Cass. Sez. III n. 41480 del 8 ottobre 2013 (Ud. 24 set 2013)
Pres. Squassoni Est. Ramacci Ric. Zecca
Urbanistica. Rilevanza penale della materiale aggiunta di un testo su d.i.a. già presentata

La materiale aggiunta di un testo sulla d.i.a. già presentata, esclusa la sua natura provvedimentale , non può configurare il delitto di cui all'art. 476 cod. pen., in quanto il deposito presso l'ufficio competente a riceverla non le attribuisce natura di atto pubblico, mantenendo essa l'originaria caratteristica di mera dichiarazione corredata dalla relazione di asseverazione e dagli elaborati progettuali aventi valore di certificazione che ne costituiscono parte integrante e l'alterazione dei quali assume, invece, diversa rilevanza penale

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente - del 24/09/2013
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - SENTENZA
Dott. MULLIRI Guicla - Consigliere - N. 2828
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere - N. 6507/2013
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ZECCA FERNANDO N. IL 14/07/1962;
avverso la sentenza n. 590/2009 CORTE APPELLO di LECCE, del 27/06/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/09/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAMACCI LUCA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. POLICASTRO Aldo, che ha concluso per l'annullamento con rinvio limitatamente, al capo b). Rigetto nel resto.
Udito il difensore Avv. CORLETO G..
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Lecce, con sentenza del 27.6.2012 ha confermato la decisione con la quale, in data 17.11.2008, il Tribunale di quella città aveva riconosciuto Fernando ZECCA responsabile dei reati di cui aal'art. 110 c.p., D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, artt. 110 e 81 c.p., art. 61 c.p., n. 2 e art. 476 c.p., concretatesi nella realizzazione, quale amministratore di fatto della "Astor s.r.l.", di un intervento di scavo su terreno per oltre m. 1,30 di profondità, livellamento con calcestruzzo di una superficie di mq 500 e posa in opera di sette travi estradossate in violazione del contenuto di una denuncia di inizio attività presentata il 14.2.2006 presso il Comune di Ugento ed oggetto di alterazione nella parte contenente la descrizione dei lavori mediante aggiunta manoscritta del seguente testo "...da lamiera grecata coibentata a solaio laterocementizio previa demolizione parziale del muro perimetrale e conseguente rifacimento delle fondazioni". Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione. 2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, rilevando che la Corte del merito avrebbe erroneamente ritenuto sussistente il reato equivocando sulla natura della d.i.a., considerata quale atto pubblico sulla base di una risalente pronuncia di questa Corte, trascurando quanto successivamente evidenziato in successive decisioni e dalla giurisprudenza amministrativa circa la natura della denuncia di inizio attività quale mero atto di iniziativa privata.
3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione di legge in relazione alla reiezione, da parte dei giudici del gravame, della tesi difensiva sulla innocuità del falso contestato, in quanto concernente la parte descrittiva dell'atto e dovendosi escludere, contrariamente all'opinione espressa dalla Corte territoriale, che l'alterazione del documento fosse finalizzata ad ampliare l'intervento edilizio da realizzare, poiché nel giudizio di primo grado era stata esclusa la sussistenza della violazione urbanistica, sanzionata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), proprio sul presupposto che le opere descritte nell'imputazione erano risultate astrattamente realizzabili in forza della d.i.a. presentata.
4. Con un terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, osservando che, per l'intervento eseguito, non sarebbe stata necessaria l'autorizzazione paesaggistica, trattandosi di ristrutturazione mediante ricostruzione con medesima volumetria e sagoma di un precedente manufatto, ad eccezione del solaio, nuovamente realizzato in laterocemento. Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Il ricorso è solo in parte fondato.
La Corte territoriale ha ritenuto corretta la qualificazione giuridica della condotta di alterazione della d.i.a. effettuata dal giudice di prime cure, riconoscendo la natura di atto pubblico della denuncia di inizio attività, rilevando che gli interventi ad essa soggetti s'intenderebbero autorizzati, decorso il termine di trenta giorni per formazione del silenzio-assenso, nell'ambito di quanto prospettato nella denuncia stessa, la quale assume la forma e la sostanza di atto autorizzatorie, assurgendo al rango di atto pubblico.
A sostegno di tale soluzione interpretativa i giudici del gravame richiamano una decisione di questa Corte emessa nel medesimo procedimento in ambito di incidente cautelare (Sez. 5^ n. 35153, 17 maggio 2007, non massimata) ed escludono che possa ritenersi la natura privatistica della denuncia sulla base della sua provenienza in quanto, una volta uscita dalla sfera del privato e presentata allo sportello unico corredata dagli elaborati di progetto e della relazione di asseveramento, essa determina l'avvio di una sequenza procedimentale che, all'esito di positivi riscontri sulla sussistenza delle condizioni di legge da parte del responsabile dell'ufficio tecnico comunale, dà luogo ad un provvedimento implicito di assenso all'esecuzione dei lavori ed acquista rilievo pubblicistico, come emergerebbe anche dal tenore letterale del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 23, comma 5, ove è stabilito che "la sussistenza del titolo è provata con la copia della denuncia di inizio attività da cui risulti la data di ricevimento della denuncia, l'elenco di quanto presentato a corredo del progetto, l'attestazione del professionista abilitato, nonché gli atti di assenso eventualmente necessari". La decisione di questa Corte richiamata nella sentenza impugnata giunge alle medesime conclusioni, affermando che la d.i.a. assume, in conseguenza del silenzio- assenso che viene a formarsi dopo trenta giorni dalla sua presentazione, la forma e la sostanza del provvedimento autorizzativo che l'autorità non ha emesso, assurgendo, così, al rango di atto pubblico.
Di diverso avviso è, invece il ricorrente, per le ragioni sintetizzate in premessa.
Assume conseguentemente rilievo determinante l'individuazione della natura giuridica della denuncia di inizio attività. 6. Come è noto, l'istituto della d.i.a. è stato introdotto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241 ed è disciplinato dall'articolo 19 della legge medesima che ha subito, nel tempo, numerose modifiche, tra le quali va ricordata quella ad opera della L. n. 122 del 2010, art. 49, comma 4 bis, di conversione del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, con il quale si è proceduto all'introduzione della S.C.I.A., segnalazione certificata di inizio attività (secondo l'interpretazione autentica della L. n. 241 del 1990, art. 19, fornita dal D.L. n. 70 del 2011, convertito nella L. n. 106 del 2011, le disposizioni in esso contenute si applicano alle d.i.a. in materia edilizia disciplinate dal Testo Unico, con esclusione dei casi in cui esse siano, in base alla normativa statale o regionale, alternative o sostitutive del permesso di costruire).
Si tratta, pertanto, di un istituto di carattere generale il quale prevede, salvo eccezioni espressamente indicate, che ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una dichiarazione (ora segnalazione) dell'interessato corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà, nonché dalle attestazioni ed asseverazioni richieste.
Per ciò che concerne la disciplina edilizia, la relativa procedura è regolata del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 22 e 23.
Sulla base delle disposizioni richiamate, restano attualmente soggetti a d.i.a. esclusivamente gli interventi edilizi eseguibili con d.i.a. alternativa o sostitutiva del permesso di costruire in base a leggi statali o regionali, mentre i richiami riguardanti le altre tipologie di interventi soggetti a d.i.a. devono ora intendersi riferiti alla s.c.i.a.
La particolarità dell'istituto della d.i.a. ha indotto dottrina e giurisprudenza ad interrogarsi, in più occasioni, sull'esatta qualificazione della sua natura giuridica, giungendo a conclusioni non univoche anche in considerazione del fatto che, strettamente correlata a tale questione, vi è anche quella della tutela del terzo.
7. In termini estremamente sintetici e generali, le due principali soluzioni adottate propendono una per la natura meramente dichiarativa della d.i.a., mentre l'altra attribuisce all'istituto una natura provvedimentale. Nel primo caso, quindi, si tratterebbe di una mera dichiarazione del privato alla quale la legge, in presenza di determinate condizioni, attribuisce la produzione di particolari effetti, mentre, nel secondo, la dichiarazione darebbe luogo alla formazione di un provvedimento tacito o implicito quale conseguenza del decorso del termine fissato per l'attività di verifica imposta alla P.A.
Tra le due tesi risulta maggioritaria quella che riconosce la natura dichiarativa della d.i.a., la quale, con specifico riferimento alla disciplina urbanistica è stata descritta da autorevole dottrina come un istituto che non da origine ad un provvedimento amministrativo in forma tacita e che consiste in una dichiarazione del privato alla quale, sussistendo le richieste condizioni ed in assenza di un intervento inibitorio a carattere vincolato dell'amministrazione comunale, la legge riconosce gli effetti corrispondenti a quelli tipici del permesso di costruire e, cioè, l'abilitazione alla realizzazione delle opere progettate.
8. Il ventennale dibattito sulla natura giuridica della d.i.a. ha interessato, ovviamente, anche la giurisprudenza amministrativa, anch'essa caratterizzata da opinioni difformi, tanto che, come ricordato in ricorso, la questione è stata sottoposta all'esame dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 15, 29 luglio 2011) la quale, con articolata motivazione, ha escluso che la denuncia di inizio attività sia un provvedimento amministrativo a formazione tacita e che dia luogo ad un titolo costitutivo, essendo, invece, un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Chiarisce l'Adunanza Plenaria, ponendosi in evidente sintonia con l'indirizzo dottrinario precedentemente ricordato, che "il denunciante è, infatti, titolare di una posizione soggettiva originaria, che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella legge, sempre che ricorrano i presupposti normativi per l'esercizio dell'attività e purché la mancanza di tali presupposti non venga stigmatizzata dall'amministrazione con il potere di divieto da esercitare nel termine di legge, decorso il quale si consuma, in ragione dell'esigenza di certezza dei rapporti giuridici, il potere vincolato di controllo con esito inibitorio e viene in rilievo il discrezionale potere di autotutela".
Nel confutare gli argomenti prospettati a sostegno dell'opposta tesi sulla natura provvedimentale della d.i.a., il Consiglio di Stato prende in esame anche la specifica disciplina urbanistica, indicata, per la sua peculiarità, come significativa, evidenziando che il titolo 2^ del D.P.R. n. 380 del 2001 indica, tra i "titoli abilitativi", tanto la denunzia di inizio di attività quanto il permesso di costruire, gli artt. 22 e 23 considerano la d.i.a. come abilitante all'intervento edificatorio e, nell'art. 22, ne delineano l'ambito di operatività rispetto al permesso di costruire, mentre nell'art. 38, il comma 2 bis formula una sostanziale equiparazione tra l'accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo per gli interventi edilizi soggetti a d.i.a. e quelli eseguiti in base a permesso annullato e, infine, l'art. 39, comma 5 bis, consente l'annullamento straordinario della d.i.a. da parte della Regione, inducendo così a ritenere che la denuncia sia considerata dal legislatore come un titolo passibile di annullamento. Tali evenienze non sono tuttavia considerate determinanti dal giudice amministrativo, il quale osserva che un primo elemento ostativo all'accoglimento dell'opzione ermeneutica che riconosce alla d.i.a. natura provvedimentale quale conseguenza del silenzio significativo con effetto autorizzatorio è dato dal fatto che essa eliminerebbe ogni differenza sostanziale tra la d.i.a. ed il silenzio-assenso, che la legge specificamente distingue anche nel caso della disciplina urbanistica, la quale differenzia il permesso di costruire perfezionatosi con il silenzio-assenso rispetto alla d.i.a. ed alla s.c.i.a..
Ulteriori elementi indicativi sono poi individuati, ad esempio, nel tenore letterale della L. n. 241 del 1990, art. 19, il quale sostituisce, in presenza di determinati presupposti, ogni autorizzazione, comunque denominata, con una dichiarazione del privato ad efficacia legittimante immediata o differita, così contrapponendo l'istituto della d.i.a. al provvedimento amministrativo di stampo autorizzatorio, mentre i dubbi sollevati per il fatto che la scelta tra autorizzazione preventiva e controllo successivo sia rimessa, nella materia edilizia alla normativa regionale o addirittura all'iniziativa del privato (il riferimento è al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22) vengono ritenuti fugati dall'indirizzo giurisprudenziale che riconosce la possibilità di tecniche di tutela efficaci ed adeguate anche in caso di configurazione della d.i.a. come modello di liberalizzazione. 9. Alla luce delle considerazioni sinteticamente richiamate non vi è dunque motivo per porre in dubbio la natura meramente dichiarativa della d.i.a. e, tenendo conto di tale scelta interpretativa già maggioritaria ed ormai avallata dall'autorevole intervento del giudice amministrativo, occorre rilevare quali conseguenze penali derivino in casi quale quello preso in considerazione nella sentenza impugnata.
Va osservato, a tale proposito, che la L. n. 241 del 1990, art. 21, comma 2, specifica che con la denuncia o con la domanda di cui agli artt. 19 e 20 l'interessato deve dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti e che, in caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni, il dichiarante è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la sanzione prevista dell'art. 483 c.p..
Il riferimento, come è dato desumere dal tenore letterale della disposizione, riguarda chiaramente la dichiarazione del privato e non anche la documentazione che necessariamente l'accompagna e che, per quanto riguarda la disciplina urbanistica, è costituita, in base a quanto stabilito dall'art. 23, comma 1 del Testo Unico, dagli elaborati progettuali e dalla relazione di asseverazione del professionista abilitato, rispetto alla quale il comma 6 del medesimo articolo ribadisce, in caso di falsità, l'obbligo di denuncia, già previsto in linea generale dall'art. 331 c.p.p., prevedendo anche quello di informazione del consiglio dell'ordine di appartenenza. L'art. 29, comma 3 del medesimo T.U. stabilisce inoltre che, per le opere realizzate dietro presentazione di denuncia di inizio attività, il progettista assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli artt. 359 e 481 c.p., ricordando, ancora una volta, l'obbligo di segnalazione in caso di dichiarazioni non veritiere nella relazione di cui all'art. 23, comma 1.
10. Sul tema la giurisprudenza di questa Corte si è ripetutamente pronunciata, elaborando, in più occasioni, principi che sono stati ribaditi anche recentemente (Sez. 3^ n. 35795, 17 aprile 2012, cui si rinvia anche per i puntuali richiami ai precedenti) ricordando che la relazione di accompagnamento alla d.i.a edilizia ne costituisce parte integrante ed essenziale ed ha natura di certificazione per quanto riguarda sia la descrizione dello stato attuale dei luoghi, sia la ricognizione degli eventuali vincoli esistenti sull'area o sull'immobile interessati dall'intervento, sia la rappresentazione delle opere che si intende realizzare e l'attestazione della conformità delle stesse agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizia.
La richiamata decisione, oltre a riproporre orientamenti già consolidati, ha dunque chiarito, riproponendo le argomentazioni prospettate in una precedente pronuncia (Sez. 3^ n. 23072, 8 giugno 2011, non massimata), che la natura di certificazione deve essere riconosciuta anche alla parte progettuale della relazione allegata alla d.i.a., così superando precedenti posizioni difformi. Va peraltro rilevato che la suddetta sentenza individua chiaramente la d.i.a. come atto del privato che esclude la necessità di un titolo di legittimazione, rilevando che il potere di verifica dell'amministrazione "non è finalizzato all'emanazione di un provvedimento di consenso all'esercizio dell'attività, ma al controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dall'interessato rispetto ai canoni normativi stabiliti per l'attività in questione. Con la DIA, quindi, al principio autoritativo si sostituisce il principio dell'autoresponsabilltà dell'amministrato, che è legittimato ad agire in via autonoma, valutando l'esistenza dei presupposti richiesti dalla normativa in vigore".
11. Ciò posto, osserva il Collegio che le conclusioni cui è pervenuta la sentenza 35795/2012 appaiono pienamente convincenti, in quanto frutto di un'accurata analisi della natura dell'istituto della d.i.a. edilizia e della normativa che la disciplina, all'esito della quale viene giustamente riconosciuta alla condotta del professionista abilitato una specifica rilevanza pubblicistica in ragione della assunzione di responsabilità cui è chiamato, in considerazione "del particolare affidamento che l'ordinamento pone sulla relazione tecnica che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli dell'ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell'intervento".
La vicenda esaminata nella sentenza impugnata riguarda la materiale aggiunta di un testo sulla d.i.a. già presentata.
Una simile condotta, ad avviso del Collegio, una volta esclusa la natura provvedimentale della d.i.a. non può configurare il delitto di cui all'art. 476 c.p., in quanto il deposito presso l'ufficio competente a riceverla non le attribuisce natura di atto pubblico, mantenendo essa l'originaria caratteristica di mera dichiarazione corredata dalla relazione di asseverazione e dagli elaborati progettuali aventi valore di certificazione che ne costituiscono parte integrante.
Va peraltro osservato che la decisione di questa Corte richiamata dai giudici del gravame ed emessa nell'ambito del medesimo procedimento (Sez. 5^ n. 35153/2007, cit.) non assume alcun rilievo determinante, in quanto le conclusioni cui perviene si fondano sull'ormai minoritario indirizzo interpretativo confutato dal giudice amministrativo e sul richiamo ad altra decisione (Sez. 5^, n. 8684, 26 febbraio 2004) che riguarda, però, questione in parte diversa (modifica, ad opera di funzionari comunali, di domande di condono e sostituzione della documentazione allegata).
La riconducibilità delle condotte contestate all'ipotesi di cui all'art. 476 c.p., veniva infatti ritenuta, in quel caso, per il fatto che i documenti presentati dal privato, venendo recepiti dall'amministrazione, ricevono un contenuto aggiuntivo per effetto delle successive integrazioni di fonte pubblicistica e per tale nuovo profilo, che presenta indubbia autonomia funzionale, sono qualificabili come atti pubblici, ma nel caso esaminato l'elemento qualificante era rappresentato dall'apposizione del timbro del protocollo e sul conseguente rilievo assunto dalla soppressione della documentazione ove lo stesso era stato apposto.
La stessa sentenza, inoltre, afferma testualmente che "è fuor di dubbio che una scrittura privata o un altro documento, non costituente "ab origine" atto pubblico, non possa essere considerato tale in virtù del collegamento funzionale con l'atto cui esso mette o concorre a mettere capo ovvero assuma natura di atto pubblico, quasi che subisca una mutazione genetica, per il solo fatto che venga consegnato alla pubblica amministrazione, per effetto dell'inserimento di esso in una "pratica" il cui esito è costituito da un determinato provvedimento".
Deve dunque rilevarsi che, nella fattispecie, la materiale alterazione della d.i.a. mediante l'aggiunta manoscritta di una frase indicante lavori diversi da quelli originariamente dichiarati riguarderebbe, per quanto è dato desumere dal tenore del provvedimento impugnato, la sola descrizione dell'intervento, non viene tuttavia chiarito se l'intervento modificativo del testo abbia interessato parti del documento aventi, come si è detto in precedenza, valore di certificazione cosicché, esclusa la configurabilità del falso in atto pubblico di cui all'art. 476 c.p., si rende necessario l'annullamento dell'impugnata decisione sul punto affinché il giudice del rinvio, accertato preliminarmente in fatto, attraverso il diretto esame della d.i.a. e della documentazione che ne costituisce parte integrante, nella parte descrittiva delle opere da realizzare, qualifichi diversamente la condotta contestata alla luce dei principi in precedenza richiamati.
Il primo motivo di ricorso è dunque fondato e l'accoglimento del motivo consente di ritenere assorbita la questione prospettata nel secondo motivo di ricorso.
12. A diverse conclusioni deve pervenirsi con riferimento al terzo motivo di ricorso che risulta infondato.
La Corte territoriale ha opportunamente richiamato una condivisibile pronuncia di questa Corte (Sez. 3^ n. 8739, 4 marzo 2010) con la quale si è affermata la necessità della preventiva autorizzazione paesaggistica per tutti gli interventi di ristrutturazione edilizia, sia se soggetti alla d.i.a. "semplice" di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, commi 1 e 2, sia se eseguibili in base al d.i.a. alternativa al permesso di costruire, prevista dal comma terzo del medesimo articolo, escludendone la necessità solo per gli interventi di restauro e risanamento conservativo e per quelli di manutenzione straordinaria non comportanti alterazione dello stato dei luoghi o dell'aspetto esteriore degli edifici.
Sulla base di tale principio, ha correttamente ritenuto sussistente la violazione paesaggistica anche sul presupposto che l'immobile da ricostruire previa demolizione costituisse un intervento edilizio "ontologicamente diverso".
Tale considerazione in fatto appare determinate e risulta suffragata dalle stesse argomentazioni sviluppate in ricorso, laddove si ammette che il solaio sarebbe stato realizzato con materiali diversi. Considerato che la descrizione dell'intervento da eseguire è quella riportata nella d.i.a. dopo l'alterazione di cui si è detto in precedenza, appare di tutta evidenza che la sostituzione di una copertura in lamiera grecata coibentata con un solaio in laterocemento comporta, per la stessa natura e consistenza de, materiali, una oggettiva alterazione dell'originario aspetto dell'edificio che non può essere sottratta al preventivo esame dell'ente preposto alla tutela del vincolo.
Ne consegue l'infondatezza del motivo di ricorso.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di falso di cui al capo b) con rinvio ad altra sezione ella Corte di appello di Lecce.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2013