Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 486, del 25 febbraio 2013
Urbanistica. Legittimità diniego di concessione in sanatoria pur immobile in regola con la normativa igienico-sanitaria

La licenza di pubblico intrattenimento presuppone un giudizio che investe i profili igienico-sanitari e di agibilità dei locali, e non anche le valutazioni di tipo urbanistico e ambientale-paesaggistico sottese ad un’istanza di concessione edilizia in sanatoria, a cui non è estraneo un giudizio di carattere estetico. In altri termini, è perfettamente possibile che un immobile, pur in regola con la normativa igienico-sanitaria in ragione della quale ne è autorizzabile l’adibizione a sala di pubblico intrattenimento, risulti al tempo stesso di “infima qualità” sotto il profilo del suo impatto col contesto urbanistico e paesaggistico in cui s’inserisce. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00486/2013REG.PROV.COLL.

N. 06139/2011 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso nr. 6139 del 2011, proposto dalla SOCIETÀ GIGLIO ELBANO S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Vincenzo Cerulli Irelli, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via Dora, 1,

contro

il COMUNE DI CAMPO NELL’ELBA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Fabio Lorenzoni e Ornella Cutajar, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via del Viminale, 43,

per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, nr. 79/2011, pubblicata in data 11 gennaio 2011, non notificata.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Campo nell’Elba;

Viste le memorie prodotte dalla ricorrente (in date 16 e 27 novembre e 14 dicembre 2012) e dal Comune (in date 16 e 26 novembre 2012) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2012, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi l’avv. Lorenzoni per il Comune e l’avv. M. Athena Lorizio, su delega dell’avv. Cerulli Irelli, per la ricorrente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

La Società Giglio Elbano S.r.l. ha agito per la revocazione della sentenza con la quale la Sezione Quinta di questo Consiglio di Stato, respingendo l’appello proposto da detta società, ha confermato la sentenza del T.A.R. della Toscana di reiezione dei ricorsi dalla stessa proposti avverso plurimi dinieghi opposti dal Comune di Campo dell’Elba ad istanze di concessione in sanatoria relative ad abusi edilizi realizzati su un suolo in proprietà della società istante (nonché avverso gli atti connessi).

A sostegno del ricorso sono stati dedotti i seguenti motivi:

1) errore di fatto revocatorio ex art. 106 cod. proc. amm. e art. 395, comma 1, nr. 4, cod. proc. civ.; erronea individuazione dell’oggetto del giudizio; travisamento della situazione di fatto (con riferimento all’erronea indicazione, tra i provvedimenti impugnati in prime cure, anche di quello nr. 955 del 24 gennaio 1994, nonché all’erronea considerazione della realtà di fatto sulla base della quale è stata respinta la doglianza di disparità di trattamento rispetto alla sanatoria che il medesimo Comune aveva, invece, concesso in relazione ad opere realizzate da altro soggetto su suolo vicino);

2) errore di fatto revocatorio ex art. 106 cod. proc. amm. e art. 395, comma 1, nr. 4, cod. proc. amm.; omessa valutazione di documentazione decisiva ai fini del decidere (con specifico riguardo alla licenza di pubblico intrattenimento rilasciata dall’Autorità di P.S. all’esito del sopralluogo del 23 agosto 1977 ed alla pregressa licenza edilizia nr. 64 del 1971).

Si è costituito il Comune di Campo nell’Elba, il quale ha in limine eccepito l’inammissibilità del ricorso per revocazione – anche sotto il profilo della parziale novità delle censure e dei documenti prodotti rispetto a quelle già formulate e a quelli prodotti nel giudizio a quo– e comunque la sua infondatezza nel merito, chiedendone la reiezione.

Entrambe le parti hanno affidato a memorie l’ulteriore svolgimento delle rispettive tesi.

All’udienza del 18 dicembre 2012, dopo aver disatteso un’istanza di rinvio avanzata dalla stessa parte ricorrente, la Sezione ha spedito la causa in decisione.

DIRITTO

1. Il presente ricorso per revocazione s’innesta sul giudizio intentato dalla Società Giglio Elbano S.r.l. dinanzi al T.A.R. della Toscana, avente a oggetto una serie di dinieghi opposti dal Comune di Campo nell’Elba nel 1994 ad altrettante istanze di sanatoria formulate in relazione ad abusi edilizi realizzati su un suolo in proprietà della società istante, nonché i retrostanti provvedimenti sindacali di diniego dell’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 7 della legge 29 giugno 1939, nr. 1497, e i successivi ordini di rimessione in pristino e atti connessi.

Il T.A.R. adito ha respinto, previa loro riunione, i ricorsi proposti dalla società avverso i predetti provvedimenti, e la Sezione Quinta di questo Consiglio di Stato ha confermato tale decisione con la sentenza (nr. 79 dell’11 gennaio 2011) avverso la quale si dirige l’odierno ricorso, nel quale l’originaria istante denuncia una serie di errori di fatto, a suo dire revocatori ai sensi della vigente normativa processuale.

2. Tanto premesso, il ricorso va dichiarato inammissibile, anche in adesione all’eccezione in tal senso sollevata dal Comune intimato.

3. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta innanzi tutto l’errore consistente nell’essere indicato in sentenza, fra gli atti impugnati, anche il provvedimento di diniego nr. 955 del 24 gennaio 1994, che in realtà non risultava gravato con i ricorsi originari (essendo stato censurato, in effetti, con diverso e autonomo ricorso).

Sul punto, va condiviso l’assunto dell’Amministrazione comunale in ordine all’assoluta irrilevanza di detta erronea indicazione ai fini della decisione poi assunta dalla Sezione Quinta: infatti, da una piana lettura della sentenza revocanda emerge – né risultano convincenti gli argomenti in contrario spesi dalla ricorrente – che il richiamo all’atto suindicato, estraneo al giudizio, si rinviene unicamente nel primo capoverso della sentenza stessa (pag. 2), mentre la successiva motivazione è chiaramente afferente agli altri e diversi provvedimenti effettivamente impugnati nel presente giudizio (e segnatamente, per quanto qui rileva, ai dinieghi nn. 953 e 954 della stessa data del 24 gennaio 1994).

Di conseguenza, l’errore in questione va al più qualificato come mero errore materiale, e non certo quale errore revocatorio ai sensi dell’art. 395, comma 1, nr. 4, cod. proc. civ.

4. Sempre con il primo mezzo, parte ricorrente denuncia un’erronea considerazione della realtà di fatto che avrebbe indotto, nella sentenza revocanda, a disattendere ingiustamente la doglianza di disparità di trattamento rispetto alle diverse determinazioni assunte dalla stessa Amministrazione nei riguardi della società Pino Solitario S.n.c., proprietaria di suolo confinante, alla quale invece è stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria.

In sostanza, il giudice a quo avrebbe incongruamente affermato “una decisiva diversità di fatto” fra le due situazioni, omettendo di considerare che entrambe le aree – quella dell’odierna ricorrente e quella della Pino Solitario S.n.c. – avevano nel vigente P.R.G. identica classificazione urbanistica, tale da consentire la realizzazione di attrezzature sportive e per il tempo libero e non già da imporre un vincolo di inedificabilità assoluta.

A fronte di tale censura, il Comune obietta: a) che essa è inammissibile ai sensi dell’art. 104 cod. proc. amm., risultando proposta per la prima volta (almeno nei termini esposti) solo nella presente sede revocatoria, e non anche nei precedenti gradi del giudizio; b) che, in ogni caso, il nulla osta paesaggistico nella specie è stato negato a causa della “infima qualità” delle opere realizzate, e quindi del loro impatto negativo con il contesto circostante, ciò che consente di escludere anche in astratto la sussistenza di qualsivoglia disparità di trattamento.

Al di là di tali rilievi (almeno il primo dei quali, peraltro, non è privo di fondatezza), la doglianza è inammissibile per l’evidente e assorbente ragione che la identità (o diversità) di regime urbanistico fra le due aree è questione del tutto irrilevante ai fini della decisione sulle questioni evocate nel presente giudizio, in quanto il diniego di nulla osta paesaggistico sulle opere realizzate dalla società ricorrente non è stato motivato con l’esistenza di un supposto vincolo assoluto di inedificabilità (unica ipotesi nella quale, data l’identità di regime urbanistico, avrebbe potuto avere senso la censura di disparità di trattamento rispetto alle diverse determinazioni assunte in relazione al suolo limitrofo), ma più semplicemente sulla base di un giudizio tecnico-discrezionale di incompatibilità delle dette opere col contesto ambientale e paesaggistico circostante.

Pertanto, il riferimento alla “diversità di fatto” fra le due situazioni va chiaramente inteso nel senso di un richiamo alla difformità di caratteristiche fisiche fra le opere realizzate dalle due società, avendo perciò il Comune ritenuto le une, e non le altre, compatibili con il pregio ambientale dell’area e col vincolo (relativo) su di essa insistente; ed è appena il caso di precisare che su quest’ultima questione non è possibile denunciare alcun errore di fatto revocatorio, trattandosi di quaestio facti costituente un punto controverso sul quale la sentenza impugnata risulta essersi pronunciata.

5. Col secondo mezzo, viene lamentata l’omessa considerazione di documenti decisivi per il giudizio, e segnatamente della licenza di pubblico intrattenimento del 23 agosto 1977 e dell’originaria concessione edilizia nr. 64 del 1971, documenti che – ove adeguatamente valutati nel loro contenuto – non avrebbero potuto che indurre a conclusioni diverse in ordine alla legittimità o illegittimità dei dinieghi impugnati.

Anche sotto questi profili, il ricorso è inammissibile.

5.1. Ed invero, con riguardo alla licenza di pubblico spettacolo, risulta anzitutto fondata l’eccezione di inammissibilità ai sensi dell’art. 104, comma 2, cod. proc. amm., in quanto tale atto, pur richiamato in numerosi atti del giudizio a quo, non risulta essere stato versato negli atti di causa, essendo prodotto solo in occasione del presente giudizio di revocazione.

Anche in disparte ciò, l’omessa considerazione del documento risulta del tutto irrilevante ai fini delle valutazioni giudiziali sui dinieghi di sanatoria e di autorizzazione paesaggistica: infatti, è evidente che la licenza di pubblico intrattenimento presuppone un giudizio che investe i profili igienico-sanitari e di agibilità dei locali, e non anche le valutazioni di tipo urbanistico e ambientale-paesaggistico sottese ad un’istanza di concessione edilizia in sanatoria, a cui non è estraneo un giudizio di carattere estetico.

In altri termini, è perfettamente possibile che un immobile, pur in regola con la normativa igienico-sanitaria in ragione della quale ne è autorizzabile l’adibizione a sala di pubblico intrattenimento, risulti al tempo stesso di “infima qualità” sotto il profilo del suo impatto col contesto urbanistico e paesaggistico in cui s’inserisce.

5.2. Quanto alla originaria licenza edilizia nr. 64 del 1971, se è vero che questa non viene menzionata in alcuna parte della sentenza revocanda, anche tale omissione risulta del tutto ininfluente ai fini del decidere.

Infatti, per un verso risulta incontestato inter partes che il primo nucleo delle opere realizzate dalla Società Giglio Elbano S.r.l. si fondasse su una licenza rilasciata nel 1971, che aveva però a oggetto opere precarie e temporanee; per altro verso, è la stessa società istante a riconoscere che in epoca successiva tali opere ricevettero uno sviluppo ed un ampliamento in senso abusivo e travalicante quell’originario titolo abilitativo, come chiaramente testimoniato dalla scelta di chiederne al Comune la sanatoria.

Di conseguenza, risulta per tabulas che i provvedimenti censurati nel presente giudizio hanno avuto a oggetto opere del tutto diverse da quelle oggetto dell’originaria licenza del 1971, di modo che non può in alcun modo sostenersi che la stessa esistenza di tale titolo ad aedificandum dimostrerebbe di per sé sola l’illegittimità delle successive determinazioni negative adottate dall’Amministrazione comunale.

6. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate equitativamente in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna la società ricorrente al pagamento, in favore del Comune di Campo nell’Elba, delle spese di giudizio, che liquida in complessivi € 5.000,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2012 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere, Estensore

Fabio Taormina, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 25/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)