Cass. Sez. III n. 46598 del 11 ottobre 2017 (Ud 20 apr 2017)
Presidente: Fiale Estensore: Liberati Imputato: Maniglia
Urbanistica.Basamento in cemento

Anche un basamento in cemento costituisce "costruzione" in senso tecnico - giuridico, trattandosi di un manufatto tridimensionale che comporta una ben definita occupazione del terreno e dello spazio aereo, richiedente per la sua realizzazione il permesso di costruire e l'autorizzazione paesaggistica, essendo idoneo a determinare una compromissione dell'assetto del territorio e del paesaggio, la cui permanenza non può, dunque, essere considerata irrilevante, con la conseguente corretta esclusione della integralità della demolizione dell'opera


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12 febbraio 2016 la Corte d'appello di Lecce ha parzialmente riformato la sentenza del 17 aprile 2014 del Tribunale di Brindisi, con cui Biagio Maniglia era stato condannato alla pena di venti giorni di arresto ed euro 25.000,00 di ammenda, in relazione ai reati di cui agli artt. 44, lett. b), d.P.R. 380/2001 e 181 d.lgs. 42/2004 (per avere realizzato, in zona sottoposta a vincolo dal Piano Urbanistico Territoriale e in assenza di permesso di costruire, un manufatto in blocchi di cemento e calcestruzzo delle dimensioni di m. 7,40 per 5,70 e altezza di m. 2,40 circa, con basamento in cemento e privo di solaio), riconoscendo all'imputato i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna e confermando nel resto la sentenza impugnata.
La Corte territoriale, nel disattendere le altre doglianze dell'imputato, ha escluso che il manufatto abusivo dallo stesso realizzato possa essere considerato una pertinenza, trattandosi di un nuovo volume, idoneo a soddisfare esigenze non meramente contingenti del proprietario committente, neppure facilmente amovibile; è stato, inoltre, escluso l'effetto estintivo del reato paesaggistico contemplato dall'art. 181, comma 1 quinquies, in quanto la demolizione del fabbricato abusivo non era stata integrale, avendo interessato solamente le pareti perimetrali del manufatto e non anche il basamento in cemento dello stesso; è stata disattesa la prospettazione della assenza di offensività della condotta, fondata sulla modesta entità dell'opera, sottolineando la natura di pericolo dei reati ascritti all'imputato, e anche quella relativa alla mancanza di consapevolezza da parte sua, mero proprietario dell'area, della realizzazione dell'opera, in considerazione del suo interesse alla realizzazione della stessa; sono stati, infine, esclusi motivi per riconoscere all'imputato le circostanze attenuanti generiche, sottolineando la parzialità della demolizione e l'assenza di elementi di positiva considerazione al riguardo.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, affidato a sei motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari ai fini della motivazione.

2.1. Con un primo motivo ha denunciato violazione degli artt. 44, lett. b), d.P.R. 380/2001 e 181 d.lgs. 42/2004 e vizio di motivazione, per l'insufficiente accertamento dell'interesse dell'imputato alla realizzazione dell'opera abusiva, compiuto dai giudici di merito in modo apodittico, senza considerare il fatto che l'imputato, non appena avuta notizia della realizzazione di tale opera, l'aveva fatta eliminare.
Ha, inoltre, nella medesima prospettiva critica, censurato l'affermazione della Corte d'appello in ordine alla considerevole dimensione dell'opera, che la stessa Corte territoriale aveva, contraddittoriamente, definito "complessivamente modesta", e ha sottolineato di risiedere a Milano e di essere stato, pertanto, all'oscuro sia della realizzazione dell'opera, sia dell'esistenza di un vincolo paesaggistico gravante sull'area nella quale era compreso il fondo di sua proprietà.

2.2. Con un secondo motivo ha lamentato violazione degli artt. 6, comma 2, lett. c), d.P.R. 380/2001 e 181, comma 1 quinquies, d.lgs. 42/2004 e mancanza e insufficienza della motivazione, non essendo stato adeguatamente considerato dalla Corte territoriale che le opere di pavimentazione di spazi esterni rientrano nella attività edilizia libera, prevista dall'art. 6, comma 2, lett. c), d.P.R. 380/2001, per la cui realizzazione non occorrono né la DIA né il permesso di costruire, con la conseguente erronea esclusione della estinzione del reato paesaggistico in conseguenza della demolizione delle pareti perimetrali del manufatto, cui era residuato il solo basamento, non richiedente, di per sé, il preventivo rilascio del permesso di costruire.
Ha, inoltre, ribadito l'assenza di pregiudizio per il paesaggio per effetto della realizzazione e del mantenimento di tale basamento, avente altezza di pochi centimetri.

2.3. Con il terzo motivo ha prospettato violazione dell'art. 3, comma 1, lett. e), d.P.R. 380/2001 e vizio della motivazione, per la qualificazione del manufatto realizzato come nuova costruzione, trattandosi di un muro e di un basamento, quest'ultimo già utilizzato, aventi funzione pertinenziale, in quanto preordinati a una oggettiva esigenza dell'edificio principale, cioè una villa edificata legittimamente, privi di autonomo valore di mercato e della possibilità di utilizzo diverso, con la conseguenza che la realizzazione dello stesso non richiedeva il previo rilascio del permesso di costruire e neppure era da ritenersi assoggettato alla presentazione di DIA.

2.4. Con il quarto motivo ha denunciato violazione dell'art. 44 d.P.R. 380/2001, ribadendo, anche sotto tale profilo, che le opere realizzate non richiedevano né il permesso di costruire né la DIA a questo alternativa, anche in considerazione della loro natura pertinenziale.

2.5. Con un quinto motivo ha lamentato violazione degli artt. 62 bis e 133 cod. pen. e ulteriore vizio della motivazione, per il diniego delle circostanze attenuanti generiche nonostante la demolizione del fabbricato e l'assenza di precedenti, e in relazione alla conferma della misura della pena, nonostante la modesta entità dell'opera, sottolineata sul punto dalla stessa Corte d'appello.

2.6. Con il sesto motivo ha denunciato violazione degli artt. 157 cod. pen. e 531 cod. proc. pen. e ulteriore vizio della motivazione, per l'insufficiente accertamento della effettiva data di commissione del reato, collocato cronologicamente dai giudici di merito al momento del suo accertamento, essendo invece emerso che alla data del sopralluogo non vi erano lavori in corso e che il basamento era già utilizzato con apposizione di rami, sicché la Corte d'appello avrebbe dovuto ritenere commesso anteriormente il reato e dichiararne di conseguenza l'estinzione per prescrizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, peraltro riproduttivo dei motivi d'appello e privo di autentico confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, è manifestamente infondato.

2. Il primo motivo, mediante il quale il ricorrente ha prospettato violazione di legge penale e vizio della motivazione, riguardo alla affermazione della sua partecipazione alla realizzazione dell'opera abusiva, cui sarebbe estraneo e di cui non sarebbe stato a conoscenza, è inammissibile a causa della sua genericità.
Esso, infatti, risulta intrinsecamente indeterminato e privo della necessaria specificità estrinseca, intesa come l'esplicita enunciazione e argomentazione dei rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568; Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109), in quanto consiste nella generica riaffermazione della assenza di interesse dell'imputato alla realizzazione dell'opera e della sua mancanza di consapevolezza di tale evento, dovuto al fatto di essere residente a Milano mentre l'opera è stata realizzata in un fondo di sua proprietà sito in territorio del Comune di Cisternino, disgiunta dalla considerazione di quanto in proposito evidenziato dalla Corte d'appello, che ha richiamato il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte al riguardo (secondo cui la responsabilità del proprietario o comproprietario, non formalmente committente delle opere abusive, può dedursi da indizi quali la piena disponibilità della superficie edificata e l'interesse alla trasformazione del territorio), e ha sottolineato che l'opera, in considerazione delle sue dimensioni, non poteva essere stata realizzata all'insaputa del proprietario: a fronte di tali argomenti, idonei a sorreggere in modo coerente l'affermazione della sussistenza dell'interesse dell'imputato alla realizzazione dell'opera e anche della sua consapevolezza della edificazione del manufatto abusivo, il ricorrente si è limitato a ribadire la propria assenza di interesse e l'ignoranza dell'abuso, omettendo un autentico confronto critico con tale punto della motivazione del provvedimento impugnato, con la conseguente inammissibilità della censura per difetto di specificità.

3. Il secondo motivo, mediante il quale è stata prospettata l'erroneità della affermazione della configurabilità del reato paesaggistico nonostante la demolizione del manufatto, stante l'irrilevanza del basamento in cemento che ne era residuato, in quanto non richiedente per la sua realizzazione il permesso di costruire e non comportante alcuna compromissione per il paesaggio, è manifestamente infondato.
La Corte d'appello ha, infatti, del tutto correttamente, affermato la configurabilità del reato paesaggistico a causa della realizzazione del manufatto descritto nella imputazione, avente certamente le caratteristiche di una nuova costruzione, trattandosi della realizzazione di un fabbricato in blocchi di cemento e calcestruzzo delle dimensioni di m. 7,40 per 5,70 e altezza di m. 2,40 circa, 4 L L con basamento in cemento e privo di solaio, come tale richiedente sia il permesso di costruire, ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. a), d.P.R. 380/2001, sia l'autorizzazione paesaggistica, in considerazione della sua idoneità a compromettere il paesaggio e l'assetto del territorio.
E' stata, infatti, a tale riguardo considerata la realizzazione del manufatto nel suo complesso, indipendentemente dalla sua successiva parziale demolizione, che risulta priva di incidenza riguardo alla originaria configurabilità del reato, integrato dalla costruzione del manufatto abusivo. La suddetta demolizione è, poi, inidonea, a causa della sua parzialità, a determinare l'effettivo estintivo previsto dall'art. 181, comma 1 quinquies, d.lgs. 42/2004, invocato dal ricorrente, che richiede l'integrale rimessione in pristino dello stato dei luoghi, allo scopo di eliminare completamente il vulnus al paesaggio e all'ambiente provocato dalla realizzazione dell'opera, mediante l'eliminazione e la rimozione di tutte le opere realizzate, nella specie non verificatasi, essendo residuata una parte non irrilevante del manufatto originario; anche un basamento in cemento, infatti, delle dimensioni di quello realizzato dall'imputato, costituisce "costruzione" in senso tecnico - giuridico, trattandosi di un manufatto tridimensionale che comporta una ben definita occupazione del terreno e dello spazio aereo, richiedente per la sua realizzazione (come, del resto, per le opere di estesa pavimentazione, cfr., al riguardo, Sez. 3, n. 37139 del 10/04/2013, Di Benedetto, Rv. 257679, e successive conformi) il permesso di costruire e l'autorizzazione paesaggistica, essendo idoneo a determinare una compromissione dell'assetto del territorio e del paesaggio, la cui permanenza non può, dunque, essere considerata irrilevante, con la conseguente corretta esclusione della integralità della demolizione dell'opera.
Ne consegue, in definitiva, la manifesta infondatezza della doglianza.

4. Considerazioni in parte analoghe possono essere formulate a proposito del terzo e del quarto motivo, mediante i quali è stata prospettata la natura pertinenziale del manufatto, come tale non richiedente il permesso di costruire, né la DIA a questo alternativa. Affinché un manufatto presenti il carattere di pertinenza, tale da non richiedere per la sua realizzazione il permesso di costruire, è necessario che esso sia preordinato a un'oggettiva esigenza funzionale dell'edificio principale, sia sfornito di un autonomo valore di mercato, sia di volume non superiore al 20% di quello dell'edificio cui accede, di guisa da non consentire, rispetto a quest'ultimo e alle sue caratteristiche, una destinazione autonoma e diversa (così, da ultimo, Sez. 3, n. 52835 del 14/07/2016, Fahrni, Rv. 268552; conf. Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno, Rv. 253064; Sez. 3, n. 6593 del 24/11/2011, Chiri, Rv. 252442; Sez. 3, n. 39067 del 21/05/2009, Vitti, Rv. 244903; Sez. 3, n. 37257 del 11/06/2008, Alexander, Rv. 241278).
Ora, nel caso di specie, la Corte d'appello ha escluso la qualificabilità come pertinenza del manufatto realizzato nel fondo di proprietà dell'imputato, in considerazione delle sue dimensioni, tali da determinare una modifica permanente dell'assetto del territorio, e della sua idoneità a soddisfare esigenze non meramente contingenti del proprietario: si tratta di motivazione idonea a dare conto delle ragioni di fatto per le quali, coerentemente al ricordato orientamento interpretativo, menzionato anche nella motivazione della stessa sentenza impugnata, la Corte territoriale ha escluso la riconducibilità del manufatto in questione alla nozione di pertinenza e ha affermato la necessità del permesso di costruire per realizzarlo, con le quali il ricorrente ha omesso un autentico confronto critico e di cui, soprattutto, propone una rivisitazione degli elementi di fatto considerati (prospettando la mancanza di autonomia funzionale ed economica del fabbricato e il suo asservimento ad altro edificio principale e la non necessarietà del permesso di costruire o della DIA), non consentito nel giudizio di legittimità, con la conseguente manifesta infondatezza anche di tali doglianze.

5. Il quinto motivo, relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla misura della pena, è manifestamente infondato. La doglianza relativa al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è manifestamente infondata, in quanto la Corte territoriale, con la sottolineatura della mancanza di effettiva resipiscenza (desunta dalla demolizione solo parziale del manufatto) e della mancanza di elementi di positiva considerazione al riguardo, ha dato conto degli elementi, tra quelli di cui all'art. 133 cod. pen., ritenuti di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell'imputato. La ratio della disposizione di cui all'art. 62 bis cod. pen. non impone, infatti, al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base alla gravità del fatto o ai precedenti penali dell'imputato o alla sua personalità negativa, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di particolare gravità della condotta e di disvalore sulla personalità dell'imputato (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201; Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Dell'Anna, Rv. 227142).
L'obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una valutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purchè congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato. Essa, inoltre, può, come nel caso di specie, essere contenuta, implicitamente, nella valutazione negativa della personalità dell'imputato, essendo compresa in tale giudizio l'indicazione delle ragioni ritenute preponderanti per escludere la riconoscibilità di dette attenuanti.
Attraverso la doglianza relativa alla misura della pena il ricorrente censura una valutazione di merito compiuta dalla Corte territoriale, che, nel sottolineare la negativa personalità dell'imputato, ha dato conto in maniera sufficiente degli elementi ritenuti preponderanti tra quelli di cui all'art. 133 cod. pen. per addivenire alla determinazione della pena. Tale valutazione non è sindacabile sul piano del merito nel giudizio di legittimità, ed è stata adeguatamente motivata, in quanto la determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicché l'obbligo della motivazione da parte del giudice dell'impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d'appello, quando egli, accertata l'irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva, giacché ciò dimostra che egli ha considerato, sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell'art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d'appello (Sez. 6, n. 10273 del 20.5.1989 Rv 181825).

6. Il sesto motivo, relativo alla inesatta individuazione dell'epoca di consumazione del reato, che avrebbe dovuto essere dichiarato estinto per prescrizione da parte della Corte d'appello in quanto perfezionatosi anteriormente al suo accertamento, è manifestamente infondato, perché al momento del sopralluogo l'opera non era stata completata, essendo ancora priva del solaio di copertura, e quindi correttamente ne è stata collocata cronologicamente la consumazione al momento di tale accertamento. Il reato urbanistico ha, infatti, natura di reato permanente, la cui consumazione ha inizio con l'avvio dei lavori di costruzione e perdura fino alla cessazione dell'attività edificatoria abusiva (Sez. U, n. 17178 del 27/02/2002, Cavallaro, Rv. 221399; Sez. 3, n. 38136 del 25/09/2001, Triassi, Rv. 220351; 7 1,; Sez. 3, n. 8563 del 14/01/2003, Gargiulo, Rv. 224980; Sez. 3, n. 43147 del 08/10/2003, Genova, Rv. 226498; Sez. 3, n. 49990 del 04/11/2015, Quartieri, Rv. 265626; Sez. 3, n. 14501 del 07/12/2016, P.M. in proc. Rocchio, Rv. 269325).
La cessazione dell'attività si ha con l'ultimazione dei lavori per completamento dell'opera, con la sospensione dei lavori volontaria o imposta, con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l'accertamento del reato e sino alla data del giudizio (Sez. 3, n. 38136, 24/10/2001; Sez. 3, n. 29974 del 06/05/2014, Sullo, Rv. 260498; Sez. 3, n. 49990 del 04/11/2015, Quartieri, Rv. 265626, citata).
Inoltre, l'ultimazione dei lavori coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (Sez. 3, Sentenza n. 5480 del 12/12/2013, Manzo, Rv. 258930), sicché è entro tale preciso ambito che deve dunque individuarsi il concetto di "ultimazione", che ha natura oggettiva e non può, pertanto, dipendere da valutazioni soggettive (così Sez. 3, n. 7065 del 23/2/2012, Croce, non massimata).
Ne consegue che, coerentemente a tale indirizzo interpretativo, i giudici di merito hanno considerato consumato il reato alla data del suo accertamento, e che quindi la doglianza formulata dal ricorrente al riguardo risulta manifestamente infondata.

7. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta infondatezza o la genericità di tutti i motivi cui è stato affidato. L'inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616). Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7 - 13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 20/4/2017