Cass. Sez. III n. 41425 del 14 novembre 2011 (Ud. 29 set. 2011)
Pres. Ferrua Est. Lombardi Ric. Eramo
Urbanistica. Dia alternativa al permesso di costruire e sanatoria

Per le opere soggette a permesso di costruire, anche se l'interessato ha optato per l'esecuzione dei lavori mediante denuncia di inizio attività, ai sensi dell'art. 22, comma 3, D.p.r. 380\01 non è affatto prevista la possibilità di sanatoria di dette opere mediante DIA, in considerazione del più pregnante controllo richiesto alla pubblica amministrazione nell'ipotesi di sanatoria di costruzioni originariamente abusive, evidenziato dalla necessità che si proceda ad una valutazione di doppia conformità agli strumenti urbanistici e dalla previsione del rigetto tacito della richiesta di sanatoria nell'ipot1esi di mancato accoglimento entro il termine di sessanta giorni (terzo comma dell'art. 36).

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. FERRUA Giuliana - Presidente - del 29/09/2011
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo M. - Consigliere - N. 1905
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - N. 47134/2010
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Avv. CASCIERE LEONARDO, difensore di fiducia di Cesidio Eramo Emanuele, n. a Bisegna il 19.5.1949;
avverso la sentenza in data 29.3.2010 della Corte di Appello di L'Aquila, con la quale, a conferma di quella del Tribunale di Avezzano in data 9.1.2009, venne condannato alla pena di mesi uno di arresto ed Euro 6.000,00 di ammenda, quale colpevole dei reati: a) di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b); b) di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64 e 71, unificati sotto il vincolo della continuazione;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi;
Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. VOLPE Giuseppe, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di L'Aquila ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di Cesidio Eramo Emanuele in ordine ai reati: a) di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b); b) di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64 e 71, a lui ascritti per avere realizzato un muro a in calcestruzzo armato dell'altezza di mt. 4 e della lunghezza di mt. 10, nonché una gabbionata con riempimento in pietrame dell'altezza di mt. 1 e la lunghezza di mt. 9 ed un altro muro in pietrame senza il permesso di costruire e senza avere fatto la prescritta denuncia per le opere in cemento armato.
La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l'appellante aveva dedotto che le opere di cui alla contestazione potevano essere realizzate in base a DIA, la cui carenza non costituisce reato, e dedotto che, in ogni caso, i reati dovevano dichiararsi estinti per effetto di una DIA in sanatoria. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia violazione ed errata applicazione di legge.
Si deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente escluso che il muro di contenimento di cui alla contestazione fosse assentibile mediante DIA, in base al rilievo che lo stesso si eleva al di sopra del suolo, poiché tale accertamento deve essere riferito alla posizione del muro a monte e non a valle, da cui soltanto si nota la parete in sopraelevazione.
Si deduce, poi, che, anche se si ritenesse il manufatto soggetto a permesso di costruire, l'interessato può, con scelta discrezionale, optare, ai sensi del D.P.R n. 380 del 2001, art. 22, comma 2, per la richiesta di permesso di costruire o edificare previa denuncia di inizio attività, la cui mancanza è sanzionabile penalmente per il disposto di cui al citato D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, u.c.. Si inferisce da tale disposto normativo che l'abuso può essere sanato mediante il rilascio di DIA in sanatoria, che l'imputato aveva ottenuto nel caso in esame. Sul punto si richiamano anche le disposizioni del codice civile che non considerano costruzione, ai fini dell'osservanza delle distanze legali, i muri di contenimento. Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia carenza di motivazione in ordine alla destinazione dell'opera a servizio dell'edificio principale, essendo finalizzata a impedire smottamenti della scarpata con la conseguente natura pertinenziale della stessa. Con l'ultimo mezzo di annullamento si denuncia carenza e illogicità della motivazione con riferimento alla interpretazione della DIA in sanatoria.
Si deduce che la sentenza impugnata ha affermato erroneamente che la DIA in sanatoria non è conforme allo strumento urbanistico, in quanto quest'ultimo prevede il ricorso alla DIA per opere provvisionali ed indifferibili, nonché carenza di motivazione con riferimento alle dichiarazioni del tecnico comunale esaminato come teste, che aveva ritenuto la sanatoria legittima. Il ricorso non è fondato.
È stato già affermato da questa Suprema Corte che "In materia edilizia, è necessario il permesso di costruire per la realizzazione di un muro di contenimento, in quanto si tratta di un manufatto che si eleva al di sopra del suolo ed è destinato a trasformare durevolmente l'area impegnata, come tale qualificabile intervento di nuova costruzione". (sez. 3^, 14.5.2008 n. 35898, Russo e altro, RV 241075).
È evidente che tale massima si riferisce a qualsiasi muro di contenimento, in considerazione delle rilevanti dimensioni che l'opera in genere assume ed alla modificazione edilizia permanente del territorio che essa determina, non in considerazione de fatto che l'opera si elevi al di sopra del suolo a monte o a valle, trattandosi di una distinzione che non ha senso in relazione alla funzione del manufatto.
Quanto alla DIA in sanatoria, anche se il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, consente per gli interventi di nuova costruzione conformi agli strumenti urbanistici, nei casi previsti dalle lett. b) e c) del terzo comma, l'esecuzione dei lavori a seguito di denuncia di inizio di attività, l'art. 36 dello stesso testo unico stabilisce che la legittimazione dei manufatti già realizzati possa avvenire solo mediante il rilascio del permesso di costruire in sanatoria. Sicché per le opere soggette a permesso di costruire, anche se l'interessato ha optato per l'esecuzione dei lavori mediante denuncia di inizio attività, ai sensi del citato art. 22, comma 3, non è affatto prevista la possibilità di sanatoria di dette opere mediante DIA, in considerazione del più pregnante controllo richiesto alla pubblica amministrazione nell'ipotesi di sanatoria di costruzioni originariamente abusive, evidenziato dalla necessità che si proceda ad una valutazione di doppia conformità agli strumenti urbanistici e dalla previsione del rigetto tacito della richiesta di sanatoria nell'ipotesi di mancato accoglimento entro il termine di sessanta giorni (terzo comma dell'art. 36).
Nel caso in esame, peraltro, la sentenza impugnata ha rilevato che il muro di contenimento non risultava neppure conforme al PRG, in quanto detto strumento urbanistico prevede esclusivamente l'esecuzione di "opere provvisionali di assoluta urgenza, indispensabili per evitare pericoli e danni", mentre le opere incriminate, secondo la sentenza impugnata, non possono assolutamente essere considerate tali, essendo di tipo "durevole e permanente".
Il richiamo alle norme civilistiche in materia di distanze è del tutto improprio con riferimento alla disciplina edilizia ed urbanistica sotto il profilo penale.
È noto che rientrano nella nozione di pertinenza solo manufatti di modeste dimensioni posti durevolmente a servizio di un edificio principale.
Tale certamente non può essere ritenuto il muro di contenimento di cui all'imputazione considerate le notevoli dimensioni dell'opera e la naturale destinazione del muro di contenimento ad una più ampia funzione di prevenzione in relazione alle eventuali modificazioni naturali del territorio.
Sull'ultimo motivo la sentenza ha correttamente osservato che le diverse valutazioni degli organi amministrativi non possono avere incidenza su quella del giudice ordinario e quanto affermato in punto di diritto in relazione al primo motivo di gravame risulta assorbente di qualsivoglia diversa opinione espressa dal tecnico comunale quale teste.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Udienza pubblica, il 29 settembre 2011. Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2011