Consiglio di Stato Sez. VI n. 7778 del 16 agosto 2023
Urbanistica.Demolizione opere in zona vincolata indipendentemente dal titolo abilitativo richiesto e non sanabilità

Per le opere abusive eseguite in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica in aree vincolate, vige un principio di indifferenza del titolo necessario all'esecuzione di interventi in dette zone, essendo legittimo l'esercizio del potere repressivo in ogni caso, a prescindere, appunto, dal titolo edilizio ritenuto più idoneo e corretto per realizzare l'intervento edilizio nella zona vincolata (DIA o permesso di costruire); ciò che rileva, ai fini dell'irrogazione della sanzione ripristinatoria, è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in zona vincolata e in assoluta carenza di titolo abilitativo, sia sotto il profilo paesaggistico che urbanistico. La realizzazione di volumetria aggiuntiva senza alcun titolo legittimante comporta la violazione degli artt. 3, comma 1, lettera e. 1 (che configura espressamente come intervento di nuova costruzione anche l'ampliamento dei manufatti esistenti all'esterno della sagoma esistente), 10 comma 1, lettera a) (che subordina al rilascio del permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione) e 31, comma 2, d.P.R. 380/2001 (che prevede la sanzione della demolizione per gli interventi edilizi eseguiti in assenza del prescritto permesso di costruire). La creazione di volumetria abusiva in zona soggetta a vincolo paesaggistico, anche laddove interrata, non consente la sanatoria, con ciò restando ininfluente l'eventuale coerenza dei lavori eseguiti con la disciplina (urbanistico-edilizia) di zona, né, in tale contesto, sarebbe stato possibile dettare prescrizioni per rendere le contestate opere compatibili con il paesaggio.

Pubblicato il 16/08/2023

N. 07778/2023REG.PROV.COLL.

N. 03629/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3629 del 2020, proposto dalla società Navigare S.r.l., rappresentata e difesa dall’avvocato Filomena Giglio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;

contro

il Comune di Barano d’Ischia, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, Sez. VI, 15 ottobre 2019 n. 4888 resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del 13 luglio 2023 il Cons. Stefano Toschei e udito, per la parte appellante, l'avvocato Sergio Nitrato Izzo, in sostituzione dell'avvocato Filomena Giglio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Il presente giudizio in grado di appello ha ad oggetto la richiesta di riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, Sez. VI, 15 ottobre 2019 n. 4888 con la quale il predetto TAR ha respinto il ricorso (n. R.g. 4663/2014) proposto dalla società Navigare S.r.l. al fine di ottenere l’annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 29 dell’11 giugno 2014 adottata dal dirigente responsabile dell’Ufficio tecnico, Settore edilizia privata e urbanistica, del Comune di Barano d’Ischia.

2. - La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti oggi controvertenti nei due gradi di giudizio (per il comune appellato solo in primo grado, non essendosi costituito nel presente giudizio di appello) nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue:

- la società Navigare S.r.l. è sublocatrice di un fondo nel Comune di Barano d’Ischia, rispetto al quale, nel tempo (per come riferisce la parte appellante), sono state presentate diverse domande di condono edilizio;

- all’esito di un sopralluogo, del quale è stato reso verbale in data 21 maggio 2014, veniva accertata, nel predetto fondo, la realizzazione di opere edilizie costituenti “nuove costruzioni” e realizzate senza il necessario tiolo edilizio;

- tenuto conto dell’esito dei predetti accertamenti, l’ufficio antiabusivismo del Comune di Barano d’Ischia adottava l’ordinanza 11 giugno 2014 n. 29, intimando la demolizione di tutte le opere abusive per come descritte nella medesima ordinanza.

3. – La società Navigare S.r.l. impugnava la suddetta ordinanza dinanzi al TAR per la Campania, deducendo dieci motivi di doglianza e confortando il gravame con le seguenti tre considerazioni di fondo:

- le opere sanzionate non costituiscono interventi di nuova costruzione, poiché in realtà si tratta di opere di risanamento e restauro di vecchie fabbriche baraccali, semidirute già esistenti, al preesistente manufatto, peraltro oggetto di domanda di condono edilizio inoltrate dalla proprietaria;

- sotto il profilo urbanistico le opere contestate possono essere comunque realizzate ai sensi delle vigenti normative;

- tali opere manutentive, sono oggetto di istanze di condono edilizio inoltrate dalla proprietaria e dalla locatrice nonché oggetto di istanza di accertamento di compatibilità in sanatoria ex art. 36 d.P.R. 380/2001.

Il TAR per la Campania, non condividendo le censure dedotte dalla signora Buono, respingeva il ricorso dalla stessa proposto con sentenza 15 ottobre 2019 n. 4888.

4. - Propone quindi appello, nei confronti della suddetta sentenza di primo grado n. 4888/2019, la società Navigare S.r.l., che ne sostiene la erroneità per nove complessi motivi di doglianza (che sostanzialmente ricalcano le censure già dedotte in primo grado e non condivise dal TAR per la Campania), che possono sintetizzarsi come segue:

I) Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del d.P.R. 380/2001 e dell’art. 1, lett. d), d.l. 1497/1939 – Errore nei presupposti di fatto e di diritto – Travisamento. A differenza di quanto ritenuto dal primo giudice, l’ordinanza comunale demolitoria, impugnata in primo grado, si limita ad affermare l’abusività dell’opera, non contestando però quale dovesse essere lo strumento per la legittima realizzazione dell’intervento edilizio né richiama la necessità del rilascio di una autorizzazione paesistica, limitandosi ad affermare, “in contraddizione con quanto detto in premessa e in maniera sostanzialmente apodittica, che l’opera è stata realizzata abusivamente”. Peraltro “(n)el caso di specie non risulta sull'area oggetto dell'intervento alcun vincolo di inedificabilità in senso assoluto (quello esistente è, infatti, un vincolo di inedificabilità relativa per la cui rimozione è prevista l'autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela paesistica)” (così, testualmente, alle pagg. 4 e 5 dell’atto di appello). D’altronde non emerge dagli atti lo svolgimento di una adeguata e approfondita istruttoria, che sarebbe stato necessario effettuare prima di adottare un provvedimento di una così rilevante portata afflittiva, sicché si presenta evidente la violazione dell’art. 3 l. 7 agosto 1990, n. 241. Inoltre “per le opere in contestazione alla ricorrente ha presentato al Comune l’istanza di sanatoria ed in ogni caso ha titolo per ottenere un positivo accertamento di conformità urbanistica ex art. 36 DPR 380/01 e che l'eventuale concessione in sanatoria a qualsiasi titolo intervenuta fa venir meno il presupposto per l'attuazione di qualsiasi provvedimento sanzionatorio, facendosi cessare, sia pure "a posteriori", il carattere abusivo delle opere”, dovendosi considerare “illegittimo l'ordine di demolizione di opere edilizie abusive ove il Comune abbia omesso di pronunciarsi sulla richiesta di licenza edilizia in sanatoria presentata dall'interessato” (così, testualmente, a pag. 5 dell’atto di appello). Del resto, per la realizzazione delle opere oggetto di contestazione “era - di certo - sufficiente la d.i.a., non occorrendo il permesso di costruire: d.i.a. la cui mancanza comporta la sola applicazione di una-sanzione pecuniaria” (così, testualmente, a pag. 7 dell’atto di appello);

II) Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art. 36 d.P.R. 380/2001, già art. 13 l. 47/85, nonché dell’art. 7 della stessa legge - Errore nei presupposti di fatto e di diritto. L’odierna appellante, in data 15 settembre 2014, prot. n. 6172, ha presentato al Comune di Barano d’Ischia istanza di permesso di sanatoria ed accertamento di conformità urbanistica e su detta istanza il comune non si è mai pronunciato. Conseguentemente, posto che l’ordine di rimessione in pristino deve conseguire a un provvedimento di diniego specificatamente motivato, laddove siano state presentate istanze di sanatoria e di accertamento di conformità urbanistica l’originario ordine di demolizione deve ritenersi illegittimo;

III) Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 l. 241/1990 - Violazione del principio del giusto procedimento. L’appellante sostiene la erroneità della sentenza di primo grado che non ha considerato come il provvedimento impugnato sia illegittimo “perché irroga la gravissima misura della demolizione senza dare contezza né dell'interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, né del presunto contrasto dell'opera stessa con la normativa urbanistica vigente: trattandosi di opere asservite al retrostante fondo, che costituiscono un intervento di edilizia minore, per il quale è richiesta la semplice denuncia di inizio attività, ai sensi del vigente d.P.R. n. 380/01” nonché della legge regionale 28 novembre 2001, n. 19, afferendo a “modestissime migliorie non visibili da pubbliche strade né da punti di osservazione significativi, a seguito di risanamento e restauro di vecchi muri diruti già esistenti, con il livellamento del fondo” (così, testualmente, a pag. 10 dell’atto di appello). Peraltro le opere realizzate risultano essere compatibili e previste dagli strumenti urbanistici in vigore e pertanto assentibili con accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 d.P.R. 380/2001 e/o art. 167 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 mediante l'irrogazione di sanzione pecuniaria, atteso che: a) “L'art. 22 del DPR 380/01 ha, inoltre, stabilito che sono soggetti a semplice denuncia di inizio attività tutti gli altri interventi, non elencati all'art. 10”; b) “L'art. 9 delle norme di attuazione del PTP, avente ad oggetto "Interventi consentiti per tutte le zone", ammette la esecuzione di tutti gli interventi di recupero previsti dall'art. 31, lett. a)-b)-c)-d), della legge 457/78, anche in deroga alle norme e prescrizioni delle singole zone”; c) “Al punto 9 dell’art. 7 del Decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139 si legge testualmente << ..realizzazione di manufatti accessori o volumi tecnici di piccole dimensioni (volume non superiore a 10 mc)... >>”; d) “Al punto 24 della tabella riepilogativa allegata al vigente REC si legge <<Ripristino filologico di elementi o parti strutturali degli edifici, anche eventualmente crollati o demoliti per cause naturali o accidentali, o per disposizione della Pubblica Autorità, ove ne sia possibile accertare l'effettiva consistenza, anche mediante ricerche da fonti documentarie, catastali, fotografiche, iconografiche, asseverate dal tecnico redattore del progetto ...>>”; e) “Al punto 54 della tabella riepilogativa allegata al vigente REC si legge <<Demolizione e/o ripristino e/o sostituzione di strutture sia portanti (pani di muri verticali, solette, strutture di copertura), sia di tamponamento (cantinelle), con variazione planovolumetrica, delle quote di impostazione dei solai e dei prospetti...>> considerando anche la preesistenza di vecchie fabbriche dirute e quindi eventualmente risistemate ai sensi dei punti 24 e 54 del REC vigente” (così, testualmente, a pag. 11 dell’atto di appello). Del resto, ai sensi dell’art. 146 d.lgs. 42/2004, per le opere realizzate neppure era necessario il previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica;

IV) Error in iudicando - Difetto di motivazione e di istruttoria – Travisamento - Omessa ponderazione della situazione contemplata – Sviamento - Violazione dell’art 3 l. 241/1990 sotto altro aspetto. Oltre a ribadire la illegittimità del provvedimento comunale impugnato per mancata comunicazione dell’avvio del relativo procedimento, l’ordinanza demolitoria, oltre ad essere carente di motivazione perché non reca una descrizione materiale delle difformità contestate e non rivela alcuna qualificazione giuridica dell'intervento abusivo, è anche intempestiva giacché ha ad oggetto delle opere di non recente realizzazione, irrogando la gravissima misura della demolizione e del ripristino senza dare contezza né dell'interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione stessa, né del presunto contrasto delle opere eseguite con la normativa urbanistica vigente. La sanzione inoltre è stata inflitta senza tenere conto del principio di proporzionalità;

V) Error in iudicando - Violazione dell’art. 7 l. 241/1990 - Violazione del principio del giusto procedimento - Difetto di motivazione e di istruttoria – Travisamento - Omessa ponderazione della situazione contemplata – Sviamento - Violazione dell’art 3 l. 241/1990 sotto altro aspetto. Il provvedimento sanzionatorio è poi illegittimo, al contrario di quanto sostenuto dal TAR, anche perché non è stato preceduto, in violazione della previsione di cui all’art. 7 l. 241/1990, da una valida comunicazione di avvio del procedimento;

VI) Error in iudicando - Violazione e falsa applicazione dell'art. 36 d.P.R. 380/2001 - Violazione dell'art. 164 d.lgs. 490/1999 - Violazione l.r. Campania 10/1982 - Violazione dell'art. 167 d.lgs. 42/2004 - Violazione d.P.R. 616/1977 (art. 82, lett. b), d, e) - Violazione del giusto procedimento. Va ribadita l'illegittimità del provvedimento impugnato perché non è stato adeguatamente accertato quale fosse il danno ambientale provocato, con la conseguenza che la sanzione irrogata avrebbe potuto essere contenuta nel pagamento di un indennizzo;

VII) Violazione ed omessa applicazione dell’art. 164 d.lgs. 490/1999, dell'art. 82 d.P.R. 616/1977 e della l.r. Campania 10/1982 in relazione alla l.r. 65/1981. A quanto lamentato al punto precedente va va inoltre segnalato che il provvedimento sanzionatorio doveva essere adottato solo dopo aver acquisito il parere della Commissione edilizia comunale integrata;

VIII) Violazione insanabile del giusto iter procedimentale per mancata preventiva consultazione della locale commissione edilizia comunale giusta il combinato disposto dall'art. 32 l. 1150/1942 in relazione all'art. 1, lett. n), d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8 - Violazione del regolamento edilizio locale. Un ulteriore vulnus di legittimità del provvedimento impugnato può individuarsi nella mancanza della valutazione tecnico economica della Giunta comunale;

IX) Illegittimità della disposta condanna alle spese. Tenuto conto “della peculiarità connotante la presente controversia, il Collegio avrebbe dovuto ravvisare i presupposti di legge per dichiarare le spese interamente compensate tra le parti” (così, testualmente, a pag. 27 dell’atto di appello).

5. – Non si è costituito in giudizio nel grado di appello (pur essendo stato presente nel giudizio di primo grado) il Comune di Barano d’Ischia.

6. – Ad avviso del Collegio deve essere, in via preliminare, esaminato il contenuto dell’ordinanza di demolizione oggetto di impugnazione nel primo grado di giudizio.

Leggendo l’ordinanza di demolizione n. 25 dell’11 giugno 2014 emerge quanto segue:

- vengono puntualmente descritte le opere edilizie delle quali, dopo i sopralluoghi effettuati, è stata accertata la loro realizzazione senza titolo edilizio (nello specifico, testualmente, “1) (…) copertura occupante una superficie di circa m.q. 23,00 ad una quota di circa 2,50 metri dal piano di calpestio, con struttura in tubolari e copertura in lamiere, nonché chiusura con pannelli in plexiglass ad una quota di circa 2,00 metri del perimetrale sul fronte strada; 2) vanella scoperta risultata coperta per una superficie di m.q. 18,00 ad una quota di 3,00 metri dal piano di calpestio, chiusa sul lato confinante con la proprietà aliena e utilizzata come deposito; 3) container della superficie di m.q. 19,00 ed alto 2,40 metri collocato alle spalle del locale principale; 4) (…)a livello seminterrato ulteriore corpo di fabbrica della superficie di m.q. 90,00 alto 3,00 metri con struttura portante il celloblok e copertura in lamiera utilizzato come deposito vernici”;

- dette opere vengono giuridicamente qualificate come “interventi di nuova costruzione”, riconducibili alla definizione di cui all'art. 3, lett. e) d.P.R. 380/2001, “in quanto costituiscono inconfutabilmente nuovi organismi edili, caratterizzati da un proprio impatto volumetrico e ambientale e, dunque, idonei a determinare una trasformazione del territorio”;

- si individuano espressamente le norme violate dalla realizzazione senza titolo delle medesime opere, essendo “soggette al regime di cui all'art. 10 del D.P.R. n. 380/01, nonché alle norme specifiche che subordinano il rilascio del titolo edilizio al parere di compatibilità con il vincolo paesaggistico ex D.Lgs. 42/04, essendo l'intero territorio comunale sottoposto a tale vincolo”;

- viene rammentato che “il Comune di Barano d'Ischia è sprovvisto di Piano Regolatore Generale; (…) che l'intero territorio comunale è stato dichiarato di notevole interesse pubblico ai sensi dell'art. 1 lettera d) della legge n. 1497/1939 sin dal D.M. del 19.06.1958 pubblicato sulla G.U. n° 209 del 30.09.1958, e che, in quanto tale, è sottoposto a tutte le disposizioni contenute nel D.M. medesimo e quindi nel Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e ss. mm. ed (…) ancora che il Comune è sottoposto a regime vincolistico disciplinato dal Piano Territoriale Paesistico dell'Isola d'Ischia approvato con Decreto Ministeriale dell'8 febbraio 1999, pubblicato sulla G.U. n. 94 del 23.04.99, la cui normativa esclude la realizzazione di nuove costruzioni”, specificando ancora che il Piano territoriale paesistico di cui sopra, “in applicazione dell'art. 23 RD. 1357/40, costituisce norma immediatamente vincolante e prevalente nei confronti degli strumenti di pianificazione urbanistica comunali, provinciali e nei confronti del P.T.C. ai sensi dell'art. 5 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e dei piani di settore regionali. I piani regolatori generali e particolareggiati dovranno essere adeguati alla presente normativa di piano paesistico. (rif. art. 5 comma 2 delle NTA del PTP Isola d'Ischia)”;

- viene quindi ulteriormente precisato che “la normativa del PTP dell'Isola d'Ischia è prevalente nei confronti degli strumenti di pianificazione urbanistica comunali, provinciali e regionali (art. 5 norme di attuazione) e che le opere di cui innanzi sono state eseguite in un zona che il PTP dell'Isola d'Ischia designa PI ed ha comportato incrementi volumetrici nella zona stessa in contrasto con la norma del PTP (art. 11 punto 4/delle norme di attuazione) che testualmente recita “....è vietato qualsiasi intervento che comporti incremento dei volumi esistenti....” e che “il rilevato contrasto dell'intervento realizzato con la specifica disposizione del PTP vigente (relativa al divieto di incremento volumetrico nella zona de qua) è sufficiente a supportare il diniego di un'eventuale sanatoria giurisprudenziale, non essendo possibile, per quanto sopra detto, un favorevole accertamento di conformità”, concludendo nel senso che “le motivazioni sopra riportate indicano i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche per emettere ordinanza di demolizione delle opere in questione”.

7. – Tenuto conto di quanto ora riportato e dunque degli specifici contenuti dell’ordinanza di demolizione impugnata in primo grado emerge in sintesi che:

- le opere edilizie la cui realizzazione è stata accertata all’esito dei sopralluoghi, puntualmente descritte nella loro consistenza, sono state qualificate dall’ente locale quali opere di nuova costruzione, realizzate nell’ambito di un territorio paesaggisticamente protetto e senza il previo rilascio del titolo abilitativo edilizio e paesaggistico;

- tale consistenza e qualificazione giuridica delle opere in questione rende inevitabile l’irrogazione della sanzione della demolizione e della rimessione in pristino, tenuto conto anche delle disposizioni recate dagli strumenti urbanistici riferiti all’area ove esse insistono;

- con il provvedimento che ordina la demolizione di dette opere viene anche definito, in senso sfavorevole, il procedimento di accertamento di conformità avviato su istanza della proprietaria, esprimendosi le ragioni in virtù delle quali non è possibile, nella specie, accordare la richiesta sanatoria postuma.

Così riassunti in estrema sintesi i passaggi rilevanti del contenuto dell’ordinanza di demolizione, per quanto interessa il presente contenzioso, il Collegio è dell’avviso che le censure dedotte con l’atto di appello non si prestino ad essere condivise, potendosi confermare quanto già affermato dal giudice di primo grado nella sentenza qui fatta oggetto di appello.

Qui di seguito saranno dunque, più specificamente, illustrate le ragioni dell’infondatezza dei singoli motivi di appello dedotti, con la sintesi resa necessaria anche dalla evidente circostanza che molte delle prospettazioni illustrate nei singoli motivi di appello costituiscono ripetizioni o specificazioni illustrative di quanto già riferito dall’appellante nei percorsi contestativi descritti in altre sezioni del medesimo atto introduttivo del presente grado di giudizio.

8. – In primo luogo, tenuto conto di quel che emerge dalla documentazione, non può revocarsi in dubbio che le opere realizzate abbiano una rilevante consistenza, per dimensione e tipologia e insistano su un’area paesaggisticamente vincolata.

Non è contestato, inoltre, risultando dalle rilevanze processuali, che le opere edilizie siano state realizzate in assenza di titolo abilitativo, non essendo mai stato chiesto e rilasciato un preventivo titolo edilizio.

I manufatti abusivi, inoltre, consistono in interventi realizzati su un'area paesaggisticamente vincolata, ai sensi della legge n. 1497 del 1939, visto che l'intero territorio comunale è stato dichiarato di notevole interesse pubblico ai sensi dell'art. 1, lett. d), l. 1497/1939 sin dal D.M. del 19 giugno 1958 (pubblicato sulla G.U. n. 209 del 30 settembre 1958) che, in quanto tale, è sottoposto alle disposizioni di protezione contenute nel predetto D.M. nonché nel d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, oltre al fatto che il Comune di Barano d’Ischia è sottoposto a regime vincolistico disciplinato dal Piano territoriale paesistico dell'Isola d'Ischia approvato con D.M. 8 febbraio 1999 (pubblicato sulla G.U. n. 94 del 23 aprile 1999), la cui normativa esclude la realizzazione di nuove costruzioni ed, infine, pacifica l'assenza dell'autorizzazione paesaggistica prescritta dall'art. 146 d.lgs. 42/2004.

Chiarito quanto sopra, va rammentato che, in caso di vincolo paesaggistico qualsiasi intervento idoneo ad alterare il pregresso stato dei luoghi, come quelli di specie, deve essere preceduto da autorizzazione paesaggistica e, in sua assenza, è soggetto ad ordinanza demolitoria. Inoltre, in tali casi è sufficiente che si tratti di opere realizzabili anche mediante D.I.A. (ma il caso odierno sfugge a tale possibilità semplificatoria per la consistenza e la tipologia delle opere realizzate), atteso che l'art. 32, comma 3, d.P.R. 6 giugno 2002, n. 380 impone di adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano, comunque, costruite senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesistico, pur se qualificabili non come nuove costruzioni ma come variazioni essenziali di manufatti preesistenti. Si è infatti, in più occasioni, precisato che le opere in aree assoggettate a vincolo paesaggistico, comportanti la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria, non possono essere condonate (Cons. Stato, Sez. VI, 9 maggio 2023 n. 4663).

Infatti, per le opere abusive eseguite in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica in aree vincolate, vige un principio di indifferenza del titolo necessario all'esecuzione di interventi in dette zone, essendo legittimo l'esercizio del potere repressivo in ogni caso, a prescindere, appunto, dal titolo edilizio ritenuto più idoneo e corretto per realizzare l'intervento edilizio nella zona vincolata (DIA o permesso di costruire); ciò che rileva, ai fini dell'irrogazione della sanzione ripristinatoria, è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in zona vincolata e in assoluta carenza di titolo abilitativo, sia sotto il profilo paesaggistico che urbanistico.

In conclusione, la realizzazione di volumetria aggiuntiva senza alcun titolo legittimante comporta la violazione degli artt. 3, comma 1, lettera e. 1 (che configura espressamente come intervento di nuova costruzione anche l'ampliamento dei manufatti esistenti all'esterno della sagoma esistente), 10 comma 1, lettera a) (che subordina al rilascio del permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione) e 31, comma 2, d.P.R. 380/2001 (che prevede la sanzione della demolizione per gli interventi edilizi eseguiti in assenza del prescritto permesso di costruire), dal che si desume che l'Amministrazione ha correttamente ordinato la demolizione delle opere in questione, trattandosi di un intervento edilizio abusivo che ha determinato la realizzazione di nuovi volumi e nuove superfici, peraltro di rilevanti dimensioni (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 24 marzo 2023 n. 3001).

9. – Non si evincono inoltre, nella descrizione delle opere realizzate abusivamente, le caratteristiche invocate per poter riconoscere un collegamento pertinenziale tra le stesse e i manufatti preesistenti, tenuto conto che le opere eseguite devono essere considerate unitariamente e nel loro complesso, non essendo consentita una valutazione atomistica delle stesse. Ciò esclude che, nella specie, possa assumere rilievo la nozione di pertinenza urbanistica, per come definita dalla giurisprudenza, alla quale può farsi rinvio (cfr., ad esempio, Cons. Stato, Sez. VI, 25 marzo 2020 n. 2084), attesa la creazione di una nuova non irrilevante volumetria.

Inoltre, con riferimento alla decisione contenuta nell’ordinanza demolitoria di non poter accogliere l’istanza di accertamento di conformità, circostanza che destituisce di fondamento tutte le censure dedotte e aventi ad oggetto la doglianza circa l’adozione della sanzione demolitoria in assenza di definizione del procedimento di accertamento di conformità avviato con istanza della odierna appellante (nel settembre 2014), va ribadito che la creazione di volumetria abusiva in zona soggetta a vincolo paesaggistico, anche laddove interrata, non consente la sanatoria, con ciò restando ininfluente l'eventuale coerenza dei lavori eseguiti con la disciplina (urbanistico-edilizia) di zona, né, in tale contesto, sarebbe stato possibile dettare prescrizioni per rendere le contestate opere compatibili con il paesaggio (cfr., in argomento, Cons. Stato, Sez. VI, 18 ottobre 2022 n. 8848).

10. – Con riferimento agli ulteriori versanti contestativi espressi dalla odierna appellante va riferito quanto la costante giurisprudenza ha graniticamente affermato sulle questioni oggi sottoposte allo scrutinio del Collegio, posto che non si vedono ragioni per esprimersi in modo difforme, e in particolare:

- l’ordinanza di demolizione costituisce espressione di un potere vincolato e doveroso in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, rispetto al quale non è richiesto alcun apporto partecipativo del privato sicché non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 11 maggio 2022 n. 3707, secondo la quale “L'attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l'ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell'art. 7 l. n. 241/1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso”);

- il mero decorso del tempo non fa sorgere alcun legittimo affidamento meritevole di tutela che sarebbe leso dall'operato dell'amministrazione che, a distanza di anni, reprime un abuso edilizio. Infatti nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione, la mera inerzia da parte dell'amministrazione nell'esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere "legittimo" in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata. In definitiva, non si può applicare ad un fatto illecito (l'abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell'interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell'autotutela decisoria. Più in particolare “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino” (cfr., in termini, Cons. Stato, Ad. pl., 17 ottobre 2017 n. 9);

- nello stesso solco interpretativo si è poi aggiunto che “l'ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell'abuso corrisponde per definizione all'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un'adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 5 luglio 2023 n. 6555).

11. - A ciò vanno aggiunte alcune ultime considerazioni, per completezza espositiva:

- sotto un primo versante, la puntuale rappresentazione delle disposizioni settoriali che impongono un regime vincolistico all’area in questione, recata nel corpo della motivazione dell’ordinanza demolitoria impugnata, escludono che le supposizioni oppositive espresse nell’atto di appello con riferimento ad altrettante previsioni normative, apparentemente idonee a consentire la sanatoria delle opere oggetto di contestazione, possano avere fondamento;

- sotto un secondo versante, oltre ad essere superfluo, al fine di poter considerare illegittimo il provvedimento sanzionatorio impugnato, affermare che l’area in questione è ampiamente urbanizzata (ciò non esclude, ovviamente, la illegittimità della realizzazione di opere senza titolo);

- sotto un terzo e ultimo versante, l’acclaramento della realizzazione di opere senza titolo, dal momento che rende illegittima tale realizzazione, esclude che per disporne la demolizione sia necessario acquisire il parere della Commissione edilizia integrata, atteso che la eventuale compatibilità paesaggistica (con considerare solo per “pura ipotesi”, nel caso di specie) non escludere l’incompatibilità sotto il profilo della disciplina edilizia delle opere realizzate;

- posto che le opere in questione costituiscono ampliamenti volumetrici realizzati senza titolo e, come tali, correttamente assoggettati all'ordine di demolizione, del tutto vincolato, l’omessa esecuzione di un preventivo accertamento tecnico circa la praticabilità della sanzione demolitoria, nonché della mancanza della valutazione tecnico-economica della Giunta municipale, come del parere della Commissione integrata e del consenso della Soprintendenza, costituiscono adempimenti non necessari ai fini della legittimità dell’ordine di demolizione (cfr., in argomento e tra le ultime, Cons. Stato, Sez. VII, 9 gennaio 2023 n. 238). Infatti tali adempimenti, semmai, possono risultare necessari – e non sempre – solo in esito all’istruttoria che segue l’accertamento della inosservanza all’ordine demolitorio. Come è noto, infatti, “le disposizioni dell'art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 devono essere interpretate nel senso che la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria debba essere valutata dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione: fase esecutiva, nella quale le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato, presupposto per l'applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, con la conseguenza che tale valutazione non rileva ai fini della legittimità dell'originario ordine di demolizione” (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. VI, 10 maggio 2021 n. 3666).

Ne deriva che l'Amministrazione ha provveduto legittimamente, nel caso di specie, a disporre la demolizione delle opere accertate come abusive, tenuto conto – in conclusione - che la motivazione alla base dell'ordinanza di demolizione risulta adeguata a permettere alla parte privata di percepire l'iter logico giuridico seguito per pervenire all'adozione della decisione lesiva.

Da ultimo, in ordine all’ultimo punto di doglianza che ha quale bersaglio la condanna alle spese dell’odierna parte appellante nel giudizio di primo grado, ad avviso del Collegio va condiviso l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, Sez. V, 10 novembre 2022 n. 9879) in ragione del quale:

- il giudice di primo grado esercita ampi poteri discrezionali in ordine alla statuizione sulle spese di lite, sia ai fini della condanna, sia ai fini della compensazione, con il solo limite dell'abnormità o della manifesta ingiustizia (Cons. Stato, Ad. plen., 24 maggio 2007 n. 8; Sez. IV 9 ottobre 2019 n. 6887, 8 ottobre 2019 n. 6797 e 23 settembre 2019 n. 6352; Sez. V, 28 ottobre 2015 n. 4936; Sez. III, 9 novembre 2016 4655);

- ne consegue che, nel giudizio di appello, la sindacabilità sulle spese liquidate all'esito del giudizio di primo grado è limitata all'ipotesi in cui venga modificata la decisione impugnata, fatta eccezione per le ipotesi di manifesta abnormità (cfr., ancora, Cons, Stato, Sez. VI, 13 gennaio 2020, n. 309) fattispecie che ricorre solo in situazioni eccezionali, identificate dalla giurisprudenza nell'erronea condanna alle spese della parte vittoriosa e nella manifesta e macroscopica eccessività o sproporzione della condanna (cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. III, 13 dicembre 2018 n. 7039).

Applicando la predetta giurisprudenza al caso di specie, in cui la sentenza impugnata va confermata, non vi è erroneità nella condanna alle spese, che è stata pronunziata nei confronti della parte soccombente secondo la regola generale di cui all'art. 91 Cod. proc. civ., e non si assume la manifesta e macroscopica eccessività o sproporzione del relativo quantum, che non è neanche oggettivamente rilevabile.

Conseguentemente anche l’ultimo motivo di appello dedotto si presenta infondato.

12. - In ragione di quanto si è fin qui illustrato si manifestano infondate le censure dedotte nella sede di appello di talché il mezzo di gravame proposto va respinto con conseguente conferma della sentenza in primo grado.

La mancata costituzione in giudizio dell’appellata amministrazione esenta dalla liquidazione delle spese del grado di appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello (n. R.g. 3629/2020), come indicato in epigrafe, lo respinge.

Nulla per le spese del grado di appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 13 luglio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente

Alessandro Maggio, Consigliere

Stefano Toschei, Consigliere, Estensore

Davide Ponte, Consigliere

Marco Poppi, Consigliere