. Tale ricostruzione, del resto, appare altresì pienamente conforme al principio generale del nostro ordinamento relativo alla funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), che giustifica anche la conformazione, imposizione di pesi o oneri, ed infine la stessa estinzione per espropriazione del diritto (così, ancora, TAR Lazio, sent. n. 4215 del 2011).

Del resto, come pure affermato, recentemente ed a più riprese, dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. VI, 15 luglio 2010, n. 4561; sez. II, parere n. 2038 del 30 aprile 2012), mentre la responsabilità dell’autore dell’inquinamento costituisce una forma di responsabilità oggettiva per gli obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale conseguenti alla contaminazione delle aree, sensibilmente diversa si presenta, invece, la posizione del proprietario del sito per la responsabilità del quale occorre fare riferimento ai commi 1 e 2 dell’art. 253 d.lgs. n. 152 del 2006: chi è proprietario o chi subentra nella proprietà o possesso del bene subentra anche negli obblighi connessi all’onere reale ivi previsto, indipendentemente dal fatto che ne abbia avuto preventiva conoscenza. Quella posta in capo al proprietario è pertanto una responsabilità “da posizione”, non solo svincolata dai profili soggettivi del dolo o della colpa, ma che non richiede neppure l’apporto causale del proprietario responsabile al superamento o pericolo di superamento dei valori limite di contaminazione. È quindi evidente che il proprietario del suolo – che non abbia apportato alcun contributo causale, neppure incolpevole, all’inquinamento – non si trova in alcun modo in una posizione analoga od assimilabile a quella dell’inquinatore, essendo tenuto a sostenere i costi connessi agli interventi di bonifica esclusivamente in ragione dell’esistenza dell’onere reale sul sito.

4.4. Va aggiunto infine, a completamento della disamina di merito delle censure appena scrutinate, che – come evidenziato in giudizio dalla controinteressata – la circostanza dedotta da parte ricorrente, secondo la quale il deposito dei materiali nocivi rinvenuti sarebbe da ricondurre al comportamento colposo della Ecol Service s.r.l., non trova sostegno probatorio negli atti depositati in causa. Sono versati in atti, infatti, i documenti di trasporto relativi alla consegna effettuata in data 25 maggio 2011 dalla società Ecol Service (doc. n. 11 della ricorrente), documenti che indicano, quale destinatario della merce, la società Cava Torre s.r.l. e dai quali non emerge che il luogo di consegna fosse coincidente con quello in cui sono stati rinvenuti i materiali nocivi. Risulta pertanto infondata in fatto, allo stato degli atti, la pretesa della ricorrente di indicare la società controinteressata quale “responsabile dell’inquinamento” ai sensi delle norme del d.lgs. n. 152 del 2006.

5. Deve ora passarsi all’esame delle censure mediante le quali la ricorrente ha revocato in dubbio la legittimità degli atti impugnati per profili meramente formali. Si tratta delle due censure incentrate – entrambe – sulla violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, per omessa comunicazione di avvio del procedimento, sia pure sotto diversi profili.

Entrambe le censure vanno respinte ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, essendo stato dimostrato in giudizio che il contenuto dei provvedimenti non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Con riferimento al procedimento poi conclusosi con l’ordinanza n. 40, deve anzitutto riconoscersi che nessuna comunicazione fu mai inviata alla ricorrente: tale non è, all’evidenza, quella datata 13 luglio 2011, prot. n. 10377, riguardante il (diverso) “procedimento finalizzato all’emissione di provvedimento di sospensione lavori e ripristino di opere eseguite in difformità alle prescrizioni dell’autorizzazione di escavazione”. Ciò nondimeno l’omissione non ha comportato alcuna apprezzabile conseguenza pregiudizievole, posto che nessun profilo utile a far cambiare l’esito del procedimento la ricorrente avrebbe potuto allegare all’amministrazione: né l’asserita erronea individuazione del soggetto destinatario dell’ordine di rimozione dei rifiuti, né il travisamento dei fatti in ordine alla natura di “terre e rocce da scavo” dei materiali rinvenuti, né la supposta erronea individuazione della ditta Ricciardo quale responsabile dell’inquinamento ex art. 242 d.lgs. n. 152 del 2006 (trattandosi di profili, come già visto, non fondati nel merito).

Ad analoghi risultati conduce la disamina dell’ulteriore doglianza articolata pur sempre sull’asserita violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, e riferita alla mancata comunicazione, da parte del Comune, circa i tempi e le modalità di esecuzione degli accertamenti di campionamento sui materiali rinvenuti. In proposito, deve infatti rilevarsi che – sia pure a posteriori– il contraddittorio con la ditta ricorrente è stato assicurato, posto che la medesima ha avuto la concreta possibilità di partecipare ed interloquire in sede di revisione degli accertamenti ARPA, revisione che è stata compiuta nel maggio del 2012 (ed i cui referti sono agli atti). Non è degno di considerazione quanto, in proposito, ribatte la ricorrente (memoria depositata il 17 ottobre 2012) ossia che tale revisione avrebbe riguardato aree diverse da quelle oggetto dell’ordinanza n. 40: come risulta dagli atti (doc. n. 14 del Comune), invero, le analisi sono state effettuate proprio su materiale prelevato presso il Lotto E, cava Cascina Invernizzi, ossia presso il sito oggetto dell’ordinanza di ripristino.

Non ignora il Collegio che, secondo un certo orientamento giurisprudenziale (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 4061 del 2008) il quale valorizza la natura di norma speciale dell’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006 (laddove essa prescrive che gli accertamenti avvengano in contraddittorio), le disposizioni “generali” di cui agli artt. 7 e 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 sarebbero da considerare “recessive” e quindi non applicabili alla fattispecie del procedimento amministrativo instaurato a seguito dell’abbandono di rifiuti. Ritiene, tuttavia, che diversamente ragionando – ossia accedendo alla tesi che, anche nel caso qui in esame, determinerebbe l’annullamento dell’ordinanza impugnata a causa dell’originaria omissione della comunicazione di avvio – si otterrebbe un risultato palesemente irragionevole, dovendosi cassare un intero procedimento il quale sarebbe, poi, rieditato con i medesimi atti istruttori e le medesime conclusioni cui l’amministrazione è già pervenuta. Siffatta situazione sarebbe del tutto disallineata rispetto ai principi di celerità e di economicità che governano l’agire amministrativo, vieppiù nella delicata materia della bonifica di siti inquinati, nella quale devono essere recuperate le esigenze di natura sostanziale sottese alla regola generale di cui all’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990.

6. Il ricorso, pertanto, è da respingere con riferimento a tutte le censure, con l’unica eccezione della censura proposta ex art. 255 d.lgs. n. 152 del 2006, per la quale va dichiarata l’inammissibilità per difetto di giurisdizione.

Le spese seguono la soccombenza e sono da liquidarsi, con valutazione equitativa, in euro 2.000,00 (duemila/00).

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, in parte lo respinge ed in parte lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione, nei sensi di cui in motivazione.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, fissate nella somma di euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Salamone, Presidente

Manuela Sinigoi, Referendario

Antonino Masaracchia, Referendario, Estensore

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 22/11/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)