Cass. Sez. III n. 9282 del 9 marzo 2011 (Ud. 26 gen. 2011)
Pres. Ferrua Est. Lombardi Ric. Saviano
Urbanistica. Lavori in totale difformità dal permesso di costruire

La costruzione in totale difformità dal permesso di costruire può derivare, oltre che da consistenti aumenti di volumetria o altre rilevanti modificazioni della struttura esterna dell’immobile, anche dalla esecuzione di interventi all’interno di un fabbricato che determinino la modificazione di parte dell’edificio, allorché tale modificazione abbia rilevanza urbanistica (in quanto incidente sull’assetto del territorio, aumentando il cosiddetto carico urbanistico), quali ad esempio la modificazione della destinazione d’uso di parte dell’immobile rispetto a quanto assentito con il provvedimento autorizzatorio

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale


Composta dagli Ill.mi Signori:


Presidente Dott. Giuliana Ferrua
Consigliere   "    Alfredo Maria Lombardi
Amedeo Franco
Silvio Amoresano
Elisabetta Rosi

ha pronunciato la seguente:


SENTENZA


- Sul ricorso proposto dall'Avv. Cosimo D'Alessandro, difensore di fiducia di Saviano Vincenzo, n. a Frattamaggiore il 10.11.1960, avverso la sentenza in data 20.9.2010 della Corte di Appello di Trieste, con la quale, a conferma di quella del Tribunale di Udine, sezione distaccata di Palmanova, in data 21.10.2009, venne condannato alla pena di mesi due di arresto ed € 10.000,00 di ammenda, quale colpevole del reato di cui all'art. 44, comma 1 lett. b), del DPR n. 380/2001.
- Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
- Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi;
- Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. Guglielmo Passacantando, che ha concluso per il rigetto del ricorso;


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Trieste ha confermato la pronuncia di colpevolezza di Saviano Vincenzo in ordine al reato di cui all'art. 44, comma 1 lett. b), del DPR n. 380/2001, a lui ascritto, perché, in qualità di proprietario, nonché di socio della Cooperativa "Mare Verde a r.1.", aveva eseguito lavori edili in difformità della concessione edilizia n. 8268 del 19.7.2004, consistiti nella creazione di unità immobiliari nel sottotetto del fabbricato con impianti di illuminazione, idrici, di riscaldamento, di condizionamento e di scarico, nonché nella installazione di impianti di riscaldamento e di utenze gas nei piani interrati, scale interne di collegamento in difformità del progetto presentato, il tutto in contrasto con quanto previsto dalle norme tecniche di attuazione del P.E.E.P. denominato "Casabianca".


E' opportuno precisare che il Saviano, destinatario, unitamente ad altri comproprietari e soci della cooperativa, di decreti penali di condanna, a seguito di opposizione, è stato dichiarato colpevole del reato di cui all'imputazione per essere stata accertata la sua qualità di Presidente della Cooperativa Mare Verde con decorrenza dall'8.9.2005.

La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l'appellante aveva contestato la mancata indicazione delle prove tramite le quali il giudice di primo grado aveva accertato la qualità di Presidente della Cooperativa; dedotto che i lavori erano stati eseguiti prima che egli assumesse la carica di Presidente e che, in ogni caso, le irregolarità rilevate non integrano la fattispecie di reato di cui alla contestazione.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.


MOTIVI DELLA DECISIONE


Con il primo mezzo di annullamento la difesa del ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione degli art. 24 e 111 della Costituzione, 522, 546, comma primo lett. c), c.p.p. e vizi di motivazione della sentenza.

Si osserva che nel confronti del Saviano, come di altri soci della cooperativa, era stata chiesta l'emissione del decreto penale di condanna nelle indicate qualità di proprietario e socio; che, a seguito di opposizione, mentre alcuni coimputati sono stati assolti per non aver commesso il fatto, il solo Saviano è stato condannato nella veste di Presidente della Cooperativa.

In sintesi, si deduce che al Saviano non è stata mai contestata la predetta qualità di presidente della cooperativa, sicché egli non ha potuto difendersi dall'accusa nei termini di cui all'affermazione di colpevolezza; che nella specie non vi è correlazione tra contestazione e sentenza, con la conseguente nullità delle pronunce di merito ai sensi dell'art. 522 c.p.p..

Con il secondo mezzo di annullamento la difesa del ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione degli art. 24 e 111 della Costituzione, 192, 546, comma 1 lett. e), c.p.p. e vizi di motivazione della sentenza.

Si deduce che l'impugnata sentenza non indica le prove in base alle quali è stato accertato che i lavori di cui alla contestazione sono stati eseguiti dopo che il Saviano aveva assunto la carica di Presidente della Cooperativa e non prima. Sul punto si osserva che con denuncia anonima le irregolarità riscontrate erano già state segnalate il 30.9.2005 e che il direttore dei lavori si era autosospeso il 20.6.2005 proprio in considerazione degli abusi in questione. Si aggiunge che la prova della commissione degli abusi da parte del Saviano non può essere desunta dall'accertamento che i lavori erano ancora in corso alla data del 15.2.2006 indicata in imputazione, non emergendo dai sopraluoghi effettuati dalla Polizia Municipale l'epoca di realizzazione degli interventi abusivi.


Con l'ultimo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione degli art. 44 del DPR n. 380/2001, 192, 546, comma 1 lett. e), c.p.p. e vizi di motivazione della sentenza.


In sintesi, si deduce che le difformità descritte in imputazione non sono univocamente indicative di una modificazione della destinazione d'uso dei sottotetti e dei piani interrati, modificazione peraltro non ancora verificatasi, essendo tutti gli alloggi ancora in costruzione, sicché la affermazione di colpevolezza risulta fondata su un processo alle intenzioni.

Il ricorso non è fondato.

Osserva il Collegio, in relazione al primo motivo di gravame, che secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte la violazione del principio di necessaria correlazione fra accusa e sentenza dà luogo ad una nullità non rientrante fra quelle assolute ed insanabili, ma a regime intermedio, sicché tale vizio non può essere dedotto per la prima volta in sede di legittimità ove esso non sia stato denunciato nei motivi di appello. (cfr. sez. V, 28.9.2005 n. 44008, Di Benedetto ed altro, RV 232805; conf. 199707957, RV 209753; 199908639, RV 214316; 199914101, RV 215797).

Orbene, in sede di appello l'imputato si è limitato a dedurre la carenza di prove in ordine alla accertata qualità di presidente della cooperativa ed in tal modo ha accettato il contraddittorio sul punto in relazione al quale ne è stata affermata la responsabilità, sicché l'eccezione processuale afferente al difetto di contestazione formulata per la prima volta in sede di legittimità risulta tardiva e, perciò, inammissibile.

Il secondo motivo di ricorso è al limite dell'ammissibilità, risolvendosi nella contestazione fattuale dell'accertamento relativo alla esecuzione dei lavori abusivi da parte dell'imputato, nella qualità accertata di presidente della cooperativa, e, peraltro, è infondato.

Entrambe le pronunce di merito, infatti, hanno accertato che l'esecuzione dei lavori era ancora in corso alla data dell'accertamento e, quindi, a maggior ragione allorché l'imputato ha assunto la qualità di responsabile della cooperativa.
Peraltro, la prosecuzione di interventi in parte abusivi determina la responsabilità per la violazione edilizia anche a carico di colui che abbia proseguito o portato a compimento l'opera nel suo complesso.

E', infine, infondato l'ultimo motivo di gravame.

La costruzione in totale difformità del permesso di costruire può derivare, oltre che da consistenti aumenti di volumetria o altre rilevanti modificazioni della struttura esterna dell'immobile, anche dalla esecuzione di interventi all'interno di un fabbricato che determinino la modificazione di parte dell'edificio, allorché tale modificazione abbia rilevanza urbanistica (in quanto incidente sull'assetto del territorio, aumentando il cosiddetto carico urbanistico), quali ad esempio la modificazione della destinazione d'uso di parte dell'immobile rispetto a quanto assentito con il provvedimento autorizzatorio. (cfr. sez. VI, 7.1.1999 n. 12271, Fusco G. e altri, RV 214526; sez. III, 11.12.2007 n. 4555 del 2008, P.M. in proc. Nurgia, RV 238854).

Inoltre, il reato di esecuzione dei lavori in totale difformità dal permesso di costruire (art. 44, comma primo, lett. b) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) non presuppone necessariamente il completamento dell'opera, ma è altresì configurabile nel corso dell'esecuzione degli interventi edilizi, allorché la difformità risulti palese durante l'esecuzione dei lavori, in quanto dalle opere già compiute appare evidente la realizzazione di un organismo diverso da quello assentito. (cfr. sez. 111, 20.9.2007 n. 41578, Brancato, RV 238000; sez. III, 30.1.2008 n. 13592, P.M. in proc. Dinolfo, RV 239837).

In corso d'opera, pertanto, l'accertamento del mutamento di destinazione d'uso va effettuato sulla base della individuazione di elementi univocamente significativi, propri, del diverso uso cui è destinata l'opera e non coerenti con la destinazione originaria.

Si tratta di un accertamento di fatto che, se oggetto di adeguata motivazione, si sottrae al sindacato in sede di legittimità.

Orbene, nel caso in esame, i giudici di merito hanno accertato che i servizi realizzati (di natura idraulica, elettrica, relative alle condotte del gas o a impianti di condizionamento aria) all'interno delle parti del fabbricato destinate ad uso non abitativo sono inequivocabilmente dimostrative della diversa destinazione in corso di realizzazione, non assentita dal permesso di costruire e certamente idonea ad incidere sul carico urbanistico, sicché nella specie il reato era già sussistente, non occorrendo certamente il completamento degli interventi abusivi per configurarlo, e la motivazione sul punto si palesa adeguata ed immune da vizi logici.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

Così deciso in Roma nella pubblica udienza del 26.12011.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA Il 9 MAR. 2011