Cons. Stato, Sez. IV,n.  4204 del 23 luglio 2012
Urbanistica.Modesta trasformazione del suolo

La realizzazione di un piazzale per deposito di inerti mediante lo scortecciamento e spalteamento del terreno con susseguente riporto di materiale lapideo di grossa pezzatura, livellato e rullato, e che, sul piazzale così formatosi, insistevano, oltre a cumuli di inerti di non trascurabile entità, un silos ed una tramoggia per il preconfezionamento di conglomerati cementizi, richiede il preventivo rilascio di permesso di costruire. Lo spianamento e la deruralizzazione del piazzale antistante un container da adibire ad ufficio é da considerare un intervento di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio previsto dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001, come tale subordinato a permesso di costruire, allorché comporti un'alterazione dello stato dei luoghi di rilievo anche solo funzionale, evidente nel caso di specie nella utilizzazione economica dell'opera e dunque nel mutamento di destinazione dell'area interessata. (T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 26 febbraio 2009 , n. 404). La realizzazione di un piazzale attraverso il disboscamento e lo spianamento di un'area agricola - pur non comportando la realizzazione di opere in muratura - determina comunque una alterazione dello stato dei luoghi, con consequenziale non ascrivibilità del suddetto intervento alla tipologia della modifica di destinazione d'uso funzionale, o senza opere. “(T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 25 ottobre 2007 , n. 3242). Allorché spianamento, livellamento e disboscamento interessino, per la loro rilevanza, la conformazione del territorio, non è sufficiente addurre la futura destinazione agricola dell'area, ma occorre un preventivo controllo dell'autorità comunale, nelle forme della concessione urbanistica; concetto distinto da quello tradizionale di concessione edilizia, e ciò perché nel concetto di urbanistica di cui all'art. 80 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 rientrano l'assetto del territorio e l'utilizzazione del suolo, e non soltanto l'edilizia in senso stretto.”(Cassazione penale , sez. III, 14 luglio 1998 , n. 2239). La realizzazione di un parcheggio scoperto di autovetture comporta una trasformazione del suolo mediante opere, anche se modeste, (spianamento del terreno, sua battitura, suddivisione degli spazi, creazione di accessi e piazzole di lavaggio) per cui si è fuori dalle ipotesi di mera utilizzazione che il proprietario ritenga di fare del proprio terreno e per le quali è esclusa la necessità di un titolo concessorio. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04204/2012REG.PROV.COLL.

N. 01499/2004 REG.RIC.

N. 01500/2004 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1499 del 2004, proposto da:

Uguccioni Claudio, rappresentato e difeso dall'avv. Aldo Valentini, con domicilio eletto presso Guido Romanelli in Roma, via Pacuvio, 34;

contro

Provincia di Pesaro Urbino non costituitosi in giudizio;

Comune di Gabicce Mare, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. M. Isabella Torriani, con domicilio eletto presso Antonia Studio De Angelis in Roma, via Portuense, 104;

 

sul ricorso numero di registro generale 1500 del 2004, proposto da:

Uguccioni Claudio, rappresentato e difeso dall'avv. Aldo Valentini, con domicilio eletto presso Guido Romanelli in Roma, via Pacuvio, 34;

contro

Provincia di Pesaro Urbino non costituitasi in giudizio;

Comune di Gabicce Mare, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. M. Isabella Torriani, con domicilio eletto presso Antonia Studio De Angelis in Roma, via Portuense, 104;

per la riforma

quanto al ricorso n. 1499 del 2004:

della sentenza del T.a.r. delle Marche –Sede di Ancona -n. 01319/2003, resa tra le parti, concernente DEMOLIZIONE DI OPERE ABUSIVE

quanto al ricorso n. 1500 del 2004:

della sentenza del T.a.r. delle Marche –Sede di Ancona- n. 01279/2003, resa tra le parti, concernente DEMOLIZIONE DI OPERE ABUSIVE


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 giugno 2012 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Giovanni Bonaccio su delega di Aldo Valentini e M. Isabella Torriani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Ricorso n. 1499/2004 avverso la sentenza n. 1319/2003;

Con il ricorso di primo grado corredato da motivi aggiunti l’odierno appellante sig. Uguccioni Claudio aveva chiesto l’annullamento dell’ordinanza n.70 del 28/8/2001 del Responsabile del 6° Settore del Comune di Gabicce Mare, con la quale gli era stato ingiunto (in qualità di affittuario) di provvedere alla demolizione, entro 90 giorni, delle opere abusive concernenti la “costruzione di un piazzale con pavimentazione drenante in stabilizzato su sottofondo di ciotolame per deposito inerti di superficie di circa mq.6000 e installazione di macchine, silos e tramoggia per preconfezionamento conglomerati cementizi” nell’area sita in via dell’Erba e distinta al Catasto al foglio 6 di Gabicce Mare, mappale n.439 (ex 24 parte), con l’obbligo del ripristino dello stato dei luoghi ante abuso e con l’avvertenza che, in difetto, si sarebbe proceduto all’acquisizione gratuita al patrimonio comunale; ed era stato disposto altresì il pagamento della sanzione dovuta per danno ambientale nella misura di L.2.085.000;

della determinazione del responsabile del 6° settore del Comune di Gabicce Mare n.60016 del 5/6/2001, di diniego di concessione in sanatoria per le opere abusive sopradescritte (determinazione rettificata con atto 23.10.2001 n.60038 e lettera 25.10.2001, prot. n.17155);

nonché, ove potesse occorrere, della presupposta determinazione del Dirigente del Servizio n.4.1 Urbanistica-Pianificazione Territoriale della Provincia di Pesaro e Urbino prot. n.34668/2000 n.350 del 13.3.2001, con la quale gli era stato denegato il nulla osta, ai fini paesaggistici, alla sanatoria delle opere abusive predette e di ogni altro atto collegato, presupposto o connesso, ivi compresa alla relazione dell’Ufficio prot. n.34668 del 2.3.2001.

Sostanzialmente l’odierno appellante si doleva del diniego di condono relativo alle suddette opere eseguite su un’area di terreno non fabbricabile estesa mq. 6000, censita al catasto terreni al foglio 6, particella 439, sita in Comune di Gabicce Mare della quale era affittuario.

Aveva dedotto numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere che il Tribunale amministrativo regionale delle Marche – sede di Ancona- ha partitamente esaminato, respingendole, facendo presente che con ulteriore ricorso, rubricato al n. 407 /2001, del pari chiamato in decisione alla identica udienza pubblica, erano stati gravati, (oltre che, in parte, gli stessi atti surrichiamati) anche gli atti amministrativi antecedentemente emessi e ad essi sottesi.

In particolare, il primo giudice ha affermato la legittimità e correttezza del provvedimento con cui la Provincia di Pesaro-Urbino, competente a rilasciare il nulla osta paesaggistico nel corso del procedimento per conseguire la sanatoria delle opere abusive ex art.32 L. 28 febbraio 1985, n.47, lo aveva denegato ( determinazione n.350, assunta dal Dirigente del Servizio n.1 Urbanistica-Pianificazione Territoriale in data 13.3.2001) in quanto la motivazione che sorreggeva il diniego di nulla osta appariva logica, coerente e completa, fondandosi sul parere sfavorevole espresso in merito dall’Ufficio Beni Paesistico-Architettonici dello stesso Servizio di Urbanistica e Pianificazione Territoriale laddove era stata evidenziata l’incompatibilità di tale trasformazione urbanistico-edilizia con il territorio circostante, in quanto interessante una vasta zona agricola “pressoché integra compresa tra la linea ferroviaria ed un corso d’acqua pubblica quale il torrente Taviolo”.

L’opera abusiva, peraltro, insisteva su un’area contigua al Parco Regionale San Bartolo ed aveva spiegato un notevole impatto paesaggistico.

Era evidente l’improprietà dell’opera, soprattutto dalla visuale panoramica del vicino Colle di Gradara vincolato dal D.M. 31 luglio 1985.

Sotto altro profilo, non rispondeva al vero che l’intervento sarebbe stato realizzato prima dell’imposizione del vincolo paesaggistico in quanto alla richiesta di concessione edilizia in sanatoria presentata il 25-28 febbraio 1995 il sig. Claudio Uguccioni aveva allegato la prescritta dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio ex art.4 della L. 4 gennaio 1968, n. 15, nella quale, sotto la sua personale responsabilità, aveva indicato, quale epoca di realizzazione dell’abuso, il periodo dal 16 marzo 1985 al 31.12.1993 (peraltro che tale fosse il periodo di realizzazione dell’immobile risultava da altri documenti della pratica).

Posto che il vincolo paesaggistico era stato introdotto con decreto ministeriale del 31.7.1985, appariva evidente, ad avviso del primo giudice, che le opere risalissero ad epoca pressoché tutta successiva al vincolo stesso.

In ogni caso, se anche il vincolo fosse stato impresso sull’area successivamente alla esecuzione delle opere abusive, non sarebbe venuto meno l’obbligo di acquisire ex post il parere dell’Autorità preposta alla tutela stessa ai fini del rilascio della concessione in sanatoria.

Per altro verso, non sussisteva alcun obbligo da parte del Servizio Urbanistica e Pianificazione Territoriale della Provincia di Pesaro di portare a conoscenza della ditta Uguccioni - prima di assumere la determinazione conclusiva in ordine al rilascio o meno del nulla osta paesaggistico- il parere formulato dall’Ufficio Beni Paesistico-Architettonici, appartenente allo stesso servizio, trattandosi di atto istruttorio interno.

Il primo giudice ha poi disatteso il quarto motivo di censura con il quale l’appellante aveva denunciato il vizio per cui l’ordine di demolizione era stato indirizzato ad una ditta omonima ( la quale invece non esisteva o comunque non era interessata alla problematica) evidenziando che la censura era, per un verso, improcedibile nella parte in cui attingeva il provvedimento comunale prot. n.60016 del 5.6.2001 di diniego della concessione in sanatoria, in quanto trattavasi di ininfluente errore materiale già rettificato dal responsabile del Servizio.

Per altro verso, nella parte in cui il dedotto vizio era riferito all’ordinanza di demolizione n.70 del 28.8.2001, il motivo era infondato posto che il detto atto conteneva una esatta ed analitica indicazione di tutti gli altri elementi idonei ad individuare il soggetto effettivamente interessato e nei cui confronti il provvedimento era rivolto.

Il primo giudice ha quindi dichiarato inammissibile, perché tardivo, il quinto motivo che, seppur formalmente diretto all’ordinanza comunale di demolizione emessa il 28.8.2001, non riguardava tale atto in ultimo citato, ma il precedente diniego di nulla osta paesaggistico promanante dalla Provincia di Pesaro e Urbino e risalente al 13.3.2001.

Con la detta censura, infatti, si era sostenuto che il diniego della Provincia di Pesaro e Urbino, intervenuto in data 13.3.2001, era stato espresso tardivamente, dopo che si era consolidato il silenzio-assenso ex art.32, comma secondo della legge n.47/1985.

Senonchè, la deduzione di tale vizio di legittimità era avvenuta per la prima volta con atto notificato il 13.11.2001 ed era pertanto largamente intempestiva, in considerazione della circostanza che diniego di nulla osta paesaggistico espresso dalla Provincia di P.U. il 13.3.2001 era stato comunicato con atto del 14.3.2001 e ricevuto dal ricorrente prima del 10.5.2001.

E la tardività riguardava anche il segmento impugnatorio attingente il conseguente diniego di concessione in sanatoria delle opere abusive disposto dal Comune di Gabicce con il provvedimento dirigenziale n.60016 del 5.6.2001, notificato al sig. Uguccioni Claudio il 7.6.2001 (ammesso che si potesse dedurre in sede di impugnativa dell’atto consequenziale un vizio in realtà relativo all’atto presupposto).

Il Tribunale amministrativo ha infine disatteso la sesta e la settima censura in quanto infondate.

Con il sesto motivo, infatti, da un canto si contestava che le opere fossero state eseguite in totale difformità dalla concessione; dall’altro, si assumeva che le stesse sarebbero state del tutto prive di rilevanza urbanistica e quindi non abbisognevoli di preventiva concessione anche se insistenti in zona vincolata.

Il primo giudice ha in proposito rilevato che le opere stesse erano state eseguite ( non in difformità dalla concessione, ma) in assenza di concessione di sorta, mai richiesta e mai rilasciata per cui non rilevava discutere su una difformità totale o parziale; tali manufatti, peraltro, certamente necessitavano della concessione in quanto comportanti una trasformazione del territorio preesistente, che rilevava sia sul piano fisico (riduzione a piazzale pavimentato di un’area verde) sia in senso urbanistico (il piazzale era attrezzato e veniva utilizzato e movimentato per il deposito di materiali e per la loro trasformazione).

Della circostanza che le opere abbisognassero di concessione, peraltro, era stato ben consapevole lo stesso appellante che, non avendola richiesta anteriormente alla loro realizzazione, la aveva chiesta successivamente in via di condono ai sensi dell’art.39, comma 4° della legge n.724 del 23.12.1994.

Il settimo motivo, infine, era infondato in punto di fatto, posto che prima di instaurare il procedimento concluso con l’ ordine di demolizione, il Comune di Gabicce Mare aveva inviato al sig. Uguccioni Claudio la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge n.241/1990 ( nota prot. n.9871 del 6.6.2001) assegnando all’interessato dieci giorni di tempo per consentirgli di interloquire e di fare le proprie osservazioni.

Soltanto decorso detto intervallo di tempo, in carenza di alcuna deduzione da parte dell’appellante, era stato dato corso alla procedura ed infine adottata l’ordinanza di demolizione n.70 del 28.8.2001.

L’appellante ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe sotto tutti i versanti motivazionali suindicati chiedendo la riforma dell’appellata decisione, ribadendo tutte le censure già articolate in primo grado, ed accuratamente ripercorrendo la cronologia degli accadimenti sottesi al contenzioso in oggetto.

L’appellata amministrazione comunale ha depositato una articolata memoria di replica chiedendo la reiezione del gravame perché certamente infondato.

Con memoria di replica ritualmente depositata l’appellante ha ribadito le proprie doglianze facendo presente che permaneva il proprio interesse alla decisione del ricorso, rievocando in punto di fatto le vicende relative all’area per cui è causa (asseritamente adibita a deposito di inerti sin dal 1981) e ribadendo che la statuizione demolitoria ( e la precedente reiezione del richiesto condono) era motivata unicamente facendo ricorso a formule di stile, mentre si sarebbe dovuto tenere conto della circostanza che la Cec aveva reso parere favorevole al rilascio della concessione in sanatoria ( e quantomeno si sarebbe dovuto procedere ad annullare in autotutela detto atto); anche il secondo motivo di censura doveva essere accolto, in quanto l’affermazione per cui le opere abusive risalivano ad epoca pressoché tutta successiva alla imposizione del vicolo costituiva affermazione apodittica priva di riscontro processuale, e non era intellegibile in che modo il primo giudice avesse potuto esternare simile convincimento.

L’appellante non era stato posto in grado di contraddire in via infraprocedimentale; appariva errata la improcedibilità delle censure avversanti la inesatta determinazione del contravventore, ed egli aveva tempestivamente dedotto che si era formato il silenzio-assenso.

Posto che trattavasi di un semplice piazzale, privo di costruzioni, non appariva condivisibile la reiezione della censura incentrata sulla considerazione che ci si trovava al cospetto di opere non necessitanti il rilascio di concessione: del pari l’omesso inoltro del preavviso di rigetto aveva leso il diritto di difesa infraprocedimentale dell’appellante ed erroneamente era stata esclusa la portata viziante di tale omissione.

All’adunanza camerale del 6 Aprile 2004 fissata per la delibazione della domanda di sospensione della esecutività della impugnata decisione incidente cautelare la Sezione ha respinto l’appello cautelare “considerato che la decisione appellata appare coerente con i principi che regolano la materia controversa;”.

Alla odierna pubblica udienza del 5 giugno 2012 la causa è stata posta in decisione.

 

Ricorso n. 1500/2004 avverso la sentenza n. 1279/2003;

Con il ricorso di primo grado corredato da motivi aggiunti l’odierno appellante sig. Uguccioni Claudio aveva chiesto l’annullamento della determinazione del Dirigente del Servizio n.4.1 Urbanistica-Pianificazione Territoriale della Provincia di Pesaro e Urbino prot. n.34668/2000 n.350 del 13.3.2001, con la quale gli era stato denegato il nulla osta, ai fini paesaggistici, alla sanatoria dei lavori da questi abusivamente eseguiti su un’area di terreno non fabbricabile estesa mq. 6000, censita al catasto terreni al foglio 6, particella 439, sita in Comune di Gabicce Mare della quale era affittuario ( e consistenti in un piazzale, realizzato con pavimentazione drenante in stabilizzato su sottofondo di ciotolame, sul quale erano collocati i cumuli degli inerti, un silos ed una tramoggia, privi di opere di fondazione e di facile rimozione) e di ogni altro atto collegato, presupposto o connesso, ivi compresa alla relazione dell’Ufficio prot. n.34668 del 2.3.2001. Con motivi aggiunti aveva poi gravato dell’ordinanza n.70 del 28/8/2001 del Responsabile del 6° Settore del Comune di Gabicce Mare, con la quale gli era stato ingiunto (in qualità di affittuario) di provvedere alla demolizione, entro 90 giorni, delle opere abusive suindicate e la determinazione del responsabile del 6° settore del Comune di Gabicce Mare n.60016 del 5/6/2001, di diniego di concessione in sanatoria per le opere abusive di cui sopra, determinazione rettificata con atto 23.10.2001 n.60038 e lettera 25.10.2001, prot. n.17155.

Aveva dedotto numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere che il Tribunale amministrativo regionale delle Marche – sede di Ancona- ha partitamente esaminato, respingendole, (tenendo conto della circostanza che con ulteriore ricorso, rubricato al n. 894 /2001, del pari chiamato in decisione alla identica udienza pubblica e deciso con la prima richiamata sentenza n. 1319/2003, erano stati gravati, oltre che, in parte, gli stessi atti surrichiamati, quelli successivamente emessi e concretantesi nella ordinanza di demolizione emessa dal Comune e gli atti connessi).

In particolare, il primo giudice ha affermato la legittimità e correttezza del provvedimento con cui la Provincia di Pesaro-Urbino, competente a rilasciare il nulla osta paesaggistico nel corso del procedimento per conseguire la sanatoria delle opere abusive ex art.32 L. 28 febbraio 1985, n.47, lo aveva denegato ( determinazione n.350, assunta dal Dirigente del Servizio n.1 Urbanistica-Pianificazione Territoriale in data 13.3.2001) in quanto la motivazione che sorreggeva il diniego di nulla osta appariva logica, coerente e completa, fondandosi sul parere sfavorevole espresso in merito dall’Ufficio Beni Paesistico-Architettonici dello stesso Servizio di Urbanistica e Pianificazione Territoriale laddove era stata evidenziata l’incompatibilità di tale trasformazione urbanistico-edilizia con il territorio circostante, in quanto interessante una vasta zona agricola “pressoché integra compresa tra la linea ferroviaria ed un corso d’acqua pubblica quale il torrente Taviolo”.

L’opera abusiva, peraltro, insisteva su un’area contigua al Parco Regionale San Bartolo ed aveva spiegato un notevole impatto paesaggistico.

Era evidente l’improprietà dell’opera, soprattutto dalla visuale panoramica del vicino Colle di Gradara vincolato dal D.M. 31 luglio 1985.

Sotto altro profilo, non rispondeva al vero che l’intervento sarebbe stato realizzato prima dell’imposizione del vincolo paesaggistico in quanto alla richiesta di concessione edilizia in sanatoria presentata il 25-28 febbraio 1995 il sig. Claudio Uguccioni aveva allegato la prescritta dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio ex art.4 della L. 4 gennaio 1968, n. 15, nella quale, sotto la sua personale responsabilità, aveva indicato, quale epoca di realizzazione dell’abuso, il periodo dal 16 marzo 1985 al 31.12.1993 (peraltro che tale fosse il periodo di realizzazione dell’immobile risultava da altri documenti della pratica).

Posto che il vincolo paesaggistico era stato introdotto con decreto ministeriale del 31.7.1985, appariva evidente, ad avviso del primo giudice, che le opere risalissero ad epoca pressoché tutta successiva al vincolo stesso.

In ogni caso, se anche il vincolo fosse stato impresso sull’area successivamente alla esecuzione delle opere abusive, non sarebbe venuto meno l’obbligo di acquisire ex post il parere dell’Autorità preposta alla tutela stessa ai fini del rilascio della concessione in sanatoria.

Per altro verso, non sussisteva alcun obbligo da parte del Servizio Urbanistica e Pianificazione Territoriale della Provincia di Pesaro di portare a conoscenza della ditta Uguccioni - prima di assumere la determinazione conclusiva in ordine al rilascio o meno del nulla osta paesaggistico- il parere formulato, dall’Ufficio Beni Paesistico-Architettonici, appartenente allo stesso servizio, trattandosi di atto istruttorio interno.

Il primo giudice ha poi disatteso il quarto motivo di censura con il quale l’appellante aveva denunciato il vizio per cui l’ordine di demolizione era stato indirizzato ad una ditta omonima ( la quale invece non esisteva o comunque non era interessata alla problematica) evidenziando che la censura era, per un verso, improcedibile nella parte in cui attingeva il provvedimento comunale prot. n.60016 del 5.6.2001 di diniego della concessione in sanatoria, in quanto trattavasi di ininfluente errore materiale già rettificato dal responsabile del Servizio.

Per altro verso, nella parte in cui il dedotto vizio era riferito all’ordinanza di demolizione n.70 del 28.8.2001, il motivo era infondato posto che il detto atto conteneva una esatta ed analitica indicazione di tutti gli altri elementi idonei ad individuare il soggetto effettivamente interessato e nei cui confronti il provvedimento era rivolto.

Il primo giudice ha quindi dichiarato inammissibile, perché tardivo, il quinto motivo che, seppur formalmente diretto all’ordinanza comunale di demolizione emessa il 28.8.2001, non riguardava tale atto in ultimo citato, ma il precedente diniego di nulla osta paesaggistico promanante dalla Provincia di Pesaro e Urbino e risalente al 13.3.2001.

Con la detta censura, infatti, si era sostenuto che il diniego della Provincia di Pesaro e Urbino, intervenuto in data 13.3.2001, era stato espresso tardivamente, dopo che si era consolidato il silenzio-assenso ex art.32, comma secondo della legge n.47/1985.

Senonchè, la deduzione di tale vizio di legittimità era avvenuta per la prima volta con atto notificato il 13.11.2001 ed era pertanto largamente intempestiva, in considerazione della circostanza che diniego di nulla osta paesaggistico espresso dalla Provincia di P.U. il 13.3.2001 era stato comunicato con atto del 14.3.2001 e ricevuto dal ricorrente prima del 10.5.2001.

E la tardività riguardava anche il segmento impugnatorio attingente il conseguente diniego di concessione in sanatoria delle opere abusive disposto dal Comune di Gabicce con il provvedimento dirigenziale n.60016 del 5.6.2001, notificato al sig. Uguccioni Claudio il 7.6.2001 (ammesso che si potesse dedurre in sede di impugnativa dell’atto conseguenziale un vizio in realtà relativo all’atto presupposto).

Il Tribunale amministrativo ha infine disatteso la sesta e la settima censura in quanto infondate.

Con il sesto motivo, infatti, da un canto si contestava le opere fossero state eseguite in totale difformità dalla concessione; dall’altro, si assumeva che le stesse sarebbero state del tutto prive di rilevanza urbanistica e quindi non abbisognevoli di preventiva concessione anche se insistenti in zona vincolata.

Il primo giudice ha in proposito rilevato che le opere stesse erano state eseguite ( non in difformità dalla concessione, ma) in assenza di concessione di sorta, mai richiesta e mai rilasciata per cui non rilevava discutere su una difformità totale o parziale; tali manufatti, peraltro, certamente necessitavano della concessione in quanto comportanti una trasformazione del territorio preesistente, che rilevava sia sul piano fisico (riduzione a piazzale pavimentato di un’area verde) sia in senso urbanistico (il piazzale era attrezzato e veniva utilizzato e movimentato per il deposito di materiali e per la loro trasformazione).

Della necessità che le opere abbisognassero di concessione, peraltro, era ben consapevole lo stesso appellante che, non avendola richiesta anteriormente alla loro realizzazione, la aveva chiesta successivamente in via di condono ai sensi dell’art.39, comma 4° della legge n.724 del 23.12.1994.

Il settimo motivo, infine, era infondato in punto di fatto, posto che prima di instaurare il procedimento concluso con l’ ordine di demolizione, il Comune di Gabicce Mare aveva inviato al sig. Uguccioni Claudio la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge n.241/1990 ( nota prot. n.9871 del 6.6.2001) assegnando all’interessato dieci giorni di tempo per consentirgli di interloquire e di fare le proprie osservazioni.

Soltanto decorso detto intervallo di tempo, in carenza di alcuna deduzione da parte dell’appellante, era stato dato corso alla procedura ed infine adottata l’ordinanza di demolizione n.70 del 28.8.2001.

L’appellante ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe sotto tutti i versanti motivazionali suindicati chiedendo la riforma dell’appellata decisione ribadendo tutte le censure già articolate in primo grado, ed accuratamente ripercorrendo la cronologia degli accadimenti sottesi al contenzioso in oggetto.

L’appellata amministrazione comunale ha depositato una articolata memoria di replica chiedendo la reiezione del gravame perché certamente infondato.

Con memoria di replica ritualmente depositata l’appellante ha ribadito le proprie doglianze facendo presente che permaneva il proprio interesse alla decisione del ricorso, rievocando in punto di fatto le vicende relative all’area per cui è causa (asseritamente adibita a deposito di inerti sin dal 1981) e ribadendo che la statuizione demolitoria, e la precedente reiezione del condono era motivata unicamente facendo ricorso a formule di stile, mentre si sarebbe dovuto tenere conto della circostanza che la Cec aveva reso parere favorevole al rilascio della concessione in sanatoria ( e quantomeno si sarebbe dovuto procedere ad annullare in autotutela detto atto); anche il secondo motivo di censura doveva essere accolto, in quanto l’affermazione per cui le opere abusive risalivano ad epoca pressoché tutta successiva alla imposizione del vicolo costituiva affermazione apodittica priva di riscontro processuale, e non era intellegibile in che modo il primo giudice avesse potuto esternare simile convincimento.

L’appellante non era stato posto in grado di contraddire in via infraprocedimentale; appariva errata la improcedibilità delle censure avversanti la inesatta determinazione del contravventore, ed egli aveva tempestivamente dedotto che si era formato il silenzio-assenso.

Posto che trattavasi di un semplice piazzale, privo di costruzioni, non appariva neppure condivisibile la reiezione della censura incentrata sulla considerazione che ci si trovava al cospetto di opere non necessitanti il rilascio di concessione: del pari l’omesso inoltro del preavviso di rigetto aveva leso il diritto di difesa infraprocedimentale dell’appellante ed erroneamente era stata esclusa la portata viziante di tale omissione.

All’adunanza camerale del 6 Aprile 2004 fissata per la delibazione della domanda di sospensione della esecutività della impugnata decisione incidente cautelare la Sezione ha respinto l’appello cautelare “considerato che la decisione appellata appare coerente con i principi che regolano la materia controversa;”.

Alla odierna pubblica udienza del 5 giugno 2012 la causa è stata posta in decisione.

 

DIRITTO

1.Deve, in via preliminare, disporsi la riunione dei suindicati appelli in quanto palesemente connessi sotto il profilo oggettivo e soggettivo (si veda Consiglio di Stato sez. V, 18 ottobre 2011 n. 5554: l'art. 70 c.p.a. conferisce al giudice amministrativo il generale potere discrezionale di disporre la riunione di ricorsi connessi con la conseguenza che, ove si tratti di cause connesse in senso oggettivo o soggettivo, è al giudice amministrativo di secondo grado che compete il potere di riunire appelli contro più sentenze in funzione dell'economicità e della speditezza dei giudizi, nonché al fine di prevenire la possibilità di contrasto tra giudicati.).

Nel caso di specie, peraltro, non soltanto, già in primo grado, sono state proposte censure identiche ma, altresì, con i singoli ricorsi proposti, sono state duplicate le azioni impugnatorie, essendosi provveduto ad avversare mercè due distinti ricorsi, seppur in parte, i medesimi atti, comunque proponendo comuni censure di “invalidità derivata”: analogamente, gli odierni appelli contengono identiche censure, proposte avverso gli stessi atti.

2. Essi sono palesemente infondati, e meritano di essere disattesi.

2.1. Nell’esame delle dedotte censure, al fine di evitare superflue ripetizioni, il Collegio raggrupperà quelle omogenee, trattandole congiuntamente.

3. A tal proposito, si evidenzia immediatamente che sono in primo luogo del tutto erronee le censure incentrate sul diniego di autorizzazione paesaggistica, sui vizi intrinseci di tale atto e sull’effetto derivato discendente da tali supposti vizi sui successivi dinieghi resi dall’amministrazione comunale.

Esse sono del tutto inaccoglibili, sia laddove dirette – contrariamente alle emergenze processuali- a dimostrare che l’avvenuta esecuzione delle opere precedette l’atto impositivo del vincolo paesaggistico, ma lo sarebbero ugualmente, anche laddove tale presupposto di fatto fosse stato positivamente riscontrato (il che comunque non è, tenuto conto della data di imposizione del vincolo e delle affermazioni dell’appellante, contenute negli atti procedimentali, relative al torno temporale in cui venne realizzato l’abuso) .

Rammenta in proposito il Collegio che costituisce costante approdo della giurisprudenza amministrativa quello per cui dal combinato disposto degli art. 35 comma 19 e 32 comma 1 della l. 28/2/1985 n. 47 si evince che, in caso di istanza di sanatoria edilizia per opere abusive realizzate in aree sottoposte a vincolo, il silenzio assenso per decorso del termine di ventiquattro mesi dall'emissione del parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo si forma solo nel caso di parere favorevole, e non anche di parere contrario, poiché il rilascio della concessione in sanatoria per abusi in zone vincolate presuppone necessariamente il parere favorevole, e non il parere "sic et simpliciter" della predetta autorità.

Si è detto peraltro, ancora di recente, che “il parere dell'Amministrazione preposta alla tutela del vincolo, di cui all'art. 32 l. n. 47 del 1985, è pregiudiziale ad ogni altra valutazione e, se sfavorevole, rende impossibile la sanatoria dell'opera. Conseguentemente, nel caso in cui l'espressione del parere e l'adozione del provvedimento sull'istanza di sanatoria siano di competenza della medesima Amministrazione (nella specie, il Comune), è ben possibile che l'esito negativo dell'esame sulla compatibilità con il vincolo consenta all'Amministrazione di adottare uno actu la determinazione negativa sul complesso procedimento di cui al citato art. 32.” (Consiglio Stato , sez. VI, 24 febbraio 2011 , n. 1156).

Tale principio appare sovrapponibile a quello espresso dalla giurisprudenza penale di legittimità, secondo cui “a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 32 d.l. 30 settembre 2003 n. 269 (conv., con mod. in l. 24 novembre 2003 n. 326) all'art. 32, comma 1, della l. 28 febbraio 1985 n. 47, non opera più, anche per le istanze di sanatoria già presentate, la procedura del silenzio - assenso per gli interventi di ampliamento eseguiti su immobili sottoposti a vincolo paesaggistico. (In motivazione la Corte ha precisato che il rilascio della sanatoria è subordinato al parere dell'amministrazione preposta alla tutela del vincolo da rilasciarsi nel termine di 180 gg. dall'istanza conseguendo, in caso di inerzia, l'impugnabilità del silenzio - rifiuto).” (Cassazione penale , sez. III, 16 marzo 2010 , n. 14312).

In ordine alla problematica relativa alla epoca di apposizione del vincolo, dopo qualche iniziale incertezza, la giurisprudenza si è ormai stabilmente orientata verso l’affermazione della rilevanza di quest’ultimo, purchè sussistente al momento della richiesta di sanatoria, a nulla rilevando che esso non preesistesse al momento della esecuzione dell’intervento abusivo. Si è quindi condivisibilmente affermato, che “ai sensi dell'art. 32, l. 28 febbraio 1985 n. 47 l'esistenza di un vincolo paesaggistico esclude la possibilità della formazione del silenzio assenso sulle domande di rilascio di concessione edilizia in sanatoria.”(Consiglio Stato , sez. IV, 31 marzo 2009 , n. 2024) e si è soprattutto, puntualizzato, che “è irrilevante che il vincolo paesaggistico sia sopravvenuto rispetto alla commissione dell'abuso e alla data di presentazione della domanda di condono, perché secondo il consolidato orientamento della giustizia amministrativa sono rilevanti i vincoli paesaggistici sopravvenuti ed esistenti al momento dell'adozione del provvedimento sulla domanda di condono edilizio (nel caso di specie, il provvedimento di condono non aveva valutato adeguatamente la compatibilità paesaggistica dell'opera e pertanto risultava affetto dal vizio del difetto di motivazione, rilevato dalla Soprintendenza). (Consiglio Stato , sez. VI, 23 febbraio 2011 , n. 1127, ma anche, in passato, Consiglio Stato , sez. VI, 22 gennaio 2001 , n. 181. “l'art. 32 l. n. 47 del 1985, laddove impone una congrua valutazione da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo in merito alla compatibilità del mantenimento dell'"opus" con le ragioni poste a fondamento del regime vincolistico, si applica anche in caso di vincolo sopravvenuto rispetto all'esecuzione ma vigente al momento della domanda.”).

3.2. Ne consegue pertanto che tutte le censure volte ad ipotizzare che le opere realizzate non dovevano essere soggette al rilascio di autorizzazione paesaggistica devono essere respinte, anche a volere considerare sussistente (il che non è) il presupposto ( sul quale comunque il Collegio non intende immorare, stante la pratica inutilità di simile approfondimento motivazionale) della erezione delle opere in epoca antecedente alla apposizione del vincolo mercè la istituzione del Parco Monte San Bartolo (motivo 2 del ricorso n. 1500/2004, e motivo 2 del ricorso n.1499/2004) .

4. Del pari meritano reiezione, in quanto tese ad introdurre nel processo un inammissibile sindacato impingente nel merito della deliberazione amministrativa resa dall’Autorità preposta al vincolo, tutte le censure volte a sostenere che l’area era antropizzata, vicina a tracciati stradali e, per tal via, la non lesività delle opere abusivamente realizzate, rispetto ai valori paesaggistici protetti e sottesi alla istituzione del Parco Monte San Bartolo (motivo 1 del ricorso n. 1500/2004, e motivo 1 del ricorso n.1499/2004) ed il difetto di motivazione del diniego al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, anche nella parte in cui valorizzano il parere di contrario segno reso dalla Commssione edilizia comunale.

4.1. Rammenta in proposito il Collegio che “ la compatibilità ambientale da esprimersi dalla soprintendenza per i beni ambientali e architettonici in merito ad istanza di concessione in sanatoria, ai sensi dell'art. 31 l. 28 febbraio 1985 n. 47, è affidata alla valutazione discrezionale dell'organo preposto, non sindacabile in sede di legittimità se non per errata o incompleta istruttoria o per manifesta illogicità. “ (Consiglio Stato , sez. VI, 18 ottobre 1999 , n. 1438 e, più di recente, Consiglio Stato , sez. VI, 14 ottobre 2009 , n. 6294, laddove si è fatto riferimento al giudizio tecnico-discrezionale di compatibilità ambientale e paesaggistica che viene articolato dall'autorità periferica ).

Nel caso di specie, a fronte della pacifica sussistenza del vincolo, l’imponenza delle opere di sbancamento e spianamento realizzate appare ictu oculi idonea a ledere i valori sottesi alla imposizione del vincolo paesaggistico medesimo, e le censure di difetto di motivazione e di insussistenza di profili di compromissione, apoditticamente formulate, si risolvono in un giudizio che censura non già la valutazione che delle opere è stata resa ma, a monte, la stessa sussistenza di esigenze e valori sottesi alla determinazione di imporre un vincolo sull’area, palesemente rimesse, queste ultime, all’autorità preposta alla tutela del paesaggio

Le doglianze non presentano, conclusivamente, alcun profilo di fondatezza. Ed eguale sorte merita la connessa censura incentrata sul parere favorevole alla sanatoria reso dalla Cec. Detto apporto procedimentale è stato vagliato dall’organo di amministrazione attiva deputato alla tutela del vincolo, che se ne è motivatamente (e correttamente, ad avviso del Collegio, tenuto conto della imponenza e tipologia delle opere, come meglio si chiarirà di seguito) discostata. Nessun altro onere era ravvisabile a carico dell’Amministrazione, né, trattandosi di atto consultivo, si sarebbe dovuto procedere ad auto annullamento/revoca del detto parere.

5. Parimenti meritano di essere respinte le censure che pongono in dubbio la sussumibilità dell’intervento per cui è causa tra quelli che avrebbero reso necessario il preventivo rilascio della concessione edilizia(motivo n. 7 del ricorso n. 1500/2004, e motivo n. 6 del ricorso n.1499/2004) .

5.1. In disparte la circostanza che di tale necessità (come puntualmente colto dal primo giudice) pare ben essersi reso conto l’appellante che, infatti, ha presentato domanda di sanatoria, non possono prendersi favorevolmente in esame apodittiche affermazioni volte a contestare le valutazioni di merito rese dalla competente amministrazione.

Si rammenta in proposito che le opere abusive riguardanti la realizzazione del piazzale per deposito di inerti che si era richiesto di condonare sono consistite “nello scortecciamento e spalteamento del terreno con susseguente riporto di materiale lapideo di grossa pezzatura, livellato e rullato, e che, sul piazzale così formatosi, insistevano, oltre a cumuli di inerti di non trascurabile entità, un silos ed una tramoggia per il preconfezionamento di conglomerati cementizi”.

Rammenta il Collegio che per unanime quanto condivisibile giurisprudenza, simili opere (tanto più ove insistenti in area vincolata) richiedono il preventivo rilascio di permesso di costruire.

Invero, la modifica della destinazione d'uso "funzionale" o "senza opere" (che esclude logicamente un successivo provvedimento ripristinatorio) richiede, che non vi sia stata alcuna trasformazione fisica dell'immobile o di parte di esso.

Non può ascriversi a tale tipologia, invece, la modifica che, pur senza dare luogo all'esecuzione di opere in muratura, abbia comportato un'effettiva alterazione dello stato dei luoghi, come verificatosi nella fattispecie in esame, ove la realizzazione di un piazzale sul terreno di proprietà ha richiesto il disboscamento e lo spianamento di un'area agricola. L'intervenuta trasformazione del territorio rileva sotto il profilo urbanistico ed esclude che il cambio di destinazione d'uso possa considerarsi di tipo meramente funzionale e, cioè, "senza opere".

Si è evidenziato infatti, in passato che: “lo spianamento e la deruralizzazione del piazzale antistante un container da adibire ad ufficio é da considerare un intervento di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio previsto dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001, come tale subordinato a permesso di costruire, allorché comporti un'alterazione dello stato dei luoghi di rilievo anche solo funzionale, evidente nel caso di specie nella utilizzazione economica dell'opera e dunque nel mutamento di destinazione dell'area interessata. (T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 26 febbraio 2009 , n. 404);

la realizzazione di un piazzale attraverso il disboscamento e lo spianamento di un'area agricola - pur non comportando la realizzazione di opere in muratura - determina comunque una alterazione dello stato dei luoghi, con consequenziale non ascrivibilità del suddetto intervento alla tipologia della modifica di destinazione d'uso funzionale, o senza opere. “(T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 25 ottobre 2007 , n. 3242).

Del pari, è stato rettamente colto dalla giurisprudenza di merito amministrativa e da quella penale, che “allorché spianamento , livellamento e disboscamento interessino, per la loro rilevanza, la conformazione del territorio che ne è oggetto, non è sufficiente addurre la futura destinazione agricola dell'area, ma occorre un preventivo controllo dell'autorità comunale, nelle forme della concessione urbanistica; concetto distinto da quello tradizionale di concessione edilizia, e ciò perché nel concetto di urbanistica di cui all'art. 80 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 rientrano l'assetto del territorio e l'utilizzazione del suolo, e non soltanto l'edilizia in senso stretto.”

(Cassazione penale , sez. III, 14 luglio 1998 , n. 2239);

la realizzazione di un parcheggio scoperto di autovetture comporta una trasformazione del suolo mediante opere, anche se modeste, ( spianamento del terreno, sua battitura, suddivisione degli spazi, creazione di accessi e piazzole di lavaggio) per cui si è fuori dalle ipotesi di mera utilizzazione che il proprietario ritenga di fare del proprio terreno e per le quali è esclusa la necessità di un titolo concessorio. “(T.A.R. Toscana, sez. I, 17 novembre 1989 , n. 959).

Pare al Collegio che, alla stregua dei superiori principi, sulla cui trasponibilità alle opere per cui è causa non si ritiene debba ulteriormente immorarsi debba essere dichiarata la assoluta infondatezza della dedotta doglianza.

Le imponenza delle dette opere necessitava che fossero assistite da titolo concessorio; la natura delle stesse giustifica pienamente il giudizio di incompatibilità con il vincolo paesaggistico insistente sull’area.

6. Possono adesso essere esaminate le doglianze proposte nei riuniti appelli volte a censurare i capi delle impugnate decisioni mercè i quali il primo giudice ha dichiarato inammissibili, perché tardivi, i motivi di ricorso che seppur formalmente diretti all’ordinanza comunale di demolizione emessa il 28.8.2001, non riguardavano tale atto in ultimo citato, ma il precedente diniego di nulla osta paesaggistico promanante dalla Provincia di Pesaro e Urbino e risalente al 13.3.2001.

Ivi era stato sostenuto che il diniego della Provincia di Pesaro e Urbino, intervenuto in data 13.3.2001, era stato espresso tardivamente, dopo che si era consolidato il silenzio-assenso ex art.32, comma secondo della legge n.47/1985: il primo giudice ha preso in esame detta tesi e ha rilevato che la deduzione di tale vizio di legittimità era avvenuta per la prima volta con atto notificato il 13.11.2001 ed era pertanto largamente intempestiva, in considerazione della circostanza che il diniego di nulla osta paesaggistico espresso dalla Provincia di P.U. il 13.3.2001 era stato comunicato con atto del 14.3.2001 e ricevuto dall’originario ricorrente prima del 10.5.2001.

Con le identiche censure proposte nei motivi n.6 del ricorso n. 1500/2004, e n. 5 del ricorso n.1499/2004, si è sostenuto, da un canto, che vertendosi in sede di giurisdizione esclusiva la relativa censura avrebbe potuto essere sollevata negli ordinari termini prescrizionali e che, per altro verso, posto che l’atto di diniego era stato rettificato, e posto che gli effetti decorrevano dalla rettifica dell’atto terminale del procedimento riposante nel diniego del rilascio della sanatoria, le censure frettolosamente respinte dal primo giudice, certamente fondate nel merito, erano anche sicuramente tempestive.

6.1. Le doglianze proposte sono infondate, quando non addirittura temerarie.

Il termine per sollevare la doglianza, ovviamente, decorreva dalla conoscenza dell’atto; la circostanza che era stata disposta la rettifica costituisce elemento del tutto neutro, posto che ciò che venne rettificato era un atto diverso (il diniego dell’amministrazione comunale) e non già l’atto riposante nel diniego di nulla osta paesaggistico espresso dalla Provincia di P.U. il 13.3.2001 che avrebbe dovuto essere gravato nei termini; in ultimo, trattandosi di rettifica incidente su elementi meramente formali e non sul contenuto del provvedimento, appare che evidente che gli effetti della stessa decorrevano in data antecedente alla disposta rettifica (arg. laddove si tratti di rettifica incidente su “semplici aspetti formali”Consiglio Stato , sez. IV, 06 novembre 2009 , n. 6948).

In ogni caso, è appena il caso di rilevare la assoluta infondatezza, nel merito, della doglianza, a tenore della concordante giurisprudenza amministrativa, laddove si è affermato che: “in una zona interessata da vincolo paesaggistico la formazione del provvedimento tacito di assenso alla concessione in sanatoria, previsto dall'art. 35, comma 18, l. n. 47 del 1985, postula indefettibilmente la previa acquisizione del parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo sulla compatibilità ambientale della costruzione senza titolo; ne consegue che, se al momento dell'esame della domanda di sanatoria non risulta acquisito il parere favorevole sulla conformità dell'intervento alla disciplina paesaggistica, la formazione del silenzio - assenso è preclusa.”(T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 21 gennaio 2010 , n. 845);

ai sensi dell'art. 32, l. 28 febbraio 1985 n. 47 l'esistenza di un vincolo paesaggistico esclude la possibilità della formazione del silenzio assenso sulle domande di rilascio di concessione edilizia in sanatoria.”(Consiglio Stato , sez. IV, 31 marzo 2009 , n. 2024).

Ma a monte, se anche non si dovessero ritenere ratione temporis applicabili al caso di specie i principi prima richiamati, la tardività dei mezzi di primo grado, in parte qua, emerge evidente – come rettamente colto dal primo giudice- sol che si consideri che l’atto asseritamente affetto dal vizio denunciato venne conosciuto al più tardi dall’appellante nel maggio del 2001 ed il gravame venne proposto in novembre, ben oltre quindi il termine decadenziale.

Né le censure che avrebbero dovuto tempestivamente proporsi avverso l’atto di diniego dell’autorizzazione paesaggistica possono “traslarsi”, e riproporsi in sede di impugnazione degli atti consequenziali utilizzando strumentalmente la formula della invalidità derivata, posto che da ciò discenderebbe una inammissibilie dilatazione del termine di proposizione delle censure, in spregio al principio di consolidamento degli atti (si veda in proposito la consistente elaborazione giurisprudenziale in punto di rapporti tra atto presupposto e provvedimento applicativo).

7. Restano da esaminare adesso i motivi dei riuniti ricorsi in appello con i quali, per varie ragioni, sono state riproposte le doglianze con le quali è stata via via denunciata la violazione delle prescrizioni contenute nella legge 7 agosto 1990 n. 241 in punto di avviso dell’avviso del procedimento, diritto al contraddittorio infraprocedimentale, e motivazione dei provvedimenti reiettivi, (già originariamente contenute nei motivi n.3, 4, 5, ed 8 del ricorso n. 1500/2004, e nei motivi n. 3, 4 e 7 del ricorso n.1499/2004).

Con detti motivi, ci si duole dei capi delle impugnate decisioni con le quali il primo giudice ha respinto le censure volte a dolersi:

a)della circostanza che la reiezione del nulla osta paesaggistico da parte della Provincia non era stato preceduto dall’avviso (e dalla ostensione) del parere del 2 marzo 2001 dell’Ufficio Paesaggistico della Provincia (motivo rubricato al n. 3 del ricorso n. 1500/2004 ed al n. 3 del ricorso n.1499/2004);

b)della circostanza che la deliberazione comunale n. 60016 del 5 giugno 2001 sarebbe stata affetta da invalidità derivata (motivo n. 4, del ricorso n. 1500/2004 ripropositivo della censura di cui ai motivi aggiunti del 26 giugno 2001);

c)della circostanza che la deliberazione comunale n. 60016 del 5 giugno 2001 sarebbe stata affetta da invalidità in quanto notificata a soggetto estraneo e diverso dall’appellante, dolendosi che il primo giudice abbia attribuito portata sanante alla rettifica (motivo rubricato al n. 5 del ricorso n. 1500/2004 ed al n. 4 del ricorso n.1499/2004);

d)della circostanza che sebbene l’ordinanza di demolizione notificatagli dal Comune fosse stata preceduta dall’avviso ex art. 7 della legge n. 241/1990, si sarebbe dovuto ulteriormente inviare un nuovo avviso, e comunque effettuare un accesso sui luoghi (motivo rubricato al n. 8 del ricorso n. 1500/2004 ed al n. 7 del ricorso n.1499/2004);

7.1. Nessuna delle proposte censure, peraltro talvolta scarsamente comprensibili, appare accoglibile.

7.2. Rimarca in proposito il Collegio, che per condivisa giurisprudenza “non sussiste obbligo di avviso di avvio del procedimento in caso di procedimento promosso su istanza di parte e culminato in un provvedimento vincolato (anche alla luce dell'art. 21 octies, l. 1990 n. 241)”.(Consiglio Stato , sez. VI, 05 ottobre 2006 , n. 5942).

Tenuto conto della circostanza che tutti i procedimenti per cui è causa sono stati avviati su istanza di parte appellante, tale principio –del quale il Collegio ribadisce la condivisibilità- sarebbe ex se idoneo a respingere le connesse censure. Più in particolare, si è detto in passato che

l'ingiunzione di demolizione, emessa successivamente all'adozione di un diniego di concessione edilizia in sanatoria, non necessita del previo avviso di avvio del procedimento amministrativo ex art. 7, l. n. 241 del 1990, trattandosi di atto vincolato e meramente consequenziale, nell'ambito di un procedimento sanzionatorio sostanzialmente unitario.”(T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 22 gennaio 2011 , n. 150);

l'ingiunzione di demolizione, emessa successivamente all'adozione di un diniego di concessione edilizia in sanatoria, non necessita del previo avviso di avvio del procedimento amministrativo ex art. 7, l. n. 241 del 1990, trattandosi di atto vincolato e meramente consequenziale, nell'ambito di un procedimento sanzionatorio sostanzialmente unitario.” (T.A.R. Emilia Romagna, II, 16.5.2008, n. 1940).

Inoltre, seppur non decisivo ratione temporis, può essere interessante rilevare, in punto di dequotazione della violazione procedimentale formale in materia di tutela paesaggistica, che la giurisprudenza più recente, anche di primo grado, è pervenuta al condivisibile approdo che di seguito si riporta: “nel sistema successivo all’entrata in vigore del d.lg. 42/2004, la comunicazione di avvio del procedimento finalizzato all'annullamento del nulla osta paesaggistico da parte del competente organo statale non richiede più la previa comunicazione ex art. 7, l. n. 241 del 1990. Tanto, in base al disposto di cui al comma 1 dell'art. 159, d.lg. n. 42/2004, il quale (innovando "in parte qua" rispetto al previgente disposto di cui all'art. 151 d.lg. n. 490 del 1999) stabilisce in modo espresso che la comunicazione relativa all'avvenuto rilascio del nulla osta da parte dell'Ente a ciò competente "costituisce avviso di inizio di procedimento, ai sensi e per gli effetti della legge 7 agosto 1990 n. 241".(Consiglio Stato , sez. VI, 27 agosto 2010 , n. 5980).

Già in passato, peraltro, era stato posto in luce che ”alla luce della l. 7 agosto 1990 n. 241 l'applicazione del potere di annullamento del nulla osta paesaggistico , rilasciato, nell'ambito del procedimento di sanatoria edilizia, dall'autorità regionale (o subregionale) non postula la previa comunicazione dell'avvio del procedimento, ai sensi dell'art. 7 l. n. 241 cit. ai destinatari del provvedimento ministeriale, in quanto soggetti cui è imputabile l'iniziativa del procedimento. (Consiglio Stato , sez. VI, 01 dicembre 1999 , n. 2069);

può essere considerato equipollente alla comunicazione dell'avvio del procedimento, prevista dall'art. 7, l. 7 agosto 1990 n. 241, l'invio all'interessato della nota di trasmissione alla Soprintendenza del parere del Comune, rilasciato ex art. 32, l. 28 febbraio 1985 n. 47, favorevole alla sanatoria di opere abusive realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, contenente l'avvertimento della possibilità di partecipare al relativo procedimento.”(T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 09 giugno 2008 , n. 703)

La esposizione dei suindicati principi, in uno con le riscontrate inesattezze in punto di fatto contenute nelle censure (si veda, in particolare, quella indicata sub lettera d, laddove infondatamente l’appellante aveva lamentato l’omesso inoltro dell’avvio del procedimento e poi ha parzialmente corretto il tiro affermando che dovesse essere inoltrato un altro avviso successivamente alla scadenza del termine assegnatogli per presentare le deduzioni) rende evidente che le stesse sono destituite di fondamento.

7.2.1. Ritiene in particolare il Collegio, , quanto alla doglianza suindicata sub lettera A), che, trattandosi di parere infraprocedimentale riconducibile alla nozione di “atto interno” nessun avviso era dovuto al destinatario (arg, a contrario: “nell'ipotesi di aggiudicazione provvisoria, non occorre comunicare l' avviso di avvio del procedimento di diniego in quanto detto provvedimento è da considerarsi come atto emesso all' interno di procedimento non ancora conclusosi, piuttosto che facente parte di un apposito ed autonomo procedimento.-T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 27 maggio 1999 , n. 705-; “in termini procedimentali, la dichiarazione di pubblica utilità non è il frutto di un subprocedimento interno al procedimento espropriativo, ma è il momento terminale di un procedimento autonomo, che si conclude con un atto di natura provvedimentale, immediatamente impugnabile. Di conseguenza, l'obbligo della p.a. di dare comunicazione dell' avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241, sussiste anche in caso di dichiarazione di pubblica utilità implicita nell'approvazione del progetto di opere pubbliche, ai sensi dell'art. 1 l. 3 gennaio 1978 n. 1, in quanto l'opposta tesi - quella secondo cui la norma sull' avviso di procedimento non si applicherebbe alla dichiarazione di pubblica utilità implicita - avrebbe la conseguenza di espungere dall'ambito del giusto procedimento, fuori dai casi previsti dalla legge, un procedimento amministrativo autonomo.”- Consiglio Stato , sez. IV, 15 giugno 2004 , n. 4018-;).

Nè sussiste alcun obbligo, per l’Amministrazione, di notiziare via via specificamente il destinatario, dei singoli atti interni confluiti nel procedimento (essendo semmai onere del destinatario medesimo quello di compulsare i detti atti ed, eventualmente, aggredirli, unitamente all’atto conclusivo, ovvero separatamente, ove autonomamente lesivi)

7.3. Sotto altro profilo, e con riguardo all’asserito vizio concernente l’errore materiale riscontrato dall’Amministrazione e relativo al destinatario dell’atto, ed alla avvenuta correzione dello stesso, (doglianza indicata alla lett. C) è certamente inaccoglibile la tesi per cui non si fosse al cospetto di un mero errore materiale ma di un errore tale da importare la sostanziale nullità del primo atto inviato (con conseguente decorrenza della stessa dal momento della emissione del provvedimento emendato).

Nell’evidenziare infatti che il provvedimento rimase identico sotto il profilo sostanziale, rimarca il Collegio che l’errore nel nominativo del destinatario costituisce un caso di scuola di (ininfluente) errore materiale: “l'errore materiale nella redazione di un provvedimento amministrativo si concretizza quando il pensiero del decisore sia stato tradito ed alterato al momento della sua traduzione in forma scritta, a causa di un fattore deviante che abbia operato esclusivamente nella fase della sua esternazione, sempreché tale divario emerga direttamente dall'esame del contesto stesso in cui l'errore si trova; tale situazione non ricorre quando la correzione implica nuove operazioni che esulano dal campo della mera rettifica, come nel caso di modifica in senso peggiorativo della motivazione degli atti a suo tempo compilati, con l'intento di giustificare in via postuma l'operato.”(Consiglio Stato , sez. IV, 21 ottobre 2008 , n. 5154).

Ciò tanto più che nel provvedimento affetto dall’errore sul nominativo del destinatario ogni particolare relativo alle opere abusive ed alla loro ubicazione era stato esattamente indicato, di guisa che è evidente che nessun diritto di difesa sia stato leso e che il destinatario era ben in grado di percepirne il contenuto oggettivo e la riferibilità alle opere abusive eseguite;

Sotto altro profilo, in simili evenienze la giurisprudenza amministrativa ha sin da tempo risalente affermato che “è inammissibile per carenza sopravvenuta di interesse il ricorso proposto avverso un provvedimento , il cui contenuto lesivo è venuto meno a seguito della correzione dell' errore materiale in esso contenuto effettuata dalla stessa amministrazione. “(Consiglio Stato , sez. IV, 13 luglio 1998 , n. 1088).

Il Collegio non ravvisa ragione per discostarsi da tali principi, dal che discende la reiezione (anche) di tale profilo di censura.

7.4.Tutte le suindicate doglianze, per chiudere sul tema, sarebbero state comunque inaccoglibili alla luce del principio per cui “non è consentito l'annullamento dei provvedimenti amministrativi, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, ex art. 21 octies, l. n. 241 del 1990, come integrata dalla l. n. 15 del 2005; sicché in detti casi, l'adempimento di cui all'art. 10 bis della medesima legge sul procedimento può non ritenersi obbligatorio, come più volte riconosciuto dalla giurisprudenza in presenza di atti vincolati.”(Consiglio Stato , sez. VI, 18 marzo 2011 , n. 1673).

In relazione alla pacifica applicabilità della disposizione suindicata ai procedimenti in corso ( trattandosi di norma processuale) ed alla evidente legittimità degli atti emessi dalle amministrazioni appellate, in quanto conseguenziali alla abusività delle opere realizzate ed alla negativa incidenza delle stesse sull’area vincolata ove insistevano, appare evidente al Collegio la infondatezza delle censure, l’ultima delle quali (lett. D suindicata) appare tanto infondata quanto speciosamente formulata, non ravvisandosi alcun onere a carico dell’amministrazione appellata di “rinnovare” gli avvisi laddove il destinatario sia rimasto inerte, né di reiterare sopralluoghi sull’area in carenza di alcuna nuova emergenza procedimentale.

8. In conclusione (è appena il caso di affermare che neppure le doglianze di invalidità derivata di volta in volta articolate dall’appellante possono trovare favorevole delibazione posto che si è riscontrata l’immunità da vizi dell’azione amministrativa spiegata) i riuniti appelli, in quanto palesemente infondati, devono essere senz’altro respinti.

9. Alla soccombenza consegue la condanna dell’appellante al pagamento delle spese processuali in favore dell’appellata amministrazione comunale nella misura complessiva di Euro cinquemila (€ 5000,00) oltre accessori di legge, se dovuti

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sui riuniti appelli come in epigrafe proposti,li respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore dell’appellata amministrazione comunale nella misura complessiva di Euro cinquemila (€ 5000,00) oltre accessori di legge, se dovuti,.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Raffaele Potenza, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/07/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)