dai CEAG

Cass. Sez. III sent.32843 del 2 settembre 2005 (Ud. 8 luglio 2005)
Pres.Vitalone Est. Petti Ric. Piazza
Urbanistica - Condono edilizio

Sull'applicabilità dell'articolo 43 legge 47 del 1985

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. VITALONE Claudio - Presidente - del 08/07/2005
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 1531
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 5330/2005
ha pronunciato la seguente:

 

 

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Piazza Liborio, nato ad Alcamo il 15 marzo del 1928;
avverso la sentenza della corte d'appello di Palermo del 6 dicembre del 2004;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Ciro Petti;
sentito il sostituto procuratore generale nella persona del Dott. MELONI Vittorio, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso. letti il ricorso e la sentenza denunciata, osserva quanto segue:
FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 07.03.2003, il Tribunale di Trapani, sezione di Alcamo, condannava PIAZZA LIBORIO, in concorso di circostanze attenuanti generiche ed unificati i reati a norma dell'art. 81 capov. c.p. alla pena di giorni 20 di arresto ed Euro 20.000 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, con la concessione di entrambi i benefici previsti dagli artt. 163 e 165, quale responsabile dei reati di cui agli artt.: 20 lett. b) L. n. 47/85 per avere realizzato, in assenza della prescritta concessione edilizia, un edificio costituito da tre elevazioni fuori terra dell'estensione di mq. 220 circa per piano ed avente la, sola struttura e copertura in cemento armato (capo A); e delle connesse violazioni edilizie previste dalle leggi nn. 1086/1971 e 64/1974 (capi B, C e D della rubrica); accertati in Alcamo il 19.03.2001. Con la medesima sentenza il tribunale ordinava altresì la demolizione del manufatto. Avverso la decisione proponeva appello l'imputato, chiedendo, in via principale, la sospensione del procedimento per la presentazione della domanda di condono e, nel merito, la riduzione della pena e la revoca dell'ordine di demolizione.
La corte adita, con sentenza del 6 dicembre 2004, in parziale riforma di quella impugnata, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine al reato di cui al capo d) perché estinto per intervenuta prescrizione e, di conseguenza, rideterminava la pena in gg. 20 di arresto ed euro 16.000,00 di ammenda.
A fondamento della decisione osservava che la richiesta di sospensione del processo ai sensi dell'art. 32 D.L. 269/2003 non poteva essere accolta, perché alla data dell'accertamento (19.03.2001) l'immobile in questione non risultava completato al rustico, mancando la tompanatura e quindi non risultava che l'edificio alla data del 31.03.2003 fosse stato completato nella accezione prevista dall'art. 39 L. n. 734 del 1994; che, d'altra parte, i sigilli apposti non risultavano essere stati rimossi per completare l'opera.
Ricorre per cassazione l'imputato sulla base di un unico articolato motivo. Il ricorrente, dopo avere premesso che l'art. 32 comma 25 del D.L. n. 269 del 30.9.2003 convertito in Legge n. 326 del 24.11.2003 aveva disposto che le norme di cui ai capi quarto e quinto della Legge n. 47 del 28.2.1985 e successive modificazioni ed integrazioni, come ulteriormente modificate dall'art. 39 della legge 23.12.1994 n. 724 si applicavano alle opere abusive ultimate entro il 31.3.2003,che in base alla legge 30 luglio del 2004, il termine per presentare la domanda di condono era stato prorogato fino al 10 dicembre del 2004, che in effetti tale domanda era stata presentata il 9 dicembre del 2004, deduce la violazione dell'art. 43 ultimo comma della Legge 47/85 applicabile alle costruzioni realizzate entro 31.3.2003 in virtù del richiamo operato dal più volte citato comma 25 dell'art. 32 del D.L. 269/2003. Invero, l'art. 43 ultimo comma della legge 47/85 dispone che "Possono ottenere la sanatoria le opere non ultimate per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali limitatamente alle strutture realizzate e ai lavori che siano strettamente necessari alla loro funzionalità". In tal caso, dispone, ancora la predetta norma, il tempo di commissione dell'abuso sarà individuato nella data del primo procedimento amministrativo o giurisdizionale. Sulla base di tale censura si chiede l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla corte territoriale.
DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
È opportuno premettere che l'articolo 32 della legge n. 326 del 2003, la quale prevede la possibilità di chiedere il titolo abilitativo in sanatoria, richiama in materia di condono, oltre alla disposizioni contenute nello stesso articolo 32, anche quelle di cui ai capi 4^ e 5^ della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e successive modificazioni ed integrazioni, così come ulteriormente modificate dall'articolo 39 della legge 23 dicembre del 1994 n. 724 e successive modificazioni ed integrazioni. I requisiti essenziali per potere presentare le istanze nelle regioni in cui si applica la legge nazionale sono stati fissati dal comma 25 dell'articolo 32, il quale prevede a) che l'opera debba essere stata ultimata entro il 31 marzo del 2003; b) che non abbia comportato un ampliamento del manufatto superiore al 30% della volumetria della costruzione originaria o in alternativa, un ampliamento superiore a mc 750; C) che, qualora si tratti di opere abusive relative a nuove costruzioni residenziali, il volume realizzato non debba superare i 750 mc per singola richiesta di titolo abilitativo in sanatoria o, nel caso di istanze plurime, il volume complessivo non debba essere superiore a 3000 mc.. Ai fini del condono l'edificio si considera completato al rustico quando sono state già eseguite le tamponature esterne così da consentire l'individuazione e l'esatto calcolo dei volumi.
La Regione Sicilia nella quale è stato commesso l'abuso in questione ha disciplinato la sanatoria edilizia sul proprio territorio con due circolari ed un articolo della legge finanziaria per l'anno 2004, aderendo in modo sostanziale alle disposizioni contenute nell'articolo 32 della legge n. 362 del 2003 e successive modificazioni dianzi sinteticamente richiamate.
Tra le disposizioni richiamate dall'articolo 32 della legge anzidetta v'è quella di cui all'articolo 43 della legge n. 47 del 1985. Il quinto comma di tale legge dispone che: "Possono ottenere la sanatoria le opere non ultimate per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali limitatamente alla strutture realizzate ed ai lavori che siano strettamente necessari alla loro funzionalità. Il tempo di commissione dell'abuso e di riferimento per la determinazione dell'oblazione sarà individuato nella data del primo provvedimento amministrativo o giurisdizionale. La medesima disposizione per determinare l'oblazione è applicabile in ogni altro caso in cui i suddetti provvedimenti abbiano interrotto le attività edificatorie". La suddetta norma è stata interpretata da questa corte nel senso che la sua efficacia non debba essere circoscritta ai soli provvedimenti giurisdizionali amministrativi, ma debba essere intesa quale norma di favore per chi abbia rispettato i provvedimenti amministrativi o giurisdizionali, anche del giudice penale, non ultimando per tale ragione la costruzione nei modi e tempi prescritti per beneficiare della sanatoria (cfr. Cass n. 6906 del 1997, 7847 del 1998, n. 14148 del 1999). In altre parole in base a tale norma non è possibile procedere ad ulteriori ampliamenti o sopraelevazioni ma è possibile completare l'opera per rendere funzionali le strutture già realizzate. Pertanto la sospensione chiesta dall'imputato a norma del primo comma dell'articolo 44 della legge n. 47 del 1985, anch'esso richiamato dall'articolo 32, non poteva essere negata dal tribunale per l'omessa ultimazione delle opere al rustico entro il 31 marzo del 1993 perché l'imputato poteva ottenere il condono limitatamente alle opere già realizzate e poteva completare i lavori per rendere funzionali le strutture già eseguite.
Ciò premesso, si deve tuttavia rilevare che l'omessa sospensione del procedimento da parte del giudice di merito o il rigetto dell'istanza, per il principio delle tassatività delle nullità, non determina l'invalidità del procedimento o della sentenza perché non prevista da alcuna norma. D'altra parte non v'è stata alcuna menomazione del diritto di difesa perché l'imputato poteva comunque presentare l'istanza a prescindere dalla decisione del giudice e chiedere la sospensione del procedimento nei successivi gradi, dopo avere dimostrato di avere presentato la domanda e dopo avere allegato l'attestazione del versamento della somma di cui al primo comma dell'art. 35 (cfr. Cass. nn 556 e 8545 del 1995; 11334 e 11422 del 1997). Nella fattispecie il ricorrente, pur affermando di avere presentato la domanda, non ha allegato al ricorso la relativa documentazione. Di conseguenza la sua affermazione è rimasta sfornita di prove e non consente di sospendere il processo. Per i motivi dianzi esposti il ricorso è inammissibile non costituendo l'omessa sospensione del procedimento motivo di nullità della sentenza.
Dall'inammissibilità del ricorso discende l'obbligo di pagare le spese processuali e di versare una somma, che stimasi equo determinare in euro 500,00, in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d'inammissibilità secondo l'orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000. P.Q.M.
LA CORTE:
Letto l'art. 616 c.p.p.;
dichiara inammissibile il ricorso e condanna li ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro 500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 8 luglio 2005.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2005.