Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2417, del 6 maggio 2013
Sviluppo sostenibile Autorizzazione unica  impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e conferenza di servizi

La semplificata e concentrata disciplina procedimentale ad hoc per l’autorizzazione unica regionale per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è definita dall'art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità), che al comma 3 individua nella conferenza di servizi decisoria, il modulo procedimentale ordinario essenziale alla formazione del successivo titolo abilitativo funzionale alla costruzione e all'esercizio di tali impianti. Nel caso in cui ove in sede di conferenza, sia espresso il dissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, l'eventuale superamento del dissenso deve avvenire seguendo le specifiche vie procedimentali appositamente stabilite dal successivo articolo 14-quater comma 3 della L. 241/1990, in attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e dell'articolo 120 della Costituzione. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02417/2013REG.PROV.COLL.

N. 05169/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5169 del 2012, proposto da 
Ceriani Cave s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefano Baciga e Paolo Stella Richter, con domicilio eletto presso Paolo Stella Richter in Roma, viale Giuseppe Mazzini, 11

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
Comune di Sommacampagna, rappresentato e difeso dall'avvocato Eugenio Lequaglie, con domicilio eletto presso Graziella Colaiacomo in Roma, via Belsiana, 100

nei confronti di

Regione Veneto, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Manzi, Tito Munari e Ezio Zanon, con domicilio eletto presso Andrea Manzi in Roma, via Confalonieri, n. 5

per la riforma della sentenza resa in forma semplificata dal tribunale amministrativo regionale del veneto, sezione ii, n. 606 del 2012



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali, del Comune di Sommacampagna e della Regione Veneto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2013 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato Stella Richter, l’avvocato dello Stato Lumetti, nonché l’avvocato Sanino per delega dell’avvocato Lequaglie e l’avvocato Andrea Manzi

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

La società Ceriani Cave riferisce di aver proposto in data 4 maggio 2011 istanza finalizzata alla realizzazione e messa in esercizio di un impianto fotovoltaico della potenza di 3.972,42 kwp nel territorio comunale di Sommacampagna (VR) ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (‘Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità’).

Nell’ottobre del 2011 il competente dirigente comunale convocava per il successivo 20 ottobre la prima seduta della conferenza di servizi competente al rilascio della richiesta autorizzazione unica.

Nonostante la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Verona, Rovigo e Vicenza avesse chiesto di posticipare la riunione fissata, la prima seduta della conferenza aveva comunque luogo, anche se le amministrazioni presenti convennero nell’occasione di riconoscere all’incontro la valenza di mera “riunione propedeutica volta ad indicare al soggetto istante alcuni elementi necessari per ottenere gli atti di consenso”.

Nel corso della successiva seduta della conferenza di servizi (fissata per il giorno 25 gennaio 2012): a) la rappresentante della locale Soprintendenza ebbe a produrre il parere negativo sul progetto reso in data 20 gennaio 2012; b) il Comune di Sommacampagna esprimeva a propria volta parere negativo sul progetto per ragioni analoghe a quelle già espresse dalla competente Soprintendenza.

A seguito dell’espressione dei richiamati pareri, il Presidente della Conferenza di servizi invitava la società ricorrente a “predisporre un nuovo progetto che preveda il superamento del parere negativo della Soprintendenza e il parere negativo del Comune”, assegnando a tal fine il termine di sessanta giorni.

Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Veneto e recante il n. 486/2012 l’odierna appellante chiedeva l’annullamento dei richiamati pareri negativi.

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo ha dichiarato inammissibile il ricorso.

La sentenza in questione è stata appellata dalla società Ceriani Cave, la quale ne ha chiesto la riforma articolando i seguenti motivi:

1) Violazione dell’articolo 35 del codice del processo amministrativo – Erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso.

La sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per avere il Tribunale amministrativo ritenuto la non diretta impugnabilità del parere negativo reso dall’amministrazione statale e comunale nell’ambito della conferenza di servizi indetta nell’ambito della speciale procedura di cui all’articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003.

Sotto tale aspetto, il primo Giudice avrebbe omesso di considerare che i pareri negativi in parola (e, segnatamente, quello della Soprintendenza) costituirebbe un vero e proprio arresto procedimentale, determinando in modo pressoché sicuro lo stallo del procedimento, il quale sarebbe superabile solo attraverso la remissione della questione alla deliberazione del Consiglio dei ministri ai sensi dell’articolo 14-quater, comma 3 della l. 241 del 1990.

In definitiva, nel caso in esame troverebbe applicazione l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il principio della non impugnabilità dell’atto endoprocedimentale conosce un’eccezione (inter alia) nel caso di atti di carattere interlocutorio idonei a determinare un arresto procedimentale tale da frustrare l’aspirazione del richiedente a un celere soddisfacimento dell’interesse pretensivo prospettato.

Inoltre, la giurisprudenza posta dal Tribunale amministrativo a fondamento della sentenza in questione non risulterebbe pertinente in relazione alle peculiarità del caso in esame.

In particolare, non risulterebbe pertinente il richiamo all’orientamento secondo cui nel caso di conferenze di servizi decisorie non risultano immediatamente impugnabili le determinazioni conclusive dei lavori della conferenza (atteso che l’unico atto autonomamente impugnabile è il provvedimento finale).

Inoltre, la società Ceriani Cave ha riproposto nella presente sede i motivi di ricorso già proposto in primo grado e non esaminati dal Tribunale amministrativo per il carattere assorbente della declaratoria di inammissibilità del ricorso.

I motivi in questione sono rubricati come segue

1) Violazione degli articoli 14-ter e 14-quater della legge n. 241 del 1990 – Violazione dell’articolo 12 del decreto legislativo 387 del 2003 – Carenza di potere – Difetto di istruttoria e di motivazione;

2) Violazione dell’articolo 14-quater della legge n. 241 del 1990 – Difetto di motivazione;

3) Violazione dell’articolo 14 della legge regionale n. 52 del 1978 – Violazione dell’articolo 142 del decreto legislativo n. 42 del 2004 – Violazione dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 – Carenza di potere – Difetto di istruttoria e di motivazione;

4) Violazione dell’articolo 14-quater della l. 241 del 1990 – Difetto di istruttoria e di motivazione – Eccesso di potere per sviamento;

Si sono costituiti in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali, la Regione Veneto e il Comune di Sommacampagna i quali – sia pure nella diversità delle prospettazioni – hanno concluso nel senso della declaratoria di inammissibilità, di improcedibilità ovvero di infondatezza dell’appello.

Con ordinanza n. 3109/2012 (resa all’esito della camera di consiglio del 31 luglio 2012) questo Consiglio di Stato ha respinto l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza in epigrafe, proposta in via incidentale dalla società Ceriani Cave.

Ai fini della presente decisione si osserva che con provvedimento in data 4 dicembre 2012 la Regione Veneto ha rigettato nel merito l’istanza di realizzazione dell’impianto di cui sopra, ritenendo a tal fine dirimente il fatto che l’odierna appellante non avesse presentato una nuova versione del progetto nei modi e nei termini indicati all’esito della seduta della conferenza di servizi del 25 gennaio 2012.

Risulta in atti che l’appellante abbia proposto autonoma impugnativa dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Veneto avverso tale provvedimento.

Alla pubblica udienza del 22 marzo 2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dalla società Ceriani Cave avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Veneto con cui è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso gli atti con cui la competente Soprintendenza e il Comune di Sommacampagna hanno espresso parere negativo nell’ambito della conferenza di servizi finalizzata al rilascio del titolo abilitativo unico per la realizzazione e la gestione di un impianto di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

2. L’appello è infondato, dovendo trovare puntuale conferma la sentenza del primo giudice che ha ritenuto inammissibile l’impugnativa proposta avverso i pareri negativi resi nell’ambito del particolare procedimento per conferenza di servizi svolto ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003.

3. Nel merito, va qui ricordato - ai fini della collocazione nel giusto quadro procedimentale, che è quello in concreto seguito nella vicenda che qui occupa - che la semplificata e concentrata disciplina procedimentale ad hoc per l’autorizzazione unica regionale per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è definita dall'art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità), il quale – al comma 3 - individua nella conferenza di servizi (detta decisoria) il modulo procedimentale ordinario essenziale alla formazione del successivo titolo abilitativo funzionale alla costruzione e all'esercizio di tali impianti.

Ai sensi del richiamato comma 3, l'autorizzazione “va rilasciata nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico”; e ai sensi del comma 4 in relazione a tale procedimento trovano applicazione, per quanto non diversamente previsto, le disposizioni generali sul procedimento amministrativo di cui alla l. 7 agosto 1990, n. 241.

Ebbene, per quanto riguarda i lavori della conferenza di servizi, ai sensi della stessa l. n. 241 del 1990, l'autorità procedente cui spetta l'iniziativa di indire la conferenza di servizi, assume la determinazione conclusiva tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in sede di conferenza (art. 14-ter,comma 6-bis).

Tanto però non si verifica, come appunto è avvenuto nel caso di specie, ove in sede di conferenza sia espresso il dissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità. In tal caso l'eventuale superamento del dissenso deve avvenire seguendo le specifiche vie procedimentali appositamente stabilite dal successivo articolo 14-quater (in tal senso: Cons. giust. amm. sic., 11 aprile 2008, n. 295; Cons. Stato, VI, 22 febbraio 2010, n. 1020; id., 23 febbraio 2011, n. 1132; id., 23 maggio 2012, n. 3039; 15 gennaio 2013, n. 220): il che è dalla legge (art. 14-quater, comma 3) previsto “in attuazione e nel rispetto del principio di leale collaborazione e dell'articolo 120 della Costituzione”.

Pertanto, nell’ambito del particolare modulo procedimentale di cui all’articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003, il rinvio alle disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990 in materia di conferenza di servizi è operato in modo pieno ed integrale, il rende applicabili gli orientamenti formatisi in subiecta materia.

Al riguardo, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha stabilito che non può ritenersi non applicabile, in tema di autorizzazione unica, l'art. 14-quater della legge n. 241 del 1990 (in tema di effetti del dissenso espresso in sede di conferenza di servizi anche da parte di un’amministrazione preposta alla tutela di un valore ‘sensibile’ di rilievo costituzionale). Tale integrale applicabilità discende – tra l’altro – dall’espresso richiamo allo strumento della conferenza di servizi nella sua disciplina unitariamente intesa contenuto nell'art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003. La disposizione da ultimo richiamata, infatti, individua nella conferenza di servizi (detta decisoria) il modulo procedimentale ordinario essenziale alla formazione del successivo titolo abilitativo funzionale alla costruzione e all'esercizio di tali impianti (in tal senso: Cons. Stato, VI, 15 gennaio 2013, n. 220).

4. Ebbene, una volta chiarito che in tema di conferenze di servizi decisorie prodromiche al rilascio delle autorizzazioni uniche di cui all’articolo 12, cit., trovano applicazione le coordinate interpretative proprie dell’autorizzazione unica, troverà altresì applicazione il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui gli atti presupposti a tale rilascio (ad es., i pareri e le posizioni espresse in sede di conferenza di servizi) costituiscono atti interni di una conferenza di servizi decisoria, nei cui confronti non è in via di principio ammissibile una impugnazione diretta.

E’ evidente, infatti, che la risoluzione in parte qua della controversia è strettamente connessa all'opzione ermeneutica preferibile in ordine al se possa riconoscersi il carattere dell'immediata lesività (e quindi, dell'immediata impugnabilità) alle determinazioni conclusive adottate in sede di conferenza di servizi decisoria e, prima ancora, alle posizioni in tale sede espresse dalle singole amministrazioni.

Ad avviso del Collegio, al quesito deve fornirsi risposta negativa, ragione per cui deve essere confermata la decisione del primo giudice, il quale ha ritenuto che le determinazioni conclusive delle conferenze decisorie (e, a maggior ragione, le prodromiche valutazioni espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi, che qui vengono in rilievo) abbiano valenza meramente endoprocedimentale e che, conseguentemente, non siano autonomamente impugnabili.

Come già in altre occasioni osservato (ex plurimis: Cons. Stato, VI, 3 dicembre 2009, n. 7570; id., VI, 11 novembre 2008, n. 5620), il dibattito circa i rapporti sistematici fra la determinazione conclusiva della conferenza (commi 6-bis e 9 dell'art. 14-ter, l. 241 del 1990 e ss.mm.ii.) e il provvedimento finale (in base ad un approccio dicotomico introdotto dalla l. n. 340 del 2000 e sostanzialmente confermato dalla l. n. 15 del 2005), così come il dubbio circa il se la valenza lesiva per la sfera dell'interessato (e il conseguente onere di impugnativa) siano da riconnettere al primo ovvero al secondo di tali atti, sono questioni che hanno interessato la dottrina e la giurisprudenza sin dalla riforma dell'istituto della conferenza di servizi (l. n. 340 del 2000, cit.) e il cui esame ha ricevuto ulteriori indicazioni all'indomani dell'entrata in vigore della l. n. 15 del 2005, la quale ha in parte modificato il quadro normativo di riferimento.

Si osserva, inoltre, che nella vigenza del sistema delineato dalla l. n. 340 del 2000 i pochi precedenti sulla questione hanno concluso nel senso del carattere immediatamente lesivo della determinazione conclusiva della conferenza di servizi (sul punto, cfr. Cons. Stato, VI, 1 luglio 2003, n. 5708).

Al riguardo, la giurisprudenza in questione aveva fondato le proprie conclusioni essenzialmente su tre argomenti:

a) in primo luogo, sul disposto di cui al comma 2 dell'art. 14-quater (nel testo introdotto dall'art. 12 della l. n. 340 del 2000) il quale, nel disciplinare l'ipotesi del dissenso espresso in sede di conferenza, stabiliva espressamente che la determinazione conclusiva avesse carattere immediatamente esecutivo;

b) in secondo luogo, sul disposto di cui al comma 7 dell'art. 14-ter (nel testo introdotto dall'art. 10 della l. 340 del 2000), a tenore del quale la determinazione conclusiva della conferenza era immediatamente impugnabile da parte dell'Amministrazione dissenziente;

c) in terzo luogo, sull'espressa previsione normativa (comma 9 dell'art. 14-ter) secondo cui il provvedimento finale non potrebbe che avere un carattere conforme rispetto al contenuto della richiamata determinazione conclusiva (dal che emergerebbe che il contenuto prescrittivo di quanto stabilito in sede di conferenza, la relativa valenza lesiva ed il conseguente onere di impugnativa non potrebbero che essere anticipati al momento di adozione della richiamata determinazione conclusiva).

Nella tesi in questione, pertanto, al provvedimento conclusivo dovrebbe essere riconosciuto un carattere meramente ricognitivo e non anche di tipo costitutivo-provvedimentale.

Al riguardo, mette anche conto segnalare che la correttezza del richiamato orientamento giurisprudenziale fosse stata revocata in dubbio da un diverso orientamento (di matrice essenzialmente dottrinale), il quale sottolineava che al provvedimento conclusivo della fattispecie dovesse riconoscersi un indubbio carattere costitutivo quanto meno nelle ipotesi in cui il dissenso postumo espresso al di fuori della conferenza avesse condotto ad un esito finale difforme rispetto a quello trasfuso nella determinazione conclusiva dei lavori della conferenza medesima.

Tale essendo il quadro ricostruttivo nella vigenza del sistema delineato dalla l. n. 340 del 2000, il Collegio osserva che a conclusioni affatto diverse debba giungersi con riferimento alla nuova disciplina in materia di conferenza di servizi introdotta ad opera della l. n. 15 del 2005 (che trova applicazione nel caso di specie).

Ad avviso del Collegio, infatti, all'indomani della riforma del 2000 prevale la tesi secondo cui sussiste ancora uno iato sistematico fra la determinazione conclusiva della conferenza di tipo decisorio (nonché –a fortiori – fra le posizioni espresse in sede di conferenza dalla singola amministrazione) e il successivo provvedimento finale, nonché la tesi secondo cui solo al secondo di tali atti possa essere riconosciuta una valenza effettivamente determinativa della fattispecie (con conseguente sorgere dell'onere di immediata impugnativa), mentre alla determinazione conclusiva deve essere riconosciuto un carattere meramente endoprocedimentale.

Ad avviso del Collegio, almeno tre argomenti depongono nella direzione indicata.

In primo luogo, appare rilevante osservare l’espressa abrogazione, da parte del legislatore del 2000, della previsione normativa (comma 2 dell'art. 14-quater) circa il carattere immediatamente esecutivo della determinazione conclusiva dei lavori della conferenza.

Al riguardo, non sfugge al Collegio che la disposizione oggetto di abrogazione era collegata ad una disciplina normativa in tema di superamento del dissenso che la riforma del 2005 ha inteso modificare.

Si osserva, tuttavia, che la notazione in parola non conduce a conclusioni diverse da quelle appena richiamate, atteso che l'ultimo periodo del comma 2, cit. (secondo cui “la determinazione è immediatamente esecutiva”) presentava una propria evidente autonomia concettuale rispetto al sistema di componimento dei dissensi di cui alla l. n. 340 del 2000, con la conseguenza che la sua espunzione dall'ordinamento non possa essere intesa, se non come espressione di una piana voluntas legis volta al superamento del carattere di autonoma impugnabilità della richiamata determinazione conclusiva.

In secondo luogo appare rilevante sottolineare l'espressa abrogazione, ad opera della l. 15 del 2005, della previsione normativa (comma 7 dell'art. 14-ter) che consentiva alle Amministrazioni dissenzienti di impugnare direttamente ed immediatamente la determinazione conclusiva della conferenza di servizi.

In terzo luogo si osserva che, se da un lato appare innegabile che il sistema introdotto nel 2005 sia ispirato dall'intento di anticipare già al momento della conclusione dei lavori della conferenza la palese espressione delle volontà da parte delle amministrazioni partecipanti (in particolare, abrogando il meccanismo del c.d.“dissenso postumo” e la possibilità con esso connessa di ribaltamenti di posizioni fra il momento della determinazione conclusiva e quello del provvedimento finale), dall'altro lato ciò non possa indurre a ritenere che le medesime esigenze di semplificazione e concentrazione comportino anche la dequotazione sistematica delle ragioni sottese alla distinzione fra il momento conclusivo dei lavori della conferenza e il successivo momento provvedimentale.

A riguardo il Collegio ritiene condivisibili le linee di fondo dell'orientamento interpretativo (delineato all'indomani della riforma del 2000 in particolare nella giurisprudenza di primo grado) secondo cui la scelta del legislatore del 2000 di lasciare inalterata la richiamata struttura dicotomica esprime un orientamento di fondo per cui il provvedimento finale non rappresenta soltanto una sorta di momento meramente riepilogativo (e dichiarativo) delle determinazioni assunte in sede di conferenza, ma che un vero e proprio momento costitutivo delle determinazioni conclusive del procedimento.

E' stato condivisibilmente affermato al riguardo che, nella richiamata ottica, l'espresso mantenimento di una struttura bifasica (articolato fra la fase comunque procedimentale che si conclude con la determinazione conclusiva della conferenza e la successiva fase provvedimentale) è ispirato dalla volontà di consentire che il cittadino interessato dal procedimento di cui agli artt. 14 e segg. abbia come referente ed interlocutore il solo responsabile del complessivo procedimento e, quindi, una sola Amministrazione, lasciando che il concerto fra le Amministrazioni resti all'interno dei processi decisionali amministrativi.

Questo assunto (che sottolinea lo iato sistematico fra il momento procedimentale - o della dialettica/sintesi fra posizioni - ed il momento provvedimentale - o determinativo degli effetti per il destinatario finale -) è, del resto, coerente con gli orientamenti della l. n. 15 del 2005, che è volta ad enfatizzare la valenza sistematica e la piena autonomia concettuale, nell'ambito dell'azione amministrativa, dell’espressione provvedimentale.

Ancora, la scelta di mantenere un provvedimento espresso come momento conclusivo della complessiva vicenda corrisponde alla volontà di lasciare inalterato il complessivo sistema di garanzie trasfuso nel nuovo Capo IV-bisdella l. n. 241 del 1990, con particolare riguardo all'onere di comunicazione, all'acquisto di efficacia e - sussistendone le condizioni - al carattere di esecutorietà del provvedimento.

Sotto tale aspetto, appare non plausibile che la scelta del legislatore del 2005, laddove si è risolta nella scelta di mantenere nell'economia complessiva della conferenza di servizi un momento claris verbis provvedimentale (art. 14-ter, cit., comma 9), sia da intendere come un sorta di lapsus calami del legislatore (atteso che il provvedimento non rappresenterebbe altro, se non un “atto meramente esecutivo e consequenziale delle determinazioni assunte in sede di conferenza di servizi” - si richiama nuovamente quanto affermato, nella vigenza della precedente disciplina: Cons. Stato, sent. 5708 del 2003, cit. ).

In definitiva, è condivisibile l'orientamento secondo cui, anche all'indomani della riforma del 2005, la scelta di mantenere sostanzialmente inalterata la struttura bifasica testimonia un modello che il legislatore ha inteso far proprio nel fissare le regole di funzionamento della conferenza di servizi e che si compendia nella necessità che, all'esito dei lavori della conferenza decisoria, sopraggiunga pur sempre un provvedimento conclusivo (del quale la conferenza rappresenta solo un passaggio procedurale) avente la veste di atto adottato, in via ordinaria, da un organo monocratico dell'Amministrazione procedente.

4.1. Conseguentemente, la sentenza è meritevole di puntuale conferma laddove ha ritenuto che le determinazioni conclusive (e, prima ancora, gli avvisi espressi dalle amministrazioni nel corso della conferenza di servizi) non costituiscano atti immediatamente impugnabili.

Del resto, per quanto riguarda più specificamente gli atti negativi espressi in sede di conferenza da amministrazioni preposte alla tutela di valori sensibili – quali quelli che nel caso di specie vengono in rilievo - la conclusione della non diretta impugnabilità risulta vieppiù avvalorata dall’espressa previsione di legge relativa alla fissazione di modalità tipiche finalizzate al superamento del dissenso (quali quelle di cui all’articolo 14-quater, l. proc.).

E ancora, la circostanza per cui il dissenso espresso dalle amministrazioni preposte alla tutela di valori ‘sensibili’ possa (rectius: debba) ordinariamente rinvenire la propria modalità di componimento nell’ambito della conferenza di servizi – ovvero, nel successivo tratto procedimentale delineato dall’articolo 14-quater, l. 241, cit. – induce a ritenere infondato il motivo di appello con cui si è sostenuto che a tale dissenso – in via derogatoria rispetto a quanto previsto per le ipotesi generali – sarebbe da riconoscere valenza di arresto procedimentale.

5. L’appello deve, quindi, essere respinto, con integrale conferma in parte qua della sentenza gravata e assorbimento dei motivi di doglianza non esaminati dal primo Giudice (e nella presente sede di appello puntualmente riproposti).

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.



Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 06/05/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)