Cass. Sez. III n.9558 del 10 marzo 2025 (UP 18 dic. 2024)
Pres. Ramacci Est. Aceto Ric. A.
Urbanistica.Natura dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna

L'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, con effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso, con la conseguenza che non può ricondursi alla nozione convenzionale di “pena", nel senso elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU, e non è soggetto a prescrizione. 

RITENUTO IN FATTO
 
1.Omissis e Omissis ricorrono per l’annullamento dell’ordinanza del 6 agosto 2024 del Tribunale di Napoli - Sez. dist. di Ischia, che ha rigettato l’istanza di revoca e/o annullamento dell’ordine di demolizione emesso dal Pubblico ministero in esecuzione della sentenza del 26 giugno 1998 pronunciata dal Pretore di Napoli - Sez. dist. di Ischia, nei confronti della loro madre donante, omissis, e che ordinava la demolizione delle opere abusivamente realizzate.
1.1.Con il primo motivo deducono la nullità dell’ordinanza impugnata per violazione dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, avendo il Comune effettuato una scelta conservativa dell’immobile rilasciando il permesso di costruire in sanatoria n. 9 del 19 aprile 2018. Viene così meno - affermano - la condizione dell’inerzia della pubblica amministrazione che legittima l’intervento giudiziario.
1.2.Con il secondo motivo deducono la violazione dell’art. 5, All. E, legge 20 marzo 1865, perché l’ordinanza impugnata ha illegittimamente disapplicato il permesso di costruire in sanatoria.
1.3.Con il terzo motivo deducono la violazione dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 sotto il diverso profilo della mancanza di motivazione sulla persistente sussistenza dell’interesse pubblico alla attuale demolizione di un edificio realizzato nel 1993.
1.4.Con il quarto motivo deducono l’erronea determinazione dell’oggetto della demolizione, la violazione dell’art. 661 cod. proc. pen. nell’esecuzione del titolo, il travisamento dei dati di fatto e il difetto di prova, lamentando che l’ordine di demolizione è stato illegittimamente esteso ad un manufatto (costruzione a tre piani rifinita e abitata, destinata a civile abitazione e costruita in aderenza a quello allo stato grezzo a due piani contemplato dalla sentenza del Pretore).
1.5.Con il quinto motivo deducono la violazione dell’art. 35, comma 14, d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 661 cod. proc. pen., osservando che entrambi i manufatti erano completi al grezzo e completi strutturalmente alla data del 31/12/1993 non rilevando i modesti incrementi del manufatto destinato a civile abitazione eseguiti dopo il rilascio della concessione edilizia n. 21/1993 pur se in difformità dalla stessa.   
1.6.Con il sesto motivo deducono la violazione dell’art. 34 d.P.R. n. 380 del 2001 sostenendo, al riguardo, l’impossibilità di demolire anche il fabbricato legittimamente realizzato in esecuzione della concessione edilizia n. 21/1993, non corrispondendo oltretutto a vero che sia impossibile distinguere la parte incrementata da quella legittima, secondo quanto afferma il Tribunale.
1.7.Con il settimo motivo deducono l’erronea applicazione degli artt. 32, 35, 38 e 44 d.P.R. n. 380 del 2001 in considerazione dell’avvenuta sanatoria rilasciata dal Comune di omissis ai sensi dell’art. 25 legge n. 130 del 2018 con permesso n. 9 del 2018 legittimo e non disapplicabile. 
1.8.Con l’ottavo motivo deducono l’erronea applicazione dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 sotto l’ulteriore profilo che il potere di disapplicazione incidentale di un provvedimento amministrativo non può superare l’anno dalla sua adozione.
1.9.Con il nono motivo deducono l’erronea applicazione dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 in relazione all’art. 8 CEDU e alla condizione di disabilità fisica del omissis che non può essere privato della propria abitazione priva di barriere architettoniche e che non può quindi essere demolita fino a quando il Comune non approverà il Piano Urbanistico Comunale per la realizzazione degli alloggi di edilizia popolare e convenzionata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
 
2.I ricorsi sono inammissibili.
3.Nei confronti di omissis era stata pronunciata, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., sentenza di applicazione della pena per aver iniziato, continuato ed eseguito, in assenza di concessione edilizia e delle autorizzazioni degli enti preposti alla tutela dei vincoli paesaggistico e sismico gravanti sulla zona, le seguenti opere: manufatto con struttura portante in blocchi di lapilcemento e solaio di copertura ancora puntellato di mt. 13x8, alto mt. 3 circa allo stato grezzo; un manufatto di mt. 13x4,60 in muratura con solaio di copertura; totale demolizione di un manufatto preesistente ed inizio di ricostruzione; realizzazione ex novo di un altro corpo di fabbrica di 29 mq allo stato grezzo. Il reato è stato accertato il 21 maggio 1994 ma l’imputata aveva proseguito i lavori, nonostante i vari sequestri, fino al 30 ottobre 1996.
3.1.La sentenza è stata pronunciata il 26 giugno 1998 ed è divenuta irrevocabile il 26 luglio 1998. Con la sentenza era stata altresì ordinata la demolizione delle opere abusivamente realizzate (se non altrimenti eseguita) e il ripristino dello stato dei luoghi.
3.2.Il 22 maggio 2023, gli odierni ricorrenti hanno ricevuto, nella loro già indicata qualità, la notifica dell’ordine di demolizione delle opere abusivamente realizzate dalla loro dante causa. In particolare, sono donatari dei beni censiti al foglio di mappa 2, part. 1081, sub 3 (donato ad omissis) e sub 2 (donato ad omissis), del Comune di omissis. La particella sub 1, invece, indica la corte comune.
4.Dalla lettura dell’ordinanza impugnata risulta che:
4.1.nel mese di gennaio dell’anno 1992, omissis aveva presentato domanda di concessione per il restauro e il consolidamento statico di un fabbricato in omissis con ricostruzione di un muro di sostegno, realizzazione di cisterna interrata, pozzo nero a tenuta e impianto di fosse biologiche; 
4.2.fu rilasciata la concessione n. 21/1993 subordinatamente alla condizione che non fossero modificati i prospetti, le volumetrie e le superfici esistenti; che non fosse mutata la destinazione d'uso del fabbricato, della cisterna e del pozzo nero; che il paramento esterno del muro venisse realizzato in pietra locale e che fossero rispettate le prescrizioni in rosso nei grafici;
4.3.dal semplice confronto con il disegno in pianta allegato al permesso in sanatoria n. 19/2018 risulta - anche solo con riguardo alla parte indicata come "locale grezzo" - che la struttura è stata integralmente modificata e notevolmente ampliata;
4.4.non si tratta di abusi distinti ed eseguiti in difformità dalla concessione edilizia n. 21/93 (avente ad oggetto - come detto - il solo restauro e il risanamento del fabbricato già esistente), ma di opere di significativo rilievo strutturale e dimensionale, realizzate previa demolizione dell'immobile che insisteva sul terreno acquistato da omissis e costruzione di due corpi di fabbrica in aderenza l'uno all'altro, di ampie dimensioni: il primo, poi completato e rifinito, di tre livelli; il secondo, tuttora al grezzo, di due livelli, con terrazzi e corte comune;
4.5.le dimensioni e la struttura sono ben percepibili dalle fotografie depositate, facenti parte delle pratiche di condono e delle relazioni tecniche, e dai disegni allegati alle quattro domande di sanatoria, due rilasciate ai sensi del condono del 1994, due ai sensi di quello del 2003;
4.6.benché le domande siano state compilate tenendo distinti i due corpi di fabbrica tra loro aderenti, in realtà essi costituiscono un unico complesso immobiliare appartenente, prima delle donazioni, a un'unica proprietaria e realizzato - non ancora completato - con interventi successivi sicuramente oltre il termine della sanatoria di cui alla legge n. 724/94 (31 dicembre 1993), come risulta dagli accertamenti della polizia giudiziaria che aveva operato almeno due sequestri e accertato lo stato di avanzamento dei lavori fino al mese di ottobre 1996;
4.7.le domande sono citate anche nell’atto di donazione datato 7 gennaio 2008;
4.8.la stessa relazione tecnica di parte redatta al fine di integrare la documentazione a corredo delle domande di condono come prevista da una delibera di Giunta comunale n. 67/2016 non può fare a meno di qualificare l’opera come un fabbricato unico, descritto come «complesso immobiliare con destinazione residenziale […] censita al foglio omissis»;
4.9.anche nelle relazioni depositate in sede di incidente di esecuzione, gli stessi tecnici di parte non possono fare a meno di constatare l'unitarietà strutturale del complesso edilizio;
4.10.il punto è - annota l’ordinanza - che alla luce dei grafici, delle istanze e dei documenti depositati non esiste una porzione legittima e una incrementata illegittima, essendo stata accertata (ed oggetto di condanna) la totale demolizione del fabbricato preesistente e la ricostruzione ex novo di un manufatto edilizio del tutto diverso, oltre che di cubatura e superfici estremamente più consistenti;
4.11.in sede di esecuzione dell’ordine di demolizione si è poi accertato che oltre ai manufatti descritti e riportati in sentenza, sono state successivamente realizzate ulteriori opere in aderenza e direttamente collegate a quelle formanti oggetto dell’ordine di demolizione; 
4.12.nel 1995 e nel 2004 sono state presentate due domande di condono tenute distinte per ciascuno dei due cespiti oggetto di successiva donazione;
4.13.le domande di sanatoria proposte ai sensi della legge n. 326 del 2003 danno atto della prosecuzione delle attività edilizie sui manufatti oggetto delle precedenti domande di condono, con conseguente inammissibilità di quelle presentate ai sensi della legge n. 724 del 1994 (trattandosi di opere eseguite anche dopo il 31 dicembre 1993) e della legge n. 326 del 2003 (queste ultime perché relative a immobili sottoposti a vincolo);
4.14.ciò nondimeno - annota il Giudice - il Comune di omissis ha rilasciato il permesso di costruire in sanatoria n. 9 del 19 aprile 2018 che è illegittimo ed è, dunque, disapplicabile, indipendentemente dall’applicazione del cd. “decreto Genova” emanato dopo il rilascio dell’atto (e dunque inapplicabile alle domande già definite);
4.15.l’immobile di titolarità di omissis, del cui nucleo familiare fa parte il figlio, disabile al 100%, è ancora allo stato rustico e non abitato dal ricorrente che risiede, insieme con la famiglia, in omissis (la porzione attualmente abitata da omissis, quella sviluppata su tre livelli, è invece completata);
4.16.invece di cercare una soluzione alternativa, i ricorrenti hanno preferito perseverare nel mantenimento della struttura abusiva nella piena consapevolezza di tale abusività;
4.17.non vi è, infine, alcuna evidenza della esistenza di un progetto volto alla acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale, tanto meno di una delibera di mantenimento dell’immobile.
5.Tanto premesso, il primo motivo è manifestamente infondato.
5.1.Va in primo luogo ricordato che l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito con la sentenza di condanna, non è caducato in modo automatico dal rilascio del permesso di costruire in sanatoria, dovendo il giudice dell’esecuzione controllare la legittimità dell'atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio, la corrispondenza di quanto autorizzato alle opere destinate alla demolizione e, qualora trovino applicazione disposizioni introdotte da leggi regionali, la conformità delle stesse ai principi generali fissati dalla legislazione nazionale (Sez. 3, n. 55028 del 09/11/2018, B., Rv. 274135 - 01; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci, Rv. 260972 - 01; Sez. 3, n. 42164 del 09/07/2013, Brasiello, Rv. 256679 - 01; Sez. 3, n. 40475 del 28/09/2010, Ventrici, Rv. 249306 - 01; Sez. 3, n. 46831 del 16/11/2005, Vuocolo, Rv. 232642 - 01).
5.2.In secondo luogo, la rinuncia del Comune alla demolizione presuppone che: a) l’immobile sia stato acquisito al patrimonio del Comune a seguito dell’inottemperanza all’ordine di demolizione emesso ai sensi dell’art. 31, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001; b) la decisione di mantenere dell’immobile venga deliberata dal consiglio comunale (art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001).
5.3.Nel caso di specie, non vi è nemmeno prova della acquisizione dell’opera al patrimonio comunale, vi è anzi prova del contrario, essendo stata donata ai figli dell’autrice degli abusi nel 2008; il permesso di sanatoria (peraltro sindacabile) è stato adottato dall’ufficio tecnico comunale laddove l'organo competente a manifestare la volontà conservativa dell’ente è da individuarsi in distinti e superiori organi comunali (Sez. 3, n. 3261 del 17/11/2020, dep. 2021, Riccardi, Rv. 280870 - 01, secondo cui il rilascio di concessione o permesso in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non presuppone, quale atto implicito, la rinuncia da parte del Comune al diritto di proprietà sull'opera abusiva già acquisita al suo patrimonio a seguito del decorso del termine di 90 giorni dalla notifica dell'ordine di demolizione, non essendovi coincidenza, sul piano della competenza, tra l'organo adottante l'atto presupponente (permesso in sanatoria) – ufficio tecnico comunale – e l'organo competente alla adozione dell'atto presupposto implicito (rinuncia al diritto di proprietà), da individuarsi in distinti e superiori organi comunali).
6.Le considerazioni che precedono militano a favore della assoluta inconsistenza anche del secondo motivo.
6.1.Va invero ulteriormente spiegato che il giudice penale ha il potere-dovere di verificare in via incidentale la legittimità del permesso di costruire in sanatoria e la conformità delle opere agli strumenti urbanistici, ai regolamenti edilizi ed alla disciplina legislativa in materia urbanistico-edilizia, senza che ciò comporti l'eventuale "disapplicazione" dell'atto amministrativo ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, atteso che viene operata una identificazione in concreto della fattispecie con riferimento all'oggetto della tutela, da identificarsi nella salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio regolati dagli strumenti urbanistici (Sez. 3, n. 46477 del 13/07/2017, Menga, Rv. 273218 - 01; Sez. 3, n. 36366 del 16/06/2015, Faiola, Rv. 265034 - 01; nel senso che il controllo di legalità del giudice ordinario sul permesso di costruire, anche in sanatoria, non comporta la "disapplicazione" da parte del giudice penale dell'atto amministrativo concessorio, Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993, Borgia, Rv. 195359 - 01).
6.2.Il giudice dell'esecuzione penale è sempre titolato ad esercitare il proprio sindacato sulla legittimità del provvedimento abilitativo in sanatoria (Sez. 3, n. 26004 del 05/04/2019, Messina, Rv. 276014 - 01) disapplicandolo ove lo stesso sia stato emesso in assenza delle condizioni formali e sostanziali di legge previste per la sua esistenza e non anche nell'ipotesi di mancato rispetto delle norme che, regolando l'esercizio del potere amministrativo, determinano solo invalidità (Sez. 3, n. 25485 del 17/03/2009, Consolo, Rv. 243905 - 01; Sez. 3, n. 1104 del 25/11/2004, Calabrese, Rv. 230815 - 01), non dovendo il giudice dell’esecuzione penale applicare atti amministrativi non conformi alla legge (Sez. 3, n. 7736 del 22/01/2001, Pratesi, Rv. 219157 - 01).
6.3.Più in generale, il giudice dell’esecuzione, ai fini della revoca dell'ordine di demolizione di un immobile oggetto di condono edilizio, deve verificare la legittimità del sopravvenuto atto concessorio nei termini indicati al § 4.1 (oltre la giurisprudenza ivi richiamata, si vedano anche Sez. 3, n. 37470 del 22/05/2019, Rv. 277668 - 01; Sez. 3, n. 30016 del 14/07/2011, D'Urso, Rv. 251023 - 01; Sez. 3, n. 25485 del 17/03/2009, Consolo, Rv. 243905 - 01), essendo operante, anche in tema di condono, il principio secondo il quale l'esecutività del provvedimento giudiziale applicativo della sanzione amministrativa della demolizione, e la vincolatività del relativo comando per il soggetto destinatario, vengono meno, una volta definita la procedura di sanatoria, sempre che il giudice riscontri la regolarità dell’atto amministrativo sotto il profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge (cfr. Sez. 3, n. 11051 del 30/01/2003, Rv. 224346 - 01; Sez. 3, n. 3196 del 27/11/1998, dep. 01/03/1999, Rv. 213010 - 01).
7.Il terzo motivo è manifestamente infondato.
7.1.L'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, con effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso, con la conseguenza che non può ricondursi alla nozione convenzionale di “pena", nel senso elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU, e non è soggetto a prescrizione (Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Rv. 275850 - 02; Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Rv. 267977 - 01; Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Rv. 265540 - 01; Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Rv. 264736 - 01; Sez. 3, n. 19742 del 14/04/2011, Rv. 250336 - 01). Come diffusamente spiegato da Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Delorier, Rv. 265540, già con la sentenza Sez. 3, n. 48925 del 22/10/2009, Viesti e altri, Rv. 245918, la Corte di cassazione, in base alle argomentazioni sviluppate dalla stessa Corte e.d.u. (in essa richiamate), aveva chiaramente affermato che la demolizione, a differenza della confisca, non può considerarsi una «pena» nemmeno ai sensi dell'art. 7 della CEDU, perché «essa tende alla riparazione effettiva di un danno e non è rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge». 
7.2.Né rileva l’affidamento che il titolare del bene da demolire possa fare sull’inerzia della AG: il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento (Cons. St., Ad. Plen., n. 9 del 17/10/2017).
8.Anche il quarto motivo è manifestamente infondato.
8.1.In presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori, pur se riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, della ristrutturazione o della costruzione di opere costituenti pertinenze urbanistiche, ripetono le caratteristiche d'illiceità dell'opera abusiva cui ineriscono strutturalmente, giacché nemmeno la presentazione della domanda di condono (nel caso di specie presentata dopo la realizzazione degli abusi) autorizza l'interessato a completare ad libitum e men che mai a trasformare o ampliare i manufatti oggetto di siffatta richiesta, stante la permanenza dell'illecito fino alla sanatoria (Cons. Stato, Sez. VI, 20/12/2022, n. 11110; Cons. Stato, Sez. VI, 13/11/2018, n. 6367). 
8.2.Ne consegue che la realizzazione dei lavori di completamento di un manufatto abusivo prima della presentazione della domanda di sanatoria determina la radicale abusività dell’intero fabbricato, non solo della parte oggetto dei nuovi lavori. Qualsiasi intervento effettuato su una costruzione realizzata abusivamente, ancorché l'abuso non sia stato represso, costituisce ripresa dell'attività criminosa originaria, integrante un nuovo reato edilizio; ne consegue che, allorché l'opera abusiva perisca in tutto o in parte o necessiti di attività manutentive, il proprietario non acquista il diritto di ricostruirla o di ristrutturarla o manutenerla senza titolo abilitativo, giacché anche gli interventi di manutenzione ordinaria presuppongono che l'edificio sul quale si interviene sia stato costruito legittimamente (Sez. 3, n. 38495 del 19/05/2016, Waly, Rv. 267582 - 01; Sez. 3, n. 40843 del 11/10/2005, Daniele, Rv. 232364 - 01; più recentemente, nello stesso senso, Sez. 3, n. 30673 del 24/06/2021, Saracino, Rv. 282162 - 01; Sez. 3, n. 48026 del 10/10/2019, Casola, Rv. 277349 - 01).
8.3.Ed invero, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall'art. 31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l'edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all'esercizio dell'azione penale e/o alla condanna, atteso che l'obbligo di demolizione si configura come un dovere di "restitutio in integrum" dello stato dei luoghi e, come tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell'originaria costruzione (Sez. 3, n. 6049 del 27/09/2016, dep, 2017, Molinari, Rv. 268831 - 01; Sez. 3, n. 38947 del 09/07/2013, Amore, Rv. 256431 - 01; Sez. 3, n.21797 del 27/04/2011, Apuzzo, Rv. 250389 - 01; Sez. 3, n. 2872 dell’11/12/2008, dep. 2009, Corimbi, Rv. 242163 - 01; Sez. 3, n. 10248 del 18/01/2001, Vitrani, Rv. 218961 - 01; Sez. 3, n. 33648 del 08/07/2022, n.m.; Sez. 3, n. 41180 del 20/10/2021, n.m.; Sez. 3, n. 30298 del 02/07/2021, n.m.; Sez. 3, n. 19112 del 10/06/2020, n.m.).
8.4.La affermata unicità dell’opera non può essere sovvertita in questa sede mediante le inammissibili deduzioni in fatto articolate dai ricorrenti.
9.Anche il quinto motivo è manifestamente infondato.
9.1.La natura interamente abusiva dell’opera (unica - come detto - nella sua consistenza originaria) realizzata in assenza di titoli edilizi osta alla fiscalizzazione dell’abuso stesso ai sensi dell’art. 34 d.P.R. n. 380 del 2001, inapplicabile in caso di interventi edilizi realizzati in assenza o in totale difformità dal titolo edilizio (Sez. 3, n. 40565 del 03/10/2024, Carulli, Rv. 287157 - 01; Sez. 3, n. 1443 del 18/11/2019, dep. 2020, Bellocco, Rv. 277724 - 01; Sez. 3, n. 28748 del 11/05/2018, Pellegrino, Rv. 273291 - 01).
9.2.I ricorrenti postulano la realizzazione di modesti incrementi rispetto alla concessione edilizia n. 21/1993 negligendo totalmente che la concessione era stata rilasciata per il restauro ed il risanamento del fabbricato già esistente e che la costruzione dell’opera era proseguita ben oltre i termini previsti per il condono del 1994 assumendo la consistenza accertata nel 1996 nei termini descritti dal giudice dell’esecuzione.
10.Per gli stessi motivi è manifestamente infondato il sesto motivo che predica una parte “lecita” dell’immobile da demolire diversa e distinta da quella oggetto di condanna.
10.1.Va ulteriormente precisato che la (formale) diversità dei due immobili dipende esclusivamente dalla scelta, operata nel 2008 dalla autrice degli abusi, di donare ai figli l’immobile stessa previa divisione catastale delle particelle.
10.2.Ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che faccia capo ad un unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad una unica concessione in sanatoria, onde evitare la elusione del limite di settecentocinquanta metri cubi attraverso la considerazione di ciascuna parte in luogo dell'intero complesso (Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016, Boccia, Rv. 269280 - 01; Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2014, dep. 2014, Cantiello, Rv. 259292 - 01; Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2013, Cantiello, Rv. 259292 - 01; Sez. 3, n. 20161 del 19/05/2005, Merra, Rv. 231643 - 01; Sez. 3, n. 8584 del 26/04/1999, La Mantia, Rv. 214280 - 01).
10.3.Tale principio è stato confermato anche in tema di condono edilizio previsto dal d.l. 30 novembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, essendo stato affermato che la presentazione di plurime istanze di sanatoria relative a distinte unità immobiliari, ciascuna di volumetria non eccedente i 750 mc., costituisce artificioso frazionamento della domanda, in caso di nuova costruzione di volumetria inferiore a 3.000 mc., la cui realizzazione sia ascrivibile ad un unico soggetto (Sez. 3, n. 2840 del 18/11/2021, dep. 2022, Vicale, Rv. 282887 - 01, in fattispecie relativa a nuova costruzione avente volumetria complessiva di circa 2.200 mc., composta da quattro unità immobiliari, rispetto alla quale risultavano presentate, da soggetti diversi dall'autore dell'edificazione, due istanze di condono per unità di volumetria inferiore a 750 mc).
10.4.L’unitarietà del complesso immobiliare deve essere riferita al centro di imputazione di interessi cui esso fa riferimento, dovendosi intendere per tale non l’unicità della persona fisica titolare di tali interessi bensì la unicità della situazione giuridica soggettiva attiva della quale il bene è oggetto, ancorché facente capo a più persone; anche nel caso di comproprietà, quello che rileva è il rapporto tra il bene e il diritto del quale è oggetto non tra il bene e la pluralità di persone che possono disporne.
10.5.Nel caso di specie, l’immobile (che supera complessivamente i 750 mc) è unico ed all’epoca degli abusi era oggetto del diritto di proprietà della madre (donante) degli odierni ricorrenti (figli); solo successivamente è stato frazionato.
11.Il settimo, l’ottavo ed il nono motivo sono manifestamente infondati.
11.1.Quanto alla applicazione del cd. decreto “Genova”, va ricordato che la procedura acceleratoria prevista dall'art. 25 d.l. 28 settembre 2018, n. 109, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2018, n. 130, per le domande di condono già presentate, riguardanti gli immobili danneggiati dagli eventi sismici del 17/08/2017 ubicati nei comuni di Casamicciola Terme, di Forio e di Lacco Ameno, non trova applicazione in relazione agli immobili che non possono usufruire dei contributi statali per la riparazione e la ricostruzione di cui all'art. 21, comma 2-bis, d.l. citato, in quanto oggetto di ordine di demolizione o di ripristino impartito dal giudice penale (Sez. 3, n. 14583 del 02/03/2023, Di Maglio, Rv. 284461 - 01; Sez. 3, n. 873 del 14/12/2023, dep. 2024, Miragliuolo, non mass.).
11.2.Quanto, invece, alla presenza di una persona disabile nel nucleo famigliare di uno dei due ricorrenti è sufficiente evidenziare che, come detto dal Giudice dell’esecuzione e non contestato, tale nucleo risiede altrove ed il ricorrente è proprietario della parte nemmeno ultimata dell’opera nella quale, appunto, non vive.
12.Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., essendo essa ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente nella misura di € 3.000,00. Il Collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. 1, comma 64, legge n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.