Consiglio di Stato Sez. VI n. 2300 del sentenza 17 marzo 2021
Urbanistica.Valenza probatoria delle riprese fotografiche dei luoghi
In materia di abusivismo edilizio, il margine d’incertezza relativo all’interpretazione delle riprese fotografiche dell’area di riferimento, ostativo alla ricostruzione della situazione originaria dei luoghi, anteriore all’abuso in contestazione, preclude l’adozione di provvedimenti autoritativi, impositivi di un obbligo di ripristino, in assenza di un previo approfondimento istruttorio in sede procedimentale.
Pubblicato il 17/03/2021
N. 02300/2021REG.PROV.COLL.
N. 09350/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9350 del 2014, proposto da
Comune di Magione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Mario Busiri Vici, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Claudia Di Pasquale, Valentina Di Pasquale e Giovan Battista Di Pasquale, rappresentati e difesi dall'avvocato Carlo Comande', con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per Beni Architettonici e Paesaggistici dell’Umbria, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma e/o l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) n. 00192/2014, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Claudia Di Pasquale, di Valentina Di Pasquale, di Giovan Battista Di Pasquale, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Soprintendenza per Beni Architettonici e Paesaggistici dell’Umbria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2020 il Cons. Francesco De Luca e uditi per le parti gli avvocati Matteo Frenguelli, per delega dell'avvocato Mario Busiri Vici, ed Enzo Puccio, per delega dell'avvocato Carlo Comandè, in collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 25 Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020 attraverso l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams”;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, il Comune di Magione appella la sentenza n. 192 del 2014, con cui il Tar Umbria ha parzialmente accolto i motivi aggiunti al ricorso n. 244 del 2011 proposto in prime cure dai Sig.ri Claudia, Valentina e Giovan Battista Di Pasquale.
In particolare, secondo quanto dedotto in appello:
- i Sig.ri Claudia, Valentina e Giovan Battista Di Pasquale, le prime in qualità di proprietarie, l’ultimo in qualità di esecutore, hanno realizzato lavori edilizi sine titulo nell’ambito del Comune di Magione;
- per l’effetto, l’Amministrazione comunale ha assunto i relativi provvedimenti repressivi, costituiti dalla determinazione n. 7202 del 22.3.2011 e dall’ordinanza n. 50 del 2011, con cui sono state disposte la demolizione e la riduzione in pristino delle opere abusive sine titulo eseguite, consistenti nella modificazione plano altimetrica del terreno, con la creazione, in particolare, di terrazzamenti del terreno e viabilità di servizio con finitura superficiale in ghiaia, nonché nella realizzazione di opere accessorie costituite da lampioni di illuminazione, parapetti in legno con disegno a croce e griglie di raccolta delle acque meteoriche superficiali, nell’ambito di un’area sottoposta a tutela paesaggistico-ambientale ai sensi della parte III del D. Lgs. n. 42/2004 e classificata dal PRG, in parte, come zone agricole, in altra parte, come aree boscate coincidenti;
- i Sig.ri Claudia, Valentina e Giovan Battista Di Pasquale hanno impugnato dinnanzi al Tar Umbria i provvedimenti repressivi comunali, presentando, comunque, in data 12.5.2011 un’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 17 L.R. n. 21/2004 e in data 16.5.2011 un’istanza di compatibilità paesaggistica, in relazione ad opere di risagomatura superficiale delle scarpate e di installazione di parapetti in legno;
- il Comune con atto del 4.7.2012 prot. 16119 si è pronunciato in senso soltanto parzialmente favorevole alla richiesta di sanatoria;
- i ricorrenti in primo grado hanno proposto primi motivi aggiunti avverso il parere parzialmente favorevole alla richiesta di sanatoria del 4.7.2012 prot. 16119, nella parte in cui ordinava la ricostituzione del bosco mediante piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte di bosco;
- in pendenza di giudizio, previa acquisizione del parere della Soprintendenza, il Comune resistente ha assunto il provvedimento n. 255 dell’1.10.2012, con cui si è pronunciato in senso parzialmente favorevole alla richiesta di compatibilità paesaggistica, limitatamente alle opere di sistemazione agraria con esclusione delle opere accessorie, ordinando al contempo l’eliminazione dei lampioni di illuminazione e delle griglie di raccolta, l’asportazione della finitura superficiale di ghiaia, la piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte del bosco, nonché la rimozione delle opere ricadenti nella zona boscata consistenti in griglie di raccolta e parapetti in legno;
- i ricorrenti hanno proposto secondi motivi aggiunti avverso il parere della Soprintendenza e il provvedimento comunale n. 255/12, nella parte in cui disponevano che l’area boscata del P.R.G. dovesse essere riqualificata mediante piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente pare di bosco;
- il Tar adito ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso principale per difetto di interesse, mentre ha accolto i motivi aggiunti.
2. In particolare, alla stregua di quanto emergente dalla sentenza di prime cure, il Tar ha rilevato che:
- era sopravvenuta la carenza di interesse alla decisione del ricorso introduttivo, dal momento che la presentazione dell'istanza di sanatoria successivamente all'impugnazione dell'ordinanza di demolizione produceva l'effetto di rendere inefficace tale provvedimento e, quindi, improcedibile l'impugnazione stessa per sopravvenuto difetto di interesse;
- era sopravvenuto anche il parziale difetto di interesse sotto il diverso profilo dell’intervenuta parziale sanatoria quanto alle opere di sistemazione agraria, risultando venuta meno con efficacia ex nunc l’asserita abusività;
- dalla documentazione depositata in giudizio, con particolare riferimento alle aerofotogrammetrie del 2000 e del 2005, non risultava affatto comprovata la presenza sulle aree per cui è causa di evidenti essenze arbustive tali da poter rientrare nel concetto giuridico di “bosco” o di area assimilata, nel senso compiutamente definito dal legislatore sia statale che regionale (art. 2, comma 1, D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 227; art. 5 L.R. Umbria 28/2001);
- in particolare, il legislatore regionale umbro, in armonia con la legislazione statale, ricomprendeva tra le aree boscate anche le radure perimetrali, pur esse interrompendo la continuità boschiva;
- nella specie, la documentazione depositata in giudizio dimostrava l’insistenza sull’area di che trattasi di una superficie erbosa ma non di vere e proprie essenze arbustive, si da concretare la sussistenza di una (mera) radura;
- pur rientrando le radure nella definizione di “bosco” o comunque tra le aree assimilate (Cassazione penale sez. III, 24 febbraio 2011, n.9690), il mero colore più scuro emergente dei rilievi aerofotogrammetrici del 2005 non poteva costituire, a giudizio del Collegio, indice dell’esistenza di vere e proprie essenze arbustive, diversamente da quanto prospettato dalla difesa comunale;
- per l’effetto, doveva dichiararsi l’illegittimità dei provvedimenti impugnati con i primi ed i secondi motivi aggiunti, non risultando comprovato l’asserito disboscamento, insistendo verosimilmente sull’area in esame una radura, e non sussistendo ragioni ostative ulteriori all’assentibilità a sanatoria degli interventi realizzati, ivi comprese le opere pertinenziali, rientrando le opere eseguite tra gli interventi di cui alla lett. a) del comma 4 dell’art. 167 del D.lgs. 42/2004.
3. L’Amministrazione comunale ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado, denunciandone l’erroneità con l’articolazione di quattro motivi di impugnazione.
4. Il Ministero per i beni e le attività culturali e la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici dell’Umbria si sono sostituiti in giudizio con atto dell’11 dicembre 2014.
5. I ricorrenti in prime cure si sono costituiti in giudizio in resistenza all’appello con atto del 19 dicembre 2014.
6. L’appellante e i ricorrenti in primo grado hanno argomentato a sostegno delle rispettive conclusioni con memorie difensive depositate in vista dell’udienza pubblica di discussione; le stesse parti hanno depositato anche repliche alle avverse deduzioni; i Sig.ri Di Pasquale hanno pure prodotto ulteriore documentazione fotografica in data 5 novembre 2020, la cui rilevanza è stata comunque contestata dalla parte appellante.
7. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 17 dicembre 2020.
DIRITTO
1. Con il primo motivo l’Amministrazione comunale, dopo avere rilevato che il Tar ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso principale per sopravvenuta carenza di interesse, in ogni caso, ha confermato “che il ricorso principale è palesemente infondato anche nel merito per i motivi già espressi negli atti difensivi in primo grado al quali ci si riporta”.
Con il medesimo motivo di appello il Comune ha censurato il capo decisorio con cui il Tar ha ritenuto non provato il disboscamento dell’area.
Secondo quanto dedotto dall’appellante, invero, le opere abusive per cui è controversia risultano realizzate in area sottoposta a vincolo paesaggistico sia dalla delibera della Giunta regionale n. 5701/1991 sia dal D. Lgs. n. 42/2004; nonché in zona vincolata come bosco dal Pianto Territoriale di Coordinamento Provinciale approvato nel 2003 e inserita nel PRG del Comune di Magione come “bosco coincidente” con le previsioni del PTCP.
L’esistenza del bosco sull’area per cui è controversia in epoca anteriore (2005) agli interventi abusivi de quibus si desumerebbe anche dalla documentazione prodotta in giudizio dai ricorrenti, risultando dall’areo fotogrammetria “un’evidente area colore verde scuro che la connota, mentre, successivamente, nel 2010, la medesima area risulta un colore verde molto più chiaro (prato)”; il che dimostrerebbe l’esecuzione da parte dei ricorrenti, successivamente all’acquisto dell’area nel 2006, di interventi di disboscamento, con emersione di un’area a prato sulla quale sarebbe stato eseguito uno spargimento di ghiaia per la realizzazione della strada; in maniera da determinare pure un illegittimo mutamento di destinazione di zona, transitata da ziona agricola a zona destinata alla viabilità e parcheggio.
Risulterebbe, per l’effetto, legittimo l’obbligo di piantumazione dell’area disboscata ex art 167 D. Lgs. n. 42 del 2004.
2. Il motivo di appello è infondato.
3. Preliminarmente, giova rilevare che, ai sensi dell’art. 101 c.p.a., il ricorso in appello deve recare (altresì) l’articolazione di specifiche censure contro i capi della sentenza gravata, risolvendosi in una puntuale critica alle ragioni fondanti la pronuncia appellata.
Come precisato da questo Consiglio, "Ai sensi dell'art. 101 comma 1 c.p.a. l'atto di appello deve contenere, per quanto qui interessa, a pena di inammissibilità "le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata", ovvero, secondo la giurisprudenza, deve contenere motivi di impugnazione specifici nel contenuto e indicati in apposita parte del ricorso a loro dedicata - in tal senso, per tutte, C.d.S. sez. IV 6 ottobre 2017 n.4659 e sez. VI 4 gennaio 2016 n.8- fermo che non è sufficiente una riproposizione generica dei motivi dedotti in I grado, ma è richiesta una critica alle conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata - così, sempre per tutte, C.d.S. sez. V 30 luglio 2018 n. 4655" (Consiglio di Stato, sez. VI, 20 dicembre 2019, n. 8609).
L’appello, in particolare, deve risolversi in una puntuale critica delle ragioni giustificatrici della sentenza gravata, contrapponendo alle argomentazioni svolte dal Tar specifiche doglianze, idonee ad incrinare l’impianto motivazionale alla base della decisione appellata.
Avuto riguardo al caso di specie, l’Amministrazione appellante, oltre a dedurre specifiche censure contro le statuizioni giudiziali di accoglimento dei motivi aggiunti, ha pure operato un riferimento alla dichiarazione giudiziale di improcedibilità del ricorso principale di primo grado, precisando, in ogni caso, che il relativo ricorso doveva intendersi infondato alla stregua dei motivi espressi negli atti difensivi di primo grado.
Tenuto conto che il Comune non articola specifiche censure avverso il capo di sentenza con cui il Tar ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso principale, non specificando i motivi per i quali la relativa decisione dovesse ritenersi erronea, non si è in presenza in parte qua di un motivo di appello scrutinabile nel merito ex art. 101 c.p.a., non potendo, per l’effetto, essere riesaminata nel presente grado di giudizio la correttezza delle ragioni giustificatrici addotte dal Tar a fondamento della dichiarazione di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso principale, con conseguente conferma del relativo capo decisorio.
Del resto, che il Comune non intendesse ottenere la riforma della sentenza appellata nella parte in cui aveva dichiarato l’improcedibilità del ricorso introduttivo, emerge anche dalle conclusioni dell’atto di appello, in cui si chiede la conferma dell’inammissibilità e dell’infondatezza del ricorso principale e l’annullamento “parziale” della sentenza appellata “con riguardo ai primi e ai secondi motivi aggiunti”; il che dimostra come le censure impugnatorie, dirette ad ottenere una diversa decisione in sede di appello, fossero indirizzate nei soli confronti dei capi di sentenza concernenti l’accoglimento dei primi e dei secondi motivi aggiunti, con conferma del diverso capo statuente sul ricorso introduttivo del giudizio.
4. Ciò premesso, occorre soffermarsi sulle statuizioni giudiziali con cui il Tar ha escluso che l’area territoriale per cui è controversia fosse stata oggetto di un intervento di disboscamento e, per l’effetto, ha ritenuto illegittimi gli atti impugnati con i motivi aggiunti, per avere ordinato una piantumazione di essenze arboree in relazione ad un’area non disboscata.
Trattasi di capo decisorio oggetto di specifiche censure impugnatorie.
4.1 Al riguardo, giova, dapprima, ricostruire la portata precettiva degli atti censurati in prime cure con i primi e i secondi motivi aggiunti; per poi verificare se l’ordine impugnato in primo grado fosse coerente con lo stato dei luoghi, come emergente dalla documentazione in atti.
4.2 Iniziando la disamina dal contenuto dispositivo degli atti per cui è controversia, risulta che il Comune appellante, chiamato a pronunciare su un’istanza di accertamento di conformità riguardante interventi di risagomatura superficiale di scarpate e di installazione di parapetti in legno e su un’istanza di accertamento della compatibilità paesaggistica delle opere realizzate:
- con il provvedimento n. 16119 del 4.7.2012 ha parzialmente rigettato la richiesta di rilascio di permesso di costruire, richiamando le osservazioni della Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio, che aveva ritenuto di pronunciarsi favorevolmente limitatamente alle opere di sistemazioni agraria, con esclusione delle opere accessorie costituite da lampioni di illuminazione, parapetti in legno con disegno a croce, griglie di raccolta delle acque superficiali e ad ulteriore condizione di asporto della finitura superficiale in ghiaia, in quanto in contrasto con la destinazione agricola e pertanto con l’esercizio della pratica agraria; oltre che con la prescrizione, per quanto concernente le opere ricadenti nella zona classificata boscata dal PRG, della loro rimozione e della ricostituzione del bosco mediante la piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte di bosco;
- con il provvedimento n. AP/12/255 dell’1.10.2012, ex artt. 167 e 181 D. Lgs. n. 42/04, reso sulla base (altresì) del parere della Soprintendenza n. 20659 del 25.9.2012 e dei pareri della Commissione architettonica ed il paesaggio ivi trascritti per le parti rilevanti, ha accertato la compatibilità paesaggistica delle opere realizzate in assenza di autorizzazione ex art. 146 D. Lgs. n. 42/04, prescrivendo, tuttavia, tra l’altro, talune “condizioni al permanere delle opere realizzate”, concernenti l’eliminazione dei lampioni di illuminazione e delle griglie di raccolta, l’asportazione della finitura superficiale in ghiaia, la rimozione delle opere ricadenti in zona boscata di PRG consistenti in tratto di strada in ghiaia, in griglie di raccolta e nei parapetti in legno, nonché la riqualificazione dell’area mediante la piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte di bosco.
Soffermando l’attenzione sulle previsioni concernenti la piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte di bosco, sebbene non vi sia una completa identità, sotto il profilo terminologico, delle prescrizioni imposte dalla Soprintendenza, dalla Commissione per la qualità architettonica ed il paesaggio e dall’Area urbanistica ed assetto del territorio del Comune di Magione (discorrendosi sia di ricostituzione del bosco, sia di sua riqualificazione), deve ritenersi che il presupposto fattuale delle condizioni imposte dalle Amministrazioni fosse comunque rappresentato dall’esecuzione di un abusivo intervento di disboscamento realizzato dalle parti istanti, fonte di un obbligo ripristinatorio da adempiere mediante la piantumazione di nuove essenze arboree.
Tanto emerge, in primo luogo, dal dato letterale, costituente il criterio preminente da osservare nell’interpretazione degli atti amministrativi.
Al riguardo, infatti, la giurisprudenza di questo Consiglio ha precisato che l'interpretazione degli atti amministrativi soggiace alle stesse regole dettate dall'art. 1362 e ss. c.c. per l'interpretazione dei contratti, tra le quali assume carattere preminente quella collegata all'interpretazione letterale in quanto compatibile con il provvedimento amministrativo, dovendo in ogni caso il giudice ricostruire l'intento dell'Amministrazione, ed il potere che essa ha inteso esercitare, in base al contenuto complessivo dell'atto (cd. interpretazione sistematica), tenendo conto del rapporto tra le premesse ed il suo dispositivo e del fatto che, secondo il criterio di interpretazione di buona fede ex art. 1366 c.c., gli effetti degli atti amministrativi devono essere individuati solo in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere, anche in ragione del principio costituzionale di buon andamento, che impone alla P.A. di operare in modo chiaro e lineare, tale da fornire ai cittadini regole di condotte certe e sicure, soprattutto quando da esse possano derivare conseguenze negative (Consiglio di Stato Sez. VI, 30 giugno 2020, n. 4166).
Provvedendo, dunque, all’esame letterale degli atti amministrativi per cui è causa, tra loro connessi in quanto resi in relazione alle medesime opere, emerge che:
- il provvedimento n. 16119 del 4.7.2012 di diniego parziale dell’istanza di accertamento di conformità reca la trascrizione dei pareri resi dalla Commissione per la qualità architettonica ed il paesaggio che, per la parte di interesse ai fini della disamina del presente motivo di appello, chiaramente valorizzavano la necessità che il bosco fosse “ricostituito … mediante la piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte di bosco” (parere del 20.2.2012), ribadendo che “per quanto concerne l’area “boscata questa è da considerarsi tale a seguito della previsione operata dal P.R.G. Vigente – Parte Strutturale e pertanto da sottoporsi alla ricostituzione del bosco mediante la piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte di bosco” (parere del 25.6.2012);
- con il parere n. 20695 del 25.9.2012 la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici dell’Umbria ha concordato “con le prescrizioni della C.C.Q.A.P. indicate nella seduta del 25.6.2012 verbale n. 116 ed in particolare: … l’area riqualificata mediante la piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte del bosco”;
- il provvedimento di compatibilità paesaggistica n. 255 dell’1.10.2012, parimenti, trascrive sia i pareri della Commissione per la qualità architettonica ed il paesaggio sia il parere della Soprintendenza, pervenendo ad accogliere l’istanza di parte, alla stregua del parere vincolante reso dalla Soprintendenza, e dunque prescrivendo che l’area classificata come zona boscata sia “riqualificata mediante la piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte di bosco”.
Benché il parere della Soprintendenza e il provvedimento n. 255/12 non prevedano espressamente la necessità della “ricostituzione del bosco”, facendo riferimento ad una sua riqualificazione, non può ritenersi che, attraverso la diversa locuzione all’uopo impiegata nel parere statale del 25.9.2012 e nel provvedimento comunale dell’1.10.2012 (riqualificazione, anziché ricostituzione), l’Amministrazione avesse avuto l’intenzione di imporre, quale condizione per l’accertamento della compatibilità paesaggistica ex artt. 167 e 181 D. Lgs. n. 42/04, anziché il ripristino dello status quo anteriore all’abuso, la trasformazione dell’assetto originario del territorio, al fine di piantumare essenze arboree in un’area che ne era originariamente priva.
Una tale interpretazione, da un lato, confligge con il dato letterale, in quanto la parola “riqualificazione” impiegata nel parere n. 20695/12 e nel provvedimento n. 255/12 , implica un’attività di ripristino dello stato dei luoghi, al fine di qualificare nuovamente l’area territoriale di riferimento secondo le sue caratteristiche ambientali e paesaggistiche originarie; dall’altro, contrasta con i rinvii operati dal parere n. 20695 del 2012 e dal provvedimento n. 255 del 2012 ai pareri della Commissione per la qualità architettonica ed il paesaggio, in cui, come supra osservato, si chiariva la necessità di ricostituire il bosco, al fine, dunque, di porre rimedio all’abuso mediante la rimessione in pristino.
Difatti, attesa la necessità di intendere il significato precettivo dell’atto amministrativo avuto riguardo al contenuto complessivo dell'atto (cd. interpretazione sistematica), tenendo conto sia del rapporto tra le premesse ed il suo dispositivo, che della connessione con gli ulteriori atti resi nell’ambito del medesimo procedimento (o di procedimenti connessi) e oggetto di apposito rinvio testuale, il parere della Soprintendenza, nel concordare con le prescrizioni poste dalla Commissione nella seduta del 25.6.2012, si era limitato a riportare le singole condizioni da rispettare per l’accertamento di compatibilità paesaggistica, precedute dalla locuzione “in particolare”, a dimostrazione di come l’elencazione delle opere da eseguire non si discostasse da quanto previsto dalla Commissione, ma ne costituisse una sua specificazione, evidentemente in ragione dell’identità dei medesimi presupposti fattuali alla base del pronunciamento dei due organi consultivi.
Parimenti, il provvedimento comunale n. 255/12, in quanto assunto previo “parere vincolante reso dal Soprintendente, con nota n. 20695 del 25.09.2012”, non poteva che recepire le prescrizioni poste dalla Soprintendenza, ancora una volta provvedendo sulla base dei medesimi presupposti fattuali.
Emerge, dunque, che le opere di piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte del bosco sono state prescritte negli atti gravati in prime cure al fine di imporre, anziché la trasformazione dello stato originario dei luoghi, il rispristino dello status quo anteriore all’abuso, sul presupposto che l’area territoriale interessata dalle opere edilizie per cui è controversia fosse connotata da essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte del bosco, illecitamente rimosse dagli istanti e, pertanto, all’uopo da rimettere in pristino a loro spese.
L’interpretazione degli atti amministrativi accolta nella presente sede – incentrata sull’assunto per cui l’area de qua fosse stata illecitamente disboscata dagli odierni appellati – risulta, inoltre, coerente sia con il dato positivo, che impone al trasgressore, ai sensi dell’art. 167 D. Lgs. n. 42/04, anziché la trasformazione dello stato originario del territorio, la “rimessione in pristino a proprie spese”, sia con la condotta processuale tenuta dall’Amministrazione comunale, che ha espressamente evidenziato in giudizio come lo scopo perseguito dalla parte appellante con l’adozione degli atti censurati in prime cure fosse proprio quello di ripristinare lo stato dei luoghi, in applicazione dell’art. 167, comma 1, D. Lgs. n. 42/04, illecitamente alterato dagli odierni appellati.
Al riguardo, si osserva che con la memoria di replica del 25.11.2020 il Comune di Magione ha precisato che “l'ordine impartito dall'Amministrazione Comunale, contrariamente a quanto tenta di fare apparire controparte, non avrebbe affatto comportato l'obbligo di ampliare la zona a bosco o di piantare alberi in numero maggiore rispetto a quelli preesistenti, ma solamente quello di provvedere a piantare nuovamente gli alberi illegittimamente abbattuti” (pag. 4); il che conferma come il presupposto fattuale degli atti censurati con i motivi aggiunti accolti dal Tar fosse rappresentato dall’avvenuto disboscamento dell’area, con conseguente necessità di provvedere alla rimessione in pristino a spese degli istanti, attraverso la piantumazione di essenze arboree analoghe a quelle esistenti nella parte rimanente del bosco.
4.2 Ciò precisato, occorre verificare se nella specie, effettivamente, gli odierni appellati avessero eseguito opere di disboscamento.
Tale presupposto fattuale, in primo luogo, non può essere desunto dalla mera classificazione dell’area come zona boscata, alla stregua di quanto previso dal Pianto Territoriale di Coordinamento Provinciale approvato nel 2003 e del PRG del Comune di Magione.
Difatti, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2 D. Lgs. n. 227 del 2001, ratione temporis vigente alla data di adozione dei provvedimenti impugnati in prime cure, e di quanto, all’attualità, è previsto dall’art. 4 del D. Lgs. n. 34 del 2018, sono assimilati a bosco, altresì, le radure e tutte le altre superfici d'estensione inferiore a 2000 metri quadri che interrompono la continuità del bosco non riconosciute (tra l’altro) come prati o pascoli arborati. La stessa legislazione umbra, all’art. 5, comma 2, lett. d), L. r. n. 28 del 2001 considera bosco anche le radure e tutte le superfici di estensione inferiore a 2.000 mq. che interrompono la continuità del bosco.
Come statuito dalla Sezione, in particolare, la radura non è un luogo diverso dal bosco, ben potendo essere quest’ultimo caratterizzato dalla presenza di porzioni di area coperte da alberature e porzioni di area che ne sono prive: “Del resto, una differente nozione sarebbe non solo incompatibile con il dato esperienziale, ma non consentirebbe la tutela di tutti gli altri interessi pubblici, che motivano il divieto di antropizzazione di detti territori. Si pensi alla tutela della fauna selvatica, che evidentemente necessita per la sua vita non solo di aree interamente boscate, ma anche di radure. A conforto dell’analisi testuale del dato normativo di riferimento deve aggiungersi l’analisi della giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. da ultimo, Cons. St, Sez. IV, 4 marzo 2019, n. 1462) che nell’interpretare l’art. 142, d.lgs. n. 42/2004, ha chiarito che un bosco rappresenta un sistema vivente complesso insediato in modo tale da essere in grado di autorigenerarsi, così dissipando del tutto l’idea che per bosco debba intendersi l’insieme monocultura di alberi destinati, ad esempio, alla produzione di legname. Ma anche della giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. Corte cost., n. 201/2018), che rammenta come l’art. 149, d.lgs. 42/2004, abbia escluso dall’ambito di applicazione dell’autorizzazione paesaggistica proprio le attività, quali il taglio colturale rappresentano opere di manutenzione della aree boscate. Ciò a riprova del fatto che la nozione di bosco non è in alcun modo riducibile a quella di un insieme di alberi” (Consiglio di Stato, sez. VI, 2 dicembre 2019, n. 8242).
Ne deriva che la tipizzazione delle particelle interessate dalle opere abusive per cui è causa quale zona boscata sarebbe compatibile pure con la presenza di un’area priva di alberature, qual è la radura, tratto di terreno che ben può essere ricoperto da un manto erboso, costituendo un elemento di interruzione delle essenze arboree.
Per l’effetto, non potrebbe desumersi dalla mera classificazione operata dagli strumenti di pianificazione paesaggistica e urbanistica, che tipizzano l’area de qua in termini di zona boscata, la necessaria preesistenza di alberature, oggetto di un presunto intervento di disboscamento posto in essere dalle odierne appellate.
4.3 La preesistenza di essenze arboree sull’area per cui è controversia non può essere desunta neanche dalla documentazione in atti.
In particolare, pure prescindendo dalla nuova documentazione fotografica prodotta in grado di appello, diversamente da quanto dedotto dall’Amministrazione comunale, le riproduzioni fotografiche acquisite dinnanzi al Tar non permettono di provare che l’area de qua fosse caratterizzata, nel 2005, dalla presenza di alberature, e nel 2010, da uno strato erboso, con conseguente emersione di un intervento di disboscamento nelle more eseguito, ascrivibile agli odierni appellati.
Le aerofotogrammetrie e le ortofoto in atti (del 1954, del 1977, del 2005 e del 2000, sub documenti 3, 4, 6 e 7 primi motivi aggiunti di primo grado) indicano soltanto la presenza di un’area verde nella zona territoriale per cui è causa, compatibile con l’esistenza, anziché di alberature, di una radura con strato erboso.
La diversa graduazione di colore, valorizzata dall’appellante ed effettivamente riscontrabile in atti -a seconda della riproduzione fotografica presa in esame (con una colorazione più scura per l’ortofoto del 2005)- non può, invece, ritenersi dirimente, essendo compatibile con la presenza di uno strato erboso e, comunque, con l’assenza di essenze arboree, potendo discendere dalle diverse condizioni ambientali dei periodi temporali in cui i relativi rilievi fotografici sono stati eseguiti.
Peraltro, la successione nell’area in esame di radure e di zone coperte da alberature emerge fin dall’aerofotogrammetria del 1954, a conferma di come non possa ritenersi che, ai fini della realizzazione delle opere de quibus, sia stato necessario provvedere ad interventi di disboscamento, essendo ben possibile che la loro esecuzione sia avvenuta nelle zone ab origine prive di essenze arboree.
Né l’Amministrazione appellante, a fronte di un principio di prova fornito dal ricorrente, ha dimostrato il contrario, essendosi limitata ad argomentare sulla base dell’avversa produzione documentale, nonostante si facesse questione di un presupposto del provvedere, all’uopo da verificare in sede procedimentale.
Il margine d’incertezza relativo alla interpretazione delle riprese fotografiche dell’area, ostativo alla ricostruzione della situazione originaria dei luoghi, anteriore all’abuso contestato agli odierni appellati, avrebbe infatti dovuto precludere l’adozione di provvedimenti autoritativi, quali quelli impugnati in primo grado, impositivi di un obbligo di ripristino, in assenza di un previo approfondimento istruttorio in sede procedimentale, che nella specie non risulta adeguatamente svolto (Consiglio di Stato, sez. III, 4 giugno 2019, n. 3763).
4.4 Alla stregua delle considerazioni svolte, deve confermarsi in parte qua la sentenza di primo grado, non risultando provato il presupposto fattuale alla base della prescrizione (di piantumazione delle essenze arboree) posta dall’Amministrazione comunale, dato dall’intervento disboscamento dell’area per cui è controversia.
5. Acclarata l’illegittimità degli atti amministrativi, nella parte in cui prescrivono la ricostituzione del bosco mediante interventi di piantumazione di essenze arboree, occorre pronunciare sulla legittimità delle ulteriori condizioni imposte dall’Amministrazione appellante a carico degli odierni appellati con i medesimi atti censurati con i primi e i secondi motivi aggiunti accolti dal Tar; esaminando a tali fini i rimanenti motivi di appello proposti dal Comune di Magione.
5.1 In particolare:
- con il secondo motivo di appello si contesta l’erroneità della sentenza di prime cure, nella parte in cui ha ritenuto insussistenti ragioni ostative ulteriori all’assentibilità a sanatoria degli interventi realizzati, ivi comprese le opere pertinenziali, rientrando le stesse tra gli interventi di cui alla lett. a), del comma 4 dell’art. 167 D. Lgs. n. 42/2004; quando, invece, secondo quanto dedotto dall’Amministrazione appellante, le opere accessorie erano state oggetto di ordine di demolizione e rimessa in pristino n. 50 del 2011, oltre che di diniego parziale della domanda di sanatoria, non soltanto per il profilo paesaggistico, ma anche per quello edilizio; in particolare, il Comune con provvedimento n. 255 dell’1.10.2012 aveva prescritto l’eliminazione dei lampioni di illuminazione e delle griglie di raccolta, l’asportazione della finitura superficiale in ghiaia, nonché la rimozione delle opere ricadenti nella zona boscata (griglie di raccolta e parapetti e tratto di strada in ghiaia); in ogni caso, le opere de quibus non avrebbero potuto ottenere la sanatoria neanche sotto il profilo paesaggistico, in quanto non qualificabili come opere pertinenziali, essendo collocate ad un distanza superiore a ml 30 dall’edificio principale;
- con il terzo motivo di appello viene contestata l’erroneità della sentenza gravata, nella parte in cui considera sanabili le opere consistenti nella realizzazione di un tratto di strada e di un’area parcheggio con ghiaia, nonostante il relativo intervento edilizio comportasse una modificazione della destinazione di zona urbanistica, da agricola a zona destinata a viabilità in assenza del prescritto titolo abilitativo;
- con il quarto motivo di appello viene censurata la sentenza di prime cure, sempre nella parte in cui ha ritenuto insussistenti ragioni ostative ulteriori all’assentibilità a sanatoria degli interventi realizzati, ivi comprese le opere pertinenziali, avendo statuito ultra petita, in violazione dell’art. 34 c.p.a. e dell’art. 142 c.p.c., atteso che la domanda proposta con i primi e i secondi motivi aggiunti era volta soltanto ad impugnare gli atti gravati nella parte relativa al ripristino del bosco, così come l’istanza di accertamento di conformità presentata dai ricorrenti in primo grado era volta soltanto ad ottenere la sanatoria della risagomatura superficiale delle scarpate e l’installazione di parapetti in legno, cui è seguito un provvedimento comunale di parziale accoglimento dell’istanza, limitatamente alle opere di risagomatura superficiale delle scarpate , ostando l’art. 21 Reg. Regionale n. 9/2008 alla sanatoria dei parapetti in legno.
5.2 Assume portata assorbente la fondatezza del quarto motivo di appello, essendo effettivamente incorso il primo giudice nel vizio di ultrapetizione censurato dall’Amministrazione comunale.
Al riguardo, premesso che l'ultrapetizione è fattispecie che presuppone una pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni formulate dalle parti, o su questioni estranee all'oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio, o fondata su un motivo non prospettato dalle parti (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 19 febbraio 2020, n. 1248), nel caso in esame, alla stregua di quanto emerge dai primi e secondi motivi aggiunti, risulta che gli odierni appellanti hanno agito in giudizio dinnanzi al Tar, al fine di contestare gli atti impugnati nella sola parte in cui prescrivevano interventi di ricostituzione del bosco, prestando, invece, acquiescenza in relazione alle ulteriori condizioni imposte dall’Amministrazione comunale.
5.3 In particolare, con i primi motivi aggiunti i Sig.ri Di Pasquale, sebbene nelle conclusioni abbiano domandato l’annullamento del provvedimento impugnato, nell’epigrafe dell’atto, hanno chiaramente chiesto l’annullamento “del provvedimento del Comune di Magione – Area Urbanistica ed assetto del territorio prot. n. 0016119 del 4 luglio 2012, ricevuto in data 10 luglio 2012, nella parte in cui ordina che “venga ricostituito il bosco mediante piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte di bosco”, nonché ove occorrente, di ogni atto presupposto o consequenziale.
Nello svolgimento dei motivi di ricorso, parimenti, i Sig.ri Di Pasquale hanno contestato “una errata ricostruzione dei fatti che hanno caratterizzato l’area in parola” (pag. 4), ragion per cui “la prescrizione dettata dal Comune, volta ad imporre ai ricorrenti la “ricostituzione” del bosco risulti assolutamente irragionevole e sproporzionata, in quanto non trova riscontro, nel caso di specie, alcun intervento umano di rimozione di parti bosco da “ricostruire” (pag. 5). Secondo quanto censurato dai ricorrenti, “lo stato dei luoghi, ed in particolare quello afferente al lembo esterno dell’area boscata, non è da imputarsi all’intervento umano e, in particolare, ad un intervento dei ricorrenti” (pag. 8), sicché “non può, ragionevolmente e, soprattutto, legittimamente imporsi al privato di “completare” artificialmente l’autonomo sviluppo dell’area boschiva” (pag. 8).
L’atto processuale deve essere interpretato unitariamente, alla luce della lettura combinata dell’epigrafe, delle conclusioni e della parte espositiva (Consiglio di Stato, Sez. VI., 20 maggio 2009, n. 3107), risultando la domanda processuale identificata non solo dal petitum (e, dunque, dal tipo di provvedimento richiesto al giudice), ma anche dalla causa petendi (e, dunque, dai fatti costitutivi della pretesa azionata, come emergenti dallo svolgimento delle ragioni specifiche di doglianza all’uopo formulate). Peraltro, il mero riferimento, recato nell’epigrafe ad altri atti connessi, presupposti o consequenziali, non è idoneo ad estendere il thema decidendum, traducendosi in una formula di stile tale da non permettere di far ricomprendere nell'oggetto dell'impugnazione atti non nominati e dei quali non è possibile l'individuazione nel testo del ricorso, nemmeno esaminando le censure proposte (Consiglio di Stato, Sez. III, 23 novembre 2017, n. 5468).
Ciò premesso, i primi motivi aggiunti proposti in primo grado erano chiaramente volti a contestare il provvedimento di diniego parziale di sanatoria nella sola parte in cui veniva ordinato che “venga ricostituito il bosco mediante piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte di bosco”.
Il che emerge sia dall’epigrafe, volta a specificare l’oggetto del giudizio, in cui era espressamente evidenziata la limitazione dell’impugnazione alla parte del provvedimento prescrittiva dell’obbligo di ricostituzione del bosco, sia dal contenuto espositivo del ricorso, diretto a censurare un’erronea ricostruzione dei fatti di causa, non avendo i ricorrenti eseguito alcun intervento di disboscamento e non risultando, pertanto, ammissibile l’imposizione di un completamento artificiale dell’autonomo sviluppo dell’area boschiva; confermandosi che le doglianze svolte in giudizio erano tese ad ottenere l’annullamento del provvedimento in parte qua, limitatamente alla prescrizione riferita alla ricostituzione del bosco.
5.4 Parimenti, con i secondi motivi aggiunti i ricorrenti hanno impugnato, come emerge dall’epigrafe:
- il “provvedimento del Comune di Magione – Area Urbanistica ed assetto del territorio prot. n. AP/12/255 del 1 ottobre 2012, conosciuto in data 15 ottobre 2012, nella parte in cui dispone che l’area boscata del P.R.G. debba essere “riqualificata mediante piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte del bosco”;
- la “nota della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici dell’Umbria, prot. n. 20695 del 25 settembre 2012, conosciuta unicamente in quanto e nella misura in cui è richiamata nel corpo del provvedimento del Comune di Magione – Area Urbanistica ed assetto del territorio prot. n. AP/12/255 del 1 ottobre 2012, conosciuto in data 15 ottobre 2012, nella parte in cui dispone che l’area boscata del P.R.G. debba essere “riqualificata mediante piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte del bosco”;
- ove occorrente e per quanto di ragione “di ogni atto presupposto o consequenziale ad oggi non conosciuto dal ricorrente”.
Anche le censure emergenti dal contenuto espositivo del ricorso, riproducendo le doglianze articolate nei primi motivi aggiunti, erano dirette a contestare la prescrizione volta ad imporre “in capo ai ricorrenti l’obbligo di provvedere alla “ricostituzione” del bosco ed alla piantumazione di essenze analoghe a quelle della rimanente parte di bosco” (pag. 5), facendosi questione di prescrizione che “si basa su una errata ricostruzione di fatti che hanno caratterizzato l’area in parola” (pag. 5), ragion per cui “la prescrizione dettata dal Comune, volta ad imporre ai ricorrenti la “ricostituzione” del bosco risulti assolutamente irragionevole e sproporzionata, in quanto non trova riscontro, nel caso di specie, alcun intervento umano di rimozione di parti bosco da “ricostruire” (pag. 6). Secondo quanto censurato dai ricorrenti, “lo stato dei luoghi, ed in particolare quello afferente al lembo esterno dell’area boscata, non è da imputarsi all’intervento umano e, in particolare, ad un intervento dei ricorrenti” (pag. 8), sicché “non può, ragionevolmente e, soprattutto, legittimamente imporsi al privato di “completare” artificialmente l’autonomo sviluppo dell’area boschiva” (pag. 9).
Anche i secondi motivi aggiunti, dunque, alla stregua di una lettura coordinata dell’epigrafe, del contenuto espositivo e delle conclusioni (afferenti, al pari, di quanto osservato per i motivi aggiunti, genericamente all’annullamento dei provvedimenti impugnati), erano chiaramente volti a denunciare gli atti amministrativi gravati nella sola parte in cui prescrivevano che l’area boscata del P.R.G. dovesse essere “riqualificata mediante piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte del bosco”.
Tanto emerge ancora una volta dall’epigrafe, in cui era espressamente evidenziata la limitazione dell’impugnazione alla parte del provvedimento prescrittiva dell’obbligo di riqualificazione del bosco, nonché dal contenuto espositivo del ricorso, diretto a censurare un’erronea ricostruzione dei fatti di causa, non avendo i ricorrenti eseguito alcun intervento di disboscamento e non risultando, pertanto, ammissibile l’imposizione di un completamento artificiale dell’autonomo sviluppo dell’area boschiva.
5.5 Come osservato nella disamina del primo motivo di appello, tuttavia, gli atti censurati con i primi e i secondi motivi aggiunti non si limitavano a prescrivere interventi di ricostituzione o riqualificazione del bosco, ma operavano uno specifico riferimento anche alle opere realizzate dagli odierni appellati.
Difatti il provvedimento n. 16119 del 4.7.2012, impugnato con i primi motivi aggiunti, aveva ad oggetto l’accoglimento soltanto parziale dell’istanza di sanatoria avanzata dai Sig.ri Di Pasquale, essendo state richiamate le osservazioni della Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio, che aveva ritenuto di pronunciarsi favorevolmente limitatamente alle opere di sistemazioni agraria, con esclusione delle opere accessorie costituite da lampioni di illuminazione, parapetti in legno con disegno a croce, griglie di raccolta delle acque superficiali, ad ulteriore condizione, da un lato, dell’asporto della finitura superficiale in ghiaia, in quanto in contrasto con la destinazione agricola e pertanto con l’esercizio della pratica agraria, dall’altro, per quanto concernente le opere ricadenti nella zona classificata boscata dal PRG, della loro rimozione e della ricostituzione del bosco mediante la piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte di bosco.
Come osservato, tale provvedimento è stato censurato nella sola parte riferita all’obbligo di ricostituzione del bosco, con conseguente acquiescenza prestata dai ricorrenti in relazione alle ulteriori prescrizioni impartite dall’Amministrazione comunale, non oggetto di apposita domanda di annullamento e, dunque, non componenti il thema decidendum introdotto con i relativi motivi aggiunti.
Il provvedimento n. AP/12/255 dell’1.10.2012, ex artt. 167 e 181 D. Lgs. n. 42/04 e il parere della Soprintendenza n. 20659 del 25.9.2012, censurati con i secondi motivi aggiunti, hanno statuito sulla compatibilità paesaggistica delle opere realizzate in assenza di autorizzazione ex art. 146 D. Lgs. n. 42/04, prescrivendo, tuttavia, una serie di condizioni, riguardanti:
1) l’eliminazione dei lampioni di illuminazione e delle griglie di raccolta;
2) l’asportazione della finitura superficiale in ghiaia;
3) la rimozione delle opere ricadenti in zona boscata di PRG consistenti in tratto di strada in ghiaia e la riqualificazione della relativa area mediante la piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte del bosco;
4) la rimozione delle opere ricadenti in zona boscata di PRG consistenti in griglie di raccolta e parapetti in legno.
Anche in tale caso, i ricorrenti si sono limitati a censurare i relativi atti nella sola parte in cui prescrivevano l’obbligo di riqualificazione della zona boscata mediante la piantumazione di essenze analoghe a quelle esistenti nella rimanente parte del bosco, prestando acquiescenza alle ulteriori prescrizioni riferite alla rimozione, eliminazione ed asportazione delle opere edilizie eseguite dagli istanti.
5.6 A fronte di una tale perimetrazione del thema decidendum, il Tar è incorso in errore nel ritenere sanabili anche gli ulteriori interventi edilizi eseguiti dai ricorrenti, avendo pronunciato su una domanda di annullamento – degli atti gravati anche nella parte ulteriore a quella prescrittiva degli obblighi di riqualificazione della zona boscata – non proposta in primo grado.
In particolare, il principio della domanda di cui agli artt. 99 c.p.c. e 2907 c.c. - espressione del potere dispositivo delle parti, completamento del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in base alla regula juris di cui all'art. 112 c.p.c. e pacificamente applicabile anche al processo amministrativo - comporta che sussiste il vizio di ultrapetizione, quando l'accertamento compiuto in sentenza finisce per riguardare un petitum ed una causa petendi nuovi e diversi rispetto a quelli fatti valere nel ricorso e sottoposti dalle parti all'esame del giudice, con conseguente attribuzione di un bene o di un'utilità non richiesta dalla parte ricorrente (o comunque attribuita per ragioni dalla stessa non esternate), e pregiudizio del diritto di difesa della parte soccombente. Ciò si verifica, quindi, nelle ipotesi in cui vi sia stata pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni formulate o su questioni estranee all'oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio, se il giudice ha esaminato e accolto il ricorso per un motivo non prospettato dalle parti (ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 2 gennaio 2020, n. 28).
Nel caso di specie, sebbene la domanda processuale, come identificata dal petitum e dalla causa petendi, avanzata con i primi e secondi motivi aggiunti in primo grado, tendesse ad ottenere l’annullamento degli atti impugnati nella sola parte in cui prescrivevano interventi di piantumazione di nuove essenze arboree ai fini della ricostituzione o riqualificazione della zona boscata, il Tar ha statuito altresì sulla legittimità degli atti gravati nella parte in cui negavano la sanatoria degli ulteriori interventi edilizi eseguiti dai ricorrenti, questioni non componenti l’oggetto del primo giudizio.
In particolare, il Tar, dopo avere correttamente (per quanto osservato nella disamina del primo motivo di appello) rilevato “l’illegittimità dei provvedimenti impugnati con i primi ed i secondi motivi aggiunti, non risultando comprovato l’asserito disboscamento, insistendo verosimilmente sull’area in esame una radura”, ha erroneamente, incorrendo nel denunciato vizio di ultrapetizione, ritenuto, altresì, che non sussistessero “ragioni ostative ulteriori all’assentibilità a sanatoria degli interventi realizzati, ivi comprese le opere pertinenziali, rientrando le opere eseguite tra gli interventi di cui alla lett. a) del comma 4 dell’art. 167 del D.lgs. 42/2004”, in tale modo pronunciando su un motivo di illegittimità, riferito alla riconducibilità al disposto dell’art. 167, comma 4, D. Lgs. n. 42/2004 degli interventi edilizi eseguiti dai ricorrenti, non articolato in primo grado e, dunque, non esaminabile per ritenere legittime opere per le quali l’Amministrazione, con gli atti censurati attraverso i primi e secondi motivi aggiunti, aveva prescritto l’eliminazione, l’asportazione e la rimozione.
6. Alla stregua delle osservazioni svolte, il quarto motivo di appello merita accoglimento, essendo inficiato dal vizio di ultrapetizione il capo decisorio con cui il Tar ha annullato gli atti impugnati con i primi e secondi motivi aggiunti pure nella parte in cui prescrivevano l’eliminazione, l’asportazione e la rimozione di opere ritenute non compatibili con le ragioni di tutela sottese all’imposizione del vincolo paesaggistico nell’area territoriale di riferimento.
L’accoglimento del quarto motivo di appello comporta l’assorbimento del secondo e del terzo motivo di appello, dal cui favorevole apprezzamento non potrebbe derivare alcuna utilità ulteriore in capo all’Amministrazione comunale, facendosi questione di censure impugnatorie volte pur sempre ad ottenere la riforma della decisione di prime cure, nella parte in cui ha ritenuto sanabili le opere oggetto degli obblighi di eliminazione, asportazione e rimozione imposti dal Comune; effetto già discendente dall’accoglimento del quarto motivo di appello.
Ne deriva che, per effetto dell’accoglimento soltanto parziale dell’impugnazione, in parziale riforma della sentenza appellata, gli atti censurati con i primi e i secondi motivi aggiunti di primo grado devono essere annullati nella sola parte in cui prescrivono la ricostituzione o la riqualificazione della zona boscata mediante la piantumazione di nuove essenze arboree analoghe a quelle esistenti nella parte rimanente del bosco, dovendo, invece, essere confermati per la parte rimanente, non oggetto di specifici motivi di ricorso proposti in primo grado.
7. L’accoglimento soltanto parziale dell’appello e la particolarità della controversia giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie nei predetti limiti il ricorso di primo grado.
Compensa interamente tra le parti le spese processuali del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2020 con l'intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Dario Simeoli, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
Francesco De Luca, Consigliere, Estensore