Cass. Sez. III n. 11999 del 22 marzo 2024 (CC 6 mar 2024)
Pres. Ramacci Est. Galanti Ric. Virga
Urbanistica.Realizzazione campo di padel

La realizzazione di un campo di padel, così come la conversione di un campo da tennis in un campo da padel, costituisce una «nuova costruzione», per la cui realizzazione è necessario il permesso di costruire. L’art. 71 comma 1 d. lgs. 117/2017 non è una disposizione urbanistica «stricto sensu», non avendo a oggetto il governo o la regolazione del territorio in sé; si limita piuttosto a prevedere un trattamento speciale in favore di certe categorie soggetti, non già a disciplinare l’uso del territorio in quanto tale. Pertanto, il comma in parola si qualifica come una norma di natura derogatoria alla disciplina urbanistica e non come una norma con natura urbanistica vera e propria. Da ciò consegue che la norma in parola facoltizza l’«utilizzo» di beni, anche se realizzati in modo difforme alla destinazione urbanistica, consentendo un «temporaneo» cambio di destinazione d’uso dei locali in cui si svolgono le attività istituzionali degli enti del Terzo Settore, che cesserebbe con il venire meno di uno dei requisiti, ma certamente non può intendersi nel senso di consentire in via generalizzata «nuove costruzioni» in assenza del rilascio dell’apposito titolo edilizio.


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 24/07/2023, il Tribunale del riesame di Palermo rigettava la richiesta di riesame avanzata dalla difesa dell’imputato avverso il decreto di sequestro preventivo di due campi da “padel” realizzati in Cefalù in zona vincolata paesaggisticamente e sismicamente e con destinazione d’uso “verde agricolo”, in relazione all’imputazione di cui all’articolo 44 d.P.R. 380/2001.

2. Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione l’imputato.
2.1. Con il primo motivo lamenta violazione di legge, carenza e vizio di motivazione. Il motivo si articola in diversi profili di doglianza.
In primo luogo, si contesta l’affermazione secondo cui la realizzazione di campi di “padel”, in riconversione di campi da tennis preesistenti, non rientri negli interventi di ristrutturazione edilizia «semplice» o «leggera», necessitante di semplice «SCIA», ma ha bisogno di permesso a costruire, nel caso di specie mancante, citando in proposito le indicazioni provenienti da alcuni uffici tecnici comunali, quale quello di Roma.
Evidenzia inoltre che, avendo l’imputato ottenuto sia il nulla-osta paesaggistico che il parere positivo dell’UTC del comune di Cefalù, vantava un legittimo affidamento sulla legittimità della procedura.
Sottolinea, ancora, come la società realizzatrice «Cefalù Vacanze srl», abbia poi ceduto alla società «Egger Sport srl» l’uso dei due campi: essa è società sportiva dilettantistica senza scopo di lucro, che rientra pacificamente nel c.d. «Terzo settore», per cui si deve ritenere che, ai sensi dell’articolo 71 d. lgs. 117/2017, le attività degli enti del terzo settore sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal d.m. 1444/68, circostanza elisa dal Tribunale del riesame con motivazione insufficiente (l’avere, la società solo richiesto l’iscrizione nel relativo registro).
2.2. Con il secondo motivo, lamenta violazione di legge, carenza e vizio di motivazione in riferimento al periculum in mora. 
Evidenzia il ricorrente come la motivazione del Tribunale del riesame (secondo cui, anche in caso di opere ultimate, l’aumento del carico urbanistico rende sempre presente il periculum in mora) sia solo «apparente». 

CONSIDERATO IN DIRITTO 
 
    1. Il ricorso è inammissibile.

2. In primo luogo il Collegio evidenzia come, a mente dell'art. 325 cod. proc. pen., il sindacato del giudice di legittimità avverso provvedimenti cautelari reali è consentito soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge nella cui nozione rientrano, oltre agli errores in iudicando o in procedendo, anche i vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal Giudice (Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093).
Sono, conseguentemente, inammissibili tutti i motivi che, direttamente o sotto l’ombrello della violazione di legge o della assenza o mera apparenza della motivazione, intendono censurare la tenuta logica del provvedimento impugnato, elemento comune ad entrambi i motivi di ricorso, che, assieme alla violazione di legge, contestano anche il vizio di motivazione.

3. Limitato, pertanto, lo scrutinio alla sola violazione di legge, il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
3.1. Preliminarmente, occorre evidenziare ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), del testo unico dell’edilizia, si configurano come interventi di ristrutturazione edilizia quelli volti a trasformare gli organismi edilizi per mezzo di un insieme di opere che possono portare ad un organismo diverso (tutto o in parte) da quello precedente. 
Questi interventi comprendono:
    • il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio;
    • l’eliminazione/la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti;
    • la demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche;
    • il ripristino di edifici (o parti di essi) crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.
Tutti gli interventi che ricadono nella definizione di ristrutturazione appena esplicitata, ma che non rientrano negli interventi subordinati a permesso di costruire (art. 10, comma 1, lett. c), configurano la c.d. «ristrutturazione edilizia leggera». 
L’articolo 10, comma 1, lettera c), del testo unico, a sua volta, prevede che siano sottoposti a permesso di costruire c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A), comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e, inoltre, gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino la demolizione e ricostruzione di edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142, del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, o il ripristino di edifici, crollati o demoliti, situati nelle medesime aree, in entrambi i casi ove siano previste modifiche della sagoma o dei prospetti o del sedime o delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente oppure siano previsti incrementi di volumetria.
Per gli interventi di ristrutturazione edilizia «leggera» è necessaria la presentazione della SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) ai sensi dell’art. 22 D.P.R. 380/2001, la cui assenza è sottoposta a sanzione amministrativa (ex art. 37 d.P.R. 380/2001).
Viceversa, per gli interventi di ristrutturazione edilizia «pesante» (art. 10 c.1 lettera d) e 10 c.1 lettera c) e gli interventi di «nuova costruzione» (art. 3 c.1 lettera e) e 10 c.1 lettera a) è richiesto il permesso di costruire.
3.2. Ciò premesso, il Collegio evidenzia come il regime autorizzativo relativo alla realizzazione di campi di Padel non sia quello invocato dal ricorrente.
Si è infatti chiarito (Sez. 3, n. 41182 del 20/10/2021, Morello, n.m., richiamata anche dall’ordinanza impugnata) che  la realizzazione di un campo di padel costituisce intervento che, per le sue caratteristiche complessive, connotate per l'installazione su apposita superficie, funzionale alla peculiare attività sportiva, di carpenteria e lastre di vetro perimetrali, incide sul territorio in termini di modifica del medesimo, e come tale rientra nel novero degli «interventi di nuova costruzione» di cui all'art. 3, lett. e), D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. 
Si tratta di rilievi conformi al consolidato insegnamento di legittimità secondo il quale il d.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. e), assoggetta attualmente a permesso di costruire non soltanto le attività di edificazione, ma anche altre attività che, pur non integrando interventi edilizi in senso stretto, comportano comunque una modificazione permanente dello stato materiale e della  conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio in relazione alla sua condizione naturale ed alla sua qualificazione giuridica (cfr. Sez. 3, n. 28457 del 30/04/2009 Rv. 244569 - 01; Sez. 3, n. 14044 del 22/03/2005 Rv. 231522 - 01.). 
3.3. Tale impostazione è conforme a quella della giurisprudenza amministrativa, che, sia pure non nella sua massima composizione, ha avuto recentemente modo di confrontarsi con la tematica, divenuta pressante in ragione della crescente popolarità dello sport in questione. 
TAR Piemonte, sez. 2, n. 223 del 08/03/2023 (dep. 13/03/2023), ad esempio, ha chiarito che le opere in questione hanno caratteristiche tali da comportare una «trasformazione significativa e permanente del territorio», risultando quindi soggette al preventivo rilascio di apposito titolo edilizio, nonché all’acquisizione dell’apposita autorizzazione paesaggistica e sismica.
Del pari, TAR Lazio, n. 607 del 24/07/2023, ha affermato che la realizzazione di un impianto sportivo in zona agricola configura violazione dell’art. 44 lett. b) DPR 6 giugno 2001, n. 3804, in considerazione del fatto che la realizzazione di strutture sportive è consentita su aree destinate ad attività sportiva, con la presentazione di SCIA, ma senza creazione di volumetria e comunque mai nelle zone aventi destinazione agricola.
3.4. Va doverosamente aggiunto che la circostanza secondo cui, come nel caso di specie, i campi di padel vadano a sostituire dei preesistenti campi da tennis, è ininfluente. 
Ed infatti, il Collegio condivide e ribadisce quella giurisprudenza amministrativa (TAR Sicilia, sez. 2, sent. n. 265 del 08/10/2021, dep. 22/11/2021), secondo cui la realizzazione dei campi di padel, essendo una trasformazione edilizia del terreno (stante la realizzazione di un’opera di scavo e di un basamento in calcestruzzo in grado di incidere in modo definitivo sulla permeabilità del suolo), non può essere compatibile con la destinazione a zona agricola del terreno ospitante. 
Nella circostanza, i giudici amministrativi hanno evidenziato che i campi di padel si differenziano dai campi da tennis e da calcio in quanto, mentre in questi ultimi occorre un mero movimento terra, senza mutare le caratteristiche originarie di permeabilità del suolo, per la realizzazione dei campi di padel è necessaria la realizzazione di un massetto di cemento (di circa 10/12 cm) ove allocare il tappeto in fibra sintetica e la posa in opera delle barriere in vetro temperato (alte oltre 3 mt.).
Va pertanto espresso il principio secondo cui la realizzazione di un campo di padel, così come la conversione di un campo da tennis in un campo da padel, costituisce una «nuova costruzione», per la cui realizzazione è necessario il permesso di costruire.
3.5. La motivazione addotta dal Tribunale del riesame - secondo cui l’intervento edilizio necessitava di permesso di costruire poiché, «per le sue caratteristiche complessive, connotate per l’installazione su apposita superficie, funzionale alla peculiare attività sportiva, di carpenteria e lastre di vetro perimetrali, incide sul territorio in termini di modifica del medesimo, e come tale rientra nel novero degli “interventi di nuova costruzione” di cui all’art. 3, lett. e), D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380», è pertanto conforme alla giurisprudenza della Corte, e non può quindi dirsi né apparente, né adottata in violazione di legge. 
3.6. Del resto, il rilevante impatto dell’intervento edilizio in parola va riferito non solo al profilo urbanistico, ma anche a quello paesaggistico. 
3.6.1. Premesso che è incontestata l'esistenza del vincolo paesaggistico (e la Corte ignora a che titolo sarebbe stato ottenuto il “nulla-osta” paesaggistico invocato dal ricorrente), va ribadito il principio per cui, in tema di reati paesaggistici, l'accertamento in fatto della riconducibilità degli interventi eseguiti in area sottoposta a vincolo paesaggistico nel novero di quelli non soggetti ad autorizzazione, di cui all'allegato A al d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31, o di quelli di lieve entità sottoposti a procedimento autorizzatorio semplificato, di cui all'allegato B del citato d.P.R., deve essere condotto attenendosi ad un'interpretazione logico-sistematica di carattere finalistico delle disposizioni regolamentari, valevole a determinare l'applicazione delle disposizioni derogatorie previste dal decreto in oggetto ai soli interventi di lieve entità, tali essendo quelli che, per tipologia, caratteristiche e contesto in cui si inseriscono, non sono idonei a pregiudicare i valori paesaggistici tutelati dal vincolo (Sez. 3, n. 36545 del 14/09/2022, Montinaro, Rv. 284312 - 01).
La regola generale di cui all'art. 146 d.lgs. 42/2004 (codice dei beni culturali e del paesaggio), che prescrive che ogni intervento che comporti modificazioni o rechi pregiudizio all'aspetto esteriore delle aree vincolate e soggetto al previo dell'autorizzazione paesaggistica, consacrata in una fonte di rango primario, non può certamente essere derogata da una fonte di rango secondario, quale è il suddetto regolamento n. 31 del 2017, che è di attuazione e non di delegificazione, e dunque non può liberalizzare interventi che per la norma di rango primario sono assoggettati ad autorizzazione. Ne consegue che l'accertamento, in punto di fatto, della riconducibilità degli interventi eseguiti in area sottoposta a vincolo nel novero di quelli non soggetti ad 5 autorizzazione (cioè quelli di cui all'elenco allegato sub A al citato d.P.R. 31/2017) o di quelli di lieve entità soggetti a procedimento autorizzatorio semplificato (di cui all'elenco allegato sub B del medesimo regolamento), deve essere condotto attenendosi a una interpretazione logico sistematica di carattere finalistico delle disposizioni del regolamento (Sez. 3, n. 7538 del 11/01/2024, Gervasi, n.m.).
Nel caso in esame, non può che sottolinearsi l’assenza, negli elenchi di cui al d.P.R. 31/2017 (relativo alla c.d. autorizzazione paesaggistica «semplificata»), degli interventi relativi alle attrezzature sportive, per le richieste relative ai campi di padel, e, più in generale, per gli impianti sportivi, evidenzia da cui non può che trarsi la conclusione che ad essi non si possono applicare le semplificazioni introdotte dal citato decreto, anche considerando che, con ogni evidenza, la realizzazione di tali campi non possa essere considerata di impatto paesaggistico lieve (All. B) o lievissimo (All. A) ai sensi del citato decreto, in tal modo confermando la rilevanza dell’intervento edilizio.
Peraltro, per quello che può valere, l’interpretazione sostenuta dal Collegio è anche corroborata dal Ministero della Cultura – Direzione Generale Archeologia, Belle arti e Paesaggio (parere n. 62/2021, allegato al ricorso).
3.6.2. Va poi ricordato che secondo il costante orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 3258 del 10/01/2023, Nava, n.m.; Sez. 3, n. 544 del 01/12/2022, dep. 2023, Morello, n.m.; Sez. 3, n. 190 del 12/11/2020, dep. 2021, Susana, Rv. 281131 - 01) il rilascio postumo dell'autorizzazione paesaggistica al di fuori dei limiti in cui essa è consentita ai sensi dell'art. 167, commi 4 e 5, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non consente la sanatoria urbanistica ex art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e non produce alcun effetto estintivo dei reati edilizi né preclude l'emissione dell'ordine di rimessione in pristino dell'immobile abusivo edificato in zona vincolata. Poiché l'autorizzazione paesaggistica, secondo l'art. 146, comma 4, del d.lgs. 42 del 2004, costituisce un atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio, lo stesso permesso di costruire resta subordinato al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica la quale, però, sempre secondo la norma richiamata, non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi, tranne nei casi dei c.d. «abusi minori», tassativamente individuati dall'art. 167, commi 4 e 5, d.lgs. n. 42 del 2004.
Parimenti, si è altresì affermato che il rispetto del requisito della conformità delle opere sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione che a quella vigente al momento della presentazione della domanda di regolarizzazione (cd. «doppia conformità»), richiesto ai fini del rilascio del permesso di costruire in sanatoria ex artt. 36 e 45 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è da ritenersi escluso nel caso di edificazioni eseguite in assenza del preventivo ottenimento dell'autorizzazione sismica (Sez. 3, n. 2357 del 14/12/2022 (dep. 2023), Casà, Rv. 284058. Conf. Sez. 3, n. 41872 del 09/06/2023, Tummolo Rv. 285222, non massimata sul punto; Sez. 3, n. 18267 del 13/04/2023, Pepe, Rv. 284612, non massimata sul punto; Sez. 3, n. 29179 del 16/02/2023, Carceo, n.m.).  
Inoltre, il permesso di costruire, eventualmente rilasciato (nei limiti di cui si è detto) a seguito di accertamento di conformità (art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), estinguerebbe i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti, ma non estingue, invece, i reati disciplinati dalla normativa antisismica e sulle opere in conglomerato cementizio (Sez. 3, n. 38953 del 04/07/2017, Rizzo, Rv. 270792; Sez. 3, n. 54707 del 13/11/2018, Cardella, Rv. 274212 – 01), applicabile nel caso di specie stante quanto dianzi evidenziato.
3.7. Il motivo è, conclusivamente, manifestamente infondato.

4. Il profilo di censura relativo alla presunta appartenenza della società destinataria dell’opera al c.d. “terzo settore”, è inammissibile.
4.1. In primo luogo, si contesta una motivazione esistente, e quindi il motivo è inammissibile ex art. 325 cod. proc. pen..
4.2. In secondo luogo, il motivo è manifestamente infondato per le ragioni di seguito indicate.
4.2.1. Il Tribunale del riesame correttamente evidenzia che l’articolo 71 d. lgs. 117/2017 «non può essere inteso come una deroga generalizzata alle disposizioni in materia di titoli abilitativi edilizi o come una autorizzazione preventiva a qualsiasi attività costruttiva eseguita per iniziativa degli enti del terzo settore, nel quale peraltro la società che risulta avere l’uso dei campi neppure rientra, avendo solo inoltrato domanda per l’iscrizione nel relativo registro».
Come appare evidente, il Tribunale palermitano fonda la sua motivazione su due ordini di ragioni: l’impossibilità di intendere la disposizione in parola come deroga generalizzata all’obbligo di acquisire il titolo edilizio, e l’assenza (attuale) della qualifica di ETS (ente del terzo settore) in capo alla «Egger Sport s.r.l.».
4.2.2. Il secondo profilo, che avrebbe già efficacia assorbente, non può in alcun modo essere censurato di illogicità, essendo conforme al principio di logica comune secondo cui, se una attività è condizionata alla sussistenza di un requisito di tipo oggettivo, non è sufficiente l’avvio di una pratica istruttoria per il relativo conseguimento al fine di beneficiare del regime agevolato, ma è necessario il possesso attuale del requisito (nel caso di specie, la qualifica di ETS).
Tale soluzione ermeneutica è anche confortata (pur evidenziandosi che le c.d. «circolari interpretative» hanno natura di atti interni alla pubblica amministrazione, che non esplicano alcun effetto vincolante non solo per il giudice penale, ma anche per gli stessi destinatari, poiché non può comunque porsi in contrasto con l'evidenza del dato normativo; v. Sez. 3, n. 6619 del 7/2/2012, Zampano, Rv. 252541; Sez. 3, n. 19330 del 27/4/2011, Santoriello, non massimata, con riferimento alla circolare ministeriale n. 2699 del 7 dicembre 2005 in materia di condono edilizio; Sez. U, n. 10424 del 18/1/2018, Del Fabro, non massimata sul punto, in tema di contributi previdenziali) da quanto stabilito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali che, nella nota esplicativa nr. 34/17314 del 17 novembre 2022, afferma che il regime di favor «è applicabile solo agli enti qualificati nei termini sopra descritti, dal momento in cui la qualifica è acquisita e fintanto che essa sussiste».
4.2.3. Quanto al primo profilo, poi, l’articolo in parola («le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d'uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica») stabilisce il principio della c.d. «indifferenza urbanistica», ossia della possibilità data agli enti del terzo settore di usufruire di qualsiasi locale a prescindere dalla sua destinazione d'uso, per ivi stabilire la propria sede legale, centro di svolgimento dell'attività istituzionale.
Per valutarne la portata, occorre partire dal richiamo alle finalità perseguite dalla legge delega per la riforma del terzo settore, la n. 106/2016, ed esplicitate all’art. 1 della medesima. 
In particolare, il legislatore, con la riforma del terzo settore, ha voluto, in attuazione del principio di “sussidiarietà orizzontale” (art. 118 u.c. Costituzione), promuovere e favorire le associazioni private che realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi. 
È alla luce di tale ratio legis che deve essere interpretata la disposizione in parola: essa stabilisce una specifica tutela degli spazi utilizzati dagli enti del terzo settore per lo svolgimento delle attività di interesse generale, contro possibili scelte urbanistiche degli enti locali che potrebbero incidere negativamente su tali attività. 
In altri termini, come già affermato dalla giurisprudenza amministrativa, in considerazione della meritevolezza delle finalità perseguite dalle associazioni di promozione sociale, lo Stato consente che le relative sedi e i locali adibiti all’attività sociale siano localizzabili in tutte le parti del territorio urbano e in qualunque fabbricato a prescindere dalla destinazione d’uso edilizio ad esso impressa specificamente e funzionalmente dal titolo abilitativo (Cons. Stato, Sez. 6, n. 3803 del 25/06/2020; TAR Lombardia, Sez. Milano, n. 1269 del 01/07/2020; TAR Abruzzo, n. 519 del 25/10/2019). 
Dalle considerazioni svolte, si evince che l’art. 71 comma 1 d. lgs. 117/2017 non è una disposizione urbanistica «stricto sensu», non avendo a oggetto il governo o la regolazione del territorio in sé; si limita piuttosto a prevedere un trattamento speciale in favore di certe categorie soggetti, non già a disciplinare l’uso del territorio in quanto tale (così Consiglio di Stato, sez. V, n. 1737 del 1° marzo 2021). Pertanto, il comma in parola si qualifica come una norma di natura derogatoria alla disciplina urbanistica e non come una norma con natura urbanistica vera e propria.
Da ciò consegue che la norma in parola facoltizza l’«utilizzo» di beni, anche se realizzati in modo difforme alla destinazione urbanistica, consentendo un «temporaneo» cambio di destinazione d’uso dei locali in cui si svolgono le attività istituzionali degli enti del Terzo Settore, che cesserebbe con il venire meno di uno dei requisiti, ma certamente non può intendersi nel senso di consentire in via generalizzata «nuove costruzioni» in assenza del rilascio dell’apposito titolo edilizio.
La stessa giurisprudenza amministrativa, del resto, riconosce pur sempre all’amministrazione il potere di vagliare profili inerenti l’aggravio del carico urbanistico, ovvero elementi significativi quali la dotazione del titolo edilizio per gli interventi di trasformazione, o i requisiti igienico-sanitari (Consiglio di Stato, sez. 5, n. 1737 del 01/03/2021; Cons. Stato, Sez. 6, n. 7350 del 28/10/2019).
4.2.4. Inoltre, l’attuale tenore della norma sostituisce alla precedente definizione (che genericamente parlava di «attività» senza specificare se vi fosse distinzione tra quelle di promozione sociale e quelle «svolte in maniera ausiliaria e sussidiaria» di cui all’articolo 4 comma 1 lett. f), quella, alquanto più ristretta, di «attività istituzionali purché non di tipo produttivo», escludendone quindi, oltre a queste ultime se a carattere produttivo, anche le attività «non istituzionali», che pertanto non potranno beneficiarne anche qualora siano strumentali alle prime. 
Per le c.d. «imprese sociali», poi, giacché esse esercitano in via stabile e principale un’attività di impresa, sia pure di interesse generale, va escluso che si possa definire l’attività svolta dall’impresa sociale come «non produttiva» e, per l’effetto, la possibilità stessa di usufruire dell’effetto derogatorio stabilito dall’articolo 71 d. lgs. 117/2017. 
Tale è proprio il caso sussistente nel caso in parola, essendo la «Egger Sport» costituita sotto forma di s.r.l..
Anche in questo caso, la soluzione adottata dal Collegio è corroborata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che, con nota esplicativa n. 3959 del 22 marzo 2021 (se pur non rilevante alla luce della precitata giurisprudenza), giunge alle medesme conclusioni.
Per tutte le ragioni dianzi esposte il motivo è da ritenersi inammissibile.

5. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
5.1. Questa Corte (Sez. 3, n. 52051 del 20/10/2016, Giudici, Rv. 268812 – 01) ha reiteratamente espresso l’avviso che «è ammissibile il sequestro preventivo di opere costruite abusivamente anche nell'ipotesi in cui l'edificazione sia ultimata, fermo restando l'obbligo di motivazione del giudice circa le conseguenze ulteriori sul regolare assetto del territorio rispetto alla consumazione del reato, derivanti dalla libera disponibilità del bene» (nel caso di specie, la Corte aveva annullato il provvedimento di sequestro di un impianto per la produzione di energia eolica sul rilievo che non era stato valutato in concreto se dall'uso dell'impianto derivasse un aumento del cosiddetto carico urbanistico).
Ancora, si è ritenuto (Sez. 3, n. 42717 del 10/09/2015, Buono, Rv. 265195 – 01) che «è legittimo il sequestro preventivo di un immobile abusivo ultimato anche nel caso di utilizzo dell'opera in conformità alle destinazioni di zona, allorquando il manufatto presenti una consistenza volumetrica tale da determinare comunque un'incidenza negativa concretamente individuabile sul carico urbanistico, sotto il profilo dell'aumentata esigenza di infrastrutture e di opere collettive correlate».
5.2. Su tale secondo elemento si è debitamente soffermato il Tribunale del riesame di Palermo, laddove ha evidenziato che la realizzazione di un impianto sportivo su area a destinazione agricola aumenta proprio il carico urbanistico della zona, motivazione che si pone in linea di stretta continuità con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «in tema di reati edilizi, è legittimo il sequestro preventivo di manufatti abusivi realizzati in area a destinazione agricola pur se destinati ad attività commerciali, determinando gli stessi un aggravio, anche se non rilevante, del carico urbanistico» (Sez. 3, n. 24167 del 05/05/2011, Longo, Rv. 250965 - 01).
In presenza di una motivazione, tutt’altro che apparente, il ricorso è da ritenersi pertanto inammissibile per quanto visto al par. 2.

6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. 
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 06/03/2024.