Cass. Sez. III n. 7681 del 17 febbraio 2017 (Ud 13 gen 2017)
Presidente: Fiale Estensore: Ramacci Imputato: Innamorati e altri
Urbanistica.Costruzioni in zona agricola

In tema di reati urbanistici, nel caso di costruzione in zona agricola, la destinazione del manufatto alle opere dell'agricoltura ed il possesso dei requisiti soggettivi di imprenditore agricolo in capo a chi lo realizza - tanto al momento della richiesta e del rilascio del permesso di costruire, quanto al tempo della eventuale voltura del titolo abilitativo in favore di terzi - sono elementi rilevanti nella valutazione della rispondenza dell'opera alle prescrizioni dello strumento urbanistico e, di conseguenza, anche per l'eventuale valutazione di conformità ai fini del rilascio della sanatoria.



RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di L’Aquila, con sentenza del 10/3/2016 ha parzialmente riformato la decisione del Tribunale di quella città emessa il 15/7/2014 ed appellata dal Procuratore della Repubblica nei confronti degli imputati Marco VALENTINI, Fabrizia DEL TOSTO, Cipriano DI TELLA e Filippo ANTONELLI, ritenendoli colpevoli dei reati loro rispettivamente ascritti e rideterminando la pena, confermando altresì nel resto la sentenza, appellata anche dagli imputati Stefania INNAMORATI, Domenico DI TELLA  e Gabriele VALENTINI.
Stefania INNAMORATI, quale legale rappresentante della “EMERALD 75 s.r.l.” e della “I.S.A. Ingegneria Servizi Ambiente s.r.l.”, proprietarie di un’area a destinazione agricola e tutti gli altri quali proprietari committenti dei rispettivi manufatti, erano chiamati a rispondere, al capo A della rubrica, del reato di lottizzazione abusiva di cui all’art. 44, lett. c), d.P.R. 380\01, per la realizzazione di un complesso residenziale avente una dimensione di circa 10.300 mq., completamente recintato, all’interno del quale venivano realizzati otto manufatti ad uso residenziale, tre scavi destinati ad invaso per raccolta delle acque, alloggiamento dei serbatoi del GPL e parcheggio a raso imbrecciato, vialetti di accesso ai singoli lotti, ed altre opere di urbanizzazione, lavori di riempimento e muri di recinzione (dal mese di ottobre 2010 al 6 giugno 2011).
La medesima, unitamente a Marco VALENTINI, Fabrizia DEL TOSTO, Cipriano DI TELLA, era imputata anche del reato di cui agli artt. 93 e 95 d.P.R. 380\01 (capi B e C della rubrica), nonché, singolarmente, anche del reato di cui agli artt. 64, 65 e 72 del medesimo d.P.R.  (capo D della rubrica, dal mese di ottobre 2010 al 6 giugno 2011).
Marco VALENTINI, Fabrizia DEL TOSTO, Cipriano DI TELLA, rispondevano anche, singolarmente, del reato di cui all’art. 44, lett. b), d.P.R. 380\01, rispettivamente ascritto ai capi E,  F ed H dell’imputazione (dal mese di ottobre 2010 al 6 giugno 2011). Filippo ANTONELLI e  Cipriano DI TELLA, sempre singolarmente, del delitto di cui all’art. 483 cod. pen. loro ascritto, rispettivamente, ai capi G ed I (il 24 novembre 2010).
Avverso tale pronuncia i predetti propongono separati ricorsi per cassazione tramite i rispettivi difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.  

2. Domenico DI TELLA e Cipriano DI TELLA
Congiuntamente deducono, con un primo motivo di ricorso, la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione, perché la Corte territoriale avrebbe mutato l’originaria imputazione     valorizzando non già la natura lottizzatoria delle condotte, quanto, piuttosto, l’assenza dei requisiti soggettivi richiesti dalla delibera n. 58\2009 del Comune di L’Aquila e dall’ordinanza sindacale n. 711/2010.

2.1. Con un secondo motivo di ricorso lamentano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione ai reati di cui ai capi H ed I ascritti a Cipriano di TELLA, la cui responsabilità sarebbe stata erroneamente desunta sulla base di meri elementi indiziari, rappresentati dal fatto che egli era sprovvisto dei necessari requisiti per procedere all’edificazione di un manufatto provvisorio destinato a soddisfare le sue esigenze abitative  in quanto non residente né domiciliato in L’Aquila alla data del sisma.
Indicando nel dettaglio gli elementi in base ai quali tale assunto risulterebbe smentito, rilevano che i giudici del gravame sarebbero giunti all’affermazione di responsabilità penale sulla base di una motivazione meramente apparente.

2.2. Con un terzo motivo di ricorso denunciano, con riferimento ai reati di cui ai capi B e C dell’imputazione, la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando che le previsioni degli artt. 64 e ss. del d.P.R. 380\01 sarebbe derogata dall’O.P.C.M. n. 3813\2009, rilevando come, ancora una volta erroneamente, la Corte territoriale avrebbe escluso che Cipriano DI TELLA si trovasse nelle condizioni previste dalla delibera n. 58\2009 del Comune di L’Aquila e dall’ordinanza sindacale n. 711/2010.

2.3. Con un quarto motivo di ricorso lamentano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al capo A) della rubrica, ponendo ancora una volta l’accento sul fatto che l’originaria imputazione riguardava l’assenza di un  piano di lottizzazione, mentre la Corte del merito avrebbe valorizzato, per Cipriano DI TELLA, l’assenza di una stabile dimora in L’Aquila e per Domenico DI TELLA l’assenza di cantieri aperti nell’aquilano posteriormente al sisma e, conseguentemente, l’assenza di maestranze da ospitare, osservando come tale ultimo assunto sarebbe frutto di una errata lettura delle risultanze processuali

2.4. Con un quinto motivo di ricorso rilevano, sempre riguardo al capo A, la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando che i giudici dell’appello avrebbero errato nell’escludere la natura provvisoria dei manufatti realizzati, escludendo quindi la natura precaria degli stessi sulla base di criteri materiali e strutturali anziché funzionali e giuridici e rilevando che la disciplina emergenziale avrebbe consentito la realizzazione delle opere in contestazione.

3. Marco VALENTINI e Fabrizia DEL TOSTO
Deducono, anch’essi congiuntamente, con un primo motivo di ricorso, la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione.
Osservano, a tale proposito, che la Corte territoriale avrebbe ritenuto la sussistenza della lottizzazione abusiva in ragione dell’assenza dei requisiti soggettivi richiesti dalla già citata delibera 58\2009 e non anche della natura permanente e non temporanea delle opere oggetto dell’originaria contestazione, incorrendo, peraltro, in carenze motivazionali ritenute evidenti nella valutazione delle risultanze processuali.

3.1. Con un secondo motivo di ricorso lamentano la violazione di legge in relazione al reato di cui al capo E dell’imputazione, laddove la Corte territoriale ha escluso la validità del permesso in sanatoria conseguito da Marco VALENTINI per assenza del requisito della doppia conformità, per avere l’imputato assunto la qualifica di operatore agricolo solo successivamente alla realizzazione del manufatto, rilevando che la richiesta conformità attiene alla costruzione e non anche al suo autore.

4. Gabriele VALENTINI e Filippo ANTONELLI
Deducono, con un unico motivo di ricorso, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato di cui al capo A della rubrica, rilevando che dalla sentenza di primo grado non sarebbe dato comprendere come abbiano potuto essere ritenuti responsabili della lottizzazione abusiva.
Il VALENTINI, in particolare, si sarebbe limitato a richiedere di poter collocare un manufatto provvisorio teso a sopperire l’inagibilità temporanea della propria abitazione, mentre, per ciò che concerne l’ANTONELLI, gli elementi sui quali la Corte territoriale ha fondato il proprio giudizio sarebbero frutto di una errata lettura delle emergenze processuali.

5. Stefania INNAMORATI   
Deduce, con un unico motivo di ricorso, la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione, sostanzialmente sulla base dei medesimi argomenti sviluppati sul tema dagli altri ricorrenti, procedendo poi all’analisi delle singole posizioni dei coimputati Marco VALENTINI; Cipriano DI TELLA, Fabrizia DEL TOSTO, Filippo ANTONELLI e Gabriele VALENTINI ponendo in evidenza le carenze motivazionali nelle quali sarebbero incorsi i giudici del gravame nel valutare la sussistenza delle condizioni soggettive richieste dalle disposizioni emergenziali.
Tutti insistono, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.           


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Tutti i ricorsi sono inammissibili.
Occorre preliminarmente rilevare che, sulla base di quanto pacificamente emerge dai ricorsi e dalla sentenza impugnata, unici atti ai quali questa Corte ha accesso, la vicenda in esame riguarda una lottizzazione abusiva ed altri reati concorrenti realizzati mediante una serie di interventi in zona agricola posti in essere attraverso l’improprio ricorso alla normativa emergenziale varata successivamente al terremoto che, nel 2009, ha interessato, tra gli altri, anche il comune di L’Aquila.
In particolare, viene fatto riferimento, in più occasioni, tanto nella sentenza che nei motivi di ricorso, alla delibera n. 58\2009 del Comune di L’Aquila ed all’ordinanza sindacale n. 711/2010, di cui si dirà anche in seguito.

2. Ciò posto, va osservato che alcuni ricorrenti – segnatamente, Domenico DI TELLA e Cipriano DI TELLA, Marco VALENTINI e Fabrizia DEL TOSTO, nonché Stefania INNAMORATI – lamentano, nel loro primo motivo di ricorso, la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. con argomentazioni per lo più sovrapponibili che consentono la trattazione unitaria delle singole censure.
Deducono, in pratica, i suddetti ricorrenti che la Corte territoriale avrebbe violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza, in quanto la contestazione di cui al capo A dell’imputazione avrebbe riguardato la trasformazione urbanistica ed edilizia di un terreno a destinazione agricola mediante la realizzazione di un complesso residenziale in assenza di un valido piano di lottizzazione, che il primo giudice aveva individuato anche escludendo la precarietà degli interventi eseguiti e che i giudici del gravame avrebbero invece rilevato sulla base dell’assenza dei requisiti soggettivi previsti dalla richiamata normativa emergenziale.
L’assunto è manifestamente infondato.

3. L'art. 521 cod. proc. pen., nello stabilire che il giudice possa dare al fatto una diversa qualificazione giuridica, richiede che il fatto storico addebitato rimanga identico per ciò che concerne la condotta, l'evento e l'elemento soggettivo.
In applicazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, la diversità del fatto accertato rispetto a quello contestato si ha, dunque, quando il secondo si pone, rispetto al primo, in un rapporto di completa eterogeneità.
Dalla lettura analisi dei principi appena richiamati appare di tutta evidenza che, nel caso in esame, non si è verificata alcuna violazione della norma processuale richiamata dai ricorrenti.
L’imputazione originaria, se considerata nel suo complesso, evidenzia con chiarezza che le condotte ascritte agli imputati sono state poste in essere facendo improprio ricorso ai contenuti della delibera n. 58\2009 del Comune di L’Aquila e dell’ordinanza sindacale n. 711/2010, come emerge dai riferimenti a tali provvedimenti contenuti nei capi concernenti i singoli abusi edilizi ed i delitti di falso.
La Corte territoriale, inoltre, era stata investita della questione relativa alla sussistenza o meno dei requisiti soggettivi richiesti dalla dalla delibera e dall’ordinanza sindacale dall’appello del Pubblico Ministero, il quale poneva in discussione anche l’efficacia dei titoli abilitativi in sanatoria ed a tali censure i giudici del gravame erano obbligati a dare risposta.
La sentenza impugnata, in ogni caso, non si limita alla disamina dei motivi di appello sviluppati dalla pubblica accusa, ma prende in esame anche i singoli motivi di appello formulati dagli imputati  e, dall’esame della motivazione, emerge con chiarezza che l’affermazione di responsabilità penale tiene conto tanto delle emergenze del giudizio di primo grado, concernenti la natura non precaria degli interventi realizzati, quanto degli ulteriori elementi che, alla luce delle disposizioni emergenziali, involgevano la posizione soggettiva dei singoli imputati.
Occorre a questo punto procedere, nell’ordine, alla disamina degli ulteriori motivi di ricorso.

4. Ricorso di Domenico DI TELLA e Cipriano DI TELLA
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché articolato in fatto e chiaramente finalizzato a prospettare una lettura alternativa delle emergenze processuali già valutate dal giudice del gravame con motivazione che non presenta alcun cedimento logico o manifesta contraddizione.
La Corte di appello evidenzia che, sulla base degli accertamenti svolti, la dichiarazione di Cipriano DI TELLA contenuta in un’autocertificazione e riguardante il domicilio in L’Aquila in un’abitazione di sua proprietà è risultata falsa, in quanto, alla data del sisma, l’immobile non era occupato come desunto dall’assenza di utenze a lui intestate, dalla mancanza del nome sulla porta di ingresso, dal fatto che la domanda di ristrutturazione si riferiva ad immobile diverso dal quello adibito ad abitazione principale e dalla indicazione dell’assenza di occupanti nella scheda AEDES redatta dalla protezione civile.
A fronte di tali elementi, il motivo di ricorso in esame ne prospetta una diversa e personale valutazione che non può avere ingresso in questa sede, poiché al giudice di legittimità vengono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.

4.1. A conclusioni analoghe deve pervenirsi con riferimento al terzo motivo di ricorso concernente i capi B e C dell’imputazione.
La Corte territoriale ha formulato l’affermazione di responsabilità sulla base della precedente accertata insussistenza dei requisiti soggettivi richiesti dalla delibera 58\2009, ritenendo conseguentemente inapplicabile la deroga in essa prevista.  
Anche a fronte di tali constatazioni i ricorrenti propongono una propria versione dei fatti alternativa a quella prospettata dai giudici del merito.

4.2. Anche il quarto motivo di ricorso, relativo alla lottizzazione abusiva, viene formulato con le stesse modalità.
Sul punto va rilevato come la Corte del merito abbia provveduto ad una accurata disamina dei contenuti della delibera 58\2009, dando puntualmente atto del fatto che la stessa, contenente disposizioni di carattere straordinario e transitorio, concerne i criteri e le procedure per la localizzazione, la realizzazione e la successiva rimozione di manufatti temporanei, stante la loro caratteristica di provvisorietà.
Ricorda la Corte di appello che i manufatti realizzati sulla scorta del provvedimento sindacale possono essere istallati solo laddove sia possibile realizzare l’allaccio alla rete fognaria esistente e che la loro superficie dovrà essere commisurata al numero di componenti il nucleo familiare e, comunque, non eccedere il limite massimo di mq. 95.
Fatte tali premesse, i giudici del gravame analizzano le singole posizioni degli imputati e, con riferimento a Cipriano DI TELLA, hanno escluso, come si è già detto, la sussistenza dei requisiti soggettivi per la lecita realizzazione delle opere, mentre, per Domenico DI TELLA, hanno preso in considerazione i contenuti dell’ordinanza sindacale 711 del 12/8/2010.
Tale ordinanza, ricorda la Corte di appello, ha reso possibile alle imprese affidatarie di opere provvisionali, di edilizia pubblica e di edilizia privata attinenti al sisma del 2009, di realizzare Strutture Operative Provvisorie (S.O.P.) quali campi base, dormitori, mense per maestranze, uffici, depositi o magazzini, destinati a soddisfare esclusivamente le esigenze dei lavoratori trasfertisti e/o non residenti nel territorio comunale.
La sentenza impugnata evidenzia, con riferimento all’ordinanza, che le opere realizzate dall’imputato, secondo quanto accertato, erano iniziate prima dell’invio della prescritta comunicazione e che la stipula, da parte delle società costruttrici, di singoli contratti per la fornitura di energia elettrica e di acqua confermava la destinazione degli immobili alla cessione a terzi.
Si aggiunge che, sulla base della documentazione acquisita, non contestata dalla difesa, le imprese non avevano cantieri aperti per le opere di ricostituzione all’atto della presentazione delle rispettive istanze, indicando specifici dati fattuali e fornendo risposta alle deduzioni della difesa sul punto.
A fronte di tali considerazioni si oppone, ancora una volta, una versione alternativa dei fatti.

4.3. Per ciò che riguarda, inoltre, il quinto motivo di ricorso, deve osservarsi che anche sulla natura non provvisoria dei manufatti la Corte del merito ha fornito adeguata motivazione.
Gli stessi ricorrenti richiamano, in premessa (pag. 5 del ricorso), le considerazioni in precedenza sviluppate dal primo giudice, il quale aveva centrato l’attenzione sul fatto che i manufatti realizzati, come evidenziato dalla documentazione fotografica, avessero una estensione totale di oltre 200 mq ciascuno, fossero dotati di finiture di pregio e realizzati in cemento armato e legno, sicché risultava evidente l’intenzione di non rimuoverli successivamente “azzerando di fatto il valore economico di beni per diverse centinaia di migliaia di euro”.
Tali dati fattuali, se confrontati con le finalità ed i contenuti della più volte richiamata delibera comunale 58\2009, rendono evidente l’insussistenza dei presupposti per l’applicabilità, nel caso in esame, di tale provvedimento.
Oltre a quanto evidenziato nella sentenza di primo grado, quella di appello prende in considerazione anche altri elementi significativi, quali la consistenza delle opere di urbanizzazione realizzate e la modifica, apportata da tutti gli istanti, al modulo predisposto dal comune per l’installazione dei manufatti precari, sostituendo, all’impegno alla rimozione alla cessazione dell’emergenza o in ottemperanza a formale richiesta dell’amministrazione comunale, la dicitura “si impegna produrre successiva istanza di trasformazione del manufatto da temporaneo a permanente, successivamente, nel rispetto dei parametri edilizi ed urbanistici della zona interessata secondo le disposizioni riportate all’art. 5, punto 1 dei criteri per la localizzazione e realizzazione di manufatti temporanei”.
La sentenza impugnata, inoltre, non tralascia di considerare quanto evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte in ordine alla nozione di precarietà di un manufatto, che  non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo (così ex pl. Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014 (dep. 2015), Manfredini, Rv. 26163601).
Facendo corretto uso di tali principi, i giudici dell’appello hanno escluso, sulla base di dati fattuali concreti, la insussistenza di esigenze temporanee alle quali le opere avrebbero dovuto assolvere, risultando invece dimostrata la loro destinazione ad un definitivo uso abitativo.       
Va inoltre detto che, nella sentenza impugnata, viene anche dato conto del complesso dell’attività lottizzatoria, che i giudici del merito inquadrano nella lottizzazione c.d. mista, prendendo in considerazione non soltanto l’attività edificatoria posta in essere, ma anche quella di frazionamento e trasferimento dei lotti.
Osserva inoltre il Collegio che, al di là delle singole condotte, tutte peraltro puntualmente analizzate dalla Corte di appello, l’insieme delle attività poste in essere – non soltanto, quindi, quelle prettamente edificatorie, ma anche tutte le altre a quelle connesse – rende di macroscopica evidenza la esistenza della lottizzazione abusiva, attuata, come si è già detto, facendo impropriamente ricorso alla normativa emergenziale, fittiziamente attribuendo, ad opere chiaramente destinate ad uno stabile uso residenziale, la natura di interventi precari realizzati al solo fine di sopperire alla cogente situazione determinata dagli eventi sismici.

5. Marco VALENTINI e Fabrizia DEL TOSTO
Valgono anche in questo caso, per ciò che riguarda le questioni ulteriori rispetto a quella, già trattata, della violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., le medesime argomentazioni sviluppate in precedenza in ordine al reato di lottizzazione abusiva.
A ciò si aggiunga, per quanto concerne la specifica posizione di Fabrizia DEL TOSTO, che la Corte territoriale ha, anche in questo caso, accertato in fatto che la stessa, sulla base di quanto verificato, al momento della presentazione della documentazione per la collocazione di un manufatto temporaneo, aveva già reperito altra abitazione in Pizzoli (AQ), presso la quale era stata più volte reperita dagli operanti e per la quale aveva presentato richiesta di riparazione dei danni subiti dal sisma.
Anche con riferimento ai contratti allegati alle comunicazioni inviate ai sensi della delibera 58\2009 la Corte territoriale ha fornito puntuale motivazione, specificando le ragioni per le quali era da escludere la natura simulata dei contratti prospettata dalla difesa ed indicando i riscontri fattuali ritenuti rilevanti.
A fronte di tali puntuali osservazioni vengono opposte argomentazioni in fatto che non possono avere ingresso in questa sede.

5.1. Anche la posizione di Marco VALENTINI, di cui tratta il secondo motivo di ricorso, è stata oggetto di accurata disamina.
Si contesta, in questo caso, la correttezza dell’assunto secondo il quale la sanatoria rilasciata per le opere realizzate era da ritenersi improduttiva di effetti.
La Corte di appello, oltre a rilevare, sempre con richiami agli esiti degli accertamenti, l’assenza, in capo all’imputato, dei presupposti per l’applicazione della delibera 58\2009, perché l’immobile dichiarato inagibile a cui lo stesso si era riferito non era più nella sua disponibilità ed a porre in evidenza che l’immobile poi realizzato in base al disposto della delibera medesima non era conforme al progetto presentato e superava il limite consentito di 95 mq, ha escluso la validità della sanatoria rilasciata con argomentazioni giuridicamente corrette e del tutto congrue.
Ribadendo, infatti, che difettavano in radice i presupposti per edificare il manufatto, i giudici del gravame osservano che l’imputato aveva realizzato l’immobile in zona agricola senza avere la qualifica di “operatore agricolo”, successivamente conseguita e che tale evenienza esclude la sussistenza della doppia conformità richiesta dalla vigente disciplina urbanistica per la sanatoria degli abusi edilizi.
La sentenza impugnata opportunamente richiama, a tale proposito, la giurisprudenza amministrativa e di legittimità che ormai esclude la c.d. sanatoria giurisprudenziale o impropria, giustamente riconoscendo come necessario, ai fini della sanabilità di un intervento edilizio abusivo, il requisito della c.d. doppia conformità che, secondo l’articolo 36 d.P.R. 380\01, deve sussistere sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria.
Vero è, come si afferma in ricorso, che la richiesta conformità attiene alla costruzione e non anche al suo autore, ma è altrettanto vero che l’edificazione in zona agricola si riferisce ad interventi in evidente collegamento funzionale con la destinazione del fondo.
Si è infatti affermato, con riferimento ad una ipotesi di lottizzazione, che la realizzazione dell’intervento edilizio è finalizzato alla conduzione del fondo in ragione della sua destinazione agricola ed è a tale dato essenziale della oggettiva correlazione tra immobile realizzato e conduzione del fondo che deve farsi riferimento e non anche alle condizioni soggettive di chi richiede il titolo abilitativo (Sez. 3, n. 15605 del 31/3/2011, Manco e altri, Rv. 25015101).
E’ dunque evidente che, pur in presenza di una formale qualifica, ciò che rileva è la effettiva destinazione del manufatto.
Nondimeno, non si è mai escluso il rilievo che, in tali casi, assume il requisito soggettivo, tanto da affermare che, in tema di reati edilizi, non è sufficiente il possesso temporaneo di fatto della qualifica di imprenditore agricolo professionale (ai sensi dell’art. 1, comma quinto-ter, D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99) ai fini del rilascio del permesso di costruire in zona agricola, in quanto i requisiti soggettivi per il rilascio di tale permesso devono esistere al momento della richiesta ed al momento del rilascio del titolo abilitativo (Sez. 3, n. 46085 del 29/10/2008, Monetti e altro, Rv. 24177001), ritenendo, altresì, che  il possesso dei requisiti soggettivi di imprenditore agricolo deve sussistere non solo al momento del rilascio del permesso di costruire in zona agricola, ma anche al momento della voltura del titolo abilitativo in favore di terzi, al fine di garantire l'effettiva destinazione delle opere all'agricoltura (Sez. 3, n. 33381 del 5/7/2012, Pmt in proc. Murgioni e altri, Rv. 25365901).
Dunque, per l’edificazione in zona agricola la destinazione del manufatto e la posizione soggettiva di chi lo realizza sono elementi che assumono entrambi rilievo ai fini della rispondenza dell’opera alle prescrizioni dello strumento urbanistico e, di conseguenza, anche per l’eventuale valutazione di conformità ai fini del rilascio della sanatoria.   
Nel caso di specie, seppure la Corte territoriale abbia esplicitamente ritenuto determinante l’assenza, ab origine, del requisito di “operatore agricolo”, di per sé idonea ad escludere la possibilità di sanare l’abuso, deve rilevarsi che la conformità dell’immobile alla destinazione di zona risulterebbe comunque già dimostrata dalla plateale attività lottizzatoria che i giudici del merito hanno ampiamente accertato.

6. Gabriele VALENTINI e Filippo ANTONELLI
Nel motivo di ricorso si pone in discussione, come ricordato in premessa, la responsabilità degli imputati per la lottizzazione abusiva.
Va ricordato, a tale proposito, che la giurisprudenza di questa Corte ha specificato che il reato di lottizzazione abusiva,  nella molteplicità di forme che esso può assumere in concreto, può essere posto in essere da una pluralità di soggetti, i quali, in base ai principi che regolano il concorso di persone nel reato, possono partecipare alla commissione del fatto con condotte anche eterogenee e diverse da quella strettamente costruttiva, purché ciascuno di essi apporti un contributo causale alla verificazione dell'illecito (sia pure svolgendo ruoli diversi, ovvero intervenendo in fasi circoscritte della condotta illecita complessiva) e senza che vi sia alcuna necessità di un accordo preventivo (cfr.  Sez. 3, n. 39078 del 13/7/2009, Apponi e altri, Rv. 24534501, non massimata sul punto).
Ciò posto, occorre rilevare che la Corte territoriale ha posto in evidenza come entrambi ricorrenti avessero presentato comunicazione di installazione provvisoria ai sensi della delibera 58\2009 e che, a seguito di sopralluogo, si era verificata la realizzazione di due scavi di forma quadrata finalizzati alla realizzazione di opere edilizie incompatibili con la denunciata precarietà.
Con specifico riferimento alla posizione di Filippo ANTONELLI, la Corte del merito ha anche evidenziato l’insussistenza dei requisiti per l’applicabilità della richiamata delibera, sulla base, anche in questo caso, di elementi di fatto puntualmente indicati.
La posizione dei ricorrenti emerge chiaramente dalla sentenza impugnata ancorché la stessa si concentri prevalentemente sulla posizione dell’ANTONELLI (cui viene attribuita anche la falsa dichiarazione sulla destinazione di prima casa di residenza di un immobile risultato, all’atto dei controlli, ancora in costruzione), perché attivamente partecipi del programma lottizzatorio posto in essere dagli altri imputati, la cui finalità evidente ed accertata era quella della trasformazione dell’area interessata dagli interventi edilizi da agricola a residenziale attraverso la realizzazione di un insieme di immobili fatti passare per opere temporanee o strutture operative provvisorie unitamente ai necessari interventi di urbanizzazione.

7. Per ciò che riguarda, infine, il ricorso di Stefania INNAMORATI, la questione relativa alla violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. è stata già affrontata, mentre, per il resto, il ricorso si sofferma sulle posizioni degli altri coimputati allo scopo di dimostrare che la sentenza impugnata sarebbe da censurare anche per le conclusioni cui perviene nei suoi confronti.
Le considerazioni svolte in ricorso sono, tuttavia, palesemente infondate oltre che spesso riferite a dati fattuali non valutabili in sede di legittimità, perché tendenti a dimostrare la insussistenza della lottizzazione e la rispondenza delle opere realizzate alle richiamate disposizioni emergenziali, mentre le finalità della condotta, chiaramente poste in luce dai giudici del merito, erano evidentemente la trasformazione definitiva dell’area da agricola a residenziale.

8. I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili e alla declaratoria di inammissibilità  consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00 per ciascun ricorrente.
L'inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all'art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, Rv. 256463).


P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) ciascuno in favore della Cassa delle ammende
Così deciso in data 13.1.2017