Cass. Sez. III n. 10972 del 21 marzo 2012 (Cc. 9 feb. 2012)
Pres. Petti Est. Amoresano Ric. Center office
Urbanistica . Reiterazione sequestro

In presenza di una sopravvenuta diversa qualificazione giuridica dei reati originariamente ipotizzati, può essere emesso nuovo provvedimento di sequestro in sostituzione di quello precedente (fattispecie in tema di abuso in atti di ufficio, falso e violazione urbanistica)

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. PETTI Ciro - Presidente - del 09/02/2012
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - SENTENZA
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 318
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 6617/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) Center Office Trade Pomezia srl;
avverso l'ordinanza del 20.1.2011 del Tribunale di Roma;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Silvio Amoresano;
sentite le conclusioni del P.G. Dr. Alfredo Montagna, che ha chiesto rigettarsi il ricorso;
sentiti i difensori, avv.ti Taormina Carlo e Dell'Anno Pierpaolo, che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso.
OSSERVA
1) Con ordinanza in data 20.1.2011 il Tribunale di Roma rigettava la richiesta di riesame, proposta nell'interesse di Center Office Trade Pomezia srl, in persona del legale rappresentante, avverso il provvedimento del GIP del Tribunale di Velletri del 4.11.2010, con cui era stato disposto il sequestro preventivo del complesso immobiliare Le Magnolie sito in Pomezia.
Premetteva il Tribunale che tale complesso era stato già oggetto di un precedente sequestro nell'ambito dello stesso procedimento penale a carico del committente delle opere e dei componenti l'ufficio urbanistico del Comune di Pomezia per i reati di cui agli artt. 110, 483 e 323 c.p. (capi a e b), D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) (capo c).
Essendo stati, in sede di udienza preliminare, diversamente qualificati i reati di cui ai capi a) e b) nel delitto previsto dall'art. 61 c.p., n. 2, art. 81 cpv. c.p., art. 112 c.p., n. 1 e art. 480 c.p., il GIP, su richiesta del P.M., aveva emesso fa nuova misura cautelare.
Tanto premesso, riteneva il Tribunale che non potessero esservi dubbi sull'autonomia del nuovo provvedimento di sequestro rispetto al precedente, in quanto, pur adottato sulla base dei medesimi presupposti, riguardava imputazioni parzialmente diverse e coincidenti solo in relazione al reato di lottizzazione abusiva di cui al capo e). Tale autonomia legittimava pienamente la proposta richiesta di riesame. Irrilevante e priva di effetti concreti nel procedimento cautelare instaurato doveva ritenersi la mancata revoca del precedente provvedimento di sequestro.
Sussisteva poi, secondo il Tribunale, il fumus dei reati ipotizzati. Anche a prescindere dalle dichiarazioni inutilizzabili dell'indagato Rossi, dalla documentazione acquisita presso il Comune, dal rilievo aereo fotogrammetrico del luglio 2003, dalla consulenza tecnica disposta dal P.M. emergeva che i provvedimenti concessori in sanatoria rilasciati erano illeciti e, comunque, illegittimi in relazione non solo alla data di ultimazione delle opere, ma anche all'entità delle opere realizzate in difformità rispetto all'originario titolo abilitativo.
La lottizzazione (attraverso la realizzazione di opere edilizie era stata trasformata la destinazione del complesso da "residence" in 170 appartamenti) non si era cerio perfezionata alla data del frazionamento catastale del 2002, in quanto, come evidenziato dal consulente, a quella data nessuno degli appartamenti era dotato di autonomia funzionale giuridica. Peraltro, per costante giurisprudenza della Suprema Corte, il reato di lottizzazione abusiva non è condonabile.
Il periculum in mora era stato, poi, bene evidenziato nel provvedimento impugnato e non era stato oggetto di specifiche censure.
2) Ricorrono per cassazione i difensori del Center Office Trade Pomezia srl (amministratore unico Bucciarelli Basilio). Dopo un riepilogo della vicenda e dopo aver ricordato che la nuova richiesta di sequestro preventivo era stata accolta dal GIP sul presupposto dichiarato che vi fossero "gravi indizi di reato di recente commissione costituiti dagli accertamenti sul posto da parte della polizia giudiziaria", denunciano, con il primo motivo, la violazione dell'art. 321 c.p.p. per essere stata la nuova misura disposta in mancanza di elementi sopravvenuti idonei a superare il giudicato cautelare.
Contrariamente a quanto ritenuto dal GIP negli atti non vi è traccia di nuovi accertamenti di p.g. e la consulenza del P.M. è la stessa posta a base del decreto di sequestro del 24.1.2008. Avendo la difesa posta la questione del "novum", il Tribunale aveva rinviato ad altra udienza mandando al GIP per la integrazione degli atti (furono trasmessi altri atti ma non i presunti recenti accertamenti di p.g.). Il provvedimento impugnato va, pertanto, annullato senza rinvio perché disposto in violazione del giudicato cautelare. Con il secondo motivo denunciano la violazione dell'art. 321 c.p.p. per avere il Tribunale ritenuto che sussistessero i presupposti (identificati nel mutamento della qualificazione giuridica) per l'emissione del nuovo provvedimenti di sequestro. Tale nuovo provvedimento è stato disposto per lo stesso fatto anche se qualificato diversamente, senza che fossero sopravvenute altre ed ulteriori esigenze. Ma la diversa qualificazione giuridica non costituisce una novità tale da superare il divieto di sequestro di una cosa già sequestrata. Persistendo il vecchio sequestro, non poteva essere emessa nuova misura cautelare. Nè si giustifica la "novazione" del provvedimento originario (come ritiene il P.M.) in quanto la novazione dal punto di vista giuridico richiede "oggetto o titolo diverso".
A prescindere dalle sorti dell'originario sequestro, che risulta comunque ancora operativo, è certamente illegittimo il nuovo provvedimento di sequestro che va pertanto annullato senza rinvio. Con il terzo motivo denunciano la mancanza di motivazione su specifiche, decisive censure avanzate dalla difesa. Il sequestro trova il suo fondamento nel reato di lottizzazione abusiva per la ritenuta illegittimità del provvedimento di condono. Con la memoria del 28.12.2010 e poi del 20.1.2011 era stato evidenziato, in modo preciso ed argomentato, che ai fini dell'ammissibilità della richiesta di condono assumeva decisiva rilevanza il frazionamento abusivo effettuato nel 2002 e quindi in epoca anteriore al marzo 2003. Il provvedimento di condono fu rilasciato non già con riferimento allo stato dei lavori alla data del 31.3.2003, ma al frazionamento del novembre 2002, per cui è palesemente insussistente il dolo del reato di falso. Conseguentemente non sussiste il fumus del reato di lottizzazione abusiva.
3) Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
3.1) In relazione ai primi due motivi di ricorso, non c'è dubbio che in tema di applicazione di misure cautelari reali il principio del ne bis in idem sia ostativo alla reiterazione della misura medesima quando il giudice sia chiamato a riesaminare nel merito gli stessi elementi già ritenuti insufficienti o insussistenti (ovviamente non sussiste alcuna preclusione alla reiterazione del provvedimento di sequestro quando il precedente sia stato dichiarato inefficace solo per vizio meramente formale (cfr. Cass. pen. sez. 3 n.37706 del 22.9.2006).
È indiscutibile, altresì, che una volta esaurita la fase del riesame (ivi compreso l'eventuale ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale) o anche in pendenza della stessa oppure in caso di mancata proposizione di questo mezzo di gravame, con implicito riconoscimento della legittimità ed adeguatezza della misura cautelare reale disposta e della sua conformità alle risultanze procedimentali o processuali, è possibile richiedere la revoca di detta misura, solo ove sia modificato il quadro processuale per "fatti sopravvenuti" (cfr. Cass. sez. 3, 21.6.1994 n. 1512; conf. Cass. pen. sez. 3 n. 1708 del 13.11.2002) o vengano comunque dedotti elementi nuovi, per tali dovendosi intendere sia quelli preesistenti, ma non esaminati, sia quelli sopravvenuti. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, il giudicato cautelare copre soltanto il dedotto e non anche il deducibile e non riguarda le questioni che, pur dedotte, non siano state decise (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 2 n. 35482 del 12.7.2007; conf. Cass. sez. 4 n.4273 del 28.11.2008;
Cass. pen. sez.4 n.32929 del 4.6.2009; Cass. pen. sez. 6 n.43213 del 27.10.2010; v. anche Cass. sez. un. n. 18339 del 31.3.2004). Il riepilogo degli approdi giurisprudenziali in tema di "ne bis in idem" risulta effettuato, in modo completo ed efficace, nella sentenza della sez. 5, n.43068 del 13.10.2009. Dopo il richiamo del principio espresso dalle Sezioni unite nella sentenza Buffa del 1994 (Rv. 198213) in tema di misure personali e cioè quello per cui - una preclusione processuale è suscettibile di formarsi a seguito delle pronunzie emesse, all'esito del procedimento incidentale di impugnazione, dalla Corte Suprema ovvero dal Tribunale in sede di riesame o di appello, avverso le ordinanze in tema di misure cautelari, si evidenzia che:- esso ha una portata più modesta rispetto a quella determinata dalla cosa giudicata, sia perché è limitata allo stato degli atti, sia perché non copre anche le questioni deducibili, ma soltanto le questioni dedotte, implicitamente o esplicitamente, nei procedimenti di impugnazione avverso ordinanze in materia di misure cautelari personali, intendendosi queste ultime come le questioni che quantunque non enunciate in modo specifico, integrano il presupposto logico di quelle espressamente dedotte. Ne consegue, aggiungono le Sezioni unite, che te pronunzie in esame - se non impugnabili o, a loro volta, non impugnate - spiegano un'efficacia preclusiva sulle suindicate questioni e che, pertanto, come non è consentita l'adozione di una nuova ordinanza cautelare sulla base degli stessi elementi ritenuti insussistenti o irrilevanti in sede di gravame, allo stesso modo le questioni in discorso restano precluse in sede di adozione di ogni successivo provvedimento relativo alla stessa misura e allo stesso soggetto (conf. Rv. 207652; Rv. 209794 Rv. 216933; Rv. 213302). Sulla base di tali principi si è quindi formato l'ulteriore orientamento giurisprudenziale che esclude il formarsi di preclusione quanto all'accertamento della carenza originaria e preesistente di indizi o di esigenze cautelari, per effetto della mancata tempestiva impugnazione dell'ordinanza cautelare con la richiesta di riesame o il ricorso diretto per cassazione (vedi Rv. 206500), sebbene la giurisprudenza non abbia mancato di individuare limitazioni al potere della parte di rinnovare al Gip sempre la medesima richiesta con la medesima questione (Rv. 208420) anche a prescindere dalla attivazione dell'incidente cautelare. Tali rilievi non hanno tuttavia impedito alla giurisprudenza di enucleare una ulteriore sottofattispecie in riferimento alla quale hanno prospettato una soluzione ancora più specifica. Si tratta della ipotesi....nella quale il Pubblico Ministero non abbia impugnato un'ordinanza di rigetto della richiesta di applicazione di una misura cautelare: in tal caso si forma un giudicato cautelare per cui sussiste una preclusione alla reiterazione, negli stessi termini, della istanza respinta e ciò in quanto il provvedimento del GIP è una pronuncia su quanto dedotto, allegato e richiesto. Non vi è preclusione, invece, nell'ipotesi in cui la nuova richiesta contenga una diversità di allegazioni e deduzioni (rv 223654). Coni, rv 187178. Fatte tali premesse e rilevato che nel caso di rigetto di richiesta di misura cautelare è opponibile il giudicato cautelare anche sulla base del solo provvedimento del primo giudice non impugnato, deve poi osservarsi che la condizione ulteriore è quella che non siano riproposte "questioni esplicitamente o implicitamente già dedotte", posto che una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa, non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame. (Sez. U, Sentenza n. 14535 del 19/12/2006, Librato, Rv. 235908).
3.1.1) Tanto premesso, è del tutto evidente che la "ratio" dell'effetto preclusivo è quella di impedire che, immutate le condizioni (sotto il profilo del fumus o delle esigenze cautelari) di applicabilità o non applicabilità della misura cautelare, vi sia una mera rivalutazione degli stessi elementi. Si vuole cioè evitare, in assenza di nuovi elementi (sotto il profilo, in tema di misure cautelari reali, del fumus e delle esigenze cautelari), che venga "imposto" o "eliminato" il vincolo reale sul bene. Sicché, come non è consentito al P.M. di richiedere, attraverso una rivalutazione degli stessi elementi, il sequestro, così non è consentito all'indagato di ottenere la revoca del vincolo in precedenza imposto. Alla luce di tali rilievi, non può certamente parlarsi, nel caso di specie, di violazione del giudicato cautelare, dal momento che il vincolo reale sul bene era già esistente ed il nuovo provvedimento, richiesto ed adottato, mirava solo a confermarlo. La richiesta del P.M., cioè, non tendeva ad ottenere un sequestro che in precedenza era stato negato dal GIP o che era stato revocato in sede di giudizio cautelare, ma più semplicemente a "sostituire" il precedente provvedimento sulla base di titoli di reato diversi da quelli inizialmente ipotizzati.
Tanto emerge chiaramente sia dalla richiesta del P.M. che dal provvedimento del GIP che, in accoglimento della richiesta medesima, emetteva il "nuovo" provvedimento di sequestro. Nella richiesta del 12.10.2010 il P.M., dopo aver premesso che all'udienza preliminare il GUP aveva riqualificato nel reato di cui all'art. 110 c.p., art. 112 c.p., n. 1, art. 61 c.p., n. 2, artt. 81 e 480 c.p. gli originari reati di cui agli artt. 483, 81 e 110 c.p. e artt. 110, 81 e 323 c.p. (fermo restando il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), assumeva che nel febbraio 2008 era stato eseguito un provvedimento di sequestro preventivo, emesso dal GIP del Tribunale di Velletri in virtù dell'originaria formulazione dell'imputazione. Appariva pertanto opportuna la "novazione del titolo cautelare alla luce della nuova contestazione".
Il GIP, nell'accogliere la richiesta del P.M., rilevava che andava "modificata la qualificazione originaria del decreto di sequestro secondo quanto contestato dal Pubblico ministero nella richiesta allegata, ferma restando ogni altra osservazione in fatto e diritto contenuta nel provvedimento di sequestro già eseguito". Che il nuovo provvedimento di sequestro andasse a sostituire quello precedente emergeva ancor più chiaramente dalla parte dispositiva del provvedimento del 4.11.2010, laddove si afferma testualmente:
"Dispone il sequestro preventivo, per i reati indicati nell'allegata richiesta del Pubblico ministero, dell'immobile denominato Le Magnolie sito in Pomezia v. Naro - v. Padova già oggetto del decreto di sequestro preventivo del 14.2.2008 (già notificato agli interessati e che si richiama)". Tale provvedimento si limitava, quindi, a prendere atto della nuova contestazione (o meglio della diversa qualificazione giuridica della precedente) e, sulla base di essa, ad imporre il "nuovo" vincolo sullo stesso bene. Tale vincolo, del resto, non poteva ulteriormente essere mantenuto sulla base di titoli di reato, ritenuti, almeno in parte, non più configurabili. È assolutamente insostenibile, infatti, che il provvedimento di sequestro continuasse a trovare il suo fondamento in ipotesi di reato diverse da quelle per le quali il Giudice dell'Udienza preliminare aveva, con provvedimento del 7.10.2010, restituito gli atti al P.M. affinché procedesse ai sensi dell'art. 550 c.p.p. e ss.. Nè, tanto meno, è sostenibile che la diversa qualificazione giuridica potesse determinare la caducazione automatica del precedente sequestro. Deve ritenersi, pertanto, che, in presenza di una sopravvenuta diversa qualificazione giuridica dei reati originariamente ipotizzati, possa essere emesso nuovo provvedimento di sequestro in sostituzione di quello precedente. A ben vedere argomenti a sostegno possono trarsi, indirettamente, da quanto statuito in tema di misure cautelari personali. L'art. 297 c.p.p., comma 3 disciplina, invero, l'ipotesi della emissione di "più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benché diversamente circostanziato o qualificato...". E tale disciplina espressa si è resa necessaria perché (a differenza delle misure cautelari reali) occorreva precisare che la pur consentita emissione di nuova ordinanza di custodia cautelare per lo stesso fatto, anche se diversamente qualificato, incontrava i limiti della durata della custodia cautelare medesima i termini decorrono dai giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all'imputazione più grave").
3.2) In relazione al terzo motivo di ricorso va ricordato che, a norma dell'art. 325 c.p.p., il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per violazione di legge. Secondo le sezioni unite di questa Corte (sentenza n.2/2004. Terrazzi), nel concetto di violazione di legge può comprendersi la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l'art. 125 c.p.p., che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non la manifesta illogicità della motivazione, che è prevista come autonomo mezzo di annullamento dall'art. 606 c.p.p., lett. c), ne' tantomeno il travisamento del fatto non risultante dal testo del provvedimento. Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalle stesse sezioni unite con la sentenza n. 25932 del 29.5.2008 - Ivanov, secondo cui nella violazione di legge debbono intendersi compresi sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonee a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice.
3.2.1) Il Tribunale, con motivazione non certo apparente e quindi non riconducibile alla previsione di cui all'art. 325 c.p.p., ha ritenuto che sussistesse il fumus dei reati ipotizzati. In particolare, ha accertato che alla data del frazionamento catastale del 2002 il complesso edilizio era ancora allo stato iniziale, sicché le cinque concessioni in sanatoria erano state rilasciate illegittimamente perché riferite ad opere non ultimate entro il 31.3.2003, con destinazione d'uso non ancora effettivamente mutate e con una consistenza complessiva maggiore di quella ammissibile. La lottizzazione, quindi, non si era certo perfezionata al momento del frazionamento catastale del 2002, in quanto, a quella data, nessuno degli appartamenti aveva autonomia funzionale giuridica. Ed è assolutamente pacifico che il reato di lottizzazione abusiva ha natura permanente e si protrae nel tempo fino all'esaurimento dell'attività edificatoria nell'ambito dell'intera area oggetto dell'abusivo frazionamento. Invero, "....successivamente al frazionamento iniziale anche la condotta successiva, ovvero l'esecuzione di opere di urbanizzazione o la realizzazione di singole costruzioni, protrae l'evento criminoso, attraverso la lesione del monopolio pubblico della programmazione urbanistica (cfr. Cass. pen. sez.3 n.19732 del 26.4.2007). Pur essendovi distinzione tra il reato di lottizzazione abusiva a scopo edificatorio e quello di costruzione abusiva nell'area oggetto di lottizzazione, la permanenza del primo di detti reati viene a cessare qualora si sia dato luogo ad effettiva attività edificatoria, anche ad opera di soggetti diversi dal lottizzatore, solo con l'esaurimento della su indicata attività..." (Cass. sez. 3 n.7640 del 25.5.1998 n.7640; conf. Cass. sez. 3 n.1996 del 5.12.2001).
Hanno, comunque, evidenziato i Giudici del riesame che, secondo giurisprudenza pacifica, il condono edilizio non trova applicazione in relazione al reato di lottizzazione abusiva in qualunque forma commessa (negoziale, materiale o mista) cfr. ex multis Cass. pen. sez.3 n.9982 del 21.11.2007; conf. Cass. sez. 3 18.6.2004 e cass. sez. 3 n. 24319 del 4.4.2003.
3.2.2) Quanto, infine, all'elemento psicologico dei reati ipotizzati, secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte, non menzionando l'art. 321 c.p.p. gli indizi di colpevolezza fra le condizioni di applicabilità del sequestro e non potendosi ritenere applicabile l'art. 273 c.p.p. (dettato per le misure cautelari personali e non richiamato per quelle reali), ai fini dell'adozione del sequestro è sufficiente la presenza del fumus boni iuris e cioè l'ipotizzabilità in astratto del reato (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 1 n.2396 del 25.3.1997). Sicché "il sequestro preventivo è legittimamente disposto in presenza di un reato che risulti sussistere in concreto, e indipendentemente dall'accertamento della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell'agente o della sussistenza dell'elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi è estranea all'adozione della misura cautelare reale" (cfr. ex multis Cass.pen. Sez. 6 n. 10618 del 23.2.2010; conf. sez. 1 n.15298 del 4.4.2006). Anche la parte minori tari a della giurisprudenza che "valorizza" l'elemento psicologico, esclude che esso possa essere preso in considerazione quando ci si trovi in presenza di provvedimenti macroscopicamente illegittimi. Si ritiene, invero, che nella valutazione del fumus commissi delicti possa rilevare l'eventuale difetto dell'elemento soggettivo del reato, sempre che sia di "immediata evidenza" (cfr. Cass. pen. sez. 2 n.2808 del 2.10.2008).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2012