Consiglio di Stato Sez. VI n. 2563 del 26 marzo 2021
Urbanistica.Costruzione tettoia su lastrico solare e nozione di sopraelevazione

La disciplina di cui all’art. 90 del d.P.R. 380 del 2001 non fornisce una definizione di sopraelevazione, tale da importare necessariamente il concetto di creazione di superficie abitabile. Tuttavia, tale accezione è fatta propria dalla giurisprudenza  alla luce dell'aggiornamento delle Norme tecniche per le costruzioni (D.M. Infrastrutture e trasporti del 17 gennaio 2018), ritenuto strumento utile in senso interpretativo. Il detto aggiornamento prevede infatti che "Una variazione dell'altezza dell'edificio dovuta alla realizzazione di cordoli sommitali o a variazioni della copertura che non comportino incrementi di superficie abitabile, non è considerato ampliamento, ai sensi della condizione a) [i.e. sopraelevazione della costruzione]" (art. 8.4.3). La detta precisazione non è però idonea ad inficiare la correttezza dell’interpretazione secondo cui è possibile configurarsi la nozione di superficie abitabile anche in presenza di tettoie che, per la loro tipologia costruttiva e per il carattere della stabilità, potessero essere utilizzate a tal fine (segnalazione ing. M. Federici)

Pubblicato il 26/03/2021

N. 02563/2021REG.PROV.COLL.

N. 05372/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5372 del 2020, proposto da
Strippoli s.a.s. di Gattas Bahaa Amin Morgan & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Belvedere, Andrea Manzi e Matteo Peverati, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Andrea Manzi in Roma, via Confalonieri n. 5;

contro

Comune di Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Paola Cozzi, Giuseppe Lepore, Antonello Mandarano, Alessandra Montagnani Amendolea e Maria Lodovica Bognetti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Lepore in Roma, via Polibio n. 15;

nei confronti

Condominio di via Palmanova n. 131 – 133, in persona del legale rappresentante pro tempore, e Maria Piera Maccagni, rappresentati e difesi dagli avvocati Maria Sala e Giuseppe Monaco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Maria Sala in Milano, via Hoepli, 3;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia 30 marzo 2020 n. 572, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Milano, del Condominio di via Palmanova n. 131 - 133 e di Maria Piera Maccagni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 febbraio 2021 il Cons. Diego Sabatino e rilevato che l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto legge n. 28 del 30 aprile 2020 e dell'art. 25, comma 2, del decreto legge n. 137 del 28 ottobre 2020 attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario generale della Giustizia amministrativa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso iscritto al n. 5372 del 2020, Strippoli s.a.s. di Gattas Bahaa Amin Morgan & C. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia 30 marzo 2020 n. 572, con la quale è stato respinto il ricorso dalla stessa società proposto contro il Comune di Milano e nei confronti del Condominio di via Palmanova n. 131 – 133 e di Maria Piera Maccagni per l’annullamento

quanto al ricorso introduttivo:

- dell’atto del Comune di Milano, P.G. 0116345/2019, del 13 marzo 2019, mediante il quale è stata ordinata la demolizione delle opere realizzate in forza di s.c.i.a. del 18 maggio 2018, P.G. 219691/2018, e successiva s.c.i.a. del 5 dicembre 2018, P.G. 518371/2018, nonché la rimessione in pristino della situazione preesistente;

- di ogni altro atto presupposto e/o connesso;

quanto al ricorso per motivi aggiunti:

- dell’atto del Comune di Milano, P.G. 0310828/2019, del 12 luglio 2019, con cui sono stati annullati d’ufficio i titoli edilizi presentati dalla ricorrente (s.c.i.a. 2018 e seconda s.c.i.a.), “relativamente alle opere realizzate al piano copertura” ed è stato precisato il contenuto dell’ordinanza di demolizione emessa il 13 marzo 2019, specificando che le opere interessate risultano esclusivamente quelle realizzate al piano copertura, come descritte nello stesso provvedimento.

Il giudice di primo grado ha così riassunto i fatti di causa:

“1. Con ricorso introduttivo, notificato in data 13 maggio 2019 e depositato il 17 maggio successivo, la ricorrente ha impugnato l’atto del Comune di Milano, P.G. 0116345/2019, del 13 marzo 2019, mediante il quale è stata ordinata la demolizione delle opere realizzate in forza di s.c.i.a. del 18 maggio 2018, P.G. 219691/2018, e successiva s.c.i.a. del 5 dicembre 2018, P.G. 518371/2018, nonché la rimessione in pristino della situazione preesistente.

La ricorrente è proprietaria di un’unità immobiliare – distinta al catasto al foglio 204, mappale 77, subalterno 701 – a destinazione commerciale in cui viene svolta l’attività di ristorante (denominato “Strippoli”), situata in Via Madre Anna Eugenia Picco nel Comune di Milano. Tale unità immobiliare, costituita da un corpo ad un piano fuori terra ed uno seminterrato, fa parte di un complesso condominiale composto anche da due fabbricati di sette piani fuori terra ed uno seminterrato, da altri due fabbricati retrostanti, rispettivamente di nove e di sette piani fuori terra, oltre ad un piano seminterrato per entrambi, e da due cortili. Con una c.i.l.a. datata 16 marzo 2018, la ricorrente ha comunicato agli Uffici comunali l’esecuzione di opere di manutenzione straordinaria, demolizione e costruzione per la creazione di un locale bar, ristorante e pizzeria al piano terreno e seminterrato delle predette unità di sua proprietà; tuttavia, in data 18 maggio 2018, la predetta c.i.l.a. è stata sostituita da una s.c.i.a., avente ad oggetto un intervento di manutenzione straordinaria (pesante), di cui all’art. 3, comma 1, lett. b, del D.P.R. n. 380 del 2001, consistente nella demolizione e costruzione di alcuni tavolati dell’unità immobiliare, nella formazione di una scala di collegamento con il lastrico solare e nell’installazione, su quest’ultimo, di una tettoia e due canne fumarie. Con nota del 6 luglio 2018, lo Sportello unico dell’edilizia del Comune ha formulato una richiesta istruttoria, che la ricorrente ha successivamente riscontrato; con nota del 20 settembre 2018, il Comune ha chiesto ulteriori integrazioni progettuali e, in data 15 ottobre 2018, ha effettuato, tramite i propri tecnici, un sopralluogo, da cui è emerso che gli interventi realizzati risultavano difformi rispetto alla s.c.i.a. del 18 maggio 2018. In conseguenza di ciò, essendo l’intervento ancora in corso, la società ricorrente ha presentato una seconda s.c.i.a., datata 22 novembre 2018, al fine di sanare le predette difformità e concludere i lavori iniziati. Tuttavia, il Comune, in data 23 novembre 2018, all’esito del sopralluogo, ha segnalato alla parte istante che l’intervento edilizio si sarebbe dovuto configurare, ai fini strutturali, come sopraelevazione, con la connessa necessità della certificazione relativa ai cementi armati ex art. 90 del D.P.R. n. 380 del 2001, e ha preannunciato l’avvio del procedimento volto all’annullamento del titolo edilizio, per la necessità di verificare i presupposti di cui al citato art. 90, trattandosi di materia strutturale interessante la pubblica incolumità, e quelli dell’art. 86.3 del Regolamento Edilizio (distanze tra costruzioni), trattandosi di norma di carattere igienico-sanitario.

Con nota del 14 dicembre 2018, la parte ricorrente ha replicato alle contestazioni dell’Ufficio ed ha ribadito la conformità dell’intervento effettuato sia alla normativa tecnica sulle costruzioni sia alle prescrizioni in materia di distanze inderogabili fra pareti finestrate; il 17 dicembre 2018 è stato accertato l’avvenuto completamento dell’intervento in seguito a sopralluogo della Polizia Locale. Dopo ulteriori interlocuzioni tra le parti, in data 13 marzo 2019 il Comune ha disposto la demolizione delle opere realizzate in forza della s.c.i.a. del 18 maggio 2018, unitamente al correlato obbligo di riportare l’immobile allo stato originario.

Assumendo l’illegittimità del predetto provvedimento sanzionatorio, la ricorrente ne ha chiesto l’annullamento, in primo luogo, per violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, per eccesso di potere per difetto di motivazione, indeterminatezza e perplessità e per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità.

Ulteriormente sono stati dedotti la violazione e falsa applicazione dell’art. 90 del D.P.R. n. 380 del 2001, la violazione e falsa applicazione del Capitolo 8.4.3 del Decreto 17 gennaio 2018 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, avente ad oggetto “Aggiornamento delle ‘norme tecniche per le costruzioni’” (anche “NTC 2018”) e l’eccesso di potere sotto il profilo della erroneità dei presupposti, del travisamento dei fatti e della contraddittorietà.

Inoltre, sono stati dedotti la violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del Decreto del Ministero dei Lavori pubblici n. 1444 del 1968, la violazione e falsa applicazione dell’art. 86, comma 3, del Regolamento edilizio del Comune di Milano e l’eccesso di potere sotto il profilo dell’illogicità e perplessità della motivazione.

Sono stati altresì eccepiti la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, comma 4, e dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 e l’eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione e della carenza dei presupposti.

Ancora sono stati eccepiti la violazione e falsa applicazione dell’art. 97 della Costituzione, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990 e l’eccesso di potere per ingiustizia manifesta.

Infine, sono stati dedotti la violazione e falsa applicazione dell’art. 22, dell’art. 31 e dell’art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001, la violazione del principio di proporzionalità e l’eccesso di potere per indeterminatezza della motivazione.

Con il decreto n. 598/2019 è stata respinta la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo ed è stata fissata la camera di consiglio per la trattazione collegiale dell’istanza cautelare.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Milano e Maria Piera Maccagni e il Condominio di Via Palmanova n. 131-133, che hanno chiesto il rigetto del ricorso.

Con l’ordinanza n. 703/2019 è stata accolta in parte la domanda di sospensione cautelare formulata con il ricorso introduttivo ed è stata fissata l’udienza pubblica per la trattazione del merito della controversia.

2. Con ricorso per motivi aggiunti, notificato in data 11 ottobre 2019 e depositato il 29 ottobre successivo, la ricorrente ha altresì impugnato l’atto del Comune di Milano, P.G. 0310828/2019, del 12 luglio 2019, con cui sono stati annullati d’ufficio i titoli edilizi presentati dalla ricorrente (s.c.i.a. 2018 e seconda s.c.i.a.), “relativamente alle opere realizzate al piano copertura” ed è stato precisato il contenuto dell’ordinanza di demolizione emessa il 13 marzo 2019, specificando che le opere interessate risultavano esclusivamente quelle realizzate al piano copertura, come descritte nello stesso provvedimento.

A sostegno del ricorso per motivi aggiunti sono stati dedotti, in primo luogo, la violazione del giudicato cautelare formatosi sull’ordinanza del 12 giugno 2019, n. 703, ai sensi dell’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 e la violazione dell’art. 55 cod. proc. amm.

Ulteriormente sono stati dedotti la violazione degli artt. 3 e 21-nonies della legge n. 241 del 1990 e l’eccesso di potere per difetto di motivazione, carenza dei presupposti e contraddittorietà.

Ancora sono stati dedotti la violazione e falsa applicazione dell’art. 90 del D.P.R. n. 380 del 2001, la violazione e falsa applicazione del Capitolo 8.4.3 del Decreto 17 gennaio 2018 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, avente ad oggetto “Aggiornamento delle ‘norme tecniche per le costruzioni’” (anche “NTC 2018”) e l’eccesso di potere sotto il profilo della erroneità dei presupposti, del travisamento dei fatti e della contraddittorietà.

Infine sono stati eccepiti la violazione del giudicato cautelare formatosi sull’ordinanza del 12 giugno 2019, n. 703, ai sensi dell’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, l’eccesso di potere sotto il profilo della carenza di istruttoria, della carenza dei presupposti, del difetto di motivazione e della contraddittorietà e la violazione dell’art. 1 della legge n. 241 del 1990.

Con l’ordinanza n. 1528/2019 è stata respinta la domanda di sospensione cautelare formulata con il ricorso per motivi aggiunti ed è stata confermata la fissazione dell’udienza pubblica per la trattazione del merito della controversia.

In prossimità dell’udienza di merito, i difensori delle parti hanno depositato memorie e documentazione a sostegno delle rispettive posizioni; in particolare, la difesa del Comune di Milano ha ribadito la natura non autoritativa dell’atto impugnato con i motivi aggiunti.

Alla pubblica udienza del 21 gennaio 2020, su conforme richiesta dei difensori delle parti, la controversia è stata trattenuta in decisione.”

Il ricorso veniva dunque deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la condivisibilità dell’ordine di demolizione dato e la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, sotto tutti i punti di vista oggetto della sua cognizione.

Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure, come meglio descritte in parte motiva.

Nel giudizio di appello, si sono costituiti il Comune di Milano, il Condominio di via Palmanova n. 131 – 133 e Maria Piera Maccagni, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

All’udienza del 27 agosto 2020, l’istanza cautelare veniva accolta con ordinanza 28 agosto 2020 n. 4900.

Alla pubblica udienza del 4 febbraio 2021, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.


DIRITTO

1. - L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.

2. - Con il primo motivo di diritto, rubricato “1) Erroneità della motivazione della sentenza impugnata con riferimento ai capi 1. e 3. della parte in “diritto”, ossia alla valutazione del provvedimento 12 luglio 2019 quale rettifica del precedente ordine di demolizione, nonché allo scrutinio relativo al settimo motivo e, parzialmente, al decimo motivo”, viene lamentata l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto di dover esaminare il provvedimento del 12 luglio 2019 unitamente a quello del 13 marzo 2019, in quanto il primo “rappresenta anche una rettifica del precedente ordine di demolizione e rimessione in pristino, impugnato con il ricorso introduttivo e modificato in una parte del suo contenuto” dal citato atto del luglio 2019.

Così facendo, il T.A.R. non si è accorto che il nuovo provvedimento, sostituendo quello precedente, aveva esercitato nuovamente il proprio potere amministrativo su una fattispecie già interessata dalla precedente ingiunzione demolitoria, superando le determinazioni contenute in quest’ultima.

La censura è poi ampliata nel secondo motivo di diritto, recante “2) Contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata con riferimento ai capi 1. e 3. della parte in “diritto” rispetto al successivo capo 6”, dove si allega, a fondamento della propria ricostruzione, la circostanza che la sentenza risulta comunque contraddittoria laddove, al successivo capo 6., ha statuito che “sebbene l’ordinanza comunale del 13 marzo 2019, impugnata con il ricorso introduttivo, non abbia puntualmente perimetrato il proprio spettro di efficacia, con l’atto del 12 luglio 2019, impugnato con i motivi aggiunti, è stato adeguatamente chiarito l’ambito di applicazione del provvedimento ripristinatorio ed è stato specificato l’effetto dell’attività sanzionatoria posta in essere dagli Uffici comunali”.

2.1. - La censura, come articolata nei due motivi, non può essere condivisa.

Dalla lettura del provvedimento del 12 luglio 2019 emerge palese, in modo testuale, la volontà dell’amministrazione non di sostituire la prima ordinanza di demolizione, quella del 13 marzo 2019.

In particolare, il provvedimento è esplicitamente denominato “annullamento parziale dei titoli edilizi” e “rettifica dell’ordine di demolizione”, evidenziando sin dall’intestazione la volontà del Comune di porsi in linea con le sue precedenti determinazioni. Nel corpo del provvedimento, poi, viene richiamata espressamente la descrizione delle opere già fatta propria nella precedente determinazione, senza assumere alcuna nuova volizione di carattere generale. Infine, nella parte dispositiva, testualmente recante una dichiarazione di annullamento parziale (“dichiara”) e una puntualizzazione dell’ambito di riferimento (“precisa”), viene chiaramente indicato il perimetro di intervento del nuovo provvedimento rispetto al precedente.

L’ipotesi quindi di un annullamento implicito si pone quindi in contrasto con le affermazioni palesi inserite nell’atto e coerenti con l’iter procedurale compiuto dal Comune.

Deve quindi ritenersi del tutto corretta la lettura fatta dal primo giudice che, significativamente, ha precisato, parlando del secondo provvedimento, la sua natura lesiva “e quindi la necessità di scrutinarlo unitamente all’atto originario ad esso presupposto, nella parte in cui quest’ultimo è ancora valido ed efficace”. Con ciò, facendo una corretta applicazione delle regole procedimentali e fissando i termini della questione in maniera univoca, anche in relazione alle ulteriori censure che la parte ha articolato, con interpretazioni non condivisibili del dictum, nei successivi motivi quinto e sesto.

Deve quindi rigettarsi il motivo di appello.

3. - Con il terzo motivo di diritto, rubricato “3) Erroneità della motivazione della sentenza impugnata con riferimento al capo 4. della parte in “diritto”, ossia allo scrutinio relativo al secondo motivo e al nono motivo”, si censura la sentenza nella parte in cui ha rigettato le eccezioni formulate dall’appellante nel secondo motivo di ricorso e nel nono motivo, con i quali si è contestata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 90 del D.P.R. n. 380 del 2001, la violazione e falsa applicazione del capitolo 8.4.3. delle NTC 2018, nonché l’eccesso di potere sotto il profilo della erroneità dei presupposti del travisamento dei fatti e della contraddittorietà.

3.1. - La doglianza non può essere condivisa.

Con la prima parte del motivo, si lamenta come il primo giudice abbia travisato la documentazione agli atti, affermando che “nella fattispecie oggetto di scrutinio, l’Ufficio Cementi Armati ha, in più occasioni, evidenziato che la nuova destinazione impressa alla copertura trasformata in terrazza determina un aumento dei carichi in grado di produrre un impatto diretto sulla struttura da un punto di vista della sicurezza sismica”.

Al contrario, negli atti vi sarebbe una mera indicazione ipotetica di tale situazione, con conseguenziale errore ricostruttivo da parte del T.A.R.

Tuttavia, proprio leggendo i documenti in questione, si evince come il citato Ufficio abbia invece agito esattamente come indicato dal primo giudice, dando per scontato l’aumento di carico (dove l’elemento dubitativo era espresso in relazione al superamento o meno del valore del 10%) e della necessità di verificare la situazione in concreto (stante la carenza di più elementi istruttori, come i calcoli del progetto originario, il mancato computo dei carichi derivanti dai rinforzi, l’erroneità implicita del calcolo del carico derivante dalla struttura realizzata, ecc.).

La censura è quindi del tutto infondata, in quanto il T.A.R. ha coerentemente riassunto i contenuti della documentazione prodotta (in particolare, quella dei documenti di cui ai nn. 11 bis e 21, presentati dal Comune in prime cure), in aderenza alla funzione interpretativa attribuita al giudice, che è quella di valutare gli elementi assunti e non, come erroneamente ritiene la controparte, di farsene mero collettore.

Né peraltro vi sono problemi di motivazione postuma, pure accampati nella censura, atteso che la giurisprudenza ha chiarito (da ultimo, Cons. Stato, VI, 24 novembre 2010, n. 8218) che la facoltà dell'amministrazione di dare dimostrazione, nel caso di atti vincolati caratterizzati “dall'indicazione della causa del potere esercitato e dei fatti procedimentali normativamente rilevanti (cioè: da quel contenuto motivazionale sufficiente per gli atti vincolati), esclude in sede processuale che l'argomentazione difensiva della Amministrazione, tesa ad assolvere all'onere della prova, possa essere qualificato come illegittima "integrazione postuma" della motivazione sostanziale, cioè come un'indebita integrazione in sede giustiziale della motivazione stessa. Del resto, a ben vedere il divieto di integrazione della motivazione in sede processuale è volto ad evitare che il ricorrente sia posto, come è nel caso degli atti discrezionali, in una posizione di effettiva minorazione della tutela in giudizio: il che potrebbe avvenire se censure fondate, da lui dedotte nell'originaria domanda, potessero essere neutralizzate dall'Amministrazione al di fuori della pregressa applicazione delle regole legali di presidio istruttorio e di logicità e proporzionalità dell'attività valutativa; complesso di regole che la stessa Amministrazione è invece tenuta ad applicare anzitutto e proprio nell'esercizio della funzione, e quindi nella sede sostanziale di sviluppo del rapporto giuridico, vale a dire a monte della eventuale controversia (che è instaurata proprio a causa della loro violazione)”.

Nella seconda parte dello stesso motivo, si lamenta poi l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che “il Capitolo 8.3 delle N.T.C. impone una verifica di sicurezza quando ricorre il cambio di destinazione d’uso della costruzione o di parti di essa, con variazione significativa dei carichi variabili e/o passaggio ad una classe d’uso superiore: il tecnico di parte ha dichiarato il passaggio dalla classe d’uso II alla classe III, ma non ha prodotto alcuna relazione sul punto (cfr. all. 14 del Comune)”.

Anche in questo caso, il T.A.R. ha riassunto, sempre nell’ambito della sua funzione, gli atti di causa, evidenziando la realtà effettuale dell’intervento. Infatti:

a) in relazione al mutamento di destinazione d’uso, non vi sono documenti agli atti che dimostrino che il lastrico solare oggetto di intervento fosse stato già destinato ad attività commerciale e, anzi, la descrizione che ne viene fatta contraddice tale impostazione (visto che si parla unicamente di “formazione di tettoia”), mentre la successiva funzionalizzazione alla diversa categoria urbanistica rilevante emerge che quella commerciale è la funzione a cui tendono i lavori (peraltro, tale profilo urbanistico è stato approfondito al punto 7.1. della sentenza);

b) in merito al passaggio da classe II a classe III, la circostanza della presente o mancata affermazione del tecnico sul passaggio non appare elemento utile per fondare l’illegittimità dell’affermazione del giudice, il quale ha evidenziato la circostanza, in aggiunta alla ragione precedente, individuando i casi in cui la verifica di sicurezza appaia necessaria e ben avrebbe potuto aggiungere che la prudenza del Comune appariva ben giustificata sulla base dei carenti riscontri progettuali.

Con la terza parte della censura, si nota poi come il T.A.R. abbia erroneamente ritenuto che sussistesse il “presupposto necessario per configurare una sopraelevazione”, ossia la “creazione di superficie abitabile” mentre tale assunto era del tutto infondata.

Anche in questo caso, la valutazione del primo giudice è del tutto coerente con la documentazione agli atti e condivisibile.

Occorre notare come la disciplina di cui all’art. 90 del d.P.R. 380 del 2001 non fornisca una definizione di sopraelevazione, tale da importare necessariamente il concetto di creazione di superficie abitabile. Tuttavia, tale accezione è fatta propria dalla giurisprudenza (Cons. Stato, II, 15 gennaio 2021, n.491), alla luce dell'aggiornamento delle Norme tecniche per le costruzioni (D.M. Infrastrutture e trasporti del 17 gennaio 2018), ritenuto strumento utile in senso interpretativo. Il detto aggiornamento prevede infatti che "Una variazione dell'altezza dell'edificio dovuta alla realizzazione di cordoli sommitali o a variazioni della copertura che non comportino incrementi di superficie abitabile, non è considerato ampliamento, ai sensi della condizione a) [i.e. sopraelevazione della costruzione]" (art. 8.4.3).

La detta precisazione, fatta propria anche dalla difesa appellante, non è però idonea ad inficiare la correttezza dell’interpretazione data dal primo giudice, in quanto proprio la giurisprudenza ha ritenuto possibile configurarsi la nozione di superficie abitabile anche in presenza di tettoie che, per la loro tipologia costruttiva e per il carattere della stabilità, potessero essere utilizzate a tal fine (da ultimo, Cons. Stato, VI, 30 novembre 2020, n.7546; id., II, 30 novembre 2020, n.7601; sulla riconduzione implicita di una tettoia al concetto di sopraelevazione, Cass. civ., II, 7 gennaio 2019, n.121).

Pertanto, anche sotto tale ultimo punto di vista, il motivo deve essere respinto.

4. - Il quarto motivo, recante “4) Erroneità della motivazione della sentenza impugnata con riferimento al capo 5. della parte in “diritto”, ossia allo scrutinio relativo al terzo motivo”, evidenzia come la sentenza abbia: confermato la tesi dell’appellante secondo cui la tettoia non può essere considerata ai fini del computo delle distanze di cui all’articolo 9 del D.M. n. 1444/1968; rigettato il terzo motivo di ricorso, sostenendo che, nonostante il vano scala ubicato sul lastrico del fabbricato dell’appellante avesse natura di volume tecnico, il medesimo non potesse ritenersi irrilevante ai fini dell’applicazione dell’articolo 9 del D.M n. 1444/1968 perché rientrante nella più ampia nozione di costruzione. Tale seconda affermazione viene quindi censurata.

4.1. - La doglianza non ha pregio.

Va in primo luogo respinta la ulteriore singolare lettura fatta dalla parte della sentenza, atteso che il primo giudice, in relazione al tema della distanza della tettoia, ha semplicemente affermato che la questione non era oggetto del contendere, senza darvi invece alcuna connotazione di merito (“Non è contestato dalle parti che la violazione delle distanze si riferisce alla realizzazione di un vano scala e che lo stesso è stato posizionato a circa sei metri dal fabbricato principale del Condominio di Via Palmanova n. 131”).

In merito invece alla sussunzione del vano tecnico nell’ambito delle strutture tenute al rispetto delle distanze minime, il T.A.R. ha semplicemente fatto buon governo delle regole vigenti e della giurisprudenza in tema. Infatti, posto che l'unitarietà ordinamentale del concetto giuridico di “costruzione” non consente che la disciplina codicistica venga derogata in negativo dalle fonti regolamentari secondarie, il manufatto considerato “volume tecnico”, non può essere escluso dal computo dei limiti delle distanze (da ultimo, Cass. civ., II, 12 ottobre 2017, n.23973; Cons. Stato, IV, 17 maggio 2012, n. 2847).

5. - Con il quinto motivo, rubricato “5) Erroneità, contraddittorietà e irragionevolezza della motivazione della sentenza impugnata con riferimento al capo 6. della parte in “diritto”, ossia allo scrutinio relativo al primo, al quarto, al quinto motivo, all’ottavo motivo e, parzialmente, al decimo motivo”, vengono riproposte le ragioni già scrutinate con il primo e il secondo motivo di diritto in relazione alla motivazione dei due provvedimenti e al loro rapporto.

Trattandosi di questioni ivi già vagliate, può farsi rinvio alle ragioni sopra espresse.

In questa sede deve solo osservarsi come la parte censuri anche la carenza di motivazione interna dei provvedimenti e la loro tardività rispetto ai termini massimi di autoannullamento.

Entrambe le ragioni possono essere agevolmente superate ricordando, da un lato, la pacifica giurisprudenza in tema di motivazione dei provvedimenti vincolati in tema di demolizione (da ultimo, Cons. Stato, ad. plen., 17 ottobre 2017 n. 9) e, dall’altro, la circostanza che il tempo impiegato dal Comune (circa 14 mesi) si colloca abbondantemente in quello massimo previsto ex lege dall’art. 21-nonies della l. 241 del 1990, termine che esprime per volontà legislativa il contenuto massimo della nozione di ragionevolezza.

6. - Con il sesto e ultimo motivo, recante “6) Erroneità della motivazione nonché erroneità per ultrapetizione della sentenza impugnata con riferimento al capo 7. della parte in “diritto”, ossia allo scrutinio relativo al sesto motivo e alla parte residua del decimo motivo”, viene evidenziato l’implicito riconoscimento da parte del T.A.R. dell’illegittimità dell’ingiunzione ripristinatoria del 13 marzo 2019, così come esposto al motivo che precede, è riscontrabile altresì nel capo 7. della sentenza gravata, o per lo meno nella parte in cui il Giudice afferma che “l’ordinanza di demolizione è stata … ‘legittimata’ con l’annullamento (parziale) dei titoli edilizi attraverso l’atto comunale del 12 luglio 2019”.

6.1. - La censura non ha pregio.

Ancora una volta viene fornita una lettura parziale e non condivisibile delle affermazioni del primo giudice, in antitesi con le ragioni effettivamente espresse, che si fondavano sulla relazione tra i due diversi provvedimenti, già esaminata nei primi due motivi di ricorso e ai quali si può fare rinvio.

In concreto, va ribadito che, in disparte i tentativi interpretativi della parte appellante, il T.A.R. ha ritenuto legittimi i due provvedimenti, nella loro relazione intrinseca di successivo completamento, con una argomentazione che questa Sezione ritiene di condividere interamente.

7. - L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Respinge l’appello n. 5372 del 2020;

2. Condanna Strippoli s.a.s. di Gattas Bahaa Amin Morgan & C. a rifondere al Comune di Milano, al Condominio di via Palmanova n. 131 – 133 e a Maria Piera Maccagni le spese del presente grado di giudizio, che liquida, in favore di ognuna delle parti processuali costituite, in €. 2.000,00 (euro duemila) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, se dovuti.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 febbraio 2021 con l'intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente

Diego Sabatino, Consigliere, Estensore

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere