 Cass.Sez. III n. 13746 del 22 marzo 2013 (CC 29 gen 2013)
Cass.Sez. III n. 13746 del 22 marzo 2013 (CC 29 gen 2013)
Pres.Mannino Est.Franco Ric.Falco e altro 
Urbanistica.Ordine di demolizione de delibera di acquisizione al patrimonio comunale 
Il giudice dell'esecuzione ha il potere di verificare che l'incompatibilità dell'ordine di demolizione con la delibera di acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio comunale sia attuale e non meramente eventuale, non essendo consentito paralizzare indefinitamente il ripristino dell'assetto urbanistico violato. (Fattispecie relativa a rigetto della richiesta di revoca dell'ordine di demolizione, nella quale è stata qualificata come mero atto di indirizzo la delibera di acquisizione al patrimonio comunale priva dell'impegno di spesa e di una adeguata istruttoria).
  Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Camera di consiglio SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE    
 SEZIONE TERZA 
 Dott. MANNINO   Saverio          - Presidente  - del 29/01/2013
 Dott. FRANCO    Amedeo      - est. Consigliere - SENTENZA
 Dott. MARINI    Luigi            - Consigliere - N. 173
 Dott. GRAZIOSI  Chiara           - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. ANDREAZZA Gastone          - Consigliere - N. 19129/2012
 ha pronunciato la seguente: 
 sul ricorso proposto da:
 Falco Franco e Granato Anna;
 avverso l'ordinanza emessa il 27 febbraio 2012 dal giudice del  tribunale di Napoli, sezione distaccata di Afragola, quale giudice  dell'esecuzione;
 udita nella camera di consiglio del 29 gennaio 2013 la relazione  fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
 lette le conclusioni del Procuratore generale con le quali chiede il  rigetto del ricorso.
 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 Franco Falco e Granato Anna ricorrono avverso l'ordinanza emessa  il 27 febbraio 2012 dal giudice del tribunale di Napoli, sezione  distaccata di Afragola, quale giudice dell'esecuzione, con cui è  stata rigettata la richiesta di revoca o sospensione dell'ordine di  demolizione di manufatto abusivo, impartito con sentenza di condanna  del tribunale di Napoli passata in giudicato, per intervenuta  acquisizione da parte del Consiglio Comunale di Caivano dell'immobile  in oggetto, insieme ad altri, al fine di trasformarlo in alloggio di  edilizia residenziale sovvenzionata. Il tribunale ha motivato il  rigetto considerando la delibera comunale predetta, in ogni caso  illegittima giacché mancante di indicazione di impegno di spesa e di  istruttoria svolta per singolo immobile inerente l'effettiva  praticabilità dell'intervento, un mero atto di indirizzo non  contenente alcuna indicazione specifica.
 Deducono i ricorrenti che la delibera consiliare in questione,  adottata sulla base di specifiche disposizioni della legislazione  regionale, confligge in modo decisivo con la esecuzione della  demolizione; tale delibera, inoltre, individuando specificamente una  serie di immobili da destinare ad edilizia residenziale  sovvenzionata, non sarebbe mero atto di indirizzo politico ne'  rileverebbe la mancanza di impegno di spesa, in realtà da assumere  solo successivamente. Osservano che per arrestare l'ordine di  demolizione è sufficiente, sulla base del dettato del D.P.R. n. 380  del 2001, art. 31, comma 5, una delibera di consiglio comunale che  dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e che l'opera  non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali senza  che siano necessari tutti i dettagli tecnici, economici e normativi  che dovranno formare oggetto di ulteriori, conseguenti, atti.  MOTIVI DELLA DECISIONE
 Il ricorso è infondato.
 Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 5, sostanzialmente  riproduttivo di quanto già disponeva la L. n. 47 del 1985, art. 7,  prevede che l'opera acquisita di diritto gratuitamente al patrimonio  del Comune in forza di inottemperanza all'ordine di demolizione "è  demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del  competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso,  salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di  prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con  rilevanti interessi urbanistici o ambientali"; il legislatore ha  così previsto che l'interesse al ripristino dello status quo ante,  quale strumento sanzionatorio di condotte poste in essere in  violazione delle prescrizioni finalizzate al perseguimento di un  ordinato assetto del territorio, debba recedere a fronte di interessi  pubblici di diverso genere tuttavia prevalenti rispetto al  raggiungimento di un tale risultato e che impongano la permanenza  dell'opera, sempre che la stessa non contrasti con rilevanti  interessi urbanistici e ambientali. Questa Corte ha pertanto potuto  precisare che il Consiglio comunale può dichiarare legittimamente la  prevalenza di interessi pubblici ostativi alla demolizione alle  seguenti condizioni: 1) assenza di contrasto con rilevanti interessi  urbanistici e, nell'ipotesi di costruzione in zona vincolata, assenza  di contrasto con interessi ambientali: in quest'ultimo caso l'assenza  di contrasto deve essere accertata dall'amministrazione preposta alla  tutela del vincolo; 2) adozione di una formale deliberazione del  consiglio con cui si dichiari formalmente la sussistenza di entrambi  i presupposti; 3) la dichiarazione di contrasto della demolizione con  prevalenti interessi pubblici, quali ad esempio la destinazione del  manufatto abusivo ad edificio pubblico, ecc. (Sez. 3, n. 41339 del 10  ottobre 2008, Castaldo e altra, non massimata).
 La natura eccezionale di tali ipotesi rispetto a quella che dovrebbe  essere la ordinaria conseguenza, ovvero l'esito demolitorio, della  illiceità di condotte poste in essere in violazione della disciplina  urbanistica, impone una interpretazione restrittiva dei presupposti  cui tali ipotesi sono condizionate e legittima, allo stesso tempo, il  giudice dell'esecuzione, in applicazione del resto di un principio  generale più volte applicato da questa Corte, a sindacare la  sussistenza dei medesimi. Già con riferimento alla concessione in  sanatoria, anch'essa evidentemente di carattere eccezionale rispetto  all'ordinaria disciplina sanzionatoria in materia urbanistica, si è  affermato infatti che il giudice dell'esecuzione ha il dovere di  controllare la legittimità dell'atto concessorio sotto il duplice  profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei  requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il  corretto esercizio del potere di rilascio (tra le altre, Sez. 3, n.  46831 del 16/11/2005, Vuocolo, m. 232642). Analogamente, con  riferimento al condono, si è detto che il giudice dell'esecuzione, a  cui sia richiesto di revocare l'ordine di demolizione di manufatto  abusivo in ragione appunto di sopravvenuto provvedimento di condono,  ha il potere di sindacare detto atto concessorio, disapplicandolo ove  lo stesso sia stato emesso in assenza delle condizioni fonnali e  sostanziali di legge previste per la sua esistenza (Sez. 3, n. 25485  del 17/03/2009, Consolo, m. 243905).
 In particolare, per quel che riguarda il sindacato della delibera  consiliare in oggetto, deve ritenersi rientrare nei poteri del  giudice verificare che l'incompatibilità dell'esecuzione  dell'ordinanza di demolizione con la delibera consiliare sia attuale  e non meramente eventuale, non essendo evidentemente consentito  fermare l'esecuzione penale per tempi imprevedibili senza la concreta  esistenza di una delibera consiliare avente i requisiti previsti  dall'art. 31 cit., giacché l'ordinamento non può attendere sine die  l'adozione di una possibile quanto eventuale deliberazione. Solo a  partire dall'adozione di una delibera di tal fatta è dunque preclusa  al giudice la potestà di disporre la demolizione del manufatto e  solo a partire da tale momento l'inottemperanza dell'ingiunto  all'ordine di demolizione impartito dall'autorità giudiziaria  potrebbe ritenersi giustificata.
 Nella specie, il provvedimento impugnato ha ritenuto di non  ravvisare, nella delibera consiliare del 06/02/2012 richiamata, i  presupposti richiesti dalla legge, in particolare osservando come le  valutazioni cui dovrebbe conseguire la non eseguibilità della  demolizione (ovvero, appunto, il prevalente interesse pubblico e  l'assenza di contrasto del manufatto con rilevanti interessi  urbanistici), benché dichiarate formalmente sussistenti, di fatto  siano state demandate ad una fase successiva, essendosi disposta,  nella stessa delibera, la necessità di porre in essere,  testualmente, le "opportune verifiche tecniche ed eventuali  adeguamenti", demandandosi inoltre agli uffici comunali competenti  "tutte le attività ed i provvedimenti necessari per la realizzazione  del programmato intervento".
 Ne consegue come il giudice dell'esecuzione, qualificando, sotto tale  profilo, come "atto di indirizzo" la delibera in oggetto e reputando  in definitiva come solo eventuale e futura la valutazione dei  presupposti di legge cui l'art. 31 cit. condiziona la non  operatività della demolizione, abbia, conformandosi ai principi  sopra enunciati, legittimamente escluso nella specie l'effetto  ostativo della demolizione, propriamente derivante, per quanto già  detto, solo da una valutazione in termini di attualità degli  interessi pubblici alla conservazione dell'opera e della mancanza di  contrasto con rilevanti interessi urbanistici. Nè il fatto che i  ricorrenti siano stati eventualmente invitati a produrre all'Ufficio  tecnico comunale la documentazione inerente il manufatto, appare  infirmare l'argomentazione del giudice, al contrario comprovando  ulteriormente lo svolgimento di un'attività istruttoria ancora in  itinere.
 Il ricorso va pertanto rigettato con conseguente condanna dei  ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese  			processuali.
 Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione,  			il 29 gennaio 2013.
 Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2013
 
                    




