Cass. Sez. III n. 32281 del 8 agosto 2024 (CC 5 giu 2024)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. Verdicchio
Urbanistica.Illegittimità interventiche mutano sostanzialmente un immobile oggetto del condono
Non possono essere effettuati interventi che mutano sostanzialmente l'immobile oggetto del condono; la domanda di sanatoria non può costituire lo strumento per legittimare interventi edilizi completamente diversi da quelli condonabili né lo si ripete, è possibile alterare la realtà delle cose mediante un sapiente e frazionato uso di interventi demolitori. Deve cioè sussistere una perfetta coincidenza tra l'opera esistente ed ultimata al 31 marzo 2003 (nei termini indicati dall'art. 31, comma 2, I. n. 47 del 1985) e quella effettivamente condonata, coincidenza che non consente di sfruttare il "condono" per sanare edifici totalmente diversi e nei quali la struttura esistente al 31 marzo 2003 abbia perso la sua individualità né tale coincidenza – stante il citato principio di unitarietà che è basilare nella materia edilizia – può essere artatamente ripristinata mediante chirurgiche operazioni, mirate e parziali di frazionamento.
RITENUTO IN FATTO 
    1. Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale di Santa Maria Capua a Vetere quale giudice dell’esecuzione adito nell’interesse degli odierni ricorrenti, per la revoca dell’ordine di demolizione di opere abusive di cui ad una procedura RESA n. 10/2016 rigettava l’istanza. 
    2. Avverso la predetta ordinanza Verdicchio Francesco, Antonello e Maddalena, tramite il difensore di fiducia, hanno proposto ricorsi per Cassazione con motivo comune di impugnazione.
    3. Deducono il vizio di violazione di legge e di motivazione con riferimento alla legge 326/2003 e all’art. 36 del DPR 380/01 sostenendo che il giudice avrebbe errato nel ritenere che il permesso in sanatoria rilasciato il 10.5.2017 non sarebbe stato emesso nel quadro della disciplina di condono come invece avvenuto, sulla scorta della originaria domanda di condono presentata da Verdicchio Giuseppe. E ribadiscono il loro legittimo affidamento nella legittimità delle opere. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato, nella misura in cui viene in rilievo il dato per cui l’atto di rilascio del permesso in sanatoria in questione, n. 82 del 10.5.2017, appare effettivamente emesso nel quadro della disciplina di condono, ex L. 236/2003 ( cd. terzo condono), innescata con domanda presentata da Verdicchio Giuseppe, condannato in sede penale con relativo ordine di demolizione, di cui alla procedura Resa, di esecuzione dello stesso, sopra citata. Ed invero, a fronte del diffuso, comune utilizzo della dizione “permesso in sanatoria”, è necessario sempre verificare, per stabilire innanzitutto la reale portata giuridica dell’atto, la disciplina di riferimento dello stesso e i relativi requisiti, esaminati in uno con la domanda di riferimento. Si impone, quindi, nel caso in esame, l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata in funzione di nuova verifica di validità dell’atto, ormai appurato, di condono, evidenziato dai ricorrenti per escludere la contestata demolizione, fermo rimanendo, come pur con precisione e coerenza sottolineato nell’atto impugnato, l’obbligo del giudice di verificare la sussistenza di tutti i requisiti legittimanti il condono medesimo. Tra questi, a fronte del dato riferito dagli stessi istanti, per cui il permesso si ricollega ad opere di cui a sentenza del 16.12.2011, riguardante una condanna relativa  a manufatti descritti nel capo di imputazione come strutturati in soli pilastri, e quindi privi delle tamponature esterne, invece necessarie per l’ottenimento del condono, dovrà tenersi conto e verificarsi (attraverso la documentazione di condono prodotta, che risulta apparentemente corredata delle prescritte e ineludibili descrizioni, attestazioni, progetti  e foto, come indicato a pag. 3 della qui allegata domanda di condono) il rispetto  del principio per cui, il concetto di ultimazione dei lavori,rilevante ai fini della condonabilità delle opere edilizie abusive, presuppone, oltre il completamento della copertura, l'esecuzione del "rustico", da intendersi come comprensivo della muratura di tamponatura, pur priva di rifiniture. (cfr. al riguardo Sez. 3, n. 10082 del 02/12/2008 (dep. 06/03/2009 ) Rv. 244018 – 01). Inoltre, alla luce sempre degli atti qui disponibili siccome allegati, con riferimento al “secondo” abuso poi oggetto di scia con conseguente demolizione ( come in foto), citato dai ricorrenti per sostenere la distinzione tra opera da condonare e opera demolita, dovrà altresì verificarsi la eventuale correlazione temporale, funzionale e/o materiale di tale nuova struttura rispetto a quella oggetto di domanda di condono. Ciò si impone alla luce del principio di unitarietà dell’opera da condonare, che non può essere frazionata al fine di rientrare nel rispetto dei requisiti dimensionali piuttosto che  temporali o di legittimazione soggettiva. In altri termini, rispetto ad opere abusive non distinguibili tra loro, materialmente e/o per funzione, il fatto oggetto di condono deve ritenersi unico e non scorporabile in tante frazioni, l'una precedente al 31 marzo 2003, le altre successive. L'eventuale condono “parziale” riguarderebbe, altrimenti, un manufatto non più esistente e inciderebbe sull'unicità del prodotto del reato la cui natura abusiva ed illecita non può essere scissa né può essere artatamente superata mediante parziali demolizioni. In buona sostanza, la sanatoria deve riguardare l'immobile nella sua interezza, non una sola porzione ormai persa nella (e dalla) novità dell'intero fabbricato. Del resto, l'art. 35, comma 13, legge n. 47 del 1985 (richiamato dall'art. 32, comma 25, d.l. n. 269 del 2003) espressamente stabiliva che, decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda di condono e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell'oblazione, il presentatore dell'istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria poteva completare sotto la propria responsabilità le opere non comprese tra quelle indicate dall'art. 33 come non suscettibili di sanatoria. A tal fine, l'interessato doveva notificare al comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, e poteva iniziare i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione.
Questa Corte ha affermato che il rispetto della procedura prevista dall'art. 35, comma 13, cit., legittima solo gli interventi di completamento funzionale dell'opera per la quale è stata presentata la domanda di sanatoria (Sez. 3, n. 12984 del 09/01/2009, Rullo, Rv. 243095 - 01), e deve quindi rilevarsi come tale stessa procedura, nella sua elaborazione e significato, confermi la necessità della considerazione unitaria dell’opera e della impossibilità che il condono possa operare a fronte di un manufatto che sia stato fatto oggetto di continuazione dopo i termini cronologici di cui alla disciplina di condono di riferimento e al di fuori dei limiti di cui all’art. 35 citato. 
Non possono pertanto essere effettuati interventi che mutano sostanzialmente l'immobile oggetto del condono; la domanda di sanatoria non può costituire lo strumento per legittimare interventi edilizi completamente diversi da quelli condonabili né lo si ripete, è possibile alterare la realtà delle cose mediante un sapiente e frazionato uso di interventi demolitori. Deve cioè sussistere una perfetta coincidenza tra l'opera esistente ed ultimata al 31 marzo 2003 (nei termini indicati dall'art. 31, comma 2, I. n. 47 del 1985) e quella effettivamente condonata, coincidenza che non consente di sfruttare il "condono" per sanare edifici totalmente diversi e nei quali la struttura esistente al 31 marzo 2003 abbia perso la sua individualità né tale coincidenza – stante il citato principio di unitarietà che è basilare nella materia edilizia – può essere artatamente ripristinata mediante chirurgiche operazioni, mirate e parziali di frazionamento.
    2. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che la ordinanza impugnata debba essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Santa Maria Capua a Vetere. 
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Santa Maria Capua a Vetere.