Cass. Sez. III n.3649 del 27 gennaio 2014 (Cc. 3 dic. 2013)
Pres. Squassoni Est. Marini Ric. PM in proc. Attolini ed altri
Urbanistica. Piano di insediamento produttivo

L’insieme della disciplina del piano di insediamento produttivo consente di riconoscere lo stretto legame esistente fra detto insediamento e le finalità di sostegno all’economia locale che lo sostengono. E’ in questo contesto che deve essere valutata la previsione circa la individuazione all’interno del P.i.p. di aree destinate a finalità pubbliche, che in qualche modo compensano i proprietari e la popolazione interessata rispetto alla concentrazione di attività produttive in unica zona.

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente - del 03/12/2013
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere - SENTENZA
Dott. MARINI Luigi - rel. Consigliere - N. 2181
Dott. GENTILE Andrea - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SCARCELLA Alessio - Consigliere - N. 38098/2013
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi;
nel procedimento a carico di:
ATTOLINI Sergio, nato a Brindisi il 21/4/1939;
FRANCAVILLA Vincenzo, nato a San Vito dei Normanni il 6/9/1963;
CAVALLO Claudio, nato a Vimercate (MB) il 25/3/1976;
avverso l'ordinanza del 10/5/2013 del Tribunale di Brindisi che ha accolto l'istanza di riesame proposta dal Sindaco pro tempore del Comune di Ceglie Massapica contro il decreto di sequestro preventivo emesso in data 4/4/2013 dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale in sede con riguardo alle ipotesi di reato previste dagli artt. 81 e 100 c.p., e D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. a) e b), ed avente a oggetto un'area di terreno ubicata nella zona industriale del predetto Comune;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. POLICASTRO Aldo, che ha concluso chiedendo annullarsi l'ordinanza con rinvio;
udito per il Comune di Ceglie Massapica l'avv. Giancarlo Camassa, che ha depositato note di udienza e ha concluso chiedendo respingersi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto di sequestro preventivo emesso in data 4/4/2013 il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Brindisi ha ritenuto sussistere il "fumus" delle ipotesi di reato previste dagli artt. 81 e 110 c.p., e D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. a) e b), ed ha disposto il vincolo su un'area di terreno ubicata nella zona industriale del predetto Comune destinata ad attività di gestione dei rifiuti con ciclo integrato e sulla quale sono stati realizzati interventi edilizi incompatibili con la destinazione dell'area quale risulta dagli strumenti urbanistici. In particolare, l'area risulta destinata a "verde pubblico" e/o "parcheggi", così che il permesso di costruire rilasciato il 21/12/2010 e la successiva variante rilasciata il 15/6/2011 e il certificato di agibilità del 13/7/2011 debbono ritenersi illegittimi.
3. Avverso il decreto di sequestro è stata proposta istanza di riesame da parte del Sindaco pro tempore con argomenti che il Tribunale di Brindisi ha ritenuto fondati, tanto da disporre l'annullamento del decreto impugnato e la restituzione dell'area in sequestro.
Osserva il Tribunale che la realizzazione di un centro destinato alla gestione integrata dei rifiuti rientra le "attività collettive" che, unitamente alle destinazioni a "verde pubblico" e "parcheggio" il D.M. n.1444 del 1968 individua come componente essenziale degli standard urbanistici fissati per le zone "P.I.P.", come quella in esame. Tre sono gli ordini di ragioni per cui l'art. 5 del citato D.M. non risulta violato dalla realizzazione di una piazzola ecologica (Centro Raccolta materiali): a) la possibilità per l'amministrazione di gestire in modo elastico la divisione del territorio in funzione delle esigenze della collettività; b) la natura pubblica del servizio di gestione rifiuti, ancorché affidato a concessionaria privata, avendo riguardo al fatto che è l'intera collettività ad usufruirne; c) che gli standard minimi fissati dal citato D.M. del 1968 risultano rispettati anche scorporando la superficie dell'area interessata.
A ciò deve aggiungersi che con deliberazione del 29/11/2011 il Consiglio comunale ha approvato e ratificato le scelte della Giunta. Infine, la L. n. 1 del 1978, art. 1, e la L.R. n. 13 del 2001, art. 16, hanno fissato il principio della fungibilità delle opere pubbliche e la non necessità di intervenire con varianti al P.R.G. quando nell'area destinata a servizi pubblici siano realizzati interventi inizialmente non previsti qualificabili come opere pubbliche.
Conclude il Tribunale che, in ogni caso, l'eventuale violazione dello strumento urbanistico non si caratterizza per "dolosa preordinazione" da parte dei soggetti che vi hanno dato corso.
4. Avverso tale provvedimento propone ricorso il Pubblico ministero presso il Tribunale di Brindisi.
4.1 - Premesso che la pubblica accusa ha ravvisato nelle condotte degli indagati l'ipotesi di "lottizzazione abusiva" D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ex art. 44, lett. b) e c), il ricorrente afferma che la predisposizione di un'area di stoccaggio dei rifiuti va qualificata come "servizio tecnologico a carattere territoriale" e non come attività di "pubblico interesse" ex art. 5 del citato D.M., in quanto posta a servizio dell'area produttiva su cui insiste e non dell'intera collettività comunale; osserva, ancora, che la stessa Giunta comunale con la delibera n. 250 del 2010 che individuava l'area interessata come possibile sede del centro di raccolta avesse fatta salva la necessità di approfondire i profili urbanistici e di provvedere anche mediante lo strumento della variante. Fatte queste premesse, il ricorrente in sintesi lamenta:
4.2 - Errata applicazione di legge ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), essendo pacifico che il permesso di costruire rilasciato in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti non può legittimare la realizzazione di opere; inoltre: 1) trattandosi di stoccaggio di materiali da destinare a discarica, non si è in presenza di rifiuti, ma di materiali qualificabili come sottoprodotto o materia prima secondaria; 2) si è in presenza di "opere di interesse pubblico" e non di "opere pubbliche"; 3) non può parlarsi di opera di urbanizzazione secondaria, posto che il centro di raccolta ha come destinatario l'intero territorio intercomunale servito dal consorzio, così che va escluso che l'area in questione sia a servizio della sola zona produttiva; 4) il Tribunale non ha considerato le modifiche apportate alla L. 3 gennaio 1978, n. 1, art. 1, comma 4, dalla L. n. 415 del 1998, che ha sostituito detta disposizione; 5) nessuna forza sanante può essere attribuita alla successiva deliberazione comunale.
Con note di udienza depositate in data odierna l'avv. Camassa per il Comune di Ceglie Massapica ha ricordato che si è in presenza di "attività collettive" ex D.M. n. 1444 del 1968, e di "opere pubbliche" e che la dimostrata conformità agli standard ex art. 5, del citato D.M. conduce a un quadro complessivo che impone il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La Corte considera opportuno procedere all'esame del provvedimento impugnato muovendo da tre premesse.
1.A - La prima concerne la non condivisione del passaggio motivazionale contenuto nell'ultimo capoverso dell'ordinanza impugnata, in cui il Tribunale richiama come argomento di chiusura l'assenza de "l'elemento soggettivo della dolosa preordinazione della condotta alla violazione del programmato assetto urbanistico del territorio". Come noto, infatti, il reato contestato ha natura contravvenzionale ed è punito anche a titolo di sola colpa, così che l'assenza di intenzionalità dolosa non costituisce elemento che possa da solo escludere il "fumus" di reato.
1.B - La seconda concerne la asserita rilevanza della deliberazione assunta dal consiglio comunale in data 29/11/2011, e dunque in momento successivo all'adozione dei provvedimenti oggetto della contestazione cautelare. Costituisce principio generale dell'ordinamento che i provvedimenti autorizzatori e quelli adottati dal soggetto competente debbono precedere i provvedimenti attuativi o esecutivi assunti da diverso organo amministrativo; questi ultimi, trovando legittimazione in fonte di rango superiore, non possono essere adottati in assenza dei primi o ponendosi in contrasto con essi. Con la conseguenza che, qualora si ritenga che solo una deliberazione consiliare potesse derogare, integrare o modificare le previsioni del P.i.p., non vi è dubbio che tale deliberazione debba precedere l'adozione dei provvedimenti assessoriali o di giunta che operano in tal senso.
1.C - La terza concerne l'errore in cui è incorso il ricorrente nel momento in cui sostiene che i materiali depositati nell'area interessata non costituirebbero rifiuto ma sottoprodotto o materie prime secondarie. Tali qualificazioni, peraltro indicate alternativamente dal ricorrente benché tra loro diverse, si pongono in contrasto con le previsioni dell'art. 183, comma 1, lett. a), e lett. qq), e con quelle del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 184, comma 2, e art. 184 bis. Peraltro, apparendo tale passaggio motivazionale d privo di carattere centrale nel ragionamento del ricorrente, non appaiono necessarie ulteriori specificazioni. 2. Venendo così all'esame dei restanti profili del ricorso, la Corte deve rilevare la specifica natura dei piani di insediamento produttivo disciplinati dalla L. n. 865 del 1971, in particolare al D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 27, in particolare agli artt. 25 e 26. Si è in presenza di strumento urbanistico di attuazione, che presuppone l'adozione dello strumento urbanistico generale, e che può sia riguardare il singolo comune sia assumere dimensione intercomunale, ipotesi nella quale occorre procedere mediante conferenza dei servizi (si veda la L. n. 241 del 1990, art. 14, e successive modifiche). Il collegamento con lo strumento urbanistico comunale e la necessità di ricorrere alle procedure di variante in caso di modificazione del piano di insediamento approvato sono elementi esplicitati dalla Corte costituzionale con la sentenza n.206 del 26/6/2001, dove si afferma che in caso di dissenso espresso dall'ente regionale in sede di conferenza dei servizi il consiglio comunale non può provvedere ad apportare una variante al piano senza ulteriore confronto con la Regione.
3. L'insieme della disciplina del piano di insediamento produttivo consente di riconoscere lo stretto legame esistente fra detto insediamento e le finalità di sostegno all'economia locale che lo sostengono (Cons. Stato, Sez. 4^, n. 3034 del 6/6/2001). 4. È in questo contesto che deve essere valutata la previsione circa la individuazione all'interno del P.i.p. di aree destinate a finalità pubbliche, che in qualche modo compensano i proprietari e la popolazione interessata rispetto alla concentrazione di attività produttive in unica zona. Non appare, dunque, casuale che il piano in esame prevedesse l'esistenza di un'area destinata alla fruizione dei cittadini interessati dal piano stesso (e non di tutti i cittadini del comune e del comprensorio), e cioè di un'area destinata a parcheggio e a verde pubblico.
5. Se questi sono i presupposti normativi e i principi interpretativi generali, deve trovare conferma l'ipotesi che solo il consiglio comunale possa apportare modifiche al piano. Come ricordato dal Consiglio di Stato (Sez. 4^, n.6631 del 27/10/2003) spetta infatti al consigli individuare specificamente le aree interessate dal P.i.p. in quanto non si tratta di scelta meramente attuativa di scelte generali già effettuate, ma di scelta che implica una vera e propria volizione che deve coordinarsi con la pianificazione urbanistica ma che non si esaurisce in essa.
6. Discende da quanto detto finora che la deliberazione del consiglio comunale del 16/2/2009, di variante rispetto al piano particolareggiato che fu approvato dalla giunta regionale, deve essere considerata la fonte legittimante le caratteristiche del P.i.p. e che, in assenza di una modificazione di tale assetto effettuate mediante le procedure necessarie, non possono considerasi validamente emessi il permesso di costruire rilasciato il 21/12/2010 e gli atti amministrati successivi e conseguenti.
7. Così ritenuto esistente il "fumus" di reato, la Corte non può non rilevare che l'emanazione della deliberazione del consiglio comunale del 29/11/2011 ha approvato le scelte operate dall'amministrazione. Occorre così procedere a verificare se detto provvedimento, che parrebbe non incidere in modo definitivo sugli standard del P.i.p., risulti rispettoso delle procedure che prevedono l'interlocuzione con le altre amministrazioni interessate e, ove necessario, con l'ente regionale. Si tratta di valutazione che assume obiettiva rilevanza rispetto all'attualità delle esigenze cautelari, non esaminate sotto questo profilo dal Tribunale, e che non può essere operata da questa Corte.
7. L'ordinanza va pertanto annuito con rinvio ai sensi dell'art. 623 c.p.p., affinché il Tribunale, tenendo conto dei principi affermati con la presente decisione, provveda a nuovo esame.

P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Brindisi. Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2014