Cass. Sez. III n. 34627 del 20 settembre 2022 (UP 8 set 2022)
Pres. Ramacci Est. Corbetta Ric. Parisi
Urbanistica.Rapporto tra disciplina nazionale e regionale

In materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Palermo confermava la pronuncia emessa dal Tribunale di Trapani e appellata dall’imputato, la quale aveva condannato  Leonardo Parisi Maiorana alla pena ritenuta di giustizia, con i doppi benefici di legge, per i reati di cui agli artt. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 (capo 1) – in esso assorbito il reato di cui agli artt. 142-146 e 181 d.lgs. n. 42 del 2004 in relazione all’art. 20, lett. c), l. n. 47 del 1985 di cui al capo 3 -, 44 d.P.R. n. 380 del 2001 (capo 2) e 734 cod. pen. (capo 4), con riferimento alla realizzazione, in area sottoposta a vincolo paesaggistico e ambientale, in assenza della prescritta autorizzazione rilasciata dalla competente autorità e del necessario permesso di costruire, di una recinzione di un’area con pali di ferro e rete ad uso gallinaio, di un casotto in legno di dimensioni di tre metri per due e di una struttura formata da tubi in acciaio di dimensioni di otto metri per dodici coperta da un telo in pvc.

2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce il vizio di motivazione in relazione all’affermazione della penale responsabilità. Lamenta il difensore che la Corte di merito avrebbe confermato la sentenza di primo grado su un presupposto giuridico  errato, ossia che le opere realizzate dall’imputato richiedano la preventiva autorizzazione e il necessario permesso di costruire, trattandosi non di strutture destinate a una stabile e non meramente temporanea utilizzazione, ma di opere precarie che, quindi, si inscrivono nel novero delle realizzazioni temporanee. Aggiunge il difensore che la Corte di merito avrebbe erroneamente valutato la sentenza del T.a.r. Sicilia n. 00333/2020, in atti, la quale ha  ritenuto che gli interventi in esame “non sono qualificabili in termini di opere edilizie e che pertanto non necessitavano di nulla osta della Soprintendenza e di autorizzazione edilizia” (p. 4 della sentenza). Rileva, infine, il difensore l’errata applicazione del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale è stato recepito dalla Regione Sicilia solo con la l.r. n. 16 del 2016, e, quindi, in epoca posteriore ai fatti.
2.2. Con il secondo motivo si eccepisce il vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, essendo la pena stata inflitta in misura eccessiva, in violazione della finalità rieducativa ex art. 27, comma 3, Cost. e dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo è inammissibile perché generico, in quanto non si correla con le argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata.

3. Si rammenta che, secondo il consolidato orientamento assunto da questa Corte di legittimità,  in materia edilizia, al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto per la sua asserita natura precaria, la stessa non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo (Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014, dep. 13/01/2015, Mandredini, Rv. 261636: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto penalmente rilevante la realizzazione abusiva di una stalla costruita con pali in legno saldamente ancorati al suolo e copertura in lamiera per soddisfare esigenze permanenti e durature nel tempo). Si è precisato, inoltre, che per definirsi precario un immobile, tanto da non richiedere il rilascio di un titolo abilitativo, è necessario ravvisare l'obiettiva ed intrinseca destinazione ad un uso temporaneo per specifiche esigenze contingenti, non rilevando che esso sia realizzato con materiali non abitualmente utilizzati per costruzioni stabili (Sez. 3, n. 5821 del 15/01/2019, dep.06/02/2019, Dule, Rv. 275697).

4. Allo modo, anteriormente all'emanazione del d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31 (Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata), questa Corte ha affermato che integra il reato previsto dall'art. 191, comma 1-bis, d.lgs. n. 42 del 2004,  la realizzazione su aree vincolate di interventi precari o facilmente amovibili in difetto di autorizzazione paesaggistica, anche in caso di occupazione temporanea del suolo per un periodo (inferiore a 120 giorni) predeterminato dalla normativa che regola la materia, trattandosi di attività da svolgere previo necessario assenso dell'Autorità amministrativa competente, sebbene all'esito di procedura semplificata (Sez. 3, n. 29080 del 19/03/2015, Palau, Rv. 264183).
Tale principio è stato ribadito a seguito dell’entrata in vigore del d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31, affermandosi che non è soggetta ad autorizzazione paesaggistica la sola realizzazione su aree vincolate di interventi precari o facilmente amovibili, anche in caso di occupazione temporanea del suolo, con installazione di manufatti senza opere murarie o di fondazione, per un periodo inferiore a 120 giorni (Sez. 3, n. 15125 del 24/10/2017, dep. 05/04/2018, p.m. In c. Moretti, Rv. 272587).

5. Orbene, facendo buon governo dei principi dinanzi evocati la Corte di merito  ha escluso che i manufatti in esame avessero una destinazione temporanea per fini contingenti e limitati nel tempo, sia perché, in un caso, una struttura era stabilmente destinata al ricovero di animali, e, nell’altro, il manufatto era saldamente fissato con dei tiranti ad alcuni massi sottostanti; sia perché l’imputato era solito svolgere l’attività di agricoltore, come logicamente desunto dalla presenza sui luoghi in esame di animali, di attrezzi di lavoro e di materiale di vario tipo, la cui quantità e accatastamento denotavano in maniera chiara ed univoca un uso abituale e risalente di tali manufatti, e perciò destinati allo stabile espletamento di attività lavorative quotidiane e non certamente a specifiche esigenze del tutto contingenti.

6. La Corte di merito, inoltre, con logica motivazione, ha escluso qualsiasi rilevanza alla menzionata sentenza del T.a.r. Sicilia, e ciò sul corretto presupposto giuridico, qui da ribadire, in forza del quale in materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (Sez. F, n. 46500 del 30/08/2018, dep. 12/10/2018, C., Rv. 274173; Sez. 3,  n. 30657 del 20/12/2016, dep. 20/06/2017, Calabrò, Rv. 270210).
Oltre a ciò, pur prescindendo dal fatto che non vi è prova che la sentenza del T.a.r. sia definitiva, si osserva che la valutazione del giudice penale in ordine alla legittimità di un atto amministrativo, costituente il presupposto di un reato, non è preclusa da un giudicato amministrativo formatosi all'esito di una controversia instaurata sulla base di mere allegazioni di parte, e, quindi, su presupposti fattuali diversi da quelli acquisiti ed accertati nel processo penale.

7. Privo di pregio è l’assunto difensivo secondo cui, al momento del fatto, non era ancora stato recepito dalla Regione Sicilia il d.P.R. 380 del 2001, posto che la l.r. n. 16 del 2016 non riguarda le disposizioni di carattere penale, le quali, in forza del principio della riserva di legge ex art. 25, comma 2, Cost., possono essere contenute esclusivamente in atti normativi aventi forza di legge statale, che hanno immediata valenza precettiva per tutto il territorio dello Stato.

8. Inammissibile è anche il secondo motivo.
8.1. Va premesso che la pena pecuniaria inflitta è illegale, essendo di gran lunga inferiore al minimo edittale; invero, per effetto dell’art. 32, comma 47, d.l 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni dalla l. 24 novembre 2003, n. 326, la pena pecuniaria prevista dall’art. 44, comma 1, lett. c) – a cui espressamente rinvia l’art. 181 d.lgs. n. 42 del 2006 – è pari a 30.986 euro, mentre il Tribunale ha inflitto la pena di 15.6000 euro; ovviamente, in assenza di impugnazione da parte del titolare della pubblica accusa, tale errore non è emendabile.
Ciò chiarito, evidentemente la censure relative all’eccessività della pena evaporano di fronte a tale ultima considerazione;  la motivazione relativa al trattamento punitivo appare comunque adeguata, avendo la Corte di appello rilevato come la pena è del tutto congrua in relazione ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen., dovendosi ribadire che nell'ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all'obbligo motivazionale di cui all'art. 125, comma 3, cod. proc. pen., anche ove adoperi espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congruo aumento", ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007 - dep. 03/09/2007, Ruggieri, Rv. 237402).
 8.2. In ogni caso, il motivo appare del tutto generico, perché si limita, in maniera astratta, a richiamare i parametri di cui agli artt. 27, comma 3, Cost. e 133 cod. pen., ma senza indicare puntuali elementi di fatto, presenti nel caso concreto, che, se valutati, avrebbero condotta a una più benevola commisurazione della pena.

9. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
Va, infine, rilevato che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, dep. 21/12/2000, D. L., Rv. 217266).


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 08/09/2022.