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Sez. 3, Sentenza n. 4861 del 09/12/2004 Cc. (dep. 10/02/2005 ) Rv. 230914
Presidente: Zumbo A. Estensore: Fiale A. Relatore: Fiale A. Imputato: Garufi. P.M. Salzano F. (Conf.)
(Rigetta, Trib. Lib. Catania, 24 Febbraio 2004)
EDILIZIA - IN GENERE - Costruzioni edilizie nella Regione Sicilia - Opere realizzabili con semplice autorizzazione - Interpretazione delle disposizioni regionali in modo da non collidere con la legislazione nazionale - Necessità - Collocazione di un manufatto prefabbricato di tipo industriale - Esclusione - Ragioni.

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Massima (Fonte CED Cassazione)
In materia urbanistica, la disposizione di cui all'art. 5 della Legge Regione Sicilia 10 agosto 1985 n. 35, come modificata dalla Legge Regione Sicilia 15 maggio 1986 n. 26, per la quale è assentibile con semplice autorizzazione la posa di prefabbricati ad una sola elevazione non adibiti ad uso abitativo, deve essere interpretata in modo da non collidere con i principi fissati a livello nazionale e può pertanto applicarsi esclusivamente in relazione alla edificazione di manufatti precari, o aventi natura pertinenziale o di modeste dimensioni (In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha ritenuto che la costruzione prefabbricata di un capannone industriale di 600 mq fosse di rilevante consistenza e presentasse caratteristiche, di struttura e di localizzazione, incompatibili con esigenze temporanee e precarie).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. ZUMBO Antonio - Presidente - del 09/12/2004
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - N. 1537
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 34385/2004
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GARUFI Rosario, n. a Catania il 15.11.1979;
avverso l'ordinanza 24.2.2004 del Tribunale per il riesame di Catania;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Aldo FIALE;
udito il Pubblico Ministero nella persona del Dott. SALZANO Francesco che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Con ordinanza del 24.2.2004 il Tribunale di Catania rigettava l'istanza di riesame proposta nell'interesse di Garufi Rosario avverso il provvedimento 5.2.2004 con cui il G.I.P. di quello stesso Tribunale - in relazione all'ipotizzato reato di cui all'art. 44, lett. b), del T.U. n, 380/2001 - aveva:
a) convalidato il sequestro preventivo, disposto dal P.M., in data 27.1.2004, di un cantiere per la costruzione di un capannone di tipo industriale (dal quale il Garufi risultava essere committente, quale legale rappresentante della s.r.l. "Garufi Costruzioni") con struttura in carpenteria metallica prefabbricata, infissa al suolo a mezzo di calcestruzzi interrati, su una superficie di circa mq. 600, ubicato in S. Giovanni La Punta;
b) disposto autonomamente la medesima misura cautelare. La costruzione era stata eseguita in forza di autorizzazione temporanea, rilasciata dal Comune in data 30.12.2003, ai sensi dell'art. 5 della legge 10.8.1985, n. 37 della Regione Sicilia. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il Garufi, il quale ha eccepito: - la carenza delle condizioni legittimanti l'imposizione del vincolo di cautela reale, avendo egli iniziato ed eseguito - in perfetta buona fede - opere per le quali era stata rilasciata l'anzidetta autorizzazione edilizia temporanea n. 73/2003, mentre la presunta insufficienza di tale atto abilitativi in ogni caso, non potrebbe riverberare effetti a suo danno, in una situazione di mancato esercizio dei poteri di autotutela da parte del Comune. Il ricorso deve essere rigettato, poiché infondato. 1. La realizzazione dell'impianto edilizio in questione postula, infatti, la necessità non già del rilasciato titolo autorizzatone, bensì del permesso di costruire.
L'art. 5 della legge n. 37/1985 della Regione Siciliana come modificato dall'art. 5 della legge regionale 15.5.1986, n. 26 riconduce (tra l'altro) al regime dell'autorizzazione "l'impianto di prefabbricati ad una sola elevazione non adibiti ad uso abitativo" e detta formula descrittiva - tenuto anche conto del contesto letterale in cui è collocata - deve essere interpretata con riferimento a prefabbricati di modeste dimensioni, facilmente rimovibili e tali da non alterare stabilmente Passetto del territorio.
Tale orientamento si conforma a quello dei giudici amministrativi, secondo i quali deve altresì trattarsi di prefabbricati assemblati negli stabilimenti delle imprese produttrici prima dell'installazione sul suolo (vedi: Cons. giust. amm. Sic., sez. giurisdiz., 23.10.1998, n. 633, L.D.G. c. Comune Vallelunga; T.a.r Sicilia, Sez. 2^, Catania, 26.9.1991, n. 697, Arecchi c. Comune Pace del Mela).
La Corte Costituzionale - con ordinanza n, 187 del 18.6.1997 - ha evidenziato che la disposizione in esame, "cosi come interpretata dalla giurisprudenza amministrativa e applicata nella prassi, sottopone al regime autorizzatorio soltanto le costruzioni prefabbricate di modeste dimensioni, tali da non alterare stabilmente l'assetto del territorio ne' determinare un nuovo carico urbanistico".
Nella fattispecie in esame, al contraria, la costruzione è di rilevante consistenza (superficie di 600 mq.), le caratteristiche di struttura e localizzazione non si conformano ed esigenze temporanee e precarie ed il capannone appare destinato a soddisfare interessi industriali tendenzialmente perduranti nel tempo ed indissolubilmente connessi all'attività di impresa.
2. Non si verte, nella specie, in tema di disapplicazione di atti amministrativi.
Deve farsi opportuno riferimento, in proposito, alla decisione 21.12.1993 delle Sezioni Unite, ric. Borgia, da cui si evince il principio secondo il quale il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione edificatoria.
Il giudice penale, nei casi in cui nella fattispecie di reato sia previsto un atto amministrativo ovvero l'autorizzazione del comportamento del privato da parte di un organo pubblico, non deve limitarsi a verificare l'esistenza ontologica dell'atto o provvedimento amministrativo, ma deve verificare l'integrazione o meno della fattispecie penale "in vista dell'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela" (nella specie, l'interesse sostanziale alla tutela del territorio, nella quale gli elementi di natura extra-penale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo.
È la stessa descrizione normativa del reato che impone al giudice un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa, ivi compreso l'atto amministrativo (per un'ampia disamina della questione si rinvia a Cass., Sez. 3^, 21.1.1997, Volpe ed altri).
Deve riaffermarsi, pertanto, il principio secondo il quale il giudice penale non esercita alcun sindacato sull'attività della pubblica Amministrazione allorquando verifica - con accertamento doveroso - la necessità del permesso di costruire (già concessione edilizia) per la realizzazione dell'intervento sottoposto al suo esame e perviene ad affermare l'insufficienza di diversa procedura autorizzatoria o di controllo pur ritenuta applicabile in sede amministrativa (vedi Cass., Sez. 3^, 15.6.199&, Manfredini).
3. Per quanto attiene, invece, all'elemento psicologico, si pone il problema di non sottoporre a sanzione penale colui che "effettivamente" e senza sua colpa si sia fidato dell'atto amministrativo illegittimo. Tale questione, però, non può essere risolta in sede cautelare, in una fattispecie (come quella in esame) ove, allo stato, non emerge "ictu oculi" un affidamento incolpevole. 4. Alla stregua della giurisprudenza di questa Corte Suprema, con le specificazioni indicate dalle Sezioni Unite con la sentenza 29.1.1997, ric. PM, in proc. Bassi, nei procedimenti incidentati aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro, non è ipotizzale una "piena cognitio" del Tribunale, al quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere della legittimità dell'esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed a verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obiettivi endoprocessuali che sono propri della stessa, con l'assenza di ogni potere conoscitivo circa il fondamento dell'accusa, potere questo riservato al giudice del procedimento principale. Tale interpretazione limitativa della cognizione incidentale risponde all'esigenza di far fronte al pericolo di utilizzare surrettiziamente la relativa procedura per un preventivo accertamento sul "meritum causae" così da determinare una non consentita preventiva verifica della fondatezza dell'accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la rigida attribuzione di competenze nell'ambito di un medesimo procedimento.
L'accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati cosi come esposti, al fine di verificare se essi consentono - in una prospettiva di ragionevole probabilità - di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica.
Il Tribunale del riesame, dunque, non deve instaurare un processo nel processo ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro.
Il Tribunale di Catania risulta essersi correttamente attenuto a tali principi, dal momento che quel giudice - con adeguata valutazione delle prospettazioni difensive - ha evidenziato la necessità del titolo abilitativo concessorio, netta specie mancante. L'ulteriore approfondimento e la compiuta verifica spettano ovviamente ai giudici del merito ma, allo stato, a fronte dei prospettati elementi, della cui sufficienza in sede cautelare non può dubitarsi, le contrarie affermazioni del ricorrente non valgono certo ad escludere la configurabilità del "fumus" del reato ipotizzato.
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, visti gli arti 127 e 325 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 dicembre 2004. Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2005