Cass. Sez. III n. 15455 del 13 aprile 2023 (UP 23 mar 2023)
Pres. Galterio Est. Liberati Ric. Coviello
Urbanistica.Caratteristiche opera precaria

L'opera precaria, per la sua stessa natura e destinazione, non comporta effetti permanenti e definitivi sull'originario assetto del territorio tali da richiedere il preventivo rilascio di un titolo abilitativo. L'intervento precario deve necessariamente possedere alcune specifiche caratteristiche: la sua precarietà non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dall'utilizzatore; sono irrilevanti le caratteristiche costruttive i materiali impiegati e l'agevole amovibilità; deve avere una intrinseca destinazione materiale a un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo; deve essere destinata a una sollecita eliminazione alla cessazione dell'uso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 8 luglio 2022 la Corte d’appello di Potenza ha respinto l’impugnazione proposta da Pietro Coviello nei confronti della sentenza del 15 ottobre 2020 del Tribunale di Potenza, con la quale lo stesso era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. 380/2001 (per avere, quale amministratore della Covy Group S.r.l., avente la disponibilità di un terreno in Comune di Potenza e in assenza del necessario titolo autorizzativo, realizzato un piazzale con materiale di riporto a ridosso dell’impluvio ivi esistente; in Potenza, in data anteriore e prossima al 23 febbraio 2018), ed era stato conseguentemente condannato alla pena di due mesi di arresto e 4.000,00 euro di ammenda, condizionalmente sospesa subordinatamente al ripristino dello stato dei luoghi.

2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
2.1. In primo luogo, ha lamentato l’errata applicazione dell’art. 6, comma 1, d.P.R. 380/2001 e la violazione dell’art. 117 Cost., non essendo stata considerata la natura precaria dell’opera realizzata e la non irreversibile e sostanziale trasformazione dell’area in conseguenza della sua realizzazione, emergente dalle fotografie dell’opera, con la conseguente qualificabilità della stessa come opera precaria, non soggetta ad autorizzazione ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. e bis), d.P.R. 380/2001; l’area in questione era, infatti, stata utilizzata per il deposito di materiali edili necessari per lo svolgimento della attività di impresa svolta dalla Covy Group S.r.l. amministrata dal ricorrente, e quindi il materiale di riporto ivi esistente, costituito da terra di fiume, vi era stato posizionato temporaneamente per essere prelevato al fine della esecuzione di lavori di riempimento, non certo per costruire un piazzale abusivo, non essendo neppure stata realizzata la cementazione, ritenuta necessaria dalla giurisprudenza amministrativa per poter ritenere configurabile la realizzazione di un piazzale richiedente il permesso di costruire. Tale necessità risultava esclusa dal regolamento edilizio comunale, i cui artt. 15 e 17 consentivano senza autorizzazione il riutilizzo di terreno vegetale proveniente da scavi, a condizione che non sia superato di 50 cm. il piano di campagna originario.
2.2. In secondo luogo, ha lamentato l’errata applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. e la carenza della motivazione nella parte relativa alla esclusione della riconoscibilità di tale beneficio, giustificata in modo generico con le peculiari modalità esecutive del reato contestato, senza dare conto delle ragioni giudicate ostative al riconoscimento della configurabilità di tale causa di esclusione della punibilità come individuate dalla giurisprudenza di legittimità (si richiama la sentenza n. 5821 del 2019), tra cui la consistenza dell’intervento abusivo, la sua incidenza sul carico urbanistico, l’eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l’impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli, l’eventuale collegamento dell’opera abusiva con interventi preesistenti, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dalla amministrazione competente, la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, le modalità di esecuzione dell’intervento.
2.3. Infine, con il terzo motivo, ha lamentato un vizio della motivazione a causa della mancanza di autonoma valutazione della vicenda da parte della Corte d’appello rispetto a quanto considerato dal Tribunale, in guisa tale da impedire di comprendere il percorso logico seguito dal giudice dell’impugnazione.

3. Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, sottolineando il carattere non precario dell’opera, in quanto realizzata con materiale non precario (cemento armato), per giunta destinata a soddisfare esigenze non contingenti (per stessa ammissione del ricorrente che ha dedotto di utilizzare l’opera come deposito di materiale edile); la corretta esclusione della particolare tenuità del fatto in considerazione delle peculiari modalità esecutive dell’opera, caratterizzata dall’uso di cemento armato per la realizzazione di un piazzale destinato a deposito; l’autonomia della valutazione compiuta dai giudici di secondo grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. Il primo motivo, mediante il quale è stata prospettata l’errata applicazione delle disposizioni del testo unico delle leggi urbanistiche da considerare nella qualificazione dell’intervento realizzato per conto della società amministrata dal ricorrente, che, ad avviso di quest’ultimo, dovrebbe rientrare tra le opere di edilizia precaria ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. e bis), d.P.R. 380/2001, come tale non soggetto ad autorizzazione preventiva, è inammissibile, sia perché si fonda su una rilettura e una rivalutazione delle emergenze istruttorie, allo scopo di conseguirne una diversa considerazione quanto alla natura e alle caratteristiche delle opere, che è preclusa nel giudizio di legittimità, nel quale è esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716); sia perché sulla base di tale rilettura delle fonti di prova si prospettata una riqualificazione dell’intervento, come di carattere precario, che è manifestamente infondata, in quanto in evidente contrasto con il tenore della disposizione di cui il ricorrente ha invocato l’applicazione.
L’art. 6, comma 1, lett. e bis), del citato d.P.R. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), include tra le opere realizzabili in assenza di titolo abilitativo “le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine  non  superiore a centottanta  giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all'amministrazione comunale”.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l'opera precaria, per la sua stessa natura e destinazione, non comporta effetti permanenti e definitivi sull'originario assetto del territorio tali da richiedere il preventivo rilascio di un titolo abilitativo, precisando che l'intervento precario deve necessariamente possedere alcune specifiche caratteristiche: la sua precarietà non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dall'utilizzatore; sono irrilevanti le caratteristiche costruttive i materiali impiegati e l'agevole amovibilità; deve avere una intrinseca destinazione materiale a un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo; deve essere destinata a una sollecita eliminazione alla cessazione dell'uso (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 5821 del 15/01/2019, Dule Saimir, Rv. 275697; Sez. 3, n. 36107 del 30/6/2016, Arrigoni, Rv. 267759; Sez. 3, n. 6125 del 21/1/2016, Arcese, non massimata; Sez. 3, n. 16316 del 15/1/2015, Curti, non massimata; Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014, dep. 2015, Manfredini, Rv. 261636; Sez. 3, n. 25965 del 22/06/2009, Bisulca, non massimata).
Ora, nel caso in esame la Corte d’appello, nel disattendere l’impugnazione del ricorrente, ha escluso il carattere precario dell’opera dallo stesso realizzata sottolineando che la stessa consiste in un battuto di cemento armato della estensione di circa 200 mq., mediante la quale è stato realizzato un piazzale destinato a deposito di materiale edile. La Corte d’appello ha anche ricordato le vicende che hanno interessato l’area (nella quale il ricorrente ha anche realizzato un capannone in assenza di permesso di costruire e ampliato il piazzale antistante per complessivi 1600 mq., tra l’altro in zona gravata da vincolo idrogeologico e occupando la sede stradale per circa 550 mq.).
Risulta evidente, dunque, alla luce delle caratteristiche dell’opera e tenendo conto delle ricordate condizioni per poter qualificare un’opera come precaria, il carattere stabile di quella realizzata dal ricorrente e in relazione alla quale è stata affermata la sua responsabilità, posto che un piazzale in cemento armato della superficie di circa 200 mq. non può certamente avere una intrinseca destinazione materiale a un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, né essere destinata a una sollecita eliminazione alla cessazione dell'uso, in considerazione delle sue caratteristiche costruttive, che ne escludono sia la destinazione a un utilizzo transitorio, sia la facile amovibilità.
Ne consegue, in definitiva, la manifesta infondatezza dei rilievi sollevati dal ricorrente con il primo motivo di ricorso, essendo del tutto correttamente stato escluso il carattere precario dell’opera e, con essa, la non necessarietà del previo rilascio del titolo abilitativo edilizio al fine della sua realizzazione.

3. Il secondo motivo, relativo alla esclusione della applicabilità della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen., è anch’esso inammissibile, essendo volto a sollecitare una rivalutazione sul piano del merito degli aspetti già considerati dal Tribunale e dalla Corte d’appello di Potenza per escludere la particolare tenuità del fatto.
La Corte d’appello, nel disattendere il motivo di impugnazione volto a ottenere il riconoscimento di detto beneficio, ha sottolineato le modalità esecutive dell’opera in precedenza descritte, tra cui il suo inserimento nell’ambito di altri illeciti edilizi: si tratta di motivazione idonea a dar conto della valutazione di non modesta entità dell’impatto dell’opera sul territorio e sull’assetto urbanistico, agevolmente desumibile dalle sue stesse caratteristiche e dimensioni, oltre che dal suo collegamento a un capannone industriale e a un grande piazzale (entrambi abusivi secondo quanto esposto nella motivazione della sentenza impugnata), dunque idonea a escludere la particolare tenuità dell’offesa al bene protetto, e quindi anche l’applicabilità del beneficio richiesto dal ricorrente.
Tale motivazione, che rinvia alle caratteristiche dell’opera e al contesto nel quale la stessa è stata realizzata, non è stata considerata dal ricorrente, che ha censurato l’esclusione del beneficio in modo generico e criticando sul piano del merito la valutazione della Corte d’appello, che è stata giustificata in modo sufficiente e non manifestamente illogico, anche alla luce della evidenza costituita dalle caratteristiche e dalla estensione dell’opera, con la conseguente manifesta infondatezza dei rilievi sollevati con il secondo motivo di ricorso.

4. Il terzo motivo, mediante il quale è stata denunciata, in modo generico, attraverso il mero richiamo a pronunce di questa Corte, l’insufficienza della motivazione e la mancanza di autonoma valutazione dei motivi d’appello e delle risultanze istruttorie da parte della Corte d’appello di Potenza, è inammissibile, sia a causa della sua genericità, essendo privo di autentico confronto, tantomeno critico, con la vicenda e con la motivazione del provvedimento impugnato; sia per la sua manifesta infondatezza, in quanto la Corte d’appello, sia pure in modo sintetico, ha dato conto sufficientemente delle ragioni del rigetto dei motivi d’appello, sottolineando come gli stessi costituissero riproposizione di tesi difensive già confutate dal Tribunale di Potenza ed escludendo, in ragione delle caratteristiche dell’opera, delle sue dimensioni e del contesto, sia la sua precarietà sia la particolare tenuità dell’offesa recata al bene protetto mediante la realizzazione di detta opera.

5. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione del contenuto non consentito e della manifesta infondatezza di tutti i motivi ai quali è stato affidato.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616; nonché Sez.  U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Aiello, Rv. 268966).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 23/3/2023