Consiglio di Stato Sez. II n. 23 del 2 gennaio 2023
Urbanistica.Ordine di demolizione
Stante la sua finalità, l’ordine di demolizione è un atto a contenuto c.d. vincolato, nel quale non si può dare corso a valutazioni di tipo discrezionale in ordine agli interessi in gioco; come pure deve escludersi che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. E’ quindi del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia motivato in relazione al rilevato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali. Nella fattispecie, l’ordinanza descrive adeguatamente gli interventi edilizi rilevati a seguito di sopralluogo e richiama puntualmente i vincoli di inedificabilità e di conservazione dei caratteri agricoli vigenti sull’area, oltre ai riferimenti alla normativa urbanistico-edilizia applicabile, che consente esclusivamente opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo. (segnalazione Ing. M. Federici)
Pubblicato il 02/01/2023
N. 00023/2023REG.PROV.COLL.
N. 03849/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3849 del 2022, proposto da Pier Maria Malvezzi Campeggi e Im.Co.Tur. S.r.l., rappresentati e difesi dall'avvocato Federico Bonoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Tarquinia, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 2878/2022, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 novembre 2022 il Cons. Stefano Filippini e udito l’Avv. Federico Bonoli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’originario ricorso al TAR per il Lazio il Sig. Malvezzi e la Società IM.CO.TUR. S.R.L. impugnavano l’ordinanza di demolizione e ripristino stato dei luoghi n. 168 del 27.05.2019 con cui il Comune di Tarquinia aveva ingiunto loro in via solidale (in qualità rispettivamente di responsabile dell’abuso – nonché usufruttuario – e nuda proprietaria) la demolizione di opere abusivamente realizzate nonchè la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, per interventi eseguiti in assenza/difformità dai titoli edilizi su quattro immobili facenti parte di un complesso ubicato in località Doganella, area ricadente in zona F, sottozona F2 “parco archeologico”, interessata da vincolo di inedificabilità e conservazione degli eventuali caratteri agricoli ai sensi dell’art. 12 delle N.T.A. del vigente P.R.G., oltre che sottoposta a tutela paesaggistica ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. m) del d. lgs. n. 42/2004 (aree archeologiche).
Dinanzi al TAR i ricorrenti proponevano i seguenti motivi di censura:
- violazione ed errata applicazione e interpretazione di legge, per assenza di idonea motivazione, in quanto l’ordinanza non precisava se le opere contestate fossero state realizzate in assenza dei titoli edilizi o in difformità dagli stessi, tenuto conto che si trattava soltanto di interventi di rifacimento e consolidamento di strutture preesistenti (essenzialmente rifacimento di tetti ammalorati e pericolanti, come da comunicazione di inizio lavori del 13.10.2011), nonché per mancanza del parere di organi tecnici e mancata indicazione della qualifica del firmatario del provvedimento.
- Eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà manifeste e travisamento dei fatti in ragione della circostanza che l’ordinanza era stata emessa in assenza del parere di organi tecnici e non specificava la natura delle violazioni contestate.
- Eccesso di potere ed errore per travisamento dei fatti, per generica indicazione delle particelle catastali interessate dai fabbricati e delle contestazioni mosse ai diversi soggetti destinatari dell’ordinanza, nonché illogicità, contraddittorietà e impossibilità dell’intimazione di ripristino dello stato dei luoghi, senza distinzioni di sorta.
- Violazione ed errata applicazione ed interpretazione di legge. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà manifeste. Violazione del principio di buon andamento e di quello di correttezza e buona fede, in quanto il vincolo archeologico insistente sull’area non comporterebbe un divieto assoluto di manutenzione, attesa la compatibilità di tutti gli interventi (descritti nel dettaglio e consistenti essenzialmente nel rifacimento di tetti ammalorati, senza modifiche di sagoma o strutturali) rispetto al P.T.P.R. e al medesimo vincolo nonché la preesistenza di tutti i fabbricati alla data del 2.5.1962 e persino al P.R.G. del Comune di Tarquinia (del 1971), come da documentazione anche fotografica prodotta.
Il Comune convenuto non si costituiva in giudizio, ma depositava una documentata relazione di chiarimenti in merito ai contenuti del gravato provvedimento, precisando che tutte le opere di ristrutturazione, nuova costruzione e ampliamento ivi indicate, risultavano non conformi alla normativa urbanistico-edilizia vigente, nonché realizzate in assenza delle prescritte autorizzazioni in materia di tutela storico-ambientale e interventi strutturali in zona sismica, depositando due foto aeree di raffronto risalenti agli anni 2005 e 2019 e due estratti delle mappe catastali del 1955 e del 2019.
I ricorrenti depositavano una relazione tecnica di replica alle osservazioni del Comune, rappresentando che le opere consistevano in interventi di rifacimento dell’impermeabilizzazione di edifici esistenti sin dai primi anni 50, come dimostrato da fotografie del 1968 e 1978 già versate in atti.
All’esito di ulteriori deduzioni e produzioni, il TAR disponeva una verificazione, tesa ad appurare se l’epoca di realizzazione degli immobili fosse anteriore o meno al 1967. Seguiva il deposito della relazione di verificazione e di ulteriori osservazioni di parte.
Con la sentenza in epigrafe indicata il TAR ha rigettato il ricorso.
A sostegno della decisione, il primo giudice, quanto ai primi due motivi di ricorso, ha richiamato la consolidata giurisprudenza amministrativa in tema di motivazione dei provvedimenti come quello per cui è causa, rilevando che l’ordinanza impugnata contiene una sufficiente descrizione delle opere abusivamente realizzate (in totale quattro), con indicazione, per ciascuna di esse, della specifica tipologia e portata degli interventi effettuati, delle variazioni circa i materiali utilizzati e degli ampiamenti dimensionali (segnatamente, “1. ristrutturazione di un manufatto ad uso magazzino/deposito tramite il rifacimento totale della copertura”, “2. sostituzione totale di una parte della copertura”, “3. realizzazione di una tettoria ad uso ricovero attrezzi agricoli” e “4. ristrutturazione edilizia e ampiamento di un manufatto ad uso magazzino/deposito”, rispetto al quale viene altresì accertata la “sostituzione integrale della copertura e modifica dei prospetti oltre che la sostituzione degli infissi e il rifacimento delle finiture interne”), così da rendere pienamente intellegibile la natura degli abusi contestati; irrilevante è poi giudicata la pretesa genericità del riferimento alla “mancanza/difformità” dai titoli edilizi, atteso che l’art. 31, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 prevede identica sanzione (rimozione o demolizione) per gli interventi realizzati in “assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32”; quanto alla portata dell’ordine impartito dall’Amministrazione comunale, di contenuto sostanzialmente ripristinatorio, la stessa, attesa la pluralità di abusi contestati, comportava sia interventi di demolizione che di rimozione di opere; quanto alla mancata preventiva acquisizione del parere di organi tecnici, oltre a trattarsi di adempimento non prescritto dalla legge, doveva considerarsi che l’accertamento dell’abuso è stato effettuato da organi tecnicamente attrezzati (l’architetto funzionario tecnico dell’Ufficio Controlli edilizi e un ufficiale di Polizia Giudiziaria della locale stazione dei Carabinieri Forestale); quanto alla omessa indicazione della qualifica del soggetto firmatario dell’ordinanza, il provvedimento in questione risultava firmato digitalmente dal Responsabile dell’Ufficio accertatore, fermo restando che l’omessa indicazione del responsabile del procedimento non costituisce un motivo di invalidità del provvedimento finale.
Infondato risultava anche il terzo motivo di ricorso, escludendosi una patologica genericità dell’ordinanza sia quanto alla indicazione delle particelle catastali sulle quali insistono i manufatti abusivi (atteso che le opere abusive sono state compiutamente descritte), sia quanto alla mancata distinzione delle contestazioni mosse nei confronti dei due soggetti destinatari dell’ordine demolitorio/ripristinatorio (in quanto l’ordinanza è stata notificata al Sig. Malvezzi Campeggi “in qualità di usufruttuario” e “responsabile dell’abuso edilizio”, nonché alla Società IM.CO.TUR. “in qualità di nuda proprietà”), come prescritto dall’art. 31 del Testo unico dell’edilizia.
Né poteva ravvisarsi vizio dell’ordinanza in merito alla motivazione circa la specifica tipologia e portata degli abusi contestati e da rimuovere, tutti sufficientemente descritti; mentre, per l’ipotesi della pretesa impossibilità di ripristino dello stato dei luoghi (con riferimento alle opere di rifacimento dei tetti vetusti e ammalorati), il Testo unico dell’edilizia prevede che tali situazioni debbano essere valutate nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione.
Quanto all’ultimo e più complesso motivo di ricorso, essenzialmente incentrato sulla asserita preesistenza di tutte le opere contestate alla data del 2/5/1962, nonché sulla compatibilità delle opere effettuate rispetto ai vincoli archeologici e paesaggistici, il TAR ha premesso il rilievo che le opere di causa sono ubicate all’interno di un “parco archeologico” del vigente P.R.G., in sottozona F2 che “comprende aree ricche di preesistenze archeologiche che costituiscono il maggior pregio del Comune di Tarquinia”, sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta ed alla conservazione degli attuali caratteri agricoli, assoggettata a vincolo paesaggistico come “zona di interesse archeologico” ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. m) d. lgs. n. 42/2004 e come “area tipizzata del piano paesistico” ai sensi dell’art. 134, comma 1), lett c) d.lgs. n. 42/2004 nell’ambito dei “beni puntuali diffusi, testimonianza dei caratteri identitari archeologici e storici e relativa fascia di rispetto di 100 metri”; gli immobili inoltre ricadono nella “area tampone” del sito delle Necropoli Etrusche di Cerveteri e Tarquinia, dichiarato Patrimonio Mondiale dell’Umanità con iscrizione nella lista UNESCO n. 1158/2004.
Ciò posto, all’esito della disamina delle risultanze della verificazione e delle osservazioni di parte, il TAR ha così concluso:
- quanto al primo manufatto (struttura rettangolare a destinazione non residenziale con funzioni di deposito o magazzino), di cui l’Amministrazione comunale contesta la ristrutturazione con rifacimento totale della copertura con struttura portante lignea, trattasi di opera successiva al 1956 come impianto, seppure verosimilmente anteriore alla c. d. legge “ponte” n. 761 del 1967, che però è stata poi interessata da “crolli diffusi della copertura e forse anche delle murature”, come comprovato dalla documentazione fotografica aerea del 2000, 2005 e del 2012, posta in raffronto con le immagini databili fino al 1996; quindi risulta dimostrata l’avvenuta “ristrutturazione” del manufatto “con rifacimento totale della copertura con struttura portante lignea”, in considerazione della avvenuta realizzazione del nuovo edificio in sostituzione di una porzione di rudere costituito apparentemente da pareti perimetrali e senza copertura, il tutto in assenza di permesso di costruire, di autorizzazione paesaggistica nonché degli adempimenti di legge per gli interventi strutturali in zona sismica (cfr. relazione di chiarimenti del verificatore); e dunque, trattandosi di ricostruzione di un manufatto parzialmente crollato, secondo la giurisprudenza amministrativa si è al di fuori del concetto di “ristrutturazione edilizia” (cfr., Cons. St., sez. VI, 2.9.2020, n. 5350) e, quand’anche si ritenesse di poter qualificare l’intervento come di “ristrutturazione edilizia” ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380/2001, sarebbe stato comunque necessario il relativo titolo edilizio, non essendo all’uopo sufficiente la comunicazione di inizio lavori per “manutenzione straordinaria” effettuata dalle parti private; peraltro, trattandosi di intervento eseguito su immobile vincolato ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. m) del d. lgs. n. 42/2004, difetta anche la preventiva autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 del medesimo d. lgs., in quanto l’importanza dell’intervento pone quest’ultimo al di fuori della limitata portata del punto A.2 dell’allegato A al d.P.R. n. 31/2017, che esonera dal previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica solo gli interventi di lieve entità ivi contemplati; così come carente è l’autorizzazione della Soprintendenza Archeologica.
-Quanto al secondo manufatto (l’edificio di forma quadrangolare, parte della costruzione principale, rispetto al quale l’ordinanza di causa ha contestato la sostituzione integrale di una parte della copertura di uno degli edifici che costituiscono il corpo principale del complesso rurale “con struttura portante lignea a due orditure”), il TAR ha affermato che l’intervento ricade senza alcun dubbio (come dimostrato dalla fotografia del 2019) tra gli interventi assoggettati ad autorizzazione paesaggistica per la evidente trasformazione dello stato dei luoghi (consistente, quanto meno, nella modifica dei materiali e colori), nonché assoggettato ad idoneo titolo edilizio abilitativo da individuare in funzione delle eventuali variazioni essenziali operate ai sensi dell’art. 17 della L.R. 15/08 ed agli adempimenti di legge per gli interventi strutturali in zona sismica; del resto, ex art. 17, comma 3, della L.R. n. 15/2008 e art.32, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, tutti gli interventi effettuati su immobili sottoposti a vincolo archeologico, non inclusi nell’elenco di cui al comma 1, “sono considerati variazioni essenziali” (e il comma 2 dell’art. 31 del citato d.P.R. prevede la demolizione per gli interventi che comportano variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32); per giunta, difetta l’autorizzazione paesaggistica, essendo escluse le sole modifiche delle coperture di edifici eseguite nel rispetto degli eventuali piani del colore vigenti nel comune e delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti, laddove, nel caso di specie, la documentazione fotografica presente in atti attesta in modo evidente che tali caratteristiche non risultano essere state rispettate.
-Quanto all’edificio di cui al punto 3 dell’ordinanza (tettoia con funzione di ricovero di attrezzi agricoli), secondo le conclusioni del verificatore “al 1967 non è esistente, non è visibile dalla foto aerea del 1968 mentre è apprezzabile solo da quella del 1978; la struttura, inoltre, mostra una muratura di una fattura non confrontabile con le altre presenti nel complesso architettonico e databili al 1967 o anteriormente a tale anno”. Sicchè il TAR, considerando i convergenti riscontri (cfr. pag. 15 della relazione di verificazione supportati da documentazione fotografica), quali la muratura (che “appare differente per posa in opera e composizione da quella evidente nell’edificio 1, lato K, ovvero l’edificio esistente al 1968”), la diversa disposizione dei blocchi di tufo, la malta di allettamento dei mattoni (che “è diversa per consistenza, grammatura degli inerti e di tipologia di legante impiegato”), nonché le risultanze fotografiche in atti (cfr. volo AM 1956 142 Civitavecchia_07, fotogramma 2580 del 1956, che “non evidenzia la presenza in situ di tale struttura, ma rivela soltanto l’esistenza di due alberi nei pressi del luogo sul quale la tettoia verrà successivamente elevata”, nonché volo del 25-03-1968, fotogramma 2069 serie 6, dell’Istituto Geografico Militare, “nel quale si apprezza solo l’accrescimento degli alberi e la proiezione a terra dell’ombra della loro chioma”), ha concluso per la posteriorità dell’opera rispetto al 1967, non potendo condividersi, all’esito dell’attenta visone delle fotografie in atti, la deduzione di parte secondo la quale, nella fotografia del 1968, la tettoia sarebbe “parzialmente coperta dalla vegetazione”.
- Quanto, infine, all’edificio di cui al punto 4 dell’ordinanza di causa (il manufatto ad uso deposito/magazzino, adibito a forno), il TAR ha condiviso la relazione di verificazione, secondo cui l’immobile al 1967 era sì esistente, ma aveva forme (impronta a terra) differenti da quelle attuali; forme che risultano conservate fino al 2012, quando una foto aerea caricata sul Geoportale Nazionale evidenziava ancora la medesima conformazione originaria. Invece, la modifica della struttura è stata direttamente riscontrata nel corso del sopralluogo: in particolare, il verificatore ha appurato che “l’antico forno” è stato pesantemente modificato dagli interventi più recenti, con rilevante compromissione dell’originaria struttura muraria a seguito dei “recenti lavori di sistemazione”; sebbene non sia stato possibile accedere all’interno della struttura, sono stati rilevati, sul perimetro esterno del muro, dei flessi, posti in corrispondenza dei punti in cui si è andato ad addossare il nuovo muro all’originario, continuandone l’allineamento; ed infatti, una foto (cfr. volo AM 1956 142 Civitavecchia 07, fotogramma 2580 del 1956) evidenzia la presenza in situ solo di una parte di tale edificio (quella dove era collocato l’antico forno coperta da una unica falda finita a embrici e coppi), mentre la porzione restante, coperta a doppia falda, appare nel fotogramma con una estensione in profondità molto ridotta rispetto all’attuale; analoga condizione emerge dalla foto relativa al volo IGM del 1978, come pure in tutte le foto presenti nel Geoportale Nazionale (riprese del 1988, del 1994, del 2006 e del 2012).
Tali emergenze sono state giudicate inequivoche, atteso il riscontro degli evidenti flessi della muratura causati dalla giunzione della porzione di muro realizzata successivamente (cfr. in particolare le foto in fig. 35 e 36) e la nitidezza della diversa sagoma rilevabile per il fabbricato in parola dalle foto (in particolare, cfr. le aerofoto in fig. 35, riprodotte alle pag. 18 e 19 della relazione), capaci di contrastare adeguatamente la produzione documentale di parte (una fotografia “tratta dall’album di famiglia” e scattata durante la fase di realizzazione del “forno”), che nulla dimostra circa l’inesistenza delle accertate modificazioni strutturali, posto che la medesima foto ritrae soltanto la porzione anteriore del “forno”, non anche quella posteriore, proprio quella dove sono stati rilevati i contestati interventi di ampliamento.
Inoltre, anche la fotografia del 2019, versata in atti dall’Amministrazione, dimostra che il “forno” presenta una dimensione più ampia e, nella sua parte posteriore, una copertura a doppia falda di diverso materiale e colore (nettamente più scuro) rispetto a quella che figura nelle immagini risalenti agli anni precedenti.
E dunque, all’esito dell’articolata disamina predetta, il TAR ha ritenuto di poter considerare ampiamente smentito l’assunto centrale dei ricorrenti, secondo cui “Nessuna modifica ai prospetti è intervenuta in anni recenti, essendo esclusivamente presenti adeguamenti di modesta entità, conseguenti alle mutate esigenze agricole (…) Alcun ampliamento è altresì riscontrabile stante anche la mancata indicazione delle pretese dimensioni difformi dalle attuali. Per il resto è stata unicamente effettuata la ristrutturazione del tetto resasi necessaria per le precarie condizioni della precedente copertura” (cfr. pag. 14 del ricorso); mentre è apparsa fondata l’impugnata ordinanza comunale, che ha contestato proprio l’avvenuta ristrutturazione e ampliamento del manufatto, unitamente alla sostituzione integrale della copertura e modifica dei prospetti (oltre ad altri profili minori).
In definitiva, il ricorso è stato rigettato.
Con tempestivo atto di gravame, Pier Maria Malvezzi Campeggi e la società IM.CO.TUR. Srl, rappresentati e difesi come in atti, hanno dedotto i seguenti motivi di impugnazione:
A) nullità dell’ordinanza di demolizione e ripristino: a1- mancanza di contraddittorio; a2- indeterminatezza del provvedimento non essendo chiaro se lo stesso è stato assunto per assenza dai titoli edilizi o per difformità dagli stessi, mancando altresì l’individuazione esatta delle particelle catastali di insistenza dei fabbricati.
B) contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata circa la preesistenza dei manufatti al 1967; non costituiscono “nuova costruzione” (perché preesistenti alla c. d. legge “ponte” n. 761 del 1967, come pure riconosciuto dal TAR ad eccezione del manufatto n. 3) e in tema di consistenza non è stata considerata la dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa dal Sig. Domenicangelo Catini.
C) violazione ed errata applicazione della legge: posto che i manufatti risalgono a prima del 1968, è errato l’inquadramento normativo su cui il TAR fonda la propria decisione: trattasi esclusivamente di opere di rifacimento e consolidamento di strutture già esistenti e quindi non è necessario il permesso di costruire ex artt. 3, comma 1, lettere c) o d) e 10 del D.P.R. 380/01. La stessa ordinanza impugnata descrive gli interventi eseguiti come relativi ai soli tetti degli immobili: trova dunque applicazione il D.P.R. n. 31/2017, che all’allegato “A”(nello specifico “A.2”) prevede: “interventi sui prospetti o sulle coperture degli edifici,….nel rispetto dei colori , nella specie rispettati ; potendo trovare, altresì, applicazione anche l’articolo 149, lettera a) D.lgs. n. 42 del 2004, denominato: “Interventi non soggetti ad autorizzazione”, nonché l’articolo 22 del D.P.R.380/2015, denominato: “Interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio attività”, esattamente nei termini praticati dagli esponenti.
Quanto poi alle singole opere si deduce:
- in merito all’immobile di cui al punto n.1, anche per il TAR è antecedente al 1968; si desume il crollo del tetto negli anni 1990\2000, ma ciò sulla base di foto Google sfocate e inaffidabili; l’invocato Regolamento comunale del 1927 non si applica alla fattispecie, valendo solo per il perimetro urbano; la sola riparazione o ricostruzione parziale del tetto integra una ristrutturazione edilizia, per la quale è sufficiente la SCIA presentata nel 2011 dalle parti private, non essendo state apportate modifiche di volume e/o sagoma e/o estetiche nel rispetto dei materiali.
- quanto al manufatto di cui al punto n.2, di cui si contesta la diversa colorazione della copertura, il dato tratto dalle foto Google prodotte dal Comune evidenzia solamente che le tegole preesistenti non sono state ancora rimesse, ma giacciono in deposito dopo il blocco del cantiere.
- quanto al manufatto di cui al punto n.3 (denominato tettoia), deve riconoscersi la preesistenza al 1967; le foto interpretate dal verificatore non sono ben leggibili e le piante coprono la struttura; nessuna manutenzione è stata effettuata e comunque non costituisce volume, essendo struttura aperta.
- quanto al manufatto di cui al punto n.4, trattasi di costruzione antecedente al piano regolatore (1975) e precedente all’anno 1962 (primi rilievi fotografici aerei); le piccole modifiche di sagoma rilevate sono comunque indimostrate e semmai riconducibili a crolli e rifacimenti risalenti.
Il Comune di Tarquinia non si è costituito neppure in appello.
Sulle difese e conclusioni in atti, la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 22.11.2022.
DIRITTO
L’appello è infondato.
Quanto ai primi due motivi, le censure, laddove ammissibili, appaiono reiterative degli argomenti già prospettati in primo grado e adeguatamente contrastati dal TAR con motivazione corretta, rispetto alla quale l’appello non introduce profili dirimenti. Invero:
- in relazione alla pretesa nullità dell’ordinanza di demolizione e ripristino, per difetto di adeguata motivazione, idonea a consentire un contraddittorio (in tal senso pare di doversi utilmente intendere il primo motivo di gravame, atteso che la questione della mancanza di contraddittorio preventivo non pare specificamente proposta in primo grado), il TAR ha correttamente rilevato che l’ordinanza impugnata contiene una compiuta descrizione delle opere abusivamente realizzate (in totale quattro), con indicazione, per ciascuna di esse, della specifica tipologia e portata degli interventi effettuati, dei materiali utilizzati e delle relative dimensioni (cfr. ordinanza comunale).
A tal riguardo, rileva il Collegio che, stante la sua finalità, l’ordine di demolizione è un atto a contenuto c.d. vincolato, nel quale non si può dare corso a valutazioni di tipo discrezionale in ordine agli interessi in gioco; come pure deve escludersi che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. E’ quindi del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia motivato in relazione al rilevato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali. Come accennato, nella specie, l’ordinanza descrive adeguatamente gli interventi edilizi rilevati a seguito di sopralluogo e richiama puntualmente i vincoli di inedificabilità e di conservazione dei caratteri agricoli vigenti sull’area, oltre ai riferimenti alla normativa urbanistico-edilizia applicabile, che consente esclusivamente opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo.
Come noto, la natura vincolata del potere esercitato, sia nell’an che nel quid, comporta che non sia dovuta la previa comunicazione dell’avvio del procedimento (art. 7. l. 241/90)., né le garanzie procedimentali integrate dall’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, in quanto non si configura la possibilità di un qualsiasi apporto collaborativo, capace di condurre ad una diversa conclusione della vicenda.
- In relazione alla censura di indeterminatezza della motivazione, che non consente di comprendere se il provvedimento impugnato è stato assunto per assenza dai titoli edilizi o per difformità dagli stessi (mancando l’esatta individuazione delle particelle catastali di insistenza dei fabbricati), il TAR ha adeguatamente osservato che, secondo condivisa giurisprudenza, l’ordinanza di demolizione è da ritenersi sorretta da adeguata e sufficiente motivazione quando l’Amministrazione provvede alla sufficiente descrizione delle opere abusive e alla constatazione della loro esecuzione in assenza del necessario titolo abilitativo edilizio, come è nella specie.
Quanto poi alla asserita genericità del riferimento alla “mancanza/difformità” dei titoli edilizi, il TAR ha già adeguatamente rilevato che l’art. 31, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 prevede l’irrogazione di un’identica sanzione (rimozione o demolizione) per gli interventi realizzati in “assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32”; e, nella specie, l’Amministrazione ha testualmente ingiunto la riduzione in pristino dei luoghi (dunque, il ripristino di una condizione ben conosciuta alla parte privata), con demolizione delle opere estranee.
Né rileva il dato esatto della particella catastale, contenendo il provvedimento impugnato plurimi elementi utili a individuarne l’oggetto, come del resto può desumersi dalle puntuali difese svolte dai destinatari. Irrilevanti allo stato, inoltre, appaiono i profili del coinvolgimento, da parte dell’ordinanza, attraverso la menzione delle particelle catastali, di immobili non interessati agli abusi di specie; invero, ogni problema relativo all’acquisizione pubblica delle aree riguarderà l’eventuale relativa fase.
-Quanto alle censure (lett. B dell’appello) di pretesa contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata in relazione alla datazione dei manufatti, l’argomento non coglie nel segno.
Al riguardo deve considerarsi che il TAR ha effettivamente riconosciuto, per tre delle quattro strutture di causa, la risalenza temporale ad epoca precedente al 1967 (il che esclude l’applicabilità nei loro confronti della c.d. “legge ponte” n. 761 del 1967), ma ciò non risulta affatto dirimente in causa.
Infatti, è ben vero che agli interventi di causa non può applicarsi, come sostenuto dagli appellanti, il Regolamento edilizio di Tarquinia del 1927 (perché destinato a normare le sole costruzioni “erette nella zona dell’abitato del Comune”). Tuttavia, per i tre immobili preesistenti rispetto al 1968, la contestazione che ha mosso il Comune consiste nell’aver rilevato, a seguito del sopralluogo e dell’istruttoria del 2019, l’esecuzione su quei beni di opere edili non consentite, in assenza di titolo idoneo; mentre per quanto riguarda la tettoia (struttura di cui al punto 3 dell’ordinanza comunale), si è contestata “la realizzazione” abusiva, profilo che deve ritenersi fondato alla luce dell’accurata disamina dei rilievi aerofotogrammetrici, dai quali può escludersi, con ragionevole certezza, la possibilità di retrodatare l’opera al periodo ante 1967; né le deduzioni e produzioni delle parti private, sulle quali comunque grava il relativo onere probatorio, hanno potuto superare tale risultanza. Infatti, come si dirà meglio in seguito, l’ampia tettoia di causa non è affatto visibile nelle fotografie antecedenti al 1978; per giunta, anche l’osservazione e analisi della relativa struttura ha evidenziato una muratura di fattura non confrontabile con le altre presenti nel complesso architettonico e databili al 1967 o anteriormente a tale anno.
Tale quadro probatorio neppure risulta adeguatamente contrastato dai ricordi del sig. Catini compendiati nella deposizione scritta in atti, il cui contenuto – in disparte ogni considerazione in ordine alla sua ammissibilità come prova - contrasta in maniera stridente con le ben più attendibili risultanze oggettive della verificazione (quanto alla disamina degli evidenti rifacimenti osservati sulle strutture murarie) e delle foto aeree (quanto ai crolli dei tetti); peraltro, la richiamata dichiarazione appare anche indeterminata quanto all’epoca dell’ultimo accesso del dichiarante sui luoghi di causa.
Quanto alla pretesa violazione di legge di cui al motivo di appello indicato come C), evidente appare al Collegio l’infondatezza del motivo, perché fondato sull’erroneo assunto di parte secondo cui i lavori effettuati consisterebbero esclusivamente in “opere di rifacimento e consolidamento di strutture già esistenti, e in merito all’immobile n. 1, di opere di ristrutturazione edilizia (…), col solo scopo dell’attuare il rifacimento dei tetti ammalorati e pericolanti, senza che ciò abbia comportato modifica alcuna né della struttura, né sia stata apportata alcuna modifica nell’uso dei materiali, né vi sia stata alcuna modifica della superficie, né tanto meno della sagoma dei singoli beni, e certamente non in contrasto con le N.T.A., né con il P.R.G.”; come parimenti erroneo è risultato l’ulteriore assunto di parte, secondo il quale “… gli interventi sono stati effettuati nel rispetto dei materiali, rifiniture e colori, senza che ciò abbia portato ad alcuna modifica della sagoma o del volume degli immobili ristrutturati”.
Al riguardo, giova ribadire ulteriormente che le opere di cui l’Amministrazione comunale ha contestato l’abusività insistono su immobili ubicati all’interno di un importante parco archeologico su cui gravano stringenti vincoli (località Doganaccia, zona F, sottozona F2 “parco archeologico” del vigente P.R.G. approvato con D.G.R. 7/11/1975 n. 3865; la sottozona F2 comprende aree ricche di preesistenze archeologiche che costituiscono il maggior pregio del Comune di Tarquinia). Le aree comprese nella sottozona sono soggette a vincolo di inedificabilità assoluta ed alla conservazione degli attuali caratteri agricoli; l’area in esame è assoggettata anche a vincolo paesaggistico come “zona di interesse archeologico” ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. m) d. lgs. n. 42/2004, come confermato dal P.T.P.R. in vigore alla data dell’accertamento nonché dal successivo P.T.P.R. approvato con deliberazione del Consiglio Regionale n. 5 del 2.08.2019 (pubblicata sul B.U.R.L. n. 13 del 13.02.2020), che qualifica la zona anche come “area tipizzata del piano paesistico” ai sensi dell’art. 134, comma 1), lett c) d.lgs. n. 42/2004 nell’ambito dei “beni puntuali diffusi, testimonianza dei caratteri identitari archeologici e storici e relativa fascia di rispetto di 100 metri; gli immobili inoltre ricadono nella “area tampone” del sito delle Necropoli Etrusche di Cerveteri e Tarquinia, dichiarato Patrimonio Mondiale dell’Umanità con iscrizione nella lista UNESCO n. 1158/2004.
Pacifico, dunque, è il dato secondo cui la vigente normativa urbanistico-edilizia consente esclusivamente opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo.
Punti centrali della controversia, come correttamente operato dal TAR, sono dunque stati costituiti dalla: -datazione dei manufatti; -individuazione di epoca, consistenza e natura delle opere di causa; -possibilità di inclusione delle stesse nel suddetto ristretto perimetro delle opere ammesse; -inclusione delle opere come ricostruite nel titolo autorizzativo presentato dalla parte privata nel 2011.
Come già ricordato, le parti private hanno sostenuto che gli interventi abbiano avuto mera natura conservativa e in particolare, richiamando la propria “comunicazione di inizio lavori del 13 ottobre 2011 ai sensi dell’art. 6, comma 2 D.P.R. 380/2001 per interventi di manutenzione straordinaria”, che abbiano avuto la sola consistenza di “interventi di manutenzione straordinaria (…) che non riguardino le parti strutturali dell’edificio”, descritti come “ripristino del manto di copertura, rifacimento dell’impermeabilizzazione, rifacimento di alcune pareti della gronda del fabbricato rurale”.
Tale assunto, tuttavia, è risultato infondato; al proposito, le nitide e analitiche risultanze della verificazione, come già detto dal primo giudice, hanno consentito di accertare la reale e ben più ampia portata degli interventi eseguiti sugli immobili, nonché l’esorbitanza degli stessi dal perimetro del consentito in quell’area e, comunque, dal titolo autorizzativo posseduto\dichiarato. Sono infatti emerse opere comportanti, quanto meno, una ristrutturazione edilizia, rivelatasi anche non fedele rispetto al preesistente, sicuramente non conforme alla vigente normativa urbanistico\edilizia (che, come detto, consente esclusivamente opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo); nonché opere di rifacimento delle coperture relative a immobili interessati da crolli, parziali o totali, dei tetti; e persino opere di ampliamento; il tutto, evidentemente, realizzato in assenza dei necessari titoli edilizi abilitativi e delle prescritte autorizzazioni in materia di tutela storico-ambientale e di interventi strutturali in zona sismica.
Alla disamina in dettaglio risulta quanto segue:
-la verificazione ha evidenziato nitidamente la presenza di crolli (quanto meno) della copertura dell’immobile 1 (che, a partire dalle foto del 2000, come pure in quelle successive del 2005 e del 2012, appare interessato da crolli diffusi della copertura e forse anche delle murature –cfr. pag. 11 della verificazione) e di quella dell’immobile 2 (che, dalle foto del 2000, e poi da quelle successive del 2006 e del 2012 pure manifesta la presenza di crolli diffusi della copertura e delle murature – cfr. pag. 13 della verificazione);
- la foto tratta da Google e datata al 2019 evidenzia una vistosa variazione, rispetto a tutte le immagini precedenti, della tipologia\colore delle nuove coperture realizzate sugli immobili che il verificatore individua come nn.1, 2 e 4;
- le evidenze fotografiche in atti dimostrano anche che, per l’immobile n. 4, emerge un vistoso ampliamento, successivo al 1968, del fabbricato originario, sia nell’impianto a terra che nell’andamento ed estensione delle falde del tetto (ampliamento confermato anche dalla disamina dell’andamento e della fattura delle murature esterne, cfr. pag. 18 della verificazione);
- le medesime evidenze (fotografiche e disamina delle murature) dimostrano altresì che, anche per l’edificio 1, è stato operato un percepibile ampliamento successivo al 1968 (il corpo addossato al lato K, evidenziato in giallo a pag. 10 della verificazione), seppure di consistenza non ben determinata;
- la tettoia di cui al n.3, invece, risulta posteriore, quantomeno nell’estensione attuale, rispetto alla situazione del 1967; né la presenza di tale corpo, anche ad avviso di questo Collegio, può cogliersi, specialmente nelle dimensioni attuali, dalle immagini prodotte dalla difesa e dirette a sostenere il contrario.
E dunque, quanto alle differenze rilevate sui tetti, come già accennato, dalla foto aerea del 2019 emerge chiaramente che una parte piuttosto consistente della copertura che attualmente riveste l’edificio di forma quadrangolare (quello di cui al punto 2 dell’ordinanza impugnata), come pure quella di cui all’edificio 4 (che è variata anche nelle dimensioni e nell’orientamento di falda) presentano una colorazione nettamente più scura (sui toni del grigio) rispetto a quella che compare nell’immagine del 2005 (dalla quale si evince chiaramente che il tetto che riveste tutto l’edificio presenta un colore più chiaro, sui toni dell’arancio). Né può ritenersi che la differente colorazione dei tetti emergente dalle fotografie in questione sia frutto dell’incompleto riposizionamento in sede dell’originaria copertura in tegole; invero, anche a prescindere dal fatto che quest’ultima asserzione di parte è rimasta sfornita di prova adeguata, la stessa pare comunque formulata solo in relazione all’edificio n.2, mentre la vistosa disarmonia cromatica tra copertura preesistente e quella osservata nel 2019 riguarda gli edifici 1, 2 e 4.
È evidente, dunque, come l’intervento di rifacimento delle coperture abbia comportato una modifica dello stato dei luoghi, emergendo ictu oculi una differenza tra la porzione interessata dai lavori e la parte del tetto rimasta allo stato “originario” (cfr., specialmente per gli immobili n. 2 e 4, la richiamata foto aerea del 2019; mentre, per l’immobile n.1, del tutto eloquente è il confronto tra la foto del 2005 e quella del 2019).
Al riguardo, il primo giudice ha già osservato che l’art. 17, comma 3, della L.R. n. 15/2008, conformemente a quanto disposto dall’art. 32, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, prevede, per quanto qui interessa, che tutti gli interventi effettuati su immobili sottoposti a vincolo archeologico, non inclusi nell’elenco di cui al comma 1, “sono considerati variazioni essenziali”; da ciò discende, considerando (quanto meno) le evidenziate difformità delle coperture rispetto al preesistente, la piena legittimità dell’ordinanza impugnata (invero, in considerazione del disposto di cui al comma 2 dell’art. 31, l’ingiunzione alla demolizione viene adottata una volta accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo “ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32”).
In aggiunta, occorre osservare che l’intervento di cui trattasi richiedeva anche il rilascio di apposita autorizzazione paesaggistica, considerato che l’invocato punto A.2 dell’allegato A al d.P.R. n. 31/2017 esclude dalla preventiva autorizzazione soltanto gli “interventi sui prospetti o sulle coperture degli edifici, purché eseguiti nel rispetto degli eventuali piani del colore vigenti nel comune e delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e delle finiture esistenti”, laddove, come più volte ribadito, nella fattispecie la documentazione (fotografica) versata in atti attesta in modo evidente che tali caratteristiche non risultano essere state rispettate.
Neppure giova alle parti appellanti, con particolare riguardo all’edificio di cui al n.1 della verificazione, il richiamo difensivo che pare potersi cogliere all’istituto della ristrutturazione edilizia, rispetto alla quale, quand’anche, per ipotesi, ammissibile nell’area, difetterebbe comunque il titolo; inoltre, per l’immobile n.1, l’istruttoria effettuata tramite la disamina delle immagini aeree ha inequivocamente evidenziato la ricorrenza, a partire dal 2000, di crolli diffusi della copertura e forse anche delle murature (cfr. pag. 11 della verificazione); il che comporta, secondo la giurisprudenza condivisa dal Collegio, che siffatta ricostruzione del rudere neppure potrebbe rientrare nel concetto di ristrutturazione edilizia, atteso che mancano elementi sufficienti a testimoniare le esatte dimensioni e le caratteristiche dell’edificio da recuperare: in particolare, è stato già affermato che un manufatto costituito da alcune rimanenze di mura perimetrali, ovvero un immobile in cui sia presente solo parte della muratura predetta, e sia privo di copertura e di strutture orizzontali, non può essere riconosciuto come edificio allo stato esistente (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 5174 del 21 ottobre 2014); in mancanza di elementi strutturali non è infatti possibile valutare la consistenza dell’edificio da consolidare ed i ruderi non possono che considerarsi alla stregua di un’area non edificata (Cons. St., sez. V, n. 1025 del 15 marzo 2016).
Della tettoia in ferro ad uso ricovero attrezzi agricoli, realizzata ex novo, almeno nelle dimensioni attuali, in epoca successiva al 1967, si è già detto; la stessa, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e), d.p.r. n. 380/2001 doveva essere qualificata come “nuova costruzione” e perciò necessitava del permesso di costruire nonché di autorizzazione paesaggistica (avendo caratteristiche tali da alterare il paesaggio), pacificamente difettanti nella specie.
Quanto all’immobile di cui al n. 4 della verificazione, per il quale, come già ricordato, l’istruttoria ha evidenziato la risalenza ad epoca precedente al 1967, si è pure accertata, oltre alla modifica della copertura, anche la variazione in ampliamento della forma (impronta a terra) a partire dal 2012 (cfr. pagg. 17 e 18 della verificazione), come contestato nell’ordinanza comunale.
Si deve dunque concludere per il rigetto del gravame.
Nulla per le spese, in considerazione della mancata costituzione dell’Ente appellato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati:
Oberdan Forlenza, Presidente
Giovanni Sabbato, Consigliere
Carmelina Addesso, Consigliere
Maria Stella Boscarino, Consigliere
Stefano Filippini, Consigliere, Estensore