Cass. Sez. III n. 9369 del 9 marzo 2012 (Cc. 23 feb. 2012)
Pres. Petti Est. Ramacci Ric. Rizzolo
Urbanistica . Zone agricole ed interventi realizzabili

Tutte le attività e gli interventi che si ritengono realizzabili in zona agricola restano comunque funzionali ad un'attività tipicamente agricola o alle altre attività alla stessa intimamente connesse con esclusione, quindi, di tutto ciò che è riferibile ad altre zone individuate in sede di pianificazione del territorio comunale, con la conseguenza che una struttura eminentemente residenziale o turistico-alberghiera non potrebbe in ogni caso realizzarsi in Zona “E” (fattispecie relativa a «punti di ristoro» nella regione Sardegna)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. PETTI Ciro - Presidente - del 23/02/2012
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - SENTENZA
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 492
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere - N. 46522/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RIZZOLO VALERIA N. IL 30/11/1966;
avverso l'ordinanza n. 26/2011 TRIB. LIBERTÀ di ORISTANO, del 07/10/2011;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
sentite le conclusioni del PG Dott. Aniello Roberto, inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore Avv. Ravenna Massimiliano di Cagliari e l'avv. Porcu Stefano di Cagliari.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Oristano - Sezione Unica Penale, con ordinanza del 7 ottobre 2011, rigettava l'istanza di riesame proposta nell'interesse di RIZZOLO Valeria e confermava il decreto di sequestro emesso dal G.I.P. del medesimo Tribunale in data 17 agosto 2011 e concernente il residence denominato "Corte degli ulivi" in comune di Tresnuraghes, località Puntone, ipotizzandosi la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c), e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 per la realizzazione, in zona agricola "E" del Piano Urbanistico del Comune di Tresnuraghes, di un complesso immobiliare alberghiero tipo residence in luogo del previsto e autorizzato "punto di ristoro", struttura ricettiva che, per tipologia e destinazione, avrebbe dovuto essere localizzata in zona "F" determinando così la trasformazione urbanistica dell'area a destinazione agricola ed, in realtà, asservita a destinazione "turistica" in violazione della normativa e degli strumenti urbanistici vigenti.
Avverso tale pronuncia la predetta proponeva ricorso per cassazione. Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione del D.P. Giunta Regionale 3 agosto 1994, n. 228 e della L.R. 12 agosto 1998, n. 27. Premessa una disamina riepilogativa della vicenda, osservava infatti che, alla luce delle richiamate disposizioni, doveva ritenersi insussistente il fumus dei reati ipotizzati in quanto, contrariamente a quanto affermato dai giudici del riesame, la struttura realizzata rientrava, per caratteristiche e destinazione, tra quelle ammesse dalla normativa regionale.
Con un secondo motivo di ricorso deduceva la violazione del Decreto Assessoriale 23 dicembre 1983, n. 2266/U, art. 4 in quanto, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, l'esercizio della ristorazione non può ritenersi requisito imprescindibile dei "punti di ristoro", essendo sufficiente la mera somministrazione di alimenti e bevande.
Con un terzo motivo di ricorso lamentava la violazione dell'art. 324 c.p.p., comma 5 in quanto i giudici del riesame avrebbero omesso l'esame di specifici punti articolati nelle memorie difensive depositate.
Insisteva, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
Occorre preliminarmente osservare che il Tribunale ha correttamente individuato l'ambito di operatività della propria competenza in sede di riesame delimitato, dalla giurisprudenza di questa Corte, alla verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare che non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi (SS. UU. n. 7, 4 maggio 2000 ed altre succ. conf.) pur permanendo l'obbligo di esaminare anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del "fumus" del reato contestato (Sez. 3 n. 18532, 17 maggio 2010; n. 27715, 16 luglio 2010).
Ciò posto, deve rilevarsi che la questione prospettata con i primi due motivi di ricorso verte, essenzialmente, sulla interpretazione da dare alle disposizioni dianzi richiamate, per essere quella offerta dai giudici del riesame oggetto di critica da parte della ricorrente e sulla individuazione delle caratteristiche e destinazione delle opere realizzate.
In particolare, il Tribunale afferma che, nella zona interessata dall'intervento, classificata come agricola, potevano essere realizzati "punii di ristoro" le cui caratteristiche sono definite dal Decreto Assessoriale 20 dicembre 1983, n. 2266/U mentre l'intervento edilizio realizzato dalla ricorrente, lungi dal rientrare in tale categoria, configurava una complessa struttura turistico alberghiera riconducibile alla tipologia dei residence, in quanto costituita da mini-appartamenti, un centro benessere ed una piscina e priva di bar, ristorante o tavola calda, la cui presenza è tipica dei "punti di ristoro " e, come tale, realizzabile quindi in zona turistica "F".
I giudici del riesame ritenevano inoltre non determinante la interpretazione del D.P. Giunta Regionale 3 agosto 1994, n. 228 e della L.R. 12 agosto 1998, n. 27 suggerita dalla difesa, considerando che tali disposizioni presuppongano comunque l'esistenza delle caratteristiche del "punto di ristoro" come individuato dal menzionato decreto assessoriale e che la struttura realizzata, comunque, non possedeva.
La ricorrente, infatti, evidenziava la rilevanza della L.R. 27/998 nella disciplina delle strutture ricettive diverse dagli alberghi e destinate al turismo rurale, comprendente anche i "punti di ristoro", da intendersi quali strutture turistico - ricettive a tutti gli effetti, che si differenziano dalle altre strutture del genere non tanto per la destinazione quanto, piuttosto, per i requisiti di carattere urbanistico - edilizio come pure confermato dal PUC del Comune di Tresnuraghes.
Osservava inoltre la ricorrente che le caratteristiche dei manufatti realizzati rientravano perfettamente tra quelle consentite per i "punti di ristoro", in quanto i mini-appartamenti consistono in alloggi composti da camera da letto e bagno ai quali, in un secondo momento, è stato aggiunto un punto cottura per pasti veloci, mentre nella struttura si effettua anche la somministrazione di alimenti e bevande per gli ospiti e la piscina con centro benessere rientra tra le strutture per attività sportive e ricreative delle quali, secondo il PUC, i "punti di ristoro" possono essere dotati.
Ciò posto, occorre rilevare che: non essendo in contestazione la classificazione dell'area come agricola (Zona "E" del PUC di Tresnuraghes), è necessario individuare, in primo luogo, la nozione di "punto di ristoro " essendo tale struttura realizzabile in detta area, diversamente dai residence ed altre strutture ricettive la cui realizzazione è, invece, espressamente vietata. Secondo la tesi della ricorrente tale individuazione andrebbe effettuata alla luce della L.R. n. 27 del 1998 recante "Disciplina delle strutture ricettive extra alberghiere, integrazioni e modifiche alla L.R. 14 maggio 1984, n. 22, concernente: "Norme per la classificazione delle aziende ricettive" e abrogazione della L.R. 22 aprile 1987, n. 21" e che, all'art. 1, individua, tra le "strutture ricettive non regolamentate dalla L.R. 14 maggio 1984, n. 22 e successive modifiche ed integrazioni, in materia di aziende ricettive", alla lett. e), gli "alloggi turistico-rurali", definendo, al successivo art. 8, il turismo rurale come "quel complesso di attività di ricezione, di ristorazione, di organizzazione del tempo libero e di prestazione di ogni altro servizio finalizzato alla fruizione turistica dei beni naturalistici, ambientali e culturali del territorio rurale extraurbano" da svolgere nel rispetto di precise condizioni, quali: a) l'offerta di ricezione e ristorazione esercitata in fabbricati rurali già esistenti ovvero nei punti di ristoro di cui all'art. 10 delle direttive per le zone agricole, adottate dalla Regione Sardegna in attuazione della L.R. 22 dicembre 1989, n. 45 e successive modifiche e integrazioni, da realizzarsi, secondo le tipologie edificatorie rurali locali, nelle aree extra urbane agricole come individuate nel Piano urbanistico comunale; b) la ristorazione con pietanze tipiche della gastronomia regionale, preparate in prevalenza con l'impiego di materie prime di produzione locale; c) l'allestimento degli ambienti con arredi caratteristici delle tradizioni locali ed, in particolare, della cultura rurale della zona. Tale termine, precisa il comma terzo, è riservato esclusivamente alle attività di turismo rurale svolte ai sensi della L.R. n. 27 del 1998.
La disposizione in esame, però, non fornisce alcuna definizione specifica del "punto di ristoro", limitandosi a prevedere che presso simili strutture possa svolgersi, alle condizioni indicate (la cui sussistenza, stante il tenore letterale della norma, deve ritenersi contestuale e non alternativa), attività di turismo rurale. Nello stesso senso depone il contenuto dell'Allegato A5 alla legge medesima, pure richiamato in ricorso, ove sono indicati requisiti e caratteristiche degli alloggi turisti co-rurali e che, al punto 3 si limita a precisare come la realizzazione dei punti di ristoro di cui all'art. 8, comma 2 debba avvenire in armonia con il contesto paesistico-territoriale e nel rispetto delle tipologie edificatorie rurali tipiche del luogo.
L'art. 10 della Direttiva per le zone agricole emanata dalla Regione Sardegna, in ossequio al disposto della L.R. n. 45 del 1989, art. 8 con D.P.G.R. 3 agosto 1994, n. 228 ha, come finalità (art. 1). quelle di: "a) valorizzare le vocazioni produttive delle zone agricole garantendo, al contempo, la tutela del suolo e delle emergenze ambientali di pregio; b) incoraggiare la permanenza, nelle zone classificate agricole, della popolazione rurale in condizioni civili ed adeguate alle esigenze sociali attuali; c) favorire il recupero funzionale ed estetico del patrimonio edilizio esistente, sia per l'utilizzo aziendale che per quello abitativo" e stabilisce, nell'art. 11, che in dette zone sono ammessi anche "punti di ristoro" indipendenti da una azienda agricola, dotati di non più di venti posti letto, con un determinato indice fondiario e che il lotto minimo vincolato per quelli isolati di nuova realizzazione deve essere di ha 3 ed in tal caso, quando la struttura è inclusa in un fondo agricolo che comprende attrezzature e residenze, alla superficie minima di ha 3, vincolata al punto di ristoro, va aggiunta quella minima di ha 3 relativa al fondo agricolo.
Anche in questo caso, tuttavia, manca una precisa definizione di "punto di ristoro" ed il riferimento a tali tipologie di strutture viene sempre effettuato dandone per scontata l'individuazione e disciplinando aspetti ulteriori, quali l'indicazione delle tipologie di attività che in esse possono essere svolte e le modalità con le quali possono essere realizzate, evidenziando, peraltro, una particolare attenzione alla specifica destinazione agricola di zona, con precisi richiami al singolare contesto territoriale e sociale ed alle caratteristiche costruttive tipiche, sintomatici della precisa intenzione di garantire il massimo rispetto della destinazione impressa all'area e che suggeriscono un estremo rigore interpretativo.
Del resto, la definizione di "zone agricole" offerta dalla medesima direttiva ("parti del territorio destinate all'agricoltura, alla pastorizia, alla zootecnia, all'itticoltura, alle attività di conservazione e di trasformazione dei prodotti aziendali, all'agriturismo, alla silvicoltura e alla coltivazione industriale del legno") risulterebbe del tutto incompatibile con la possibilità di consentire la realizzazione in tali aree di strutture ricettive di diversa consistenza e tali da snaturarne la destinazione. Il Tribunale del riesame, allo scopo di individuare le reali caratteristiche dell'intervento edilizio realizzato dalla ricorrente, richiama il contenuto del Decreto Assessoriale 23 dicembre 1983 n. 2266/U recante "Disciplina dei limiti e dei rapporti relativi alla formazione di nuovi strumenti urbanistici ed alla revisione di quelli esistenti nei Comuni della Sardegna", il quale contiene una definizione dei "punti di ristoro", specificando che come tali "devono intendersi i bar, i ristoranti e le tavole calde, cui possono essere annesse, purché di dimensioni limitate, altre strutture di servizio relative a posti letto nel numero massimo di venti e ad attività sportive e ricreativè.
Sulla base di tale definizione i giudici del riesame evidenziano come la presenza di posti letto sia meramente accessoria all'attività di ristorazione ed escludono, conseguentemente, che quanto realizzato dalla ricorrente possa ritenersi compatibile con la destinazione impressa all'area dallo strumento urbanistico.
Le conclusioni cui giunge il Tribunale devono ritenersi corrette ed appaiono perfettamente in linea con il tenore letterale e le finalità delle disposizioni in precedenza richiamate. Invero, ciò che appare determinante è il costante riferimento, in tutte le disposizioni richiamate, alla destinazione agricola dell'area che lo stesso Decreto assessoriale definisce come "Le parti del territorio destinate ad mi agricoli e quelle con edifici, attrezzature ed impianti connessi al settore agro-pastorale e a quello della pesca, e alla valorizzazione dei loro prodotti". In altre parole, tutte le attività e gli interventi che si ritengono realizzabili in dette zone restano comunque funzionali ad un'attività tipicamente agricola o alle altre attività alla stessa intimamente connesse con esclusione, quindi, di tutto ciò che è riferibile ad altre zone individuate in sede di pianificazione del territorio comunale, con la conseguenza che una struttura eminentemente residenziale o turistico-alberghiera non potrebbe in ogni caso realizzarsi in Zona "E".
Del resto, la definizione stessa di "punto di ristoro" fornita dal richiamato decreto assessoriale evidenzia la sua natura di mera infrastruttura di supporto, destinata prevalentemente alla somministrazione di cibi e bevande e dove la presenza di altre strutture di servizio quali, appunto, quelle destinate a posti letto o ad attività sportive e ricreative, è meramente occasionale, secondaria e contenuta entro limiti predeterminati. Una struttura la cui destinazione è così individuata risulta, peraltro, perfettamente compatibile con le attività di turismo rurale quale quella precedentemente indicata e caratterizzata dall'offerta di servizi essenziali ad un'occasionale clientela. II Tribunale, sulla base degli elementi in fatto offerti alla sua valutazione, ha escluso che gli interventi realizzati potessero essere ricondotti alla nozione di punto di ristoro come in precedenza individuata, collocandosi invece, in ragione delle peculiari caratteristiche, nell'ambito delle tipiche strutture ricettive. In particolare, i giudici del riesame hanno escluso la presenza di strutture destinate specificamente al servizio di ristorazione e ritenuto determinante la realizzazione di locali destinati ad alloggio e dotati di camera da letto, ambiente separato destinato a soggiorno con divano letto ed angolo cottura con lavello e fornelli alimentati da impianto a gas centralizzato.
Evidenzia inoltre del tutto correttamente il Tribunale che tali caratteristiche consentono di qualificare la struttura come vera e propria struttura turistico-ricettiva e che, proprio sulla base di tale precipua caratteristica, la ricorrente aveva ottenuto l'aumento dei posti letto da 20 a 36 (si individua anche un aumento di cubatura residenziale non autorizzato nella chiusura di una veranda). Si tratta di considerazioni in fatto del tutto plausibili e che tengono peraltro conto della oggettiva natura delle opere realizzate come risultante dal compendio indiziario, cosicché risulta del tutto inconferente il riferimento ai contenuti della relazione tecnica relativa alla concessione edilizia ed alla relazione paesaggistica richiamati in ricorso, in quanto descrittive di un intervento poi realizzato in modo del tutto differente da quanto dichiarato. Risulta dunque evidente l'infondatezza dei primi due motivi di ricorso e la corretta valutazione, da parte del Tribunale, dei presupposti di legge per il mantenimento del sequestro oggetto di riesame.
A conclusioni analoghe deve pervenirsi per quanto riguarda, infine, il terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente ha lamentato la mancata disamina di alcune deduzioni formulate in memorie prodotte in sede di riesame.
Sul punto va ricordato come la giurisprudenza di questa Corte abbia affermato che compito del Tribunale del riesame è pure quello di espletare il proprio ruolo di garanzia non limitando la propria cognizione alla astratta configurabilità del reato, dovendo invece considerare e valutare tutte le risultanze processuali in modo coerente e puntuale esaminando, conseguentemente, non solo le allegazioni probatorie del Pubblico Ministero ma anche le confutazioni e gli altri elementi offerti dalla difesa degli indagati che possano influire sulla configurabilità e sussistenza del fumus del reato ipotizzato (ex pl. Sez. 3 n. 27715V 2010 cit.; Sez. 3 n. 26397, 9 luglio 2010; Sez. 3 n. 18532/ 2010 cit., con ampi richiami ai precedenti).
Si tratta di argomentazioni che il Collegio condivide e che chiariscono esattamente come il sindacato del Tribunale del riesame, lungi dall'estendersi ad ogni questione prospettata dall'indagato, resta comunque vincolato entro limiti ben precisi, rappresentati dalla effettiva influenza della questione dedotta sulla fondatezza del fumus del reato.
Il principio di diritto è stato conseguentemente riaffermato di recente (Sez. 3 n. 7242, 25 febbraio 2011), con l'ulteriore precisazione che la valutazione richiesta al Tribunale del riesame non può ritenersi dovuta in presenza di qualsiasi allegazione difensiva che si risolva in una mera negazione degli addebiti o in una diversa lettura degli elementi acquisiti, ma solo quando la rilevanza dell'apporto della difesa sia di immediata evidenza ed oggettivamente determinante in relazione al "fumus commissi delicti". Non è peraltro richiesta in sede di riesame la confutazione, punto per punto, degli argomenti difensivi di cui sia manifesta l'irrilevanza alla luce della valutazione globale degli elementi disponibili ai fini della sussistenza del fumus dei reati ipotizzati e del periculum in mora (non oggetto, peraltro, di specifica contestazione nel caso in esame) che il Tribunale ha dato conto di aver comunque considerato senza, quindi, venir meno all'onere motivazionale impostogli dalla legge.
Anche sul punto, pertanto, l'ordinanza impugnata risulta del tutto immune da censure.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2012