Cass. Sez. III n. 42453 del 22 ottobre 2015 (Cc 7 mag 2015)
Presidente: Fiale Estensore: Aceto Imputato: Fedeli e altri
Urbanistica.Mutamento della destinazione d'uso con opere edilizie

È configurabile il reato di cui all'art. 44, comma primo, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, commesso mediante il mutamento abusivo, con opere, della destinazione d'uso di un immobile, quando viene effettuata la predisposizione di impianti tecnologici sottotraccia all'interno di un vano autorizzato come "vuoto tecnico", in quanto tale tipologia di intervento costituisce circostanza idonea per ritenere la destinazione abitativa dell'immobile. (In motivazione, la Corte ha altresì osservato che, nel caso di modifica della destinazione d'uso realizzata mediante l'esecuzione di opere edili, il reato si consuma sin dall'inizio dei lavori, non essendo necessario attenderne il completamento).


 RITENUTO IN FATTO

1.I sigg.ri D'Orazio Maurizio, Fedeli Vanda e Gaggioli Sergio ricorrono per l'annullamento dell'ordinanza del 30/07/2014 del Tribunale di Grosseto che ha respinto l'istanza di riesame da loro proposta avverso il decreto del 27/06/2014 del Giudice per le indagini preliminari di quello stesso Tribunale che, sulla ritenuta sussistenza indiziaria del reato di cui agli artt. 110, cod. pen., 44, comma 1, lett. b), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, aveva ordinato il sequestro preventivo, a fini cautelari, delle opere abusivamente realizzate all'interno di un immobile in corso di costruzione. Secondo l'imputazione provvisoria gli odierni ricorrenti, nella loro qualità di proprietaria dell'immobile la Fedeli, committente dei lavori il D'Orazio, titolare dell'impresa esecutrice degli stessi il Gaggioli, in totale difformità dal permesso di costruire n. 18 rilasciato dal Comune di Massa Marittima il 22/04/2013, avevano trasformato con opere (tramezzature, scarichi e predisposizione di impianti elettrici, idraulici e per il riscaldamento) il locale destinato in progetto a «camera d'aria non accessibile» in vano residenziale.

1.1. Con unico, articolato motivo eccepiscono, sotto il profilo della insussistenza del reato, la liceità dell'intervento perchè, trattandosi di vuoto tecnico ispezionabile collegato al resto dell'abitazione da una botola effettuata sul piano di calpestio del vano superiore, deve essere qualificato come variante in corso d'opera che, ai sensi della L.R. Toscana n. 1 del 2005, art. 83-bis, comma 2, non comporta la sospensione dei lavori. Sotto il profilo cautelare eccepiscono la non utilizzabilità del vano perchè non altrimenti accessibile in assenza di scala, non realizzata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. I ricorsi sono inammissibili perchè proposti per motivi non consentiti dalla legge e comunque palesemente infondati.

3. I ricorrenti contestano, mediante l'inammissibile richiamo agli atti di indagine, che l'impiantistica elettrica, idraulica e di riscaldamento, pur rilevata in sede di sopralluogo, fosse a servizio del vano definito come vuoto tecnico.

3.1. La deduzione ha natura fattuale perchè non contrappone argomenti di diritto all'ordinanza impugnata e, nella misura in cui pretende di mettere questa Suprema Corte in contatto diretto con gli indizi di reato ai fini di una loro autonoma (ri)valutazione, non è scrutinabile.

3.2. In questa fase di giudizio è sufficiente ricordare che: a) la predisposizione di impianti tecnologici sottotraccia costituisce circostanza di fatto idonea a ritenere la destinazione a fini abitativi del vano interessato; b) quando la modifica della destinazione d'uso si realizza attraverso l'esecuzione di opere edili il reato si consuma sin dall'inizio dei lavori, non essendo necessario attenderne il completamento.

3.3. La tesi difensiva secondo la quale l'intervento edilizio sarebbe in ogni caso consentito ai sensi della L.R. Toscana 3 gennaio 2005, n. 1, art. 83 (oggi sostituito dalla L.R. 10 novembre 2014, n. 65, art. 43), è generica.

3.4. la L.R. Toscana n. 1 del 2005, art. 83 bis infatti, così recita: 1. Le varianti in corso d'opera al permesso di costruire o alla SCIA non comportano la sospensione dei relativi lavori qualora ricorrano tutte le seguenti condizioni: a) dette varianti siano conformi agli atti di governo del territorio di cui all'art. 52, comma 2, o agli strumenti urbanistici generali vigenti, ai regolamenti edilizi vigenti e comunque non siano in contrasto con le prescrizioni contenute nel titolo abilitativo; b) non comportino modifiche della sagoma, nè introducano innovazioni che incidono sulle quantità edificabili consentite dagli strumenti e dagli atti comunali, o che comportino incrementi di volumetria, oppure che incidono sulle dotazioni di standard; c) non riguardino beni tutelati ai sensi della parte 2^ del Codice dei beni culturali e del paesaggio; d) nel caso in cui riguardino l'aspetto esteriore di immobili o aree tutelate ai sensi della parte 3^ del Codice dei beni culturali e del paesaggio, siano realizzate a seguito del rilascio della relativa autorizzazione, oppure abbiano ad oggetto gli interventi di cui all'articolo 149 del Codice medesimo.

2. Per le varianti che non comportano la sospensione dei relativi lavori ai sensi del comma 1, sussiste esclusivamente l'obbligo del deposito dello stato finale dell'opera come effettivamente realizzata. L'eventuale conguaglio del contributo di cui all'art. 105, determinato con riferimento alla data del titolo abilitativo, è effettuato contestualmente agli adempimenti di cui all'art. 86 e comunque prima della scadenza del termine di validità del titolo abilitativo.

3.5. Ai fini dell'applicazione della norma è dunque necessario che concorrano congiuntamente tutte le condizioni di fatto e di diritto in essa previste, nessuna delle quali è stata dedotta dai ricorrenti.

3.6. Ne consegue che è corretta l'affermazione di sussistenza indiziaria del reato provvisoriamente ipotizzato ai fini dell'adozione del provvedimento cautelare.

3.7. Quanto alle finalità cautelari del provvedimento va ricordato che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte la natura (eventualmente) permanente dei reati edilizi cessa solo con l'ultimazione dei lavori.

3.8. L'interruzione della permanenza del reato legittima di per sè l'adozione del provvedimento cautelare reale.

4. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 7 maggio 2015.