TAR Puglia (BA) Sez. I n. 193 del 8 febbraio 2018
Sviluppo sostenibile. VIA e impianto eolico

Se è incontestabile che in ipotesi di carenze documentali l’Amministrazione non possa procedere al rigetto dell’istanza, dovendo garantire all’interessato la possibilità di integrazione per basilari esigenze di collaborazione, lealtà procedimentale e buona amministrazione, è invece legittimo il rigetto qualora, a seguito delle molteplici richieste di integrazione - formulate nell’ottica di un dovere di collaborazione istruttorio -, l’interessato ometta di fornirle, non mettendo l’autorità amministrativa in condizione di esaminare compiutamente la domanda, essendo in tal caso il procedimento avviato dall’istanza destinato comunque ad una conclusione non favorevole (fattispecie relativa a VIa per impianto di produzione di energia da fonte eolica)



Pubblicato il 08/02/2018

N. 00193/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00288/2012 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 288 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Farpower2 s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Michael Jonathan Fargion, Alberto Linguiti, Francesco Paolo Bello, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Francesco Paolo Bello in Bari, via Arcivescovo Vaccaro, 45;

contro

Regione Puglia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Liberti, Tiziana Teresa Colelli, con domicilio eletto in Bari, Lungomare Nazario Sauro, 31/33;

per l'annullamento

- della determina n. 244 del 28 ottobre 2011, con la quale la Regione Puglia ha disposto di assoggettare a procedura di valutazione di impatto ambientale il progetto di impianto di produzione di energia da fonte eolica da realizzare nel Comune di Ascoli Satriano;

- nonché di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale;

con motivi aggiunti del 9 dicembre 2014,

- della nota prot. 5036, comunicata via pec il 17 settembre 2014;

- della deliberazione della Giunta Regionale della Regione Puglia n. 3029/2010 pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia il 26 gennaio 2011;

di tutti gli atti presupposti, conseguenti e connessi;

con motivi aggiunti del 26 giugno 2015;

- della nota 1839 de1 21 aprile 2015, con la quale la Regione Puglia - Area Politiche per lo Sviluppo Economico, il Lavoro e l’Innovazione, Servizio energie rinnovabili, reti ed efficienza energetica ha comunicato alla Farpower2 s.r.l. la conclusione del procedimento con il diniego dell’Autorizzazione Unica alla costruzione ed esercizio dell’impianto;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore la dott.ssa Maria Grazia D'Alterio e uditi nell'udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2017 per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il presente ricorso la società Farpower2 contesta la legittimità della determina n. 244 del 28 ottobre 2011, con la quale la Regione Puglia ha disposto di assoggettare a procedura di valutazione di impatto ambientale il progetto di impianto di produzione di energia da fonte eolica da realizzare nel Comune di Ascoli Satriano, in località Villa Chieffo, Masseria Moscatello e Masseria Bufalo, chiedendone l’annullamento per violazione di legge ed eccesso di potere sotto plurimi e concorrenti profili.

2. Con una prima serie di censure la ricorrente contesta – questo in estrema sintesi il contenuto del motivo – la corretta individuazione da parte della Regione Puglia della normativa applicabile alla fattispecie in esame.

2.1 Si duole, in particolare, dell’illegittima omessa applicazione dei criteri direttivi di cui alle Linee Guida Nazionali (D.M. 10 settembre 2010): ciò sarebbe avvenuto in forza del regime transitorio di cui all’art. 5, comma 1, del regolamento regionale n. 24/2010 applicabile ratione temporis alla fattispecie per cui è causa; tuttavia, detto regolamento (impugnato da parte ricorrente) sarebbe illegittimo, essendo stato assunto in violazione del termine di cui all’art. 2, comma 158, lett. h) legge n. 244/2007.

2.2 Deduce, inoltre, lo sviamento per erronea applicazione dei criteri di verifica di assoggettabilità a VIA, essendo stati applicati i criteri di cui al d.p.c.m. 12 dicembre 2005, viceversa relativi alla richiesta di autorizzazione paesaggistica per interventi che ricadono in aree tutelate ai sensi dell’art. 142 d.lgs n. 42/2004 o in aree interessate da beni paesaggistici di notevole interesse pubblico ex artt. 136, 143, comma 1, lett. d) e 157 D.lgs n. 42/2004.

3. Con una separata serie di censure la società ricorrente stigmatizza le ragioni addotte dall’Amministrazione a fondamento del provvedimento gravato, rilevando che, a dispetto dello stringente obbligo motivazionale specificamente imposto in subiecta materia dalla normativa comunitaria (in particolare dalla Direttiva 2003/35/CE che prevede il ricorso alla VIA unicamente per i progetti aventi incidenze notevoli sull’ambiente ovvero un notevole impatto ambientale), la Regione Puglia si sarebbe limitata ad una cavillosa elencazione di impatti e rilievi di ordine solo generale ed astratto, della cui entità, attualità, probabilità e negatività nulla viene detto in concreto, sconfinando in mere congetture o ipotesi pretestuose.

3.1 Più in dettaglio, secondo le deduzioni difensive articolate da Farpower 2, il diniego non potrebbe fondatamente basarsi sulla rilevata non esaustività delle informazioni fornite a proposito della connessione alla rete elettrica di trasmissione nazionale, sia perché il collegamento alla stazione di Terna avrebbe dovuto realizzarsi attraverso un elettrodotto interrato non soggetto a VIA e sia perché, comunque, l’amministrazione avrebbe potuto prescrivere in via alternativa che il collegamento alla rete elettrica fosse effettuato attraverso la sottostazione di trasformazione autorizzata con il progetto Daunia Wind, che dista meno di 500 metri dall’aerogeneratore n. 15.

3.2 Sotto altro profilo, nemmeno sarebbero conferenti le argomentazioni contrarie addotte dalla Regione e basate sull’insufficienza degli elaborati trasmessi dalla società. Invero, in tesi di parte ricorrente, nessuna norma avrebbe imposto alla richiedente di illustrare nel proprio progetto gli effetti sull’ambiente di altre proposte progettuali, rientrando la problematica delle sovrapposizioni nelle competenze della Conferenza dei Servizi; comunque gli aerogeneratori previsti in progetto rientrerebbero finanche all’interno del restrittivo parametro di controllo della capacità di carico del sistema previsto dal R.R. n. 16/2006; le argomentazioni della Regione sugli effetti cumulativi sarebbero generiche e astratte, non avendo individuato quali specifiche componenti ambientali o eco-sistemiche verrebbero interessate dal cumulo di interventi.

3.3 Peraltro, l’impatto visivo dell’impianto più volte stigmatizzato dal provvedimento gravato, anche in connessione agli altri impianti già autorizzati, sfuggirebbe all’ambito di tutela ordinamentale del paesaggio e, comunque, lo studio di co-visibilità, strenuamente invocato dall’Amministrazione, non recherebbe alcuna indicazione di alcun target paesaggistico oggetto di tutela e sarebbe ancorato ad una fruizione meramente estetica e, dunque, soggettiva, di un orizzonte visivo interessato da un maggior numero di aerogeneratori rispetto a quelli già autorizzati nella macro-area.

3.4 Infine, quanto alle ulteriori criticità evidenziate in relazione alla dimensione degli aerogeneratori, la società, da un lato, ha evidenziato la contraddittorietà delle valutazioni negative espresse dell’Ufficio, posto che altro analogo impianto è stato invece ritenuto ammissibile; dall’altro, ha rilevato che, per l'orografia dell'area, gli impianti sarebbero difficilmente percepibili, e soltanto dalla periferia estrema della città, che è zona residenziale non di pregio, con presenza di insediamenti produttivi medio-piccoli.

Farpower2 ha inoltre contestato che l’analisi dello stato dei luoghi, limitato ad un mero elenco di toponimi riferiti a strade, masserie e tratturi, possa di per sé integrare condizione per disporre il rinvio del progetto a VIA.

3.5 Analoghe critiche vengono svolte in relazione all'analisi ambientale, attesa la presenza di parchi eolici che interessano quella stessa flora, fauna e ecosistemi già realizzati o dotati di compatibilità ambientale, peraltro anche evidenziandosi che almeno in occasione di quelle autorizzazioni, l'Ufficio certamente disponeva delle necessarie informazioni, sicché in forza del principio di leale collaborazione tra P.A. e privato avrebbe comunque potuto acquisirle, a prescindere dalla questione dell'applicabilità al caso in esame dell'art. 2, comma n. 7, della L. 241/1990, a norma del quale l'amministrazione non può richiedere informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità che siano attestati in documenti già in possesso dell'amministrazione stessa.

4. Con ordinanza n. 205/2012 è stata respinta l’istanza di misure cautelari, evidenziando la Sezione “… che il provvedimento impugnato appare congruamente motivato (in relazione a molteplici aspetti di impatto ambientale) e che, in ogni caso, dallo stesso non discende alcun arresto definitivo del procedimento autorizzatorio”.

5. Con successivo ricorso per motivi aggiunti, l'odierna ricorrente ha impugnato la nota del Servizio Energia del 17 settembre 2014, prot. 5035 recante l'invito ad integrare la documentazione a corredo della istanza di autorizzazione unica inerente il procedimento in corso e a provvedere al trasferimento della stessa sul portale telematico, deducendo la violazione della normativa di settore (in particolare violazione dell'art. 12 del D.lgs. 387/2010, del D.M. 10 settembre 2010 e D.G.R. n. 3029/2010; dell’art. 1, co. 2 e 18 co. 2 L. 241/90; dell'art. 4, co.1, L. 62/2005; del D.lgs. 79/1999; della Legge 239/2004) oltre all’eccesso di potere sotto plurimi aspetti, articolando dettagliate censure che saranno più approfonditamente illustrate infra.

6. Con un secondo ricorso per motivi aggiunti, la società ha impugnato il diniego di autorizzazione unica opposto dal Servizio Energia con nota del 21 aprile 2015, prot. n.1839, sostanzialmente riproducendo le medesime censure già proposte avverso la prefata nota regionale n. 5035/2014.

7. Si è costituita per resistere al ricorso principale e ai motivi aggiunti la Regione Puglia, contestando in rito e nel merito le avverse pretese.

8. All’udienza pubblica del 6 dicembre 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

9. Tanto premesso in fatto, nel merito il ricorso principale è infondato e merita la reiezione, ritenendo il Collegio di confermare le ragioni già sommariamente espresse con la precitata ordinanza cautelare.

9.1 Va preliminarmente disattesa la tesi di parte ricorrente argomentata con i primi due motivi di gravame, in ordine alla erronea individuazione ad opera della Regione della normativa nazionale e regionale applicabile alla fattispecie.

9.1.a Invero, occorre rilevare che il procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA, così come precisato a pag. 3 del provvedimento conclusivo oggetto di censura, è stato correttamente condotto sulla base dell’Allegato A alla parte II del D.lgs 152/2006 e della L.R. Puglia n. 11/2001, quest’ultima, peraltro, anche puntualmente richiamata dalla D.G.R. 3029/2010, di attuazione del D.M. 10 settembre 2010, a mente della quale “Gli impianti di cui al presente provvedimento sono assoggettati alle verifiche di assoggettabilità a VIA secondo le disposizioni previste dalla Legge regionale n. 11 del 2001, come modificata dalla legge regionale 18 ottobre 2010, n. 13…” (cfr. paragrafo 3.9 D.G.R. citata). Il mero riferimento, poi, alle Linee guida per l’inserimento nel paesaggio di cui al D.P.C.M. 12 dicembre 2005 in tema di “Individuazione della documentazione necessaria alla verifica della compatibilità paesaggistica degli interventi proposti, ai sensi dell’articolo 146, comma 3, del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”, appare chiaramente non pertinente rispetto all’oggetto della valutazione posta in essere dalla Regione, essendo rimasto incontestato che le aree in questione non risultano tutelate ai sensi dell’art. 142 D.lgs. n. 42/2004, né peraltro le censure dedotte contengono specifici rilievi critici a loro supporto, sicché non emerge in che termini si sarebbe concretizzato l’asserita illegittimità dell’operato svolto dalla Regione in relazione alla precitata normativa, di cui è solo genericamente dedotta l’erronea applicazione.

9.1.b Sotto ulteriore angolo prospettico, in ogni caso, neppure coglie nel segno la censura di illegittimità del regolamento regionale n. 24/2010 - la cui applicazione alla fattispecie è nondimeno solo ipotizzata da parte ricorrente (cfr. pag 2 del ricorso introduttivo) - perché adottato in violazione dei termini di cui all’art. 2, comma 158, lett. h) legge n. 244/2007, in forza della quale al comma 10 dell’art. 12 d.lgs n. 387/2003 sono aggiunti, infine, i seguenti periodi: «Le Regioni adeguano le rispettive discipline entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle linee guida. In caso di mancato adeguamento entro il predetto termine, si applicano le linee guida nazionali».

Invero, il D.M. 10 settembre 2010 (recante le Linee guida statali) è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 settembre 2010 ed è entrato in vigore ai sensi dell’art. 1, comma 2. “… nel decimoquinto giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.”, quindi in data 3 ottobre 2010.

Ne consegue che la Regione Puglia aveva novanta giorni di tempo decorrenti dal 3 ottobre 2010 per l’adeguamento della disciplina regionale, sicché, poiché il contestato regolamento regionale n. 24 è stato adottato in data 30 dicembre 2010, detto termine risulta essere stato rispettato.

La relativa censura va, conseguentemente, disattesa.

9.2 Passando, dunque, alle censure più strettamente concernenti il merito delle valutazioni tecnico-discrezionali svolte dalla Regione, va ribadito che provvedimento impugnato, anche ad un più meditato esame, risulta sorretto da ampia e congrua motivazione, essendosi posti in evidenza molteplici aspetti di incompatibilità ambientale dell’intervento, per nulla sconfessati dalle censure formulate in ricorso.

In particolare, il provvedimento gravato risulta basato su giudizi di natura tecnico-discrezionale scevri da evidente illogicità o erroneità e, dunque, esenti dai rilievi critici profilati dalla ricorrente, anche alla luce dei consolidati principi giurisprudenziali per cui gli aspetti più propriamente di merito delle valutazioni tecnico-discrezionali effettuate dall’Amministrazione, caratterizzate dalla complessità delle discipline specialistiche di riferimento e dall'opinabilità dell'esito della valutazione, sfuggono in via generale al sindacato del giudice amministrativo, non potendo questo sostituire una propria opinabile valutazione a quella dell'Amministrazione, salvo che non sia manifestamente illogica, irrazionale, arbitraria ovvero fondata su un palese e manifesto travisamento dei fatti (ex multis Cons. Stato, Sez. V, 18 febbraio 2013, n. 978); circostanze che non ricorrono nel caso di specie.

9.2.a Invero, con coerenti e plausibili argomentazioni, con il provvedimento impugnato vengono evidenziati profili di criticità diffusa specificamente afferenti alle peculiari caratteristiche di realizzazione del progetto in questione, che non sempre investono porzioni ristrette dell’impianto, evidenziandosi in particolare:

- la mancanza di un approfondimento relativo al punto di vista costituito dal centro abitato di Ascoli Satriano che, essendo posto su un’altura, è considerato un luogo privilegiato di fruizione del paesaggio (anche alla luce della proposta di PPTR, pag. 37 Scheda ambito paesaggistico “Tavoliere”);

- la sussistenza, quanto all’interazione con il suolo e il sottosuolo, di una criticità diffusa legata alla interferenza del parco eolico con l’idrografia superficiale e alla circostanza che la maggior parte delle torri (12 su 15) risultano ubicate in area soggetta a vincolo idrogeologico;

- interferenza del progetto con la viabilità storica dei tratturi, oltre che con numerosi insediamenti rurali storici, costituiti da masserie, sia limitrofe che interne al parco, contrariamente all’asserita inesistenza nell’area considerata di emergenze storiche o architettoniche;

- collocazione di alcuni aerogeneratori ad un raggio inferiore a 300 mt, ovvero inferiore al valore di sicurezza richiesto alla stregua di dati di letteratura, statisticamente validati, per scongiurare il rischio di incidenti.

9.2.b A ciò va aggiunto il pericolo paventato dall’amministrazione resistente e legato all’amplificazione di significative conseguenze negative sul paesaggio e sugli ecosistemi e sistemi umani, in ragione della cumulatività degli impatti prodotti dai vari impianti autorizzati in zona, che non risulta certo superati dai rilievi della ricorrente, spesso limitati ad evidenziare la contraddittorietà rispetto alle valutazioni ambientali favorevoli rilasciate in relazione agli altri parchi eolici ubicati nella medesima macro-area, trascurando, tuttavia, che proprio l’oggettiva insistenza di più progetti sviluppatisi nel tempo avrebbe potuto determinare significativi effetti sulla capacità di carico del sistema, facendo emergere la necessità un più accurato studio in sede di VIA circa i rilevati possibili impatti negativi sul paesaggio e sull’ambiente circostante.

Del resto, come è ampiamente noto, la censura di eccesso di potere per disparità di trattamento a fronte di scelte discrezionali dell´Amministrazione è riscontrabile soltanto in caso di assoluta identità di situazioni di fatto e di conseguente irragionevole diversità del trattamento riservato, situazioni la cui prova rigorosa deve essere fornita dall´interessato, con la precisazione che la legittimità dell´operato della P.A. non può comunque essere inficiata dall´eventuale illegittimità compiuta in altra situazione (cfr., in tal senso, Cons. Stato, IV, 28 ottobre 2013, n. 5209; Cons. Stato, VI, 11 giugno 2012, n. 3401; id., VI, 8 luglio 2011, n. 4100; id., VI, 30 giugno 2011, n. 3894).

9.2.c Né, infine, nel caso di specie potrebbe farsi applicazione delle considerazioni espresse dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 4566/2014, più volte richiamata dalla difesa ricorrente, concernente un caso solo in parte analogo (si trattava di un progetto di 47 aerogeneratori di cui solo 9 erano stati oggetto di specifici rilievi con il provvedimento ivi gravato: cfr. par. 3.3 della sentenza), posto che le peculiarità in fatto della fattispecie concreta all’esame del Collegio e per le criticità innanzi evidenziate non si ravvisa alcuna pretestuosità da parte della Regione nel disporre il rinvio del progetto a VIA.

10. E’ dunque possibile procedere all’esame dei ricorsi per motivi aggiunti, con cui parte ricorrente impugna la nota del Servizio Energia del 17 settembre 2014, prot. 5035, recante l'invito all’integrazione della documentazione e al trasferimento dell’istanza di A.U. sul portale telematico, e il successivo diniego di a.u., contenenti censure sostanzialmente sovrapponibili, pertanto idonee ad una trattazione congiunta.

Si prescinde dall’esame delle eccezioni in rito sollevate dalla difesa regionale essendo i motivi aggiunti comunque infondati nel merito.

10.1 Con una prima serie di censure la ricorrente deduce la violazione dell’art. 12 del D.lgs. n. 387/2003 e della delibera di G.R. n. 3029/2010; nonché l’eccesso di potere sotto plurimi profili, sostenendo l’avvenuta consumazione del potere della Regione di chiedere l’integrazione dell’istanza con la documentazione di cui all’art. 2 della delibera di G.R. n. 3029/2010 e del provvedimento regionale di diniego della Regione per mancanza di questa.

La ricorrente asserisce di aver tempestivamente trasmesso in data 1° aprile 2011 una nota di integrazione documentale, in dichiarato adempimento all’onere di adeguamento delle domande fissato dal paragrafo 7.3 della Delibera di G.R. n. 3029/2010, recante la disciplina transitoria per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore delle Linee guida regionali, a mente della quale “….il proponente, a pena di improcedibilità, integra l’istanza con la documentazione prevista al punto 2, entro il 1° aprile 2011, salvo richiesta di proroga per un massimo di ulteriori trenta giorni per comprovate necessità tecniche…..”.

Ciò posto, in tesi di parte ricorrente, successivamente a tale trasmissione documentale, la Regione avrebbe solo potuto richiedere, in forza dell’art. 3.5 della citata Delibera, un’ulteriore integrazione, ove necessaria e purché comunicata nei 15 giorni successivi, ovvero dichiarare l’improcedibilità della domanda.

La innanzi richiamata disposizione delle Linee guida regionali dispone, infatti, che “Entro 15 giorni dalla presentazione dell’istanza, la Regione, verificata la completezza formale della documentazione, comunica al ricorrente l’avvio del procedimento ai sensi degli articoli 7 e 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni ed integrazioni, ovvero comunica la improcedibilità dell’istanza per carenza della documentazione prescritta; in tal caso il proponente ha ulteriori 30 giorni per completare la documentazione, decorsi inutilmente i quali la domanda si intende automaticamente decaduta. Trascorso il termine di 15 giorni dalla presentazione dell’istanza, senza che l’amministrazione abbia comunicato l’improcedibilità, il procedimento si intende avviato”.

Essendo invece decorso il predetto termine senza alcun rilievo da parte dell’ente regionale, tantomeno di improcedibilità della domanda, il procedimento doveva intendersi avviato, di modo che la Regione avrebbe solo potuto adoperarsi per indire la Conferenza dei servizi nei trenta giorni successivi, avendo oramai definitivamente consumato il potere di richiedere ulteriore documentazione.

10.2 La doglianza è infondata.

10.2.a La norma invocata da Farpower, in realtà, fissa un termine che ha natura solo sollecitatoria, in funzione del fisiologico avvio del procedimento, di modo che dalla sua inosservanza non può certo inferirsi la consumazione del potere dell’amministrazione di procedere alla richiesta di integrazione della documentazione, ove quella prodotta non risulti conforme a quanto prescritto e necessario al fine della imparziale e completa valutazione di tutti i fatti ed interessi coinvolti dall’iniziativa, nel rispetto del bilanciamento tra le varie esigenze di tutela sintetizzato dalle prescrizioni violate.

Sul punto gioverà richiamare il costante orientamento giurisprudenziale espresso in tema di violazione del termine di conclusione del procedimento, applicabile mutatis mutandi all’ipotesi di mancato rispetto di un termine infraprocedimentale, secondo cui la violazione dei termini procedimentali non aventi carattere perentorio non può comportare per ciò solo conseguenze in punto di consumazione del potere di provvedere ovvero di validità degli atti sopravvenuti (ex plurimis: Sez. IV, 12 giugno 2012, n. 2264; 10 giugno 2010 n. 3695; Sez. VI, 1 dicembre 2010, n. 8371; 14 gennaio 2009, n. 140; 25 giugno 2008 n. 3215).

Il richiamato orientamento, da cui il Collegio non intende discostarsi, si fonda invero sull’applicazione di consolidate categorie di teoria generale di diritto, in base alle quali vanno tenute distinte le norme di comportamento dalle norme di validità degli atti giuridici e le conseguenze rispettivamente discendenti dalla violazione delle prime o delle seconde, nel senso che solo in quest’ultimo caso la sanzione ricade sull’atto medesimo, determinandone la nullità o l’annullabilità, laddove nella prima ipotesi possono sorgere conseguenze esclusivamente di carattere risarcitorio, ovvero realizzarsi i presupposti per l’attivazione di rimedi processuali specifici avverso il silenzio-inadempimento (cfr. Cons. Stato, V, 11 ottobre 2013, n. 4980; Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26724 e 26725, Tar Molise, 15 febbraio 2013, n. 124).

10.2.b Nel caso di specie, pertanto, nonostante il mancato rispetto dei tempi scanditi dalla struttura del procedimento articolata dalle Linee guida regionali, non poteva comunque dirsi realizzata alcuna limitazione di poteri istruttori della Regione, che, pertanto, ha legittimamente richiesto alla società ricorrente di adempiere entro un congruo termine agli obblighi integrativi scaturenti dalla normativa sopravvenuta, ovvero di trasferire la domanda di a.u. sul portale e di produrre quanto richiesto ai sensi del punto 2.2. della citata D.G.R..

10.2.c Va anche soggiunto che la Regione, nel richiedere quanto predetto, non ha posto alcun irragionevole vincolo temporale alla ricorrente né questa ha mai espressamente richiesto in sede procedimentale ulteriore tempo per poter adempiere alle richieste formulate, nemmeno a fronte del preavviso di diniego che, all’opposto, è rimasto privo di riscontro. La ricorrente ha peraltro avuto oltre sette mesi per regolarizzare la propria istanza (oltre tre anni dall’entrata in vigore della nuova normativa), prima della definitiva pronuncia regionale (intervenuta in data 21 aprile 2015) ai fini della regolare prosecuzione dell’iter amministrativo e della compiuta disamina della domanda, senza tuttavia provvedervi né manifestare la volontà di voler adeguarsi subordinatamente alla concessione di un più ampio termine.

11. Sotto ancora altro profilo, la ricorrente adduce cha la Regione Puglia, con l'adozione della delibera di G.R. n. 3029/2010 avrebbe violato molteplici disposizioni del D.M. del 10 settembre 2010, ponendo a carico della società oneri sproporzionati e contrastanti con il principio di libertà dell’iniziativa economica.

11.1 Va in premessa ricordato - in ordine all’applicabilità della citata normativa al caso di specie (questione per vero compiutamente prospettata dalla ricorrente solo con l’ultima memoria del 3 novembre 2017) - quanto chiarito dal Consiglio di Stato con sentenza n. 5249 del 23 ottobre 2014, più volte richiamata dalla difesa regionale, che ha confermato la sentenza del TAR Lazio, sez. I-Ter, n. 2748 del 18 marzo 2013 che si era occupata proprio di verificare la legittimità, sotto plurimi profili, delle Linee guida della Regione Puglia. Detta pronuncia ha sul punto precisato come l'adozione di tale deliberazione sia stata finalizzata all'adeguamento della disciplina del procedimento unico di autorizzazione, già adottata con la deliberazione della Giunta Regionale n. 36/2007, al fine di conformare il procedimento regionale a quanto previsto dalle Linee Guida Nazionali di cui al D.M. del 10 settembre 2010, in applicazione dell'art.12, comma 10 del D.Lgs. n. 387/2003. Invero, le previsioni impugnate “assumono carattere sussidiario rispetto alla disciplina di fonte regionale, posto che l'applicazione di quella di fonte statuale risulta subordinata, per espresso dictum legislativo, al mancato adeguamento da parte delle Regioni allo ius novum entro il termine di novanta giorni dalla sua emanazione; e che l'unica disciplina passibile di trovare applicazione nell'ambito della Regione, nell'evenienza di pronta attivazione di quest'ultima, è - per l'appunto - quella regionale, con la conseguenza che esclusivamente a quest'ultima va riconosciuta efficacia ed operatività nel relativo ambito territoriale. (……) rispetto alla disciplina regionale, le linee guida nazionali si pongono come un mero parametro di riferimento, idoneo a trovare diretta applicazione esclusivamente in caso di inerzia delle Regioni”, precisando, quanto ai procedimenti in corso, che “La P.A. è infatti tenuta ad applicare la normativa in vigore al momento dell’adozione del provvedimento definitivo, ancorché sopravvenuta, e non già quella in vigore al momento dell’avvio del procedimento, salvo che espresse disposizioni normative stabiliscano diversamente (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2012 n. 4669)”.

11.2 Fatta tale premessa, è possibile passare allo scrutinio delle singole disposizioni delle Linee guida regionali oggetto di censura.

11.3 Si duole in primis la ricorrente delle previsioni di cui ai punti 2.1 e 2.2 della DGR 3029/2010, a mente dei quali, in particolare: “La domanda per la realizzazione e l'esercizio di nuovi impianti di produzione di energia elettrica a fonti rinnovabili o per interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, nonché per la realizzazione delle opere connesse, deve essere presentata mediante procedura informatica disponibile sul portale www.sistema.puglia.it” e che i documenti debbano essere “predisposti secondo le Istruzioni Tecniche per l'informatizzazione dell'Autorizzazione Unica, approvate con determina dirigenziale del Dirigente del Servizio Energia, Reti e Infrastrutture Materiali per lo Sviluppo”, posto che dette richieste comporterebbero, in tesi, la completa rielaborazione della documentazione già depositata a corredo della domanda e non già la sua mera integrazione.

11.3.a La censura è infondata.

11.3.b Invero, la ricorrente deduce, senza provare, che l’adempimento in questione avrebbe determinato un incremento spropositato delle spese connesse all’istanza di A.U., oltre a risultare irragionevole per la richiesta di “codici” e “informazioni” prima non previste ed incoerenti con l’autorizzazione da rilasciare.

In tal modo, tuttavia, la stessa finisce chiaramente per sovrapporre una propria personale ed opinabile valutazione di convenienza aziendale alle regole di innovazione procedimentale, specificamente introdotte dalla Regione Puglia al fine di consentire una più spedita e completa valutazione delle istanze autorizzatorie, grazie alla mappatura precisa di tutti gli impianti proposti e di quelli già autorizzati o in esercizio, in modo da renderne immediata la consultazione e più efficace il monitoraggio sia sotto il profilo dell’impatto ambientale che del consumo territoriale.

La prescrizione censurata appare, pertanto, legittimamente introdotta dalla Regione Puglia in conformità ai principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa.

11.3.c A tanto va inoltre soggiunto che detta richiesta, comunque, appare del tutto proporzionata e non eccessivamente onerosa a fronte dell’iniziativa economica intrapresa e anche tenuto conto che numerose altre società hanno provveduto nei tempi previsti senza opporre particolari difficoltà (cfr. in relazione ad analoga fattispecie, TAR Puglia, Bari, sez. I, n. 1355/2017).

11.3.d Sotto altro profilo, inoltre, non può accogliersi la tesi di parte ricorrente che lamenta la sussistenza di una sproporzione tra le carenze documentali rilevate e gli effetti negativi che la Regione ne ha fatto discendere, introducendo, in tal modo, un termine decadenziale non conforme a legge.

Infatti, se è incontestabile che in ipotesi di carenze documentali l’Amministrazione non possa procedere al rigetto dell’istanza (v. TAR Valle d’Aosta, sez. I, n. 34/2011; TAR Sicilia, Catania, sez. III, n. 3170/2011), dovendo garantire all’interessato la possibilità di integrazione per basilari esigenze di collaborazione, lealtà procedimentale e buona amministrazione, è invece legittimo il rigetto qualora, a seguito delle molteplici richieste di integrazione - formulate nell’ottica di un dovere di collaborazione istruttorio -, l’interessato ometta di fornirle, non mettendo l’autorità amministrativa in condizione di esaminare compiutamente la domanda (in tal senso TAR Puglia, Bari, sez. II, n. 1760/2011), essendo in tal caso il procedimento avviato dall’istanza destinato comunque ad una conclusione non favorevole.

12. Con ulteriore separata censura la ricorrente lamenta l’illegittimità della D.G.R. nella parte in cui prescrive la produzione da parte dell'istante (“nel caso di istanze relative ad impianti da insediarsi in zone agricole” come quella di specie) di una “dichiarazione del conduttore dei terreni agrari ricadenti sull'area interessata dall'impianto che: - la realizzazione dell'impianto non comporta l'espianto di impianti arborei oggetto di produzioni agricole di qualità; - sulle aree interessate dal progetto non gravano impegni derivanti dal loro inserimento in piani di sviluppo agricolo aziendale finanziate nell'ambito di Piani e Programmi di sviluppo agricolo e rurale cofinanziati con fondi europei (FEOGA, FEASR), non coerenti con la realizzazione dell'impianto".

Farpower contesta la legittimità di tale previsione, ritenendo che la stessa non possa essere imposta quale condizione minima da integrare ai fini della procedibilità dell'istanza, non essendo previsto alcun rimedio al fatto che chi è a diretta conoscenza dell'informazione non intenda rilasciarla.

Senonché le argomentazioni addotte dalla ricorrente non appaiono idonee a giustificare la mancata integrazione documentale, posto che, da un lato, la ricorrente società non ha comunque provveduto alla trasmissione delle dichiarazione dei conduttori dei terreni parzialmente acquisite; dall’altro, le stesse appaiono poggiare su una parziale e fuorviante lettura della disposizione in esame.

Invero la ricorrente oblitera che seppure la prospettata evenienza non risulta espressamente contemplata dalle linee guida regionali, tuttavia, nemmeno risulta esclusa la possibilità per l’interessato di fornire prova del rifiuto riscontrato e di porvi rimedio, in applicazione al principio generale per cui ad impossibilia nemo tenetur, con una dichiarazione resa ai sensi degli artt. 47, comma 2 D.P.R. 445/2000, potendo “la dichiarazione resa nell’interesse proprio del dichiarante …. riguardare anche stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui abbia diretta conoscenza”. (cfr. sul punto anche Cons. Stato, sez. V, 5249/2014).

13. Analoghe considerazioni possono essere svolte in merito alla dedotta illegittimità del punto 2.2, lett. g) DGR 3029/2010, nella parte in cui si prescrive la produzione da parte dell'istante, “nel caso in cui nell'area interessata dal progetto insistano aree e/o manufatti che siano stati oggetto di finanziamenti pubblici, comunitari, nazionali o regionali, di una mappa che evidenzi le suddette aree e/o manufatti, nonché gli elementi su cui persistano gli impegni connessi al suddetto finanziamento con allegata dichiarazione relativa ai finanziamenti ricevuti”, ritenendo la ricorrente che in tal modo si sarebbe realizzato un inutile aggravio istruttorio a carico del proponente, in contrasto anche con i principi desumibili dall'art. 12 D.lgs. 387/2003 e dall'art. 1, Legge 239/2004, mentre competerebbe direttamente all’Amministrazione procedente di richiedere ai Comuni interessati tali informazioni e di acquisirle al procedimento ex art. 18, co. 2 L.241/90.

La doglianza non può essere condivisa.

Invero, la prescrizione in esame non appare irragionevole, posto la stessa non richiede la mera acquisizione di atti, fatti, stati o qualità, bensì l’elaborazione di informazioni, il cui onere è ragionevolmente posto a carico dell’istante, al fine di accelerare l’istruttoria e consentire una completa valutazione dei costi/benefici dell’investimento da parte dell’Amministrazione procedente (cfr. sul punto anche Cons. Stato, sez. V, 5249/2014).

14. Con ulteriore motivo aggiunto la ricorrente deduce l’illegittimità dei punti 2.2, lett r) e lett. s), anche in combinato disposto con i punti 4.9, lett. c) e d), 4.10, e 3.3 e/o 7.3, DGR 3029/2010, per contrarietà al D.lgs. 387/2003, alla Legge 239/2004 e al D.lgs. 79/1999 nonché alla normativa comunitaria, nella parte in cui in tesi aggravano il procedimento autorizzatorio, imponendo il rilascio di impegni e/o di misure di garanzia non previste, peraltro in una fase così anticipata (istanza di autorizzazione); oltreché per eccesso di potere ed irragionevolezza.

14.a Senonché la previsione di cui alla lett. s) dell'impegno alla prestazione di fideiussione a prima richiesta rilasciata a garanzia della esecuzione degli interventi di dismissione e delle opere di messa in pristino dello stato dei luoghi a fine esercizio dell'impianto, appare del tutto coerente ai criteri fissati dalle Linee guida nazionali, al punto 13.1, lett. i), che prevedono che l'istante debba produrre l’“impegno alla corresponsione all'atto di avvio dei lavori di una cauzione a garanzia della esecuzione degli interventi di dismissione e delle opere di messa in pristino, da versare a favore dell'amministrazione procedente mediante fideiussione bancaria o assicurativa secondo l'importo stabilito in via generale dalle Regioni o dalle Province delegate in proporzione al valore delle opere di rimessa in pristino o delle misure di reinserimento o recupero ambientale”.

Si tratta di una richiesta posta a presidio della serietà della domanda e dell’impegno effettivo alla salvaguardia ambientale e al ripristino dello stato dei luoghi per il tempo in cui gli impianti avranno esaurito la propria capacità produttiva e dovranno essere dismessi, il cui onere deve naturalmente gravare sull’impresa, senza alcun pregiudizio per la collettività.

Appare chiaro, dunque, che la previsione che la contempla non può certo essere qualificata come meccanismo precostituito di “vera e propria remunerazione non conciata a esigenze effettive” (cfr. pag. 31 del secondo ricorso per motivi aggiunti), essendo ragionevolmente e coerentemente volta ad assicurare la serietà ed effettività dell’impegno assunto dal proponente, scongiurando il rischio che gli oneri di ripristino possano in ultimo gravare sulla collettività.

14.b La mancata produzione della garanzia in questione, dunque, unitamente alla mancata trasmissione della documentazione legittimamente richiesta di cui si è già detto innanzi, rende irrilevante nel caso in esame l’esame delle ulteriori censure dedotte al fine di contestare le più svariate prescrizioni documentali di cui al paragrafo 2.2 della D.G.R. più volte menzionata, compresa, in particolare, l’ulteriore richiesta dell’impegno alla prestazione di fideiussione a prima richiesta rilasciata a garanzia della realizzazione dell'impianto (dovendo pertanto ritenersi irrilevante nel giudizio in esame la prospettata questione di illegittimità costituzione).

15. Da quanto sin qui esposto, dunque, discende l’infondatezza dei ricorsi per motivi aggiunti che devono, quindi, essere rigettati, non potendo ritenersi illegittima la richiesta della Regione di adeguamento alle prescrizioni della D.G.R., in riferimento alla richiesta di integrazione e di trasferimento telematico dell’istanza, né il diniego adottato per mancanza della predetta.

15.a Restano assorbite le ulteriori questioni prospettate (concernenti l’ulteriore documentazione non prodotta), posto che, quando un provvedimento di diniego si regge su più ragioni, è sufficiente che sia accertata la fondatezza anche di una sola, di per sé in grado di giustificare il mancato accoglimento dell’istanza del privato, per inferirne il difetto di interesse rispetto all’esame delle ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall’autorità emanante a rigetto della sua istanza (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2543).

15.b Nel caso in esame, è risultato sufficiente il mancato trasferimento della domanda al portale telematico ai sensi del punto 2.1 delle Linee guida, unitamente alla mancata produzione delle innanzi precisate dichiarazioni previste dal punto 2.2, per ritenere legittimo l’operato dell’Amministrazione regionale culminato nel diniego di a.u..

16. La complessità e parziale novità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, sez. I, definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2017 con l'intervento dei magistrati:

Angelo Scafuri, Presidente

Desirèe Zonno, Consigliere

Maria Grazia D'Alterio, Referendario, Estensore

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Maria Grazia D'Alterio        Angelo Scafuri