Consiglio di Stato Sez. VI n.1848 del 16 marzo 2020
Urbanistica.Operatività dell’istanza di sanatoria edilizia

La valutazione della sanabilità delle opere incluse nell’istanza presentata ai sensi dell’art. 36 DPR 380/2001, nel caso in cui nella stessa area di pertinenza coesistano altre opere abusive non considerate dall’interessato nella predetta istanza, ma pur sempre funzionalmente collegate alle prime, come avviene nel caso di specie in cui tutte le opere costituiscono manufatti funzionalmente legati all’esercizio di una attività imprenditoriale, non può non includere la verifica circa la sanabilità delle altre opere edilizie abusivamente realizzate, atteso che lo scrutinio sulla “doppia conformità” non può che essere complessivo. Ne deriva, pertanto, che, qualora venga chiesto il rilascio di un permesso di costruire riferito soltanto a talune delle opere realizzate e l’Amministrazione riscontri l’esistenza di altre opere abusive, non scomponibili in progetti scindibili, ma funzionalmente connesse al perseguimento di uno scopo unitario, l’ente procedente non può accogliere una domanda riguardante singole opere, dovendo aversi riguardo al complessivo intervento all’uopo realizzato.

Pubblicato il 16/03/2020

N. 01848/2020REG.PROV.COLL.

N. 06912/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6912 del 2018, proposto da
Società Biquattro Immobiliare Sas, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fulvio Lorigiola, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;

contro

Comune di Ponte San Nicolò, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Vittorio Domenichelli e Federica Scafarelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Federica Scafarelli in Roma, via Giosuè Borsi 4;

nei confronti

Regione Veneto non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Veneto sez. II, 11 aprile 2018 n.389, che ha pronunciato sul ricorso n.2049/2011 R.G. integrato da motivi aggiunti, proposto per l’annullamento dei seguenti atti del Comune di Ponte San Nicolò;

(ricorso principale)

a) del provvedimento 26 luglio 2011 prot. n. 11849, con il quale il Capo del Settore uso ed assetto del territorio ha respinto la richiesta di rilascio di permesso di costruire in sanatoria presentata dalla Biquattro Immobiliare S.a.s. il giorno 14 febbraio 2011; b) ove necessario, dell’art. 5 delle norme tecniche di attuazione – NTA del Piano regolatore generale – PRG del Comune;

(primi motivi aggiunti)

c) del provvedimento 7 marzo 2014 prot. n.3805, con il quale lo stesso Capo Settore ha respinto la richiesta di rilascio di permesso di costruire in sanatoria presentata dalla Biquattro Immobiliare il giorno 8 ottobre 2013; d) di ogni altro atto connesso, presupposto e/o conseguente ivi richiamato e non conosciuto, ivi compresa la proposta del responsabile di procedimento;

(secondi motivi aggiunti)

e) dell’ordinanza 27 luglio 2016 n.81, con la quale lo stesso Capo Settore ha preso atto della inottemperanza da parte della Biquattro Immobiliare alla ordinanza di rimessione in pristino 5 luglio 2013 n.42 ed ha disposto l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive e della relativa area di pertinenza; f) di ogni altro atto annesso, connesso, presupposto e/o consequenziale e, per quanto possa occorrere, dei verbali di sopralluogo del 21/10/2013 e del 3/12/2013;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Ponte San Nicolo';

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2019 il Cons. Francesco De Luca e uditi per le parti gli avvocati Gaia Stivali per delega di Lorigiola Fulvio e Scafarelli Federica;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La Società Biquattro Immobiliare s.a.s. (di seguito, anche Biquattro), deducendo di essere proprietaria di un fabbricato ad uso residenziale sito nel Comune di Ponte San Nicolò (PD), via Cervi, catastalmente censito al Foglio 2, Mappale 1044, ricadente in zona omogenea “B” del P.R.G., realizzato in forza di permesso di costruire n. 28/2004 del 9 aprile 2004 e n. 41/2005 del 26 luglio 2005 (quest’ultimo rilasciato in variante in corso d’opera al titolo originario), ha impugnato in primo grado: a) il provvedimento 26 luglio 2011, n. prot. 11849, con cui il Comune di Ponte San Nicolò ha denegato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria richiesto in data 14.2.2011; nonché, per quanto occorrente, b) l’art. 5 N.T.A. al P.R.G. del Comune intimato, nella misura in cui potesse essere interpretato quale norma ostativa all’assentibilità della sanatoria richiesta dalla ricorrente.

In particolare, la Società Biquattro ha allegato:

- di avere presentato in data 30.9.2015 una D.I.A. e di avere successivamente eseguito alcune modifiche, non incidenti sui parametri urbanistici e volumetrici del fabbricato residenziale e consistenti nella realizzazione di una pensilina con lucernai trasparenti a sbalzo sullo spazio aperto della parte frontale dell’edificio;

- di avere ottenuto il rilascio di due permessi di costruire in sanatoria n. 26/2007 e n. 45/2008, emessi dall’Amministrazione comunale;

- di avere, per l’effetto, realizzato un edificio residenziale bifamiliare con annessi posti auto al piano interrato;

- di avere ottenuto il rilascio dal Comune di Ponte San Nicolò del certificato di agibilità 22.5.2008, n. 2;

- di avere ricevuto con nota comunale prot. n. 19693 del 25 novembre 2010 la comunicazione di avvio del procedimento volto alla repressione di un abuso edilizio, consistente in una asserita ristrutturazione abusiva dell’immobile con aumento del numero di unità abitative da due a venti mediante un insieme sistematico di opere edilizie (avendo il Comune contestato l’esecuzione, al piano interrato, di murature d’argilla per ricavare n. 14 autorimesse con annessi basculanti; ai lati nord e sud del primo piano la realizzazione dei parapetti di separazione nei poggioli; nei piani terra, primo e sottotetto la realizzazione dei punti di allacciamento alla rete di distribuzione del gas, alla rete elettrica e agli scarichi delle acque nere per consentire il collegamento con 18 blocchi cucina);

- di avere contestato la sussistenza di abusi con nota del 24.1.2010;

- di avere comunque presentato in data 14.2.2011 un’istanza di sanatoria per l’intervenuta realizzazione di due muretti all’interno dei poggioli sulle facciate nord e sud e delle pareti divisorie in muratura dei garage al piano interrato;

- di avere ricevuto un preavviso di diniego incentrato sull’impossibilità di rilasciare una sanatoria per singole parti senza l’eliminazione di quanto in contrasto con l’art. 5 N.T.A. del P.R.G., tenuto conto che le opere in contestazione, pur sanabili dal punto di vista edilizio, avrebbero riguardato l’intero immobile;

- di avere riscontrato il preavviso di diniego, rilevando come la sanatoria non riguardasse l’intero immobile, ma soltanto i muretti sui poggioli e le pareti divisorie a protezione e a suddivisione dei garage nell’interrato regolarmente costruiti;

- di avere ricevuto la comunicazione del provvedimento di diniego, impugnato in sede giurisdizionale.

2. In particolare, con il ricorso principale in primo grado l’odierno appellante ha impugnato il provvedimento di diniego della sanatoria e, in via subordinata, l’art. 5 delle norme tecniche di attuazione sulla base dei seguenti motivi di censura:

1) violazione ed errata applicazione degli artt. 3 e 36 del DPR 6 giugno 2001, n. 380 e dell’art. 5 delle norme tecniche di attuazione, eccesso di potere per carenza di presupposto e per travisamento dei fatti, nonché per contraddittorietà ed illogicità dell’azione amministrativa: le opere per le quali era stata chiesta la sanatoria (i muretti all’interno dei poggioli sulle facciate nord e sud e le pareti divisorie in muratura dei garage al piano interrato) risultavano qualificabili al più come interventi di manutenzione straordinaria, non violando alcuna norma urbanistica o edilizia, né alterando i parametri urbanistici ed edilizi del fabbricato; in ogni caso, anche per l’ipotesi di una loro qualificazione come interventi di ristrutturazione edilizia, comunque non avrebbero potuto essere ritenuti in contrasto con l’art. 5 della norme tecniche di attuazione, non risultando la ristrutturazione edilizia vietata dalla norma posta a base del diniego impugnato; in ogni caso, le opere in contestazione non permettevano una trasformazione della tipologia dell’immobile, che continuava a dover essere qualificato come bifamiliare, in quanto composto da due unità abitative con varie e distinte camere per ciascuna unità immobiliare, dotate di singoli servizi per ogni stanza, come già autorizzato dal Comune;

2) violazione ed errata applicazione degli 3 e 36 del DPR 6 giugno 2001, n. 380, dell’art. 5 delle norme tecniche di attuazione, dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, eccesso di potere per carenza, contraddittorietà e genericità della motivazione, sviamento: la motivazione sottesa al provvedimento impugnato risultava generica, non individuando le opere in contrasto con l’art. 5 NTA cit. e quelle sanabili; in ogni caso, le singole opere non potevano ritenersi in contrasto con lo strumento urbanistico, che non vietava la realizzazione di pareti divisorie nell’interrato e di muretti all’interno dei poggioli, né mutavano la tipologia dell’immobile in parola; comunque l’art. 5 delle norme tecniche poneva un limite massimo di alloggi solo per la tipologia a blocco, non per quella unifamiliare o bifamiliare, quale quella realizzata dalla ricorrente;

3) violazione ed errata applicazione dell’art. 20, commi 4 e 5, del DPR 6 giugno 2001, n. 380, e eccesso di potere per violazione del corretto procedimento: il diniego era motivato anche con riferimento alla mancata produzione della documentazione richiesta, senza però considerare che parte di essa era stata consegnata e che per i documenti non consegnati (integrazione della relazione tecnico descrittiva con l’indicazione degli interventi atti all’eliminazione degli impianti tecnologici realizzati in difformità, la produzione delle piante in rilievo dei piani terra, primo e sottotetto con indicazione delle destinazioni d’uso e l’integrazione della documentazione fotografica) erano state esposte le ragioni per le quali si era ritenuto di non produrli, consistenti nella loro estraneità alle singole opere per le quali era stata presentata la domanda di sanatoria;

4) violazione dell’art. 107 del Dlgs. 18 agosto 2000, n. 267, e dell’art. 49 dello Statuto del Comune ed incompetenza, perché il provvedimento impugnato era stato sottoscritto dal Capo settore e non dal Responsabile del servizio;

5) in via subordinata, illegittimità dell’art. 5 delle norme tecniche di attuazione allegate al piano regolatore per violazione e falsa applicazione degli artt. 9, 10, 29, 49 e 50 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61, nonché dell’art. 3, lett. d), del Dlgs. 6 giugno 2001, n. 380, eccesso di potere per violazione dei principi in materia di pianificazione per illogicità e ingiustizia manifesta, perché, qualora si fosse ritenuta l’art. 5 NTA cit. norma effettivamente ostativa alla sanatoria, avrebbe dovuto dichiararsi la sua illegittimità, non potendo disciplinare il numero di alloggi negli edifici.

3. In pendenza del giudizio di primo grado il Comune con atto prot. n. 12571 del 17 agosto 2012 ha comunicato il riavvio del procedimento repressivo dell’abuso edilizio e con provvedimento n. 42 del 5 luglio 2013 (doc. 19 fascicolo ricorrente primo grado), ha ordinato la demolizione delle opere abusive ed il ripristino dello stato dei luoghi secondo quanto era stato autorizzato con gli originari permessi di costruire entro il termine di 90 giorni.

La ricorrente:

a) non ha impugnato l’ordinanza di demolizione;

b) in data 8 ottobre 2013 ha comunicato di aver provveduto al ripristino dello stato dei luoghi mediante la demolizione di talune delle opere oggetto dell’ordine comunale n. 42 del 2013;

c) ha presentato una nuova istanza di accertamento di conformità ex art. 36 d.PR n. 380/01, avente ad oggetto le opere non demolite contemplate al punto 1 dell’ordinanza n. 42 del 2013 cit. (muretti di separazione dei posti auto nell’interrato e posizionamento dei relativi basculanti).

Il Comune, dopo aver svolto due sopralluoghi (in data 21.10.2013 e 3.12.201), con atto prot. n. 18386 del 9 dicembre 2013 ha sospeso ogni determinazione sulla seconda domanda di sanatoria e, con atto. prot. n. 317 del 9 gennaio 2014, ha avviato il procedimento volto all’acquisizione gratuita al patrimonio comunale del sedime e del fabbricato della ricorrente per la mancata ottemperanza all’ordinanza di demolizione e ripristino.

Con successivo provvedimento prot. n. 3805 del 7 marzo 2014 il Comune ha respinto l’istanza di sanatoria, tenuto conto che:

- perdurava l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 42/2013 cit., non essendo stato eliminato l’insieme sistematico di opere comportanti il frazionamento dell’immobile in più unità immobiliari;

- mancava la doppia conformità agli strumenti urbanistici prevista dall’art. 36 del DPR 6 giugno 2001, n. 380, da verificarsi avuto riguardo al manufatto per come realizzato, non potendo, invece, tale presupposto essere creato a seguito di modifiche (demolizioni parziali o eliminazione di impianti) apportabili al manufatto realizzato in difformità o in assenza del titolo edilizio.

4. Il secondo diniego di sanatoria è stato impugnato dalla Società Biquattro con motivi aggiunti per le seguenti censure:

1) violazione ed errata applicazione dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/01, violazione dell’art. 5 NTA del PRG del Comune di Ponte San Nicolò e dell’art. 28 del Regolamento Edilizio, eccesso di potere per carenza di presupposto e per travisamento dei fatti, eccesso di potere per erroneità della motivazione e per difetto di istruttoria: a giudizio del ricorrente, l’ordinanza di demolizione sarebbe stata ottemperata mediante la rimozione dei parapetti di separazione nei poggioli, della muratura in pietra nel soppalco, dei blocchi cucina ed i relativi punti di allacciamento, mentre per le murature in argilla ed i basculanti era stata presentata un’istanza di sanatoria; sicché, l’istanza di sanatoria avrebbe dovuto essere valutata indipendentemente dalla predetta inottemperanza; la richiesta di ottemperanza avrebbe dovuto valutarsi a prescindere dall’ottemperanza all’ordine di demolizione e avuto riguardo alle opere oggetto di sanatoria, da ritenersi conformi, in quanto non precluse dallo strumento urbanistico, neppure per quanto riguarda le autorimesse la cui disciplina era prevista dall’art. 28 del regolamento edilizio;

2) violazione ed errata applicazione dell’art. 36 del DPR 6 giugno 2001, n. 280, eccesso di potere per evidente contraddittorietà con precedenti atti del Comune intimato, sviamento: il Comune, dapprima, nel primo diniego di sanatoria, aveva affermato che la sanatoria non poteva essere rilasciata per singole parti senza l’eliminazione e rimessione in pristino di quanto in contrasto con l’art. 5 delle norme tecniche; successivamente, la stessa Amministrazione comunale, nel nuovo diniego, dopo che il ricorrente aveva rimesso in pristino le opere ritenute in contrasto con l’art. 5 NTA citate ai punti 1 e 2 dell’ordinanza n. 42/2013, aveva affermato contraddittoriamente che la doppia conformità doveva essere verificata avuto riguardo al fabbricato come realizzato e non come modificato a seguito di demolizioni parziali o l’eliminazione di singoli elementi;

3) violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, eccesso di potere per motivazione insufficiente e contraddittoria, eccesso di potere per difetto di istruttoria: il Comune non aveva indicato in modo sufficientemente chiaro quali fossero i presupposti in base ai quali era stato opposto il diniego.

5. Con ordinanza n. 81 del 27 luglio 2016 il Comune ha disposto l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive e dell’area di pertinenza individuata come di colore rosso nell’Allegato A.

Tale provvedimento è stato impugnato con successivi motivi aggiunti, contenenti altresì domanda di risarcimento danni, per le seguenti censure:

1) violazione ed errata applicazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/01 e dell’art. 92 L.R. n. 61/1985, eccesso di potere per carenza di presupposto e per travisamento dei fatti, eccesso di potere per erroneità della motivazione: il Comune erroneamente aveva ritenuto che l’ordinanza di demolizione e ripristino non fosse stata ottemperata; infatti l’ordinanza imponeva la rimozione dei soli punti di allacciamento alle reti di distribuzione, senza incidere sui sottostanti impianti; erano stati rimossi, altresì, i parapetti di separazione dei poggioli, la muratura in pietra nel soppalco, i blocchi cucina ed i relativi punti di allacciamento, mentre le altre opere (la muratura in argilla espansa a divisione delle 14 autorimesse con basculanti in ferro) non erano state rimosse perché per le stesse era stata presentata un’istanza di sanatoria sulla quale il Comune avrebbe dovuto prioritariamente pronunciarsi; con la conseguenza che, contrariamente a quanto ritenuto dal Comune, vi era stata un’ottemperanza totale e non parziale all’ordinanza di demolizione e ripristino;

2), violazione ed errata applicazione dell’art. 31 del DPR 6 giugno 2001, n. 380, e dell’art. 92 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61, eccesso di potere per carenza di presupposto, violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ed eccesso di potere per erroneità dell’istruttoria e della motivazione: in subordine, il ricorrente ha contestato che il Comune, nell’individuare i beni e le aree da acquisire, aveva erroneamente considerato l’edificio residenziale nella sua totalità nonostante lo stesso non risultasse interamente abusivo; così come non potevano ritenersi abusive neanche le tre autorimesse realizzate al piano interrato corrispondenti ai subalterni 4, 16 e 17; il Comune avrebbe dovuto, quindi, motivare le ragioni per le quali aveva inteso acquisire anche le parti dell’immobile non abusive;

3) violazione ed errata applicazione sotto altro profilo dell’art. 92 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61, eccesso di potere per indeterminatezza, genericità, mancata indicazione del criterio e dei parametri urbanistici ed edilizi utilizzati per la determinazione dell’area e dei beni da acquisire.

6. Si è costituito in giudizio il Comune di Ponte San Nicolò, eccependo la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso per quanto riguarda il ricorso introduttivo e replicando alle censure proposte dalla parte ricorrente.

7. A definizione del giudizio di primo grado, con la sentenza appellata il Tar:

- ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso principale nella parte in cui risultava diretto a contestare il diniego di accertamento in sanatoria per i parapetti di separazione dei poggioli, essendovi stata acquiescenza;

- ha rigettato tutti i motivi di ricorso, ritenendo che la ricorrente, in possesso di titoli edilizi per l’esecuzione di un intervento di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione nonché ampliamento di un edificio esistente, con i quali era stata assentita la realizzazione di due unità abitative, ne aveva abusivamente realizzate venti, con quattordici autorimesse al piano interrato chiuse con basculanti, in luogo dei tre posti auto assentiti, in un’area del Comune di Ponte San Nicolò sita in zona B, nella quale lo strumento urbanistico consentiva le tipologie edilizie di tipo unifamiliare, bifamiliare o trifamiliare o, in alternativa, la tipologia a blocco con un massimo di tre alloggi;

- in particolare, relativamente al ricorso principale, il Tar: a) ha rigettato le censure dirette ad affermare la necessità di limitare la valutazione di conformità alle singole opere oggetto di sanatoria, ritenendo necessario avere riguardo all’intervento edilizio nel suo complesso, tenuto conto che l’accertamento di conformità deve riguardare l’opera nella sua interezza (potendosi disporre una sanatoria parziale soltanto in presenza di progetti scindibili costituiti da opere che possono formare oggetto di progetti distinti); b) ha ritenuto che l’art. 5 NTA cit., nel regolare gli edifici bifamiliari, avesse riguardo agli edifici destinati a due famiglie e, quindi, composti da due alloggi; c) ha ritenuto che correttamente l’Amministrazione avesse chiesto un’integrazione della documentazione in sede istruttoria, trattandosi di documenti necessari a valutare l’eventuale sanabilità dell’opera nella sua interezza, con la conseguenza che la mancata produzione di tale documentazione doveva ritenersi di per sé ostativa all’accoglimento della domanda di sanatoria presentata; d) ha rigettato il motivo di ricorso incentrato sull’incompetenza del Capo settore a sottoscrivere il provvedimento impugnato, tenuto conto che la sottoscrizione era avvenuta espressamente nell’esercizio delle funzioni vicarie nella qualità di facente funzioni, non occorrendo la menzione delle ragioni di assenza o di impedimento del Responsabile del Servizio e non essendo necessaria la menzione di un’espressa delega, da presumersi salvo prova contraria; e) ha ritenuto l’art. 5 NTA legittimo, in quanto volto ad assicurare l’omogeneità costruttiva nell’insediamento mediante l’indicazione di parametri urbanistici e delle tipologie edilizie ammissibili, rientrando tale disciplina tra i contenuti tipici della pianificazione;

- relativamente al primo ricorso per motivi aggiunti, il Tar: a) ha ravvisato un’inottemperanza all’ordinanza di demolizione, tenuto conto che dalla documentazione fotografica in atti risultava che gli allacciamenti agli impianti erano stati solo mascherati e non rimossi, ragion per cui emergeva la volontà della parte di mantenere le 20 unità abitative; in ogni caso, il destinatario di un ordine di demolizione per abusi aventi caratteri unitari non potrebbe selezionare liberamente le singole opere da sanare e rimuovere; nella specie tutte le opere realizzate risultavano una parte inscindibile dell’abuso complessivo, in quanto strumentalmente preordinate ad ottenere 20 unità abitative e 14 autorimesse, ragion per cui l’ottemperanza all’ordinanza poteva esservi solo a condizione dell’integrale ripristino di quanto autorizzato dagli originari titoli edilizi; b) ha ritenuto congruamente motivato il diniego opposto dall’Amministrazione;

- relativamente al secondo ricorso per motivi aggiunti, il Tar: a) ha ritenuto inottemperata l’ordinanza di demolizione in assenza di un’integrale e definitiva eliminazione del complessivo intervento realizzato in modo difforme da quanto autorizzato dagli originari titoli edilizi; b) ha rilevato che il Comune aveva sanzionato il complessivo intervento di trasformazione tipologica dell’immobile, con la conseguente necessaria acquisizione dell’immobile integralmente abusivo; c) ha ritenuto infondata anche l’ultima censura, riferita all’omessa determinazione dei criteri e dei parametri utilizzati per determinare l’area da acquisire, tenuto conto che nella specie l’area acquisita coincideva con quella di sedime dell’immobile abusivo, per la quale era configurabile un automatismo dell'effetto acquisitivo a fronte dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e ripristino, senza necessità di un’ulteriore specifica motivazione.

8. La società ricorrente ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado, censurando le statuizioni riferite al rigetto del ricorso principale e dei due ricorsi per motivi aggiunti proposti in prime cure.

9. Il Comune appellato si è costituito in giudizio, resistendo all’appello e riproponendo altresì l’eccezione di improcedibilità del ricorso principale, tenuto conto che la seconda istanza di rilascio del permesso di costruire in sanatoria, in quanto avente il medesimo contenuto della prima istanza, si sarebbe ad essa sostituita con la conseguenza di rendere improcedibile il ricorso principale.

10. La parte appellane, in vista dell’udienza pubblica del 20.6.2019, ha depositato memoria difensiva, replicando alle difese svolte dal Comune e insistendo nei motivi di censura proposti nell’atto di appello.

11. La Sezione con ordinanza n.4524 del 2 luglio 2019 ha disposto verificazione, chiedendo all’organo incaricato di dire di quante unità immobiliari, secondo le regole della tecnica, consti attualmente l’edificio per cui è causa, e in particolare di rispondere “ai quesiti che seguono aggiungendo quanto altro ritenuto utile a fini di giustizia a) di quante unità abitative effettivamente constasse l’immobile in questione prima dei dinieghi di sanatoria 26 luglio 2011 e 7 marzo 2014 di cui sopra b) se in epoca successiva e sino ad ora la situazione di fatto sia mutata, e in caso affermativo, in quali termini”.

12. La Sezione con ordinanza n. 6557 dell’1.10.2019 ha accolto l’istanza di proroga richiesta dal verificatore.

13. Espletata la verificazione, le parti hanno ulteriormente dedotto in relazione alle questioni oggetto di giudizio con memorie difensive e memorie di replica, depositate in vista dell’udienza pubblica del 19.12.2019.

In particolare, l’Amministrazione comunale ha prodotto nuovi documenti (verbale di sopralluogo per accertamento dello stato dei luoghi per cui è causa, unitamente a riproduzioni fotografiche), nonché ha depositato una memoria difensiva ritenendo confermata la correttezza della decisione del Tar anche alla stregua della verificazione svolta.

La parte appellante, parimenti, ha depositato una memoria difensiva con cui, richiamando le censure e deduzioni svolte nei precedenti atti difensivi, ha ritenuto che la verificazione disposta abbia confermato l’ottemperanza all’ordinanza di rimessa in pristino adottata dall’Amministrazione appellata, precisando, altresì, l’irrilevanza a tali fini del mantenimento all’interno delle murature degli impianti, in quanto la loro predisposizione potrebbe essere intesa nell’ottica di una trasformazione futura dell’edificio per un eventuale uso flessibile del costruito o della capacità del costruito di adattarsi a nuove esigenze nel rispetto di quanto prescritto dalle norme vigenti; la presenza delle murature di tamponamento e dei basculanti, sarebbe, invece, giustificata in quanto si tratterebbe di opere non in contrasto con la disciplina urbanistica e sanabili a seguito dell’eliminazione di tutte le altre difformità rilevate dall’appellata Amministrazione; la parte appellante ha, altresì, contestato la correttezza del sopralluogo svolto in data 30.10.2019 da funzionari comunali presso l’immobile per cui è causa, documentato dal verbale prodotto in giudizio dal Comune appellato, e comunque ha rilevato come lo stesso sopralluogo abbia confermato le risultanze della verificazione, ad ulteriore dimostrazione dell’ottemperanza all’ordinanza di demolizione.

Entrambe le parti, infine, hanno depositato memoria di replica, a contestazione delle avverse deduzioni alla stregua di quanto da ciascuna argomentato nei precedenti scritti difensivi.

14. Il verificatore ha chiesto la liquidazione del compenso per l’opera prestata, quantificato in € 9.851,74 a titolo di onorario ed € 305,60 per spese di viaggio, per un importo complessivo di € 10.157,94.

15. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 19.12.2019.

DIRITTO

1. L’infondatezza dell’appello esime il Collegio dal pronunciare sull’eccezione di improcedibilità del ricorso principale di primo grado, reiterata in appello dall’Amministrazione intimata in sede di costituzione in giudizio, non occorrendo, pertanto, esaminare neanche la pregiudiziale questione di ammissibilità di una tale eccezione, riproposta con memoria difensiva non notificata alla controparte -in assenza, dunque, di appello incidentale- sebbene avente ad oggetto una questione processuale oggetto di espressa statuizione da parte del giudice di prime cure.

Sempre in via pregiudiziale, deve ritenersi irrilevante la produzione documentale eseguita in appello dal Comune intimato, discendendo la completezza dell’istruttoria, come si osserverà nella disamina dei singoli motivi di impugnazione, già dalla verificazione espletata nel presente grado di giudizio.

2. Con l’atto di appello la società Biquattro Immobiliare S.A.S ha svolto due gruppi di censure, con cui ha contestato le statuizioni del giudice a quo, riferite tanto al ricorso principale quanto ai motivi aggiunti proposti in primo grado.

3. In particolare, con il primo gruppo di motivi di appello (contraddistinti dal numero I) la società appellante ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto infondato il ricorso principale.

3.1 Con una prima doglianza (I.1) l’appellante ha rilevato di non avere posto in essere un intervento edilizio teso a frazionare scientemente il proprio fabbricato in più unità abitative, dotate ciascuna di autonomi impianti ed allacciamenti, essendosi, invece, limitata a realizzare un fabbricato ad uso residenziale di carattere bifamiliare, ripartito al suo interno in varie stanze e bagni e con vari posti auto nell’autorimessa interrata, di cui tre già regolarmente autorizzati con muretti divisori ed annessi basculanti; conformemente ai titoli edilizi posseduti.

Peraltro, le opere oggetto dell’istanza di sanatoria dovevano ritenersi autonome, in quanto suscettibili di essere dedotte in un progetto distinto da quello relativo al resto dell’immobile.

Risulterebbe, quindi, erronea la statuizione del Tar incentrata sulla realizzazione di un edificio di tipo condominiale di 20 alloggi in esito all’eseguita ristrutturazione, tenuto conto che l’edificio rimaneva di tipologia bifamiliare, con conservazione della stessa proprietà ed unicità di impianti; essendo stata operata, nella specie, soltanto una legittima diversa distribuzione interna degli spazi per ciascuna delle due unità residenziali.

Parimenti, sarebbe erronea la decisione del Tar nella parte in cui ha ritenuto che l’art. 5 NTA, nel prevedere il limite al numero degli alloggi, trovasse applicazione anche per tipologie diverse da quella a blocco, non ricorrente nella specie.

Il motivo di impugnazione è infondato.

Come precisato da questo Consiglio “La valutazione della sanabilità delle opere incluse nell’istanza presentata ai sensi dell’art. 36 DPR 380/2001, nel caso in cui nella stessa area di pertinenza coesistano altre opere abusive non considerate dall’interessato nella predetta istanza, ma pur sempre funzionalmente collegate alle prime, come avviene nel caso di specie in cui tutte le opere costituiscono manufatti funzionalmente legati all’esercizio di una attività imprenditoriale, non può non includere la verifica circa la sanabilità delle altre opere edilizie abusivamente realizzate, atteso che lo scrutinio sulla “doppia conformità” non può che essere complessivo” (Consiglio di Stato, sez. VI, 4 febbraio 2019, n. 843).

Ne deriva, pertanto, che, qualora venga chiesto il rilascio di un permesso di costruire riferito soltanto a talune delle opere realizzate e l’Amministrazione riscontri l’esistenza di altre opere abusive, non scomponibili in progetti scindibili, ma funzionalmente connesse al perseguimento di uno scopo unitario, l’ente procedente non può accogliere una domanda riguardante singole opere, dovendo aversi riguardo al complessivo intervento all’uopo realizzato.

Alla stregua di tali coordinate ermeneutiche, deve affermarsi la legittimità del primo diniego di sanatoria opposto dall’Amministrazione appellata.

Come emergente dalla documentazione depositata dal ricorrente in primo grado:

- ai sensi dell’art. 5 delle norme tecniche di attuazione al P.R.G. del Comune odierno appellato (doc. 16 primo grado), per la zona B in cui ricade l’immobile, per gli interventi di ampliamento risultavano ammesse solamente le tipologie edilizie “unifamiliare, bifamiliare o trifamiliare o, in alternativa, la tipologia a blocco con un massimo di tre alloggi”;

- con comunicazione di avvio del procedimento n. 19693 del 25.11.2010 (doc. 8 primo grado) l’Amministrazione aveva contestato l’integrazione di una fattispecie di ristrutturazione edilizia abusiva che, mediante un insieme sistematico di opere, aveva aumentato il numero delle unità immobiliari dalle due unità ad uso abitazione (due alloggi autorizzati) a venti unità ad uso abitazione (venti alloggi), in assenza di permesso di costruire e in difformità a quanto realizzato; in particolare “le opere abusive accertate in difformità sono le seguenti: 1. nel piano interrato la costruzione di murature in argilla espansa per ricavare n. 14 autorimesse ed installazione dei corrispondenti basculanti in ferro; 2. nei piani primo lati nord e sud, la costruzione dei parapetti di separazione nei poggioli e soppalco con muratura in pietra; 3. nei piani terra, primo e sottotetto, la realizzazione di punti di allacciamento alla rete distribuzione del gas, rete elettrica e agli scarichi acque nere per consentire il collegamento/allacciamenti di numeri 18 blocchi cucina composti da frigorifero, cucina a gas e lavello in locali autorizzati con la destinazione specifica a “disbrigo” – “camera” –“stireria – guardaroba” – “camera ospito” - “studio”. Le modifiche effettuate con le opere edilizie murarie e quelle impiantistiche idrotermosanitarie-gas-elettrico per consentire l’allacciamento dei blocchi cucina alla rete di adduzione del gas, alla rete idrica, alla rete elettrica ed agli scarichi acque nere hanno, di fatto, comportato il “frazionamento” dell’immobile da bifamiliare – 2 alloggi – a condominiale 20 alloggi e ciò in contrasto con quanto consentito dalle NTA del PRG e riportate nel permesso costruire”;

- con provvedimento prot. n. 11849 del 26 luglio 2011 (doc. 15 primo grado) il Comune odierno appellato ha respinto l’istanza di rilascio del permesso di costruire in sanatoria, adeguatamente motivando le ragioni del diniego.

In particolare, l’Amministrazione ha ritenuto che:

a) la sanatoria non potesse essere rilasciata “per singole parti” senza considerare e prevedere l’eliminazione / rimessione in pristino di quanto realizzato in contrasto con le previsioni dell’art. 5 delle norme tecniche di attuazione allegate al piano regolatore; l’istanza presentata dalla ricorrente, invece, aveva ad oggetto solo specifiche opere (muretti all’interno dei poggioli e muretti divisori preordinati alla realizzazione nel piano interrato di autorimesse) considerate nella loro singolarità, sebbene le stesse si inserissero, facendone parte integrante, in una complessiva ed abusiva trasformazione delle caratteristiche tipologiche dell’immobile, le cui unità immobiliari passavano dalle due assentite a venti, in violazione dell’art. 5 NTA cit.;

b) non fosse stata prodotta la documentazione richiesta in sede procedimentale (in specie, l’integrazione della relazione tecnico descrittiva con l’indicazione degli interventi atti all’eliminazione degli impianti tecnologici realizzati in difformità; la produzione delle piante di rilievo dei piani terra, primo e sottotetto con l’indicazione della destinazione d’uso di tutti i vani; l’integrazione della documentazione fotografica prodotta con riprese di tutte le opere abusivamente realizzate).

Soffermando l’attenzione sulla prima ratio decidendi sottesa al provvedimento di diniego, essa è rappresentata, dunque, dall’esistenza di plurime opere abusive, funzionalmente connesse, integranti complessivamente una fattispecie di ristrutturazione edilizia abusiva, venendo aumentato - mediante un insieme sistematico di opere- il numero delle unità immobiliari dalle due unità ad uso abitazione (due alloggi autorizzati) a venti unità ad uso abitazione (venti alloggi), in assenza di permesso di costruire e in violazione dell’art. 5 N.T.A. al P.R.G. del Comune appellato.

In punto di diritto, tale decisione è immune da vizi di legittimità, tenuto conto che, come osservato supra, a fronte di plurime opere realizzate dall’istante e ritenute dall’Amministrazione procedente funzionalmente connessi per il soddisfacimento di un interesse sostanziale unitario, è necessario procedere ad un esame unitario dell’intervento edilizio così realizzato.

L’Amministrazione comunale, pertanto, una volta accertata la presenza di plurime opere connesse, perché tendenti ad incrementare il numero delle unità immobiliari dalle due unità ad uso abitazione assentite (due alloggi autorizzati) a venti unità ad uso abitazione (venti alloggi), in violazione dell’art. 5N.T.A. cit., legittimamente ha ritenuto impossibile l’accoglimento di un’istanza di sanatoria riferita a singole parti di un intervento considerato unitario: nella specie, infatti, l’istante aveva chiesto la sanatoria dei muretti all’interno dei poggioli e dei muretti divisori preordinati alla realizzazione nel piano interrato di autorimesse, senza, pertanto, comprendere nella propria domanda di accertamento di conformità, altresì, avuto riguardo ai piani terra, primo e sottotetto, i punti di allacciamento alla rete distribuzione del gas, rete elettrica e agli scarichi acque nere realizzati per consentire il collegamento/allacciamenti di numeri 18 blocchi cucina composti da frigorifero, cucina a gas e lavello in locali autorizzati con la destinazione specifica a “disbrigo” – “camera” –“stireria – guardaroba” – “camera ospito” - “studio”; opere queste ultime parimenti contestate dal Comune con la nota n. 19693 del 25.11.2010 cit.

La decisione dell’Amministrazione, oltre ad aver correttamente applicato l’art. 36 D.P.R. n. 380/01 in punto di diritto, è immune da vizi di legittimità anche sotto un profilo eminentemente fattuale, tenuto conto che l’assunto del Comune appellato, incentrato sull’esistenza di plurime opere connesse, strumentali al mutamento tipologico del manufatto, con incremento del numero degli alloggi dalle due unità assentite alle venti unità, è risultato corretto alla stregua delle emergenze della verificazione acquisita in giudizio.

Sotto tale profilo, il Collegio intende aderire -nei limiti in cui siano rilevanti alla stregua delle questioni componenti il thema decidendum dell’odierno giudizio di appello- alle risultanze istruttorie emergenti dalla verificazione acquisita in grado di appello, immune da vizi logici o giuridici, coerente con la documentazione in atti e svolta nell’osservanza delle pertinenti norme tecniche all’uopo applicabili.

Il verificatore, nel riscontrare i quesiti posti dalla Sezione con ordinanza n.4524 del 2 luglio 2019, avuto riguardo alla data del 26.7.2011 (data del primo diniego di sanatoria), ha notato “il posizionamento di complessivi 20 blocchi cucina che definiscono 14 alloggi effettivamente individuabili come tali, 6 camere matrimoniali con cucina che non hanno la superficie minima per rientrare nella definizione di alloggio-monolocale di 28 mq come previsto dalla normativa vigente. Si precisa inoltre che a parte il caso dei 2 bilocali al piano terra tutti i rimanenti blocchi cucina, i quali non potevano essere ubicati all’interno dei locali ove trovavano spazio prima del 26 luglio 2011, in quanto non erano concessi e non potevano neppure esserlo con tale destinazione d’uso perché in contrasto con quanto previsto dal Regolamento Edilizio agli articoli 59-60…” (pag. 13 verificazione); analizzando l’uso complessivo dell’unità bifamiliare, il verificatore ha rilevato che “Si configura di fatto un utilizzo distorto dell’edificio bifamiliare autorizzato, destinato originariamente a 2 unità abitative, quindi un tipo edilizio a bassa densità abitativa, trasformato invece in un fabbricato di fatto con “20 alloggi”, indipendentemente dai caratteri distributivi e dai requisiti minimi funzionali, generando quindi un aggravio del carico urbanistico ipotizzato in sede di pianificazione generale per quella specifica area” (pag. 20 verificazione).

Emerge, dunque, la legittimità della decisione dell’Amministrazione, essendo stato correttamente riscontrato in punto di fatto un complesso di opere funzionalmente connesse, preordinate alla modificazione tipologia dell’immobile, risultando, alla data del primo diniego, un manufatto con un numero di alloggi superiore a quello assentito (due).

Ne deriva l’infondatezza del primo motivo di appello, nella parte in cui si contesta l’erroneità della sentenza appellata, per aver ritenuto integrata una fattispecie di trasformazione delle caratteristiche tipologiche dell’edificio.

La parte appellante, infatti, come emergente, altresì, dalla verificazione in atti, per effetto di plurime opere, aveva trasformato l’intero immobile, mutato da originario edificio bifamiliare con due alloggi ad edificio condominiale con plurimi alloggi, in violazione dell’art. 5 NTA. cit.

Con il primo motivo di appello la società Biquattro contesta, altresì, la decisione del Tar nella parte in cui ha ritenuto che l’art. 5 NTA, nel prevedere il limite al numero degli alloggi, trovasse applicazione anche per tipologie diverse da quella a blocco, non ricorrente nella specie

Anche tale censura deve essere disattesa.

Al riguardo, occorre osservare che il verificatore con argomentazioni condivisibili ha provveduto alla ricostruzione della nozione tecnica di tipo edilizio, rilevando che l’art. 5 N.T.A. al P.R.G. del Comune di Ponte San Nicolò “non fa riferimento a caratteri distributivi o formali degli edifici ma definisce esclusivamente gli elementi tipologici previsti” (pag. 7 verificazione); nella specie, in particolare, viene in rilievo una nozione di tipo edilizio intesa come strumento di progetto, affidato al progettista per la realizzazione dell’opera in relazione a specifiche esigenze all’uopo da soddisfare.

Difatti, “[n]el caso in esame le regole sono ampie in quanto dettate da uno strumento di pianificazione generale che ha obiettivi di scala urbana e non entra nel dettaglio edilizio definendo caratteri formali, distributivi e quant’altro riferibile all’edificato. Esso individua essenzialmente le regole generali dell’edificato di quell’area, non prevedendone in essa un’edilizia intensiva e lasciando ampia libertà al progettista nell’ideare l’opera. Nello stesso tempo ipotizza solo costruzioni con un numero modesto di alloggi, casa monofamiliare, casa bifamiliare, casa trifamiliare. Nei casi qui citati si intendono unità edilizie caratterizzate da uno, due o tre alloggi all’interno della configurazione planimetrico spaziale che tali tipi consentono. Tuttavia, lo strumento urbanistico di Ponte San Nicolò, permette un ulteriore grado di libertà al progettista, consentendo anche la realizzazione di tipi edilizi a blocco, generalmente a carattere plurifamiliare, e che possono avere un numero maggiore di alloggi rispetto a quelli sopracitati. In questo caso però il pianificatore impone il numero massimo di 3 alloggi, a rimarcare il carattere che deve mantenere quell’area con un’edilizia a bassa densità abitativa. Per quanto attiene al caso in esame si tratta di un intervento edilizio finalizzato alla costruzione di un edificio con destinazione a bifamiliare, spesso definita anche “casa binata”. “Il tipo edilizio casa binata appartiene alla classe tipologica della residenza unifamiliare per esso vale quanto già espresso per il tipo <<casa isolata>>. È costituito infatti da due alloggi, generalmente a uno o due piani fuori terra accostati lungo un lato perimetrale (un muro in comune), insediati all’interno di un lotto fabbricabile. Tale soluzione comporta nei confronti del tipo edilizio precedente (casa isolata o casa unifamiliare) una maggior densità abitativa pur nell’ambito della <<bassa densità>> cui tali tipi appartengono” (pagg. 10/11 relazione).

Alla stregua di tali condivisibili considerazioni, incentrate sulla nozione tecnica di casa bifamiliare, non risulta fondata l’interpretazione dell’art. 5 NTA cit. proposta dall’appellante, in forza della quale la prescrizione del numero massimo di alloggi, pari a tre, sarebbe riferita soltanto alla tipologia a blocco.

Tale interpretazione, difatti, da un lato, contrasta con la nozione tecnica di casa bifamiliare, dall’altro, confligge con la ratio sottesa alla previsione urbanistica.

Sotto un profilo letterale, l’art. 5 N.T.A., ammettendo per la zona B, in cui ricade l’immobile per cui è controversia, interventi di ampliamento solamente con riguardo alle tipologie “unifamiliare, bifamiliare o trifamiliare o, in alternativa, la tipologia a blocco con un massimo di tre alloggi”, nella parte in cui richiama la nozione tecnica di tipo edilizio bifamiliare, prende in esame, come rilevato dal verificatore alla stregua della letteratura tecnica formatasi in materia, manufatti appartenente alla classe tipologica di casa binata, caratterizzati dalla presenza di due alloggi.

Tale ricostruzione esegetica risulta coerente, altresì, con la ratio sottesa alla disposizione urbanistica in commento, volta a conformare l’uso del territorio, prevedendo per la zona in esame un’edilizia a bassa densità abitativa.

Tenuto conto che il numero di alloggi influisce sul carico urbanistico dell’area, risultando correlato alla presenza di nuclei familiari, uno per ciascuno alloggio, al fine di garantire un’edilizia a bassa densità abitativa, il Comune, nell’esercizio del proprio potere pianificatorio, ha previsto in ogni caso, prescindendo dal tipo edilizio concretamente progettato, il numero massimo di tre alloggi.

Pertanto, avuto riguardo al tipo “casa isolata” o “casa binata”, il numero massimo di alloggi è stato assicurato mediante la destinazione familiare del manufatto, risultando ammesse soltanto le case unifamiliari, bifamiliari o trifamiliari e, quindi, i soli edifici composti rispettivamente da uno, due o tre alloggi; parimenti, anche per il tipo edilizio a blocco, non può superarsi il numero di tre alloggi.

Risulterebbe, quindi, irragionevole una diversa interpretazione (sostenuta nell’atto di appello), tesa a limitare il numero di alloggi assentibili soltanto per la tipologia a blocco, tenuto conto che l’esigenza di limitare la densità abitativa si pone anche per la tipologia di casa isolata, in relazione alla quale, pertanto, occorre imporre parimenti un numero massimo di alloggi assentibili.

Risulta, in conclusione, corretta l’interpretazione dell’art. 5 NTA cit. sottesa al primo diniego di sanatoria, tenuto conto che la configurazione di una trasformazione tipologica dell’edificio, con la realizzazione, attraverso un insieme sistematico di opere, di un numero di alloggi superiore a tre (venti) si poneva in contrasto con l’art. 5 NTA cit..

Ne deriva la legittimità della prima ratio decidendi del provvedimento di diniego, non potendosi accogliere un’istanza di sanatoria riguardante singole parti di un intervento edilizio unitario realizzato in violazione dell’art. 5 NTA.

3.2 Con un secondo motivo di appello (I.2) la ricorrente, argomentando sul presupposto dell’infondatezza della tesi dell’abusività dell’intero immobile, contesta la decisione di primo grado con cui è stata ritenuta legittima ed idonea a fondare il primo diniego di sanatoria la richiesta del Comune di integrazione documentale, mediante la presentazione di documenti su profili ulteriori rispetto a quanto oggetto di sanatoria; a giudizio della ricorrente, il Comune non avrebbe dovuto chiedere integrazioni documentali, bensì avrebbe dovuto specificare le modifiche occorrenti a rendere l’istanza di sanatoria valutabile e, quindi, accoglibile, giusta la previsione di cui all’art. 20, comma 4, DPR n. 380/01.

Il rigetto del primo motivo di impugnazione, riferito alla prima ratio decidendi sottesa al provvedimento amministrativo impugnato con il ricorso principale in primo grado, rende improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il secondo motivo di appello, riguardante la seconda argomentazione sottesa alla decisione amministrativa: dall’accoglimento del secondo motivo di censura non potrebbe, infatti, derivare alcuna utilità concreta in capo all’appellante, essendosi consolidato il provvedimento di diniego in ragione dell’accertata legittimità di una sua autonoma ragione giustificatrice.

In ogni caso, esaminando il merito del motivo di appello, lo stesso risulta infondato.

In presenza di opere connesse, funzionali alla realizzazione di uno scopo unitario, qualora la parte istante chieda il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria limitatamente a taluna delle opere in difformità, l’Amministrazione procedente è tenuta a svolgere un esame complessivo della fattispecie concreta, al fine di accertarne la conformità alla pertinente disciplina edilizia e urbanistica.

Ne deriva che l’Amministrazione ha correttamente chiesto all’istante di produrre un’integrazione della relazione tecnico descrittiva con l’indicazione degli interventi atti all’eliminazione degli impianti tecnologici realizzati in difformità; le piante di rilievo dei piani terra, primo e sottotetto con l’indicazione della destinazione d’uso di tutti i vani; nonché un’integrazione della documentazione fotografica con riprese di tutte le opere abusivamente realizzate (cfr. nota comunale n. 3481 del 3.3.2011 sub doc. 11 fascicolo ricorrente primo grado).

Né risulta conferente il richiamo operato nell’atto di appello all’art. 20, comma 4, DPR n. 380/01, non facendosi questione nella specie di modifiche da apportare ad un progetto completo prodotto dall’istante, ma di verifica della liceità di un intervento edilizio già realizzato, da condurre sulla base di documenti nella disponibilità dell’istante, ma dallo stesso non prodotti in sede procedimentale.

A fronte della legittima e doverosa richiesta di integrazione documentale avanzata dal Comune, tendente ad un esame unitario dell’insieme sistematico di opere eseguite in difformità dall’istante, per la realizzazione di una trasformazione tipologica del manufatto in contrasto con l’art. 5 NTA cit., l’istante era, quindi, tenuto alla produzione dei documenti richiesti dall’Amministrazione con nota n. 3481 del 2011 cit., in mancanza dei quali la domanda di sanatoria non poteva (per una seconda autonoma ragione) essere accolta.

3.3 Con una terza doglianza (I.3) la ricorrente ha contestato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha rigettato il motivo di ricorso riferito all’incompetenza del Capo Settore facente funzione ad adottare il diniego di sanatoria, tenuto conto che la normativa di riferimento in materia e le norme statutarie del Comune di Ponte San Nicolò avrebbero attribuito detta competenza al Responsabile del Settore Uso ed Assetto Territorio.

Anche tale motivo di appello risulta infondato, atteso che in caso di funzioni vicarie non rileva la mancanza della espressa menzione delle ragioni di assenza o di impedimento del titolare, potendo questi essere sostituito dal vicario in tutte le sue funzioni e attribuzioni, senza necessità di espressa delega, della quale deve presumersi l'esistenza salvo prova contraria (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 2 marzo 2015, n. 1027); peraltro, lo stesso art. 109, comma 2, D. Lgs. n. 267/00 prevede la possibilità che i responsabili di settore e degli uffici non rivestano la qualifica dirigenziale.

Nel caso di specie il provvedimento risulta sottoscritto dal capo settore facente funzioni, ragion per cui deve ritenersi che lo stesso potesse sostituire il Responsabile del settore nell’adozione dei relativi provvedimenti, senza la necessità di un’espressa menzione delle ragioni di impedimento o di assenza del titolare e senza necessità di espressa delega, da presumersi esistente in assenza di una prova contraria non offerta dall’appellante.

3.4 Con un’ultima doglianza (I.4) la ricorrente ha impugnato il capo di sentenza con cui il Tar ha ritenuto legittimo l’art. 5 NTA al PRG del Comune appellato, precisando di non avere “mai voluto mettere in discussione i contenuti tipici della pianificazione urbanistica comunale, cui di certo rispondono i parametri e le tipologie ammissibili nella zona territoriale omogenea di riferimento” (pag. 13 appello), bensì di avere censurato l’interpretazione della disposizione in commento, che non porrebbe alcun limite al numero delle unità abitative o degli alloggi all’interno degli immobili situati nelle zone omogenee B, stabilendo che soltanto per i fabbricati a blocco (fattispecie non ricorrente nella specie) gli alloggi dovrebbero rispettare il numero massimo di tre; altrimenti, ponendosi la disposizione in contrasto con i principi di pianificazione contenuti negli artt. 9, 10, 29, 49 e 50 dell’allora vigente legge regionale n. 61/1985.

Il motivo di appello risulta infondato.

Come osservato nella disamina della prima censura, alla stregua del criterio ermeneutico letterale e teleologico, l’art. 5 NTA cit. deve essere interpretato come prescrittivo del numero massimo di alloggi, non superiore a tre, non soltanto per il tipo edilizio a blocco, ma anche per il tipo edilizio casa binata, in cui si sostanziano gli edifici bifamiliari, tendendo la pianificazione comunale ad assicurare nella zona in esame una bassa densità abitativa, obiettivo perseguibile attraverso la limitazione del numero di alloggi e, quindi, di nuclei familiari abitanti i relativi edifici.

Pertanto, tenuto conto che la nozione tecnica di edificio bifamiliare richiama una tipologia edilizia connotata dalla presenza di due alloggi, considerato che l’art. 5 NTA, al fine di assicurare una bassa densità abitativa, non distingue tra tipologie edilizie, la disposizione urbanistica in esame, nella parte in cui richiama la residenza bifamiliare, deve essere intesa come riguardante edifici con un numero di alloggi pari a due.

Di conseguenza, avendo realizzato l’appellante una trasformazione tipologica, con realizzazione di un edificio con venti alloggi, l’Amministrazione ha legittimamente rigettato l’istanza di sanatoria presentata dalla società Biquattro, sulla base di una corretta interpretazione del disposto di cui all’art. 5 NTA cit.

Né una tale interpretazione potrebbe ritenersi incompatibile con i principi di pianificazione contenuti negli artt. 9, 10, 29, 49 e 50 dell’allora vigente legge regionale n. 61/1985.

Difatti, in primo luogo, l’appellante neanche specifica quale principio di pianificazione verrebbe leso dalla disposizione urbanistica censurata, ragion per cui la censura non può essere accolta per la sua genericità.

In ogni caso, si osserva che l’art. 5 NTA, nel disciplinare la tipologia edilizia degli edifici della zona regolata, si mantiene entro i contenuti tipici della pianificazione urbanistica, tendendo alla conformazione di una zona del territorio comunale, attraverso l’imposizione di vincoli strumentali (anche mediante la definizione delle caratteristiche tipologiche degli edifici) ad assicurare una bassa densità abitativa.

Gli artt. 9, 10, 29, 49 e 50 della l.r. Veneto n. 61/1985 non possono, pertanto, essere invocati quale parametro di legittimità della previsione di cui all’art. 5 NTA, non esprimendo un precetto o un principio generale incompatibile con la relativa regolazione urbanistica.

Difatti:

- l’art. 9 cit., nel regolare i contenuti tipici del piano regolatore generale, attribuisce a tale strumento di pianificazione, altresì, la definizione del fabbisogno per vani a scopi residenziali, la zonizzazione del territorio comunale e la classificazione degli interventi ammissibili, in relazione ai quali assumono specifico rilievo altresì le indicazioni tipologiche degli edifici (cfr. comma 3, lett. b) e c) in relazione agli interventi di completamento e di espansione); il che è avvenuto con l’art. 5 NTA cit., mediante cui è stata dettata una regolazione conformativa, volta ad assicurare una bassa densità abitativa, mediante la prescrizione del numero massimo di alloggi assentibili avuto riguardo a ciascun tipo edilizio (per quanto di interesse nel presente giudizio, casa bifamiliare);

- l’art. 10 cit. regola gli elaborati del Piano Regolatore Generale, prevedendo, tra gli altri, le norme per l’attuazione del P.R.G., con particolare riferimento a quelle che, nell’ambito della tutela di ogni singola zona e delle sue destinazioni, stabiliscono i singoli interventi ammessi, la massima e minima densità edilizia, la percentuale di copertura ammissibile, gli allineamenti obbligatori, specificando i casi in cui è ammesso, oltre al recupero degli edifici esistenti, il loro completamento e la nuova edificazione; l’art. 10 deve essere letto in combinato disposto con l’art. 12, dedicato al piano particolareggiato, strumento di attuazione del P.R.G., e in specie alle sue norme di attuazione, concernenti, altresì, le caratteristiche tipologiche degli edifici (cfr. comma 2, n. 5), a conferma di come la prescrizione della tipologia edilizia rientri nel contenuto della pianificazione territoriale;

- gli artt. 29, 49 e 50 cit., infine, dedicati rispettivamente alle zone di tipo residenziale, alle varianti generali e alle varianti parziali, non pongono alcuna norma ostativa alla previsione della tipologia costruttiva assentibile, né, come supra osservato, l’appellante specifica il precetto o il principio desumibile da tali disposizioni alla stregua dei quali reputare illegittimo l’art. 5 NTA per cui è controversia.

4. Con il secondo gruppo di motivi di appello (contrassegnato con il numero II) la ricorrente ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto infondato il primo ed il secondo ricorso per motivi aggiunti.

4.1 In particolare, con la prima censura (II.1) è contestato il capo di sentenza con cui il Tar ha negato che nella specie la ricorrente avesse ottemperato all’ordinanza di demolizione n. 42/2013, tenuto conto che le opere di cui ai punti 2 e 3 del provvedimento comunale risultavano ripristinate, mentre per le opere di cui al punto 1 del medesimo provvedimento (muretti di separazione dei posti auto e posizionamento dei basculanti) era stata presentata un’istanza di sanatoria ex art. 36 DPR n. 380/01, trattandosi di opera realizzata a fini di prevenzione incendi; peraltro, nella specie la condotta dell’Amministrazione risultava contraddittoria, in quanto, dapprima, con il primo diniego di sanatoria, il Comune aveva sostenuto di non poter valutare la richiesta di sanatoria senza che fosse prevista la rimessione di quanto in contrasto con il P.R.G. mentre successivamente, con il secondo diniego, aveva affermato che la conformità non poteva sussistere nemmeno dopo l’eliminazione di quanto ritenuto difforme.

In ogni caso, le opere oggetto della seconda istanza non risultavano in contrasto con l’art. 5 NTA cit o con l’art. 28 del Regolamento Edilizio comunale, né l’Amministrazione aveva motivato in ordine alla disciplina urbanistica ritenuta violata.

Il motivo di appello risulta infondato.

Al riguardo, in primo luogo, emerge dalla documentazione acquisita al giudizio che il Comune appellato con provvedimento n. 42 del 5 luglio 2013 (doc. 19 fascicolo ricorrente primo grado) ha ordinato la demolizione delle opere abusive ed il ripristino dello stato dei luoghi secondo quanto era stato autorizzato con gli originari permessi di costruire.

In particolare, il Comune, con il provvedimento di demolizione, ha accertato l’esistenza dei seguenti lavori abusivi:

“1. nel piano interrato la costruzione di murature in argilla espansa per ricavare n. 14 autorimesse ed installazione dei corrispondenti basculanti in ferro;

2. nei piani primo lati nord e sud, la costruzione dei parapetti di separazione nei poggioli e soppalco con muratura in pietra;

3. Nei piani terra, primo e sottotetto, la realizzazione di punti d’allacciamento alla rete distribuzione del gas, rete elettrica e agli scarichi acque nere per consentire il collegamento /allacciamenti, di n. 18 blocchi/cucina, composti da frigorifero, cucina a gas e lavello in locali autorizzati con la destinazione specifica a “disbrigo”-“camera”-“stireria-guardaroba”-“camera-ospiti”-“studio”.

La ricorrente:

a) non ha impugnato l’ordinanza di demolizione;

b) in data 8 ottobre 2013 ha comunicato di aver provveduto al ripristino dello stato dei luoghi mediante la demolizione dei parapetti di separazione dei poggioli e soppalco con muratura in pietra al piano primo prospetti nord e sud; nonché l’eliminazione dei punti di allacciamento alla rete distribuzione del gas, rete elettrica e agli scarichi acque nere, l’eliminazione dei collegamenti/allacciamenti di nr 18 blocchi cucina composti da frigorifero, cucina e gas e lavello in locali autorizzati con la destinazione specifica a “disbrigo”, “camera”, “stireria-guardaroba”, “camera ospiti”, “studio” al piano primo, terra e sottotetto, con l’eliminazione dei misuratori dei consumi delle reti di distribuzione;

c) ha presentato una nuova istanza di accertamento di conformità ex art. 36 d.PR n. 380/01 avente ad oggetto i muretti di separazione dei posti auto nell’interrato e il posizionamento dei relativi basculanti.

Il Comune nel corso di un primo sopralluogo in data 21.10.2013 (doc. 5 produzione di primo grado dell’Amministrazione comunale) ha constatato che l’ordinanza di demolizione e ripristino era stata eseguita solo parzialmente, in quanto permanevano gli impianti di allacciamento alla rete di distribuzione del gas, rete elettrica, acqua potabile ed altri scarichi acque nere, solo mascherati da fogli di carta; permanevano nei punti ove erano installati i blocchi cucina le ceramiche a muro, e gli attacchi dei pensili degli stessi; nonché permanevano le murature in argilla per ricavare nel piano interrato 14 autorimesse con i basculanti.

In un secondo sopralluogo in data 3.12.2013 (doc. 6 produzione di primo grado dell’Amministrazione comunale) il Comune ha constatato che, in sostituzione del foglio di carta, precedentemente posto nei singoli locali a mascheramento degli impianti, era stato posto dell’intonaco.

Alla luce di tali elementi il Comune con atto prot. n. 18386 del 9 dicembre 2013 ha sospeso ogni determinazione sulla seconda domanda di sanatoria e, con atto. prot. n. 317 del 9 gennaio 2014, ha avviato il procedimento volto all’acquisizione gratuita al patrimonio comunale del sedime e del fabbricato della ricorrente per la mancata ottemperanza all’ordinanza di demolizione e ripristino.

Con successivo provvedimento prot. n. 3805 del 7 marzo 2014 il Comune ha respinto l’istanza di sanatoria, tenuto conto che:

- perdurava l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione, non essendo stato eliminato l’insieme sistematico di opere comportanti il frazionamento dell’immobile in più unità immobiliari;

- mancava il requisito della doppia conformità agli strumenti urbanistici previsto dall’art. 36 del DPR 6 giugno 2001, n. 380, da verificarsi avuto riguardo al manufatto per come realizzato, non potendo, invece, detto requisito essere creato a seguito di modifiche (demolizioni parziali o eliminazione di impianti) apportate al manufatto realizzato in difformità o in assenza del titolo edilizio.

Così ricostruiti i fatti di causa, deve rilevarsi che l’inoppugnabilità dell’ordinanza di demolizione rende non più contestabile la natura abusiva dell’intero edificio per cui è causa.

Avuto riguardo alla portata precettiva del provvedimento di demolizione n. 42/13 cit., emerge che l’Amministrazione comunale, lungi dal constatare l’esistenza di singole opere abusive, suscettibili di autonomo apprezzamento, ha “verificato che è stata autorizzata la realizzazione di due alloggi mentre le modifiche effettuate con le opere edilizie murarie e quelle impiantistiche idrotermosanitarie-gas-elettrico per consentire l’allacciamento dei blocchi cucina alla rete di adduzione del gas, alla rete idrica, alla rete elettrica ed agli scarichi acque nere hanno, di fatto, comportato il “frazionamento” dell’immobile da bifamiliare – 2 alloggi – a condominiale 20 alloggi e ciò in contrasto con quanto consentito dalle NTA del PRG e riportate nel permesso costruire per cui l’abuso edilizio rientra nella fattispecie dell’articolo 92, comma 3 della L.R. 61/1985”.

Di conseguenza, l’Amministrazione ha riscontrato che “l’intervento è stato eseguito pertanto in totale difformità e con variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire avendo realizzato un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche da quello oggetto del permesso stesso (art. 31 del D.P.R. 380/2001) e con variazioni essenziali per modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato (art. 32 lettere c, d, del D.P.R. 380/2001). Le opere anzidette si annoverano tra i lavori soggetti a permesso a costruire di cui all’art. 10, comma 1, lett. a del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e sono applicabili le sanzioni di cui all’art. 31 del citato D.P.R. e quelle penali dell’art. 44 del medesimo D.P.R.”.

A fronte di un tale quadro provvedimentale, la parte appellante, anziché provvedere all’integrale demolizione e rimozione delle opere abusive, attraverso le quali il titolare aveva realizzato un unitario intervento di trasformazione tipologica del manufatto, ha inteso agire separatamente, dichiarando di avere ottemperato all’ordinanza limitatamente a talune opere (cfr. comunicazione 8.10.2013 sub doc. 20 fascicolo ricorrente primo grado) e chiedendo l’accertamento in conformità con riferimento ai muri in argilla espansa e al collocamento dei basculanti in ferro al piano interrato, non ritenuti in contrasto con l’art. 5 NTA cit. e l’art. 28 del Regolamento Edilizio (istanza prodotta dal ricorrente in primo grado sub doc. 21).

L’Amministrazione comunale ha rigettato tale seconda istanza di sanatoria, riscontrando, da un lato, l’avvenuta acquisizione al patrimonio comunale del manufatto abusivo, per inottemperanza entro il termine di novanta giorni all’ordinanza di demolizione, dall’altro, l’assenza del requisito della doppia conformità, dovendo il manufatto oggetto di sanatoria essere conforme alla pertinente disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della sua realizzazione, sia al momento della rilascio del titolo in sanatoria.

Entrambe le rationes decidendi risultano corrette, diversamente da quanto censurato dalla parte appellante.

In particolare, avuto riguardo alla carenza del requisito della doppia conformità, si osserva che, ai sensi dell’art. 36 DPR n. 380/2011, “In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 23, comma 01, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”.

Ai fini dell’accertamento di conformità, dunque, occorre l’integrazione del presupposto della doppia conformità, il cui tratto distintivo, come precisato da questo Consiglio, “si rinviene dunque, ora come allora, nella cristallizzazione dello stato di realizzazione del manufatto, dovendo ritenersi, secondo la formulazione letterale delle norme, che oggetto della valutazione propedeutica al rilascio della sanatoria sia la regolarità edilizia degli "interventi realizzati" con riferimento sia al momento del loro originario compimento sia a quello della presentazione della domanda” (Consiglio di Stato, sez. II, 12 agosto 2019, n. 5651).

La doppia conformità urbanistica delle opere oggetto di sanatoria presuppone, quindi, la regolarità edilizia e urbanistica dell’intero immobile, altrimenti l’Amministrazione andrebbe a sanare la realizzazione di opere di modifica di un immobile abusivo, in contrasto con la previsione dell’art. 36 cit. e con i generali poteri di vigilanza in materia edilizia.

L’applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di specie consente di riconoscere la legittimità del diniego di sanatoria opposto dall’Amministrazione, tenuto conto che, come emergente dal provvedimento negativo impugnato in primo grado, in cui si riepilogano le vicende amministrative interessanti il manufatto per cui è causa (ivi compresa l’adozione dell’ordinanza di demolizione), l’intero edificio era stato ritenuto interamente abusivo con il provvedimento di demolizione e rimozione, in quanto interessato da plurime opere tra loro connesse, funzionalmente strumentali ad una trasformazione tipologica dell’immobile, transitato da residenza bifamiliare a immobile condominiale con venti alloggi, in violazione dell’art. 5 NTA cit.

A fronte di un tale quadro provvedimentale di riferimento, l’Amministrazione comunale ha legittimamente negato la seconda richiesta di sanatoria, in quanto avente ad oggetto soltanto alcune delle opere complessivamente e unitariamente valutate dallo stesso Comune come abusive.

La presenza di un edificio contrastante con una disposizione urbanistica impedisce l’integrazione del requisito della doppia conformità ex art. 36 DPR n. 380/01, come correttamente rilevato dall’Amministrazione nel provvedimento di diniego: in siffatte ipotesi, non è possibile la sanatoria del singolo abuso.

Se, infatti, a fronte di plurime opere abusive, ciascuna suscettibile di formare oggetto di un progetto scindibile, l’istante ha la possibilità di chiedere l’accertamento di conformità della singola opera, idonea ad integrare un autonomo intervento, decidendo di provvedere per le rimanenti opere abusive alla demolizione, in ottemperanza all’ordinanza ingiuntiva già emessa; qualora le opere abusive siano tra loro connesse, dando luogo ad un intervento unitario, l’istante è tenuto a scegliere tra l’integrale ripristino dello stato dei luoghi, mediante la demolizione e rimozione di tutte le opere accertate come abusive dall’Amministrazione, ovvero la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità riferita al complessivo intervento abuso, unitariamente considerato, sempre che lo stesso sia conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della sua realizzazione e al momento di presentazione della domanda.

L’art. 36 D.P.R. n. 380/01, del resto, regola la sanatoria avuto riguardo all’intervento abusivo e non alla singola opera abusiva; sicchè, risultando l’intervento, anche alla stregua delle tipologie di intervento definite dall’art. 3 DPR n. 380/01, il risultato edilizio di una singola opera o di plurime opere funzionalmente connesse, la sanatoria dell’intervento non può non avere ad oggetto il complesso delle opere in cui lo stesso si sostanzia.

Pertanto, non risulta ammissibile, a fronte di plurime opere abusive tra loro funzionalmente connesse, la parziale ottemperanza all’ordinanza di demolizione e la presentazione di un’istanza di accertamento di conformità per le rimanenti opere in concreto seguite, tenuto conto che l’art. 36 ha la funzione di sanare l’abuso commesso, ragion per cui, ove l’abuso sia unitario, la domanda deve avere ad oggetto il complessivo intervento realizzato e, quindi, l’insieme delle opere in cui esso si sostanzia.

L’applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di specie evidenzia l’assenza del requisito della doppia conformità, come correttamente opposto dall’Amministrazione comunale.

Alla stregua di quanto emergente dall’ordinanza di demolizione, non impugnata e, quindi, si ripete, recante un accertamento amministrativo non più controvertibile nella presente sede, l’intervento contestato dall’Amministrazione concerneva la trasformazione tipologica dell’immobile, in violazione dell’art. 5 NTA cit., realizzato attraverso plurimi lavori abusivi elencati alla pag. 1 del medesimo provvedimento ingiuntivo.

Tale intervento assumeva valenza unitaria e, risultando in contrasto con la normativa urbanistica, non poteva essere sanato ex art. 36 D.P.R. n. 380/01: tali considerazioni evidenziano, altresì, l’irrilevanza dell’asserita compatibilità con l’art. 5 NTA e l’art. 28 Regolamento Edilizio delle opere oggetto dell’istanza di sanatoria (elemento valorizzato nell’atto di appello), tenuto conto che, al fine di valutare la sussistenza dei presupposti di accoglimento della domanda ex art. 36 DPR n. 380/01, non può aversi riguardo alla singola opera, atomisticamente considerata, bensì all’insieme delle opere, anche non comprese nell’istanza di sanatoria, componenti l’unitario intervento edilizio nella specie realizzato.

Pertanto, valutato l’intervento edilizio risultante dalle opere abusive eseguite dall’appellante e oggetto di ordinanza di demolizione e rimozione, non risultava integrato nella specie il requisito di conformità alla normativa urbanistica (art. 5 NTA cit.) e, pertanto, difettava il presupposto giustificativo del permesso di costruire in sanatoria: come rilevato dal Comune – con decisione correttamente confermata dalla sentenza appellata – la doppia conformità “non può essere “creata” a seguito di modifiche (es. demolizioni parziali o eliminazione di impianti) apportabili al manufatto realizzato in difformità o in assenza del titolo edilizio”, dovendo esistere ab origine.

Tale decisione resiste, altresì, all’ulteriore censura svolta dall’appellante nell’ambito del presente motivo di appello, riferita alla contraddittorietà con il precedente diniego di sanatoria, sia perché la contraddittorietà tra decisioni amministrative, di regola, costituisce un indice sintomatico dell’eccesso di potere, configurabile soltanto a fronte dell’esercizio del potere discrezionale, non ricorrente nella specie, in cui si fa questione di attività vincolata; sia perché anche il primo diniego, dopo aver previsto l’impossibilità di chiedere una sanatoria per singole parti, valorizzava l’esigenza di provvedere all’eliminazione/rimessione in pristino di quanto in contrasto con l’art. 5 NTA, rendendo evidente l’impossibilità di sanatoria, a fronte di una “complessiva e abusiva trasformazione delle caratteristiche tipologiche dell’immobile … in violazione dell’art. 5 delle N.T.A. del PRG comunale”, il che è coerente con il secondo diniego di sanatoria.

Difatti, l’odierno appellante, a fronte di un complessivo intervento di trasformazione tipologica dell’immobile, illecito in quanto in contrasto con l’art. 5 NTA, avrebbe dovuto rimuovere e demolire interamente le opere abusive, non potendo scomporre un intervento unitario nelle sue singole opere realizzative, rimuovendone alcune e chiedendo la sanatoria di altre; il che costituisce il fondamento sia del primo che del secondo diniego di sanatoria.

Infine, si osserva che, diversamente da quanto contestato dall’appellante, l’Amministrazione ha specificato, anche, le norme urbanistiche violate, richiamando il provvedimento di diniego sia l’art. 5 NTA al PRG comunale, sia (nella ricostruzione delle vicende amministrative susseguitesi nel tempo con riferimento all’immobile di proprietà dell’appellante) l’ordinanza di demolizione n. 42/13, incentrata proprio sulla realizzazione di opere violative dell’art. 5 NTA cit.

Sebbene la ravvisata legittimità della prima ratio decidendi sottesa al provvedimento di diniego sia sufficiente per confermare la legittimità del provvedimento amministrativo, comunque sorretto da un’autonoma ragione giustificatrice, il Collegio rileva che anche la seconda ratio decidendi, incentrata sulla mancata ottemperanza all’ordinanza di demolizione, censurata con il motivo di appello in esame, risulta immune da vizi di legittimità.

Come emerge dal primo verbale di sopralluogo del 21.10.2013 (doc. 5 produzione di primo grado dell’Amministrazione comunale), scaduto il termine di novanta giorni assegnato all’appellante con l’ordinanza n. 42 del 2013 per la demolizione e rimozione delle opere abusive, permanevano gli impianti di allacciamento alla rete di distribuzione del gas, rete elettrica, acqua potabile ed altri scarichi acque nere, solo mascherati da fogli di carta; permanevano nei punti ove erano installati i blocchi cucina le ceramiche a muro, e gli attacchi dei pensili degli stessi; nonché permanevano le murature in argilla per ricavare nel piano interrato 14 autorimesse con i basculanti in ferro.

Pure prescindendo dalle murature in argilla ancora presenti nel piano interrato, oggetto di istanza di sanatoria non ancora decisa, lo stato dell’immobile come attestato nel verbale sub doc. 5 cit. e dalla documentazione fotografica ad esso allegata risultava incompatibile con una corretta ottemperanza all’ordinanza n. 42 del 2013.

Difatti, tale provvedimento ingiuntivo aveva ordinato, tra l’altro, la demolizione e la rimozione, altresì, delle seguenti opere: “3. Nei piani terra, primo e sottotetto, la realizzazione di punti d’allacciamento alla rete distribuzione del gas, rete elettrica e agli scarichi acque nere per consentire il collegamento /allacciamenti, di n. 18 blocchi/cucina, composti da frigorifero, cucina a gas e lavello in locali autorizzati con la destinazione specifica a “disbrigo”-“camera”-“stireria-guardaroba”-“camera-ospiti”-“studio”.

Il punto 3 dell’ordinanza n. 42/13, pertanto, non faceva riferimento alla sola realizzazione dei punti di allacciamento alla rete distribuzione del gas, rete elettrica e agli scarichi acque nere, ma richiamava, altresì, la realizzazione di detti punti di allacciamento per consentire il collegamento /allacciamento di n. 18 blocchi/cucina, composti da frigorifero, cucina a gas e lavello in locali autorizzati con la destinazione specifica a “disbrigo”-“camera”-“stireria-guardaroba”-“camera-ospiti”-“studio.

L’ottemperanza all’ordinanza di demolizione e rimozione emessa dal Comune, dunque, avrebbe richiesto non soltanto la rimozione di detti punti di allacciamento, ma anche il ripristino dell’originaria destinazione d’uso dei locali, espressamente valorizzata nell’ordinanza di demolizione (disbrigo, camera, stireria, guardaroba, camera ospiti e studio), impedendo la perdurante possibilità di collegamento/allacciamento dei contestati blocchi cucina.

Pertanto, la parte appellante avrebbe dovuto rimuovere i punti di allacciamento e coprire gli impianti con materiale non precario, essendo a tale fine del tutto insufficiente un mero foglio di carta, rilevato alla data del primo sopralluogo.

Peraltro, la mancata ottemperanza all’ordinanza di demolizione emerge, altresì, dalla verificazione disposta in grado di appello, che a pag. 26, avendo riguardo alla situazione esistente alla data del secondo diniego di sanatoria, rileva la perdurante presenza, anche dopo la posa in opera dell’intonaco a copertura dell’impiantisca, realizzata comunque successivamente al sopralluogo del 21.10.2013 (cfr. verbale di secondo sopralluogo del 3.12.2013 sub doc. 6 produzione Comune primo grado, in cui si attesta “in ognuno dei 20 alloggi ricavati, che al posto del foglio di carta precedentemente posto nei singoli locali a mascheramento degli impianti è stato recentemente (e comunque successivamente al sopralluogo del 21.10.2013) posto dell’intonaco…”), di “elementi atipici per locali non adibiti a cucina, quali le piastrelle in ceramica con funzione da paraspruzzi sui muri ove erano posizionati i blocchi cucina, unitamente alle barre per l’ancoraggio dei relativi pensili, immagini tratte dalla relazione di sopralluogo effettuato in data 03-12-2013 e redatta dal geometra Massimo Destro”.

Pur essendo autonomamente idonea a sorreggere il secondo diniego di sanatoria la ratio decidendi del provvedimento amministrativo incentrata sulla carenza del requisito della doppia conformità, risultando l’immobile complessivamente valutato ab origine incompatibile con la pertinente disciplina urbanistica (art. 5 NTA cit.), elemento da solo sufficiente a negare la possibilità dell’accertamento in conformità; anche l’ulteriore ratio decidendi incentrata sull’inottemperanza all’ordinanza di demolizione e, quindi, alla persistente illiceità dell’immobile, deve ritenersi pertanto confermata dagli atti di causa.

4.2 Con una seconda censura (II.2) è contestato il capo di sentenza con cui il Tar ha rigettato il secondo ricorso per motivi aggiunti, riferito al provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale.

In particolare, la ricorrente deduce di avere ottemperato all’ordinanza di demolizione, come comprovato dai verbali di accertamento del 29.10.2013 e del 3.12.2013, venendo, dunque, meno il presupposto dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale; né potrebbe argomentarsi sulla base della mancata rimozione degli impianti di allacciamento alla rete di distribuzione del gas, rete elettrica, acqua potabile ed agli scarichi acque nere, tenuto conto che, da un lato, siffatta rimozione non risultava oggetto dell’ordine di demolizione e rimessa in pristino, dall’altro, la presenza degli impianti risultava necessaria per l’abitabilità dell’edificio; né, ancora, avrebbe potuto farsi riferimento all’omesso ripristino riferito alle opere di cui al punto 1 del provvedimento di demolizione, in quanto oggetto di richiesta di sanatoria ancora non riscontrata.

La volontà di ottemperare all’ordinanza di demolizione emergerebbe anche dalla rimozione dei misuratori di consumo dell’impianto a gas e delle tubazioni di raccordo con l’interno, dei misuratori dell’impianto elettrico e del relativo collegamento tra le condutture, nonché dell’accesso allo scarico delle acque nere mediante sigillatura con tappo e collante.

Il motivo di appello risulta infondato.

Al riguardo, deve trovare applicazione l’indirizzo giurisprudenziale, in forza del quale “la presentazione di una istanza di sanatoria, ex art. 36 D.P.R. 380/2011, non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso; non vi è dunque una automatica necessità per l’amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione. La domanda di accertamento di conformità determina un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione, ma tale inefficacia opera in termini di mera sospensione. In caso di rigetto dell’istanza di sanatoria, l’ordine di demolizione riacquista la sua efficacia (Cfr. Cons. St. 2681/2017, Cons. St. 1565/2017, Cons. St. 1393/2016, Cons. St. 466/2015, Cons. St. 2307/2014)” (Consiglio di Stato, sez. VI, 10 dicembre 2018, n. 6954).

Pertanto, una volta rigettata l’istanza di accertamento di conformità, l’ordinanza di demolizione riprende a produrre i propri effetti giuridici, ragion per cui, in caso di sua inosservanza entro il termine assegnato, si determina, altresì, l’acquisizione ex lege del bene abusivo al patrimonio comunale, giusta la previsione dell’art. 31, comma 3, DPR n. 380/01.

Avuto riguardo al caso di specie, risulta che l’Amministrazione appellata ha negato, per la seconda volta, il rilascio del permesso di costruire in sanatoria con provvedimento n. 3805 del 2014: tale atto, benché impugnato con motivi aggiunti, non è stato sospeso nella sua efficacia giuridica.

Il ricorrente in primo grado, difatti, ha proposto domanda cautelare soltanto con il secondo ricorso per motivi aggiunti, riferito al provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale, costituente l’oggetto dell’ordinanza cautelare n. 615 del 1.12.2016 emessa dal Tar, peraltro caducata all’esito della sentenza di merito.

Pertanto, una volta rigettata la seconda istanza di sanatoria con provvedimento comunale non sospeso, l’ordine di demolizione n. 42 del 2013 aveva riacquistato pieni effetti giuridici, imponendo all’odierno appellante l’integrale rimozione e demolizione di tutte le opere ritenute abusive dall’Amministrazione, ivi comprese quelle oggetto di istanza di sanatoria denegata dal Comune procedente.

Ne deriva, quindi, che l’appellante avrebbe dovuto eliminare e rimuovere, oltre che integralmente le opere di cui al punto 3 dell’ordinanza n. 42 del 2013 (in relazione alle quali si rinvia a quanto osservato nella disamina del precedente motivo di appello circa l’ottemperanza soltanto parziale all’ordine di demolizione e rimozione) anche l’abuso contestato al punto 1 del medesimo provvedimento n. 42 del 2013, rappresentato dalla costruzione nel piano interrato di murature in argilla espansa per ricavare n° 14 autorimesse ed installazione dei corrispondenti basculanti in ferro; non potendo un’ottemperanza parziale all’ordine di demolizione impedire il verificarsi dell’effetto acquisitivo, altrimenti favorendosi comportamenti dilatori dell’interessato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 26 novembre 2018, n. 6672). Risulta, quindi, legittimo il provvedimento di acquisizione impugnato in primo grado, in quanto correttamente incentrato sulla necessità che “l’ottemperanza all’ordine di ripristino non può che essere totale e mai parziale” (pag. 3 provvedimento n. 81 del 27.7.2016 sub doc. 31 fascicolo ricorrente in primo grado).

Tenuto conto che nel caso in esame, una volta ripresa l’efficacia dell’ordinanza di demolizione e per i successivi novanta giorni, l’odierno appellante non ha provveduto all’integrale ottemperanza all’ordine di demolizione - risultando perfino all’attualità ancora non demolite nel piano interrato le murature in argilla espansa per ricavare n° 14 autorimesse ed installazione dei corrispondenti basculanti in ferro (cfr. pag. 6 verificazione) – l’effetto acquisitivo al patrimonio comunale previsto dall’art. 31, comma 3, D.P.R. n. 380/01 deve ritenersi realizzatosi ex lege; né tale effetto, come osservato, potrebbe essere impedito da un’ottemperanza parziale, specie ove, come nella specie, le singole opere abusive sono oggetto di considerazione unitaria nell’ambito dell’ordine di demolizione, in quanto funzionalmente strumentali alla realizzazione di un complesso intervento edilizio illecito, rappresentato dal “frazionamento” dell’immobile da bifamiliare – 2 alloggi – a condominiale 20 alloggi e ciò in contrasto con quanto consentito dalle NTA del PRG e riportate nel permesso costruire per cui l’abuso edilizio rientra nella fattispecie dell’articolo 92, comma 3 della L.R. 61/1985”.

4.3 Con una terza censura (II.3) si contesta il capo di sentenza con cui il Tar ha ritenuto che l’intero immobile fosse abusivo, quando, invece, il fabbricato residenziale e le tre autorimesse oggetto del provvedimento di acquisizione gratuita risultavano regolarmente assentiti; sicché gli stessi non potevano essere acquisiti al patrimonio comunale e comunque una tale decisione avrebbe richiesto un’adeguata motivazione, nella specie carente.

Anche tale motivo di appello non è meritevole di accoglimento.

Il provvedimento di acquisizione al patrimonio comunale ha ad oggetto il bene abusivo, da individuare nella specie -alla stregua del contenuto precettivo dell’ordinanza di demolizione e ripristino rimasta inottemperata- nell’intero edificio di proprietà dell’appellante.

Come già osservato nella disamina dei superiori motivi di impugnazione, con l’ordinanza di demolizione n. 42/13 cit. l’Amministrazione comunale non ha constatato l’esistenza di singole opere abusive, suscettibili di autonomo apprezzamento, bensì ha “verificato che è stata autorizzata la realizzazione di due alloggi mentre le modifiche effettuate con le opere edilizie murarie e quelle impiantistiche idrotermosanitarie-gas-elettrico per consentire l’allacciamento dei blocchi cucina alla rete di adduzione del gas, alla rete idrica, alla rete elettrica ed agli scarichi acque nere hanno, di fatto, comportato il “frazionamento” dell’immobile da bifamiliare – 2 alloggi – a condominiale 20 alloggi e cià in contrasto con quanto consentito dalle NTA del PRG e riportate nel permesso costruire per cui l’abuso edilizio rientra nella fattispecie dell’articolo 92, comma 3 della L.R. 61/1985”.

Le opere edilizie elencate ai punti 1-3 della prima pagina dell’ordine di demolizione hanno, quindi, comportato la trasformazione tipologica dell’edificio, da ritenersi quindi interamente abusivo, perché recante un numero di alloggi superiore a quello prescritto dall’art. 5 NTA cit., accertamento recato nel provvedimento comunale n. 42/13 non impugnato e, quindi, non più contestabile nella presente sede.

In particolare, l’Amministrazione ha riscontrato con il provvedimento di demolizione che “l’intervento è stato eseguito pertanto in totale difformità e con variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire avendo realizzato un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche da quello oggetto del permesso stesso (art. 31 del D.P.R. 380/2001) e con variazioni essenziali per modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato (art. 32 lettere c, d, del D.P.R. 380/2001). Le opere anzidette si annoverano tra i lavori soggetti a permesso a costruire di cui all’art. 10, comma 1, lett. a del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e sono applicabili le sanzioni di cui all’art. 31 del citato D.P.R. e quelle penali dell’art. 44 del medesimo D.P.R.”.

Ne deriva che, risultando le singole opere edilizie strumentalmente connesse per la realizzazione di un intervento abusivo unitario, interessante l’intero immobile, la mancata ottemperanza all’ordine di demolizione e rimozione ha comportato l’acquisizione al patrimonio comunale dell’immobile abusivo, giusta la previsione dell’art. 31, comma 3, D.P.R. n. 380/01: siffatta disposizione, nel regolare l’oggetto dell’acquisizione, fa espresso riferimento al “bene” abusivo, rappresentato nella specie dall’intero edificio di proprietà dell’appellante, illecitamente frazionato in immobile condominiale con 20 alloggi.

4.4 Con una quarta censura (erroneamente contraddistinta nell’atto di appello sempre con il numero II.3, al pari di quanto avvenuto per il precedente motivo di appello) la società ricorrente ha censurato il capo di sentenza con cui il Tar ha ritenuto che il Comune non fosse tenuto a rendere alcuna ulteriore motivazione sull’acquisizione gratuita, non essendo stata individuata un’area più ampia di quella di sedime e di pertinenza da acquistare.

Tale statuizione sarebbe erronea, in quanto pronunciata in violazione dell’art. 92 L.R. Veneto n. 61/1985, in forza del quale dovrebbero essere esplicitati il criterio ed i parametri urbanistici ed edilizi per la determinazione dell’area da acquisire: nella specie le opere abusive risultavano individuate soltanto nei punti di allacciamento alle reti di distribuzione, nei parapetti nei poggioli e nelle murature di separazione dei posti auto con i relativi basculanti, quando, invece, il provvedimento di acquisizione ha riguardato l’intero immobile, non abusivo.

Anche tale motivo risulta infondato.

Premesso che l’ordinanza di demolizione e ripristino rimasta inottemperata aveva riguardo all’intero immobile, ritenuto abusivo, alla stregua di quanto già osservato anche nella disamina del precedente motivo di appello, risulta che l’Amministrazione ha dettagliatamente individuato l’area e il bene acquisito al patrimonio comunale.

Difatti, il provvedimento di acquisizione impugnato in prime cure, a pag. 4, specifica quale sia l’area acquisita, individuata “nelle immediate pertinenze e coincidente con l’area di sedime dell’immobile contraddistinta al NCT foglio 2 mappale 1436 di are 10 centinare 40 (mq 1040) e sulla quale insiste l’immobile abusivo contraddistinto al NCEU foglio 2 mappale 1436 subalterni dal 4 al 22”, con accesso all’area “per il percorso pedonale dalla strada pubblica Via A. Cervi e per quello carraio di mappali 589-919 del foglio 2 di proprietà del Comune di Ponte San Nicolò”.

L’Amministrazione, altresì, ha individuato l’immobile attraverso i pertinenti riferimenti catastali, facendo riferimento al “fabbricato ad uso abitazione, contraddistinto al N.C.T. del Comune di Ponte San Nicolò, Via A. Cervi, n. 25 e 25/a foglio 2 particella 1436 Ente Urbano di are 10.40 ed al C.E.U. Comune di Ponte San Nicolò foglio 2”, con specificazione del mappale 1436 e degli ulteriori dati catastali riportati per ciascun subalterno al pag. 4 dell’atto impugnato.

Il Comune ha operato l’identificazione dell’immobile anche sulla base della visura catastale allegata al provvedimento e dell’estratto di mappa con indicazione dei beni abusivi in colore rosso.

Come precisato da questo Consiglio, “Mentre, infatti, la sanzione dell'acquisizione al patrimonio comunale dell'area di sedime, oltre quella necessaria all'edificazione di opere analoghe a quelle abusive, si verifica ex lege una volta decorso infruttuosamente il termine di novanta giorni dalla notificazione dell'ordinanza, sicché per l'area di sedime l'automatismo dell'effetto acquisitivo rende superflua ogni motivazione sul punto e l'individuazione delle stesse può evincersi anche dalla descrizione degli interventi sanzionati, l'individuazione di un'area ulteriore da acquisire deve essere puntuale e giustificata dalla ricorrenza di una esplicitazione delle opere necessarie ai fini urbanistico - edilizi che siano destinate ad occupare l'intera zona di terreno che il Comune intende acquisire.” (Consiglio di Stato, sez. IV, 19 ottobre 2017, n. 4837); ragion per cui “l’Amministrazione è gravata da un preciso onere motivazionale quanto decida di acquisire un’area interessata da opere abusive nella misura massima di dieci volte l’estensione dell’area di sedime” (Consiglio di Stato, sez. VI, 27 agosto 2019, n. 5911).

Ne deriva che l’Amministrazione ha adeguatamente individuato con pertinenti criteri e parametri l’area e il bene di acquisire al patrimonio comunale, avendo riguardo al fabbricato abusivo, oggetto dell’ordinanza di demolizione e rimozione non interamente ottemperata, e alla relativa area di sedime, senza provvedere ad acquisire aree aggiuntive, in relazione alle quali sarebbe stata necessaria una specifica motivazione.

5. La legittimità degli atti impugnati in primo grado osta all’accoglimento della domanda di condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni asseritamente provocati dalla condotta provvedimentale ascritta all’ente comunale.

6. Le spese processuali sono regolate secondo il criterio della soccombenza, gravando, pertanto, sulla parte appellante e in favore del Comune appellato, nonché sono liquidate nella misura indicata in dispositivo. Nessuna statuizione sulle spese deve essere, invece, emessa nei confronti della Regione Veneto, in assenza di sua costituzione in giudizio.

A carico della parte appellante devono essere poste, altresì, le spese di verificazione, il cui regime è correlato al riparto delle spese processuali (in termini, Consiglio di Stato, sez. VI, 11 dicembre 2015, n. 5632).

Il verificatore ha domandato il riconoscimento di € 9.851,74 a titolo di onorario ed € 305,60 per spese di viaggio, per un importo complessivo di € 10.157,94.

Al riguardo, tenuto conto delle previsioni e dei criteri di cui agli artt. 50 e 51 D.P.R. 30/05/2002 n. 115 e al D.M. 30 maggio 2002, costituente parametro assumibile nel presente caso a fondamento della liquidazione, il Collegio ritiene che la complessità delle questioni oggetto di verificazione e la completezza della prestazione eseguita possano consentire la liquidazione del compenso spettante al verificatore nella misura richiesta (€ 9.851,74), essendo rispettati, altresì, i limiti di cui all’art. 52 D.P.R. n. 115/02. Parimenti, deve essere riconosciuto l’importo richiesto di € 305,60 a titolo di rimborso spese, coerente con l’attività espletata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, rigetta l’appello e, per l'effetto, conferma la sentenza appellata.

Condanna la parte appellante, Societa’ Biquattro Immobiliare S.A.S., al pagamento in favore del verificatore nominato delle spese di verificazione, liquidate nella misura di complessivi € 9.851,74 a titolo di onorario ed € 305,60 per spese di viaggio.

Condanna la parte appellante, Societa’ Biquattro Immobiliare S.A.S., al pagamento in favore del Comune appellato costituito in giudizio delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano complessivamente in € 5.000,00 (cinquemila/00) oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2019 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

Francesco De Luca, Consigliere, Estensore