Cass. Sez. III n. 32130 del 7 agosto 2024 (UP 27 giu 2024)
Pres. Ramacci Rel. Di Stasi Ric. Stagno ed altri
Urbanistica.Illegittimità della sanatoria condizionata alla esecuzione di interventi

Deve escludersi la possibilità della cosiddetta sanatoria condizionata, caratterizzata dal fatto che i suoi effetti vengono subordinati alla esecuzione di specifici interventi aventi lo scopo di far acquisire alle opere il requisito della conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia che non posseggono, poiché tali provvedimenti devono ritenersi illegittimi, in quanto l'articolo 36 d.P.R. 380\01 si riferisce esplicitamente ad interventi già ultimati e stabilisce come la doppia conformità debba sussistere sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria. Inoltre, il rilascio del provvedimento consegue ad un'attività vincolata della P.A., consistente nell'applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica, che non lasciano all'Amministrazione medesima spazi per valutazioni di ordine discrezionale

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12/07/2023, la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza resa in data 13/07/2022 dal Tribunale di Agrigento, con la quale Stagno Giuseppe, Russo Carmelo e Nigrelli Filomena erano stati dichiarati dei reati urbanistici ed edilizi loro rispettivamente ascritti e condannati alla pena di mesi due di arresto ed euro diecimila di ammenda ciascuno, con ordine di demolizione delle opere abusive.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo del difensore di fiducia, chiedendone l’annullamento ed articolando i motivi di seguito enunciati. 

Russo Carmelo e Nigrelli Filomena propongono tre motivi di ricorso.
Con il primo motivo di ricorso deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 36 e 45 d.P.R. n. 380/2001.
Lamentano che erroneamente i Giudici di merito avevano negato efficacia estintiva all’accertamento di conformità ed al permesso in sanatoria n. 1/2019 e disposto la demolizione del vano non demolito contestato al capo A) n. 4 dell’imputazione; in particolare, non avevano indicato quali prescrizioni gli imputati non avrebbero osservato ed avevano assertivamente affermato che il provvedimento non costituiva un permesso a costruire in sanatoria; era, poi, erronea l’affermazione che, in ogni caso, la procedura di sanatoria non poteva considerarsi definita, perché mancante dell’autorizzazione del Genio Civile, in quanto in base al combinato disposto degli artt. 65,93, comma 1 e 94 dpr n. 380/2011 è sufficiente il semplice deposito con presa d’atto e, comunque, all’udienza del 20/04/2022 era stata prodotta la comunicazione di fine lavori al Comune.
Con il secondo motivo deducono omessa motivazione in ordine alla richiesta di revoca dell’ordine di demolizione.
Espongono che con l’atto di appello si era chiesto che, in considerazione del rilascio di un accertamento di conformità e di un permesso in sanatoria per il mantenimento del vano a piano terra mediante tamponatura con gabbioni, andava, comunque, revocato l’ordine di demolizione perché la tombatura poteva equipararsi alla demolizione; sul punto la Corte territoriale era rimasta silente.
Con il terzo motivo deducono violazione dell’art. 131-bis cod.pen. e vizio di motivazione.
Lamentano che la Corte territoriale aveva denegato l’applicabilità della causa di non punibilità per tenuità del fatto ponendo l’accento solo sull’entità delle opere e senza considerare la condotta successiva al reato (demolizione di gran parte delle opere), rilevante secondo la formulazione della norma a seguito della modifica ad opera della cd Riforma Cartabia, vigente al momento della pronuncia e la cui applicazione ai procedimenti pendenti è stata più volte ribadita dalla giurisprudenza di legittimità.

Stagno Giuseppe propone due motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per i reati contestati.
Argomenta che pur essendo emersa la realizzazione di opere abusive rispetto all’immobile originario, lo Stagno era stato incaricato dei lavori di tramezzatura interna e dei prospetti e non dei lavori strutturali relativi alla realizzazione dei nuovi locali i contestazione, realizzati in epoca assai pregressa; la Corte di appello, con motivazione apparente e contraddittoria, aveva ritenuto non attendibili le dichiarazioni dei testi Russo Salvatore e Russo Gianfranco, nonostante esse trovassero riscontro nelle dichiarazioni del teste Caico e della documentazione prodotta (estratto google hearth).
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cu all’art. 131-bis cod.pen. dando rilievo solo all’entità delle opere e senza considerare la condotta successiva al reato (intervenuta sanatoria e ripristino dello status quo ante), rilevante secondo la formulazione della norma a seguito della modifica ad opera della cd Riforma Cartabia, applicabile ex art. 2, comma 4, cod.pen. anche ai fatti di reato commessi prima dell’entrata in vigore della riforma.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.I ricorsi di Russo Carmelo e Nigrelli Filomena vanno dichiarati inammissibili.
1.1. I primi due motivi di ricorso, oggettivamente connessi, sono manifestamente infondati.
Va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, è illegittimo, e non determina l'estinzione del reato edilizio di cui all'art. 44 lett. b) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all'esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell'alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica (Sez. 3, n. 51013 del 05/11/2015, Rv.266034 – 01).
Si è osservato, in particolare, che deve escludersi la possibilità della cosiddetta sanatoria condizionata, caratterizzata dal fatto che i suoi effetti vengono subordinati alla esecuzione di specifici interventi aventi lo scopo di far acquisire alle opere il requisito della conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia che non posseggono, poiché tali provvedimenti devono ritenersi illegittimi, in quanto l'articolo 36 d.P.R. 380\01 si riferisce esplicitamente ad interventi già ultimati e stabilisce come la doppia conformità debba sussistere sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria. Inoltre, il rilascio del provvedimento consegue ad un'attività vincolata della P.A., consistente nell'applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica, che non lasciano all'Amministrazione medesima spazi per valutazioni di ordine discrezionale (v. Sez. 3, n. 7405 del 15/1/2015, Bonarota, Rv. 262422; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e altro, Rv. 260973; Sez. 3, n. 19587 del 27/4/2011, Montini e altro, Rv. 250477; Sez. 3 n. 23726 del 24/2/2009, Peoloso, non massimata; Sez. 3, n. 41567 del 4/10/2007, P.M. in proc. Rubechi e altro, Rv. 238020; Sez. 3, n. 48499 del 13/11/2003, P.M. in proc. Dall'Oro, Rv. 226897 ed altre prec. conf.).
La Corte di appello, in linea con il suesposto principio di diritto, ha correttamente evidenziato che il provvedimento rilasciato dal Comune di Comitini, pur denominato “permesso di costruire in sanatoria”, tale non poteva considerarsi perché non avente ad oggetto le opere realizzate: avendo imposto una serie di prescrizioni, prevedeva la sanatoria di un’opera diversa da quella realizzata e, pertanto, non poteva produrre alcun effetto estintivo rispetto alle opere già realizzate (p 4 della sentenza impugnata). 
Ha, poi, confermato, richiamandola, la valutazione del Tribunale circa la parziale demolizione delle opere abusive, in quanto la tombatura di parte di esse non poteva costituire una rimozione delle stesse né una demolizione o un ripristino dello stato dei luoghi. La sentenza di primo grado (le sentenze di primo grado e di appello si integrano reciprocamente, cfr Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 - dep. 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595) aveva chiarito che l’oscuramento del prospetto abusivo mediante la realizzazione di un muro in conci di tufo, posizionati all’interno dei gabbioni, non determinava l’inutilizzabilità dell’opera né la rendeva interrata, in quanto ancora collegata fabbricato preesistente da una parete interna divisoria, facilmente abbattibile.
A fronte di tale adeguata motivazione il ricorrente propone censure meramente contestative e prive di confronto critico con le argomentazioni dei Giudici di appello.
1.2. Del pari manifestamente infondato è il terzo motivo di ricorso.
La Corte territoriale, nel valutare la richiesta di applicazione della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 bis cod.pen., ha denegato la configurabilità della predetta causa di esclusione della punibilità, rimarcando la gravità del fatto sulla base di una valutazione in senso negativo delle modalità della condotta in relazione all’entità della struttura abusiva realizzata (gli interventi erano molteplici, avevano ad oggetto corpi di fabbrica con volumi importanti, realizzati in ampliamento di una costruzione preesistente, anch’essa realizzata in assenza di concessione ed oggetto di condono edilizio).
Le argomentazioni sono congrue e non manifestamente illogiche e la motivazione è conforme al principio di diritto, secondo cui, ai fini dell'esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è da ritenersi adeguata la motivazione che dia conto dell'assenza di uno soltanto dei presupposti richiesti dall'art. 131-bis cod.pen. ritenuto, evidentemente, decisivo (Sez.3, n.34151 del 18/06/2018, Rv.273678 – 01: Sez 6, n.55107 del 08/11/2018, Rv.274647 - 01); inoltre, va ricordato che questa Corte ha già affermato che, in tema di violazioni urbanistiche, quando la consistenza dell'opera è tale da escludere in radice l'esiguità del danno o del pericolo, correttamente il giudice nega l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen.( Sez 3 n 33414 del 04/03/2021, Rv. 282328 – 01); risulta, infine, del tutto generica la doglianza avente ad oggetto la mancata considerazione della condotta successiva al reato, in quanto priva di confronto con la complessiva motivazione della sentenza impugnata, nella quale si evidenzia come le opere abusive non possano considerarsi sanate e come la demolizione delle opere sia stata solo parziale e non incidente sull’intera opera abusiva. 
2. Il ricorso di Stagno Giuseppe va dichiarato inammissibile.
2.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di vizio di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
Nel motivo in esame, infatti, si espongono censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, Rv. 235507; Sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, Rv. 235508).
Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez.6,n.27429 del 04/07/2006, Rv.234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv.253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148).
Va ricordato che il controllo di legittimità della motivazione che sorregge la decisione di merito può essere eseguito solo, in riferimento ai tassativi vizi che esclusivamente rilevano in questo giudizio: la assenza di motivazione (anche nella forma della mera apparenza grafica), la 'manifesta' illogicità e la contraddittorietà, così come previsto dalla lettera e) del primo comma dell'art. 606 cod. proc. pen.; la mera 'illogicità' della motivazione è irrilevante, perché strutturalmente diversa dalla 'manifesta illogicità', vizio distinto dal precedente e unico rilevante. Infatti, l'illogicità della motivazione censurabile a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è solo quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi" (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, dep. 10/12/2003, Petrella, Rv. 226074, Sez.3, n. 17395 del 24/01/2023, Rv.284556 - 01). 
La Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell'assenza, in quest'ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez. 4 n. 15081 del 08/04/2010; Sez. 6 n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989; Sez.5, n.6754 del 07/10/2014, dep.16/02/2015, Rv.262722).
2.2. Il secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod.pen, è manifestamente infondato.
Vanno integralmente richiamate in merito le argomentazioni già esposte al paragrafo 1.2. che precede.
3. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, dandosi atto che l’inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod.proc.pen., ivi compresa la prescrizione (Sez. U n. 21 del 11 novembre 1994, dep.11 febbraio 1995, Cresci; Sez. U n. 11493 del 3 novembre 1998, Verga; Sez. U n. 23428 del 22 giugno 2005, Bracale; Sez U n. 12602 del 17.12.2015, dep. 25.3.2016, Ricci).
4. Essendo i ricorsi inammissibili e, in base al disposto dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 27/06/2024