Consiglio di Stato Sez. VI n. 3574 del 19 aprile 2024 
Urbanistica.Proprietario non responsabile dell'abuso quale legittimato passivo dell’ordine di demolizione

Il proprietario che non sia colpevole di abuso edilizio commesso da altri, qualora voglia sfuggire all'effetto sanzionatorio di cui all'art. 31 d.p.r. n. 380/2001, deve provare di aver intrapreso iniziative che, oltre a rendere palese la sua estraneità all'abuso, siano anche idonee a costringere il responsabile dell'attività illecita a ripristinare lo stato dei luoghi. La mera diffida non è idonea a costringere il responsabile dell'attività illecita a ripristinare lo stato dei luoghi.

Pubblicato il 19/04/2024

N. 03574/2024REG.PROV.COLL.

N. 08260/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8260 del 2021, proposto da
Savian s.a.s. di Ciro Dellini, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Alessandro Lipani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Quarto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Russo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Luigi Napolitano in Roma, via Girolamo Da Carpi, n. 6;

nei confronti

Gbm Elettromeccanica di Gialone Giovanni, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Seconda) n. 1094/2021, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Quarto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2024 il Cons. Giovanni Pascuzzi. Nessuno è comparso per le parti costituite;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La società Savian s.a.s. di Ciro Dellini propone appello avverso la sentenza del Tar per la Campania n. 1094/2021 che ha respinto l’originario ricorso proposto dalla stessa società teso ad ottenere l’annullamento:

a) dell’ordinanza del Capo Sezione Territorio dell’U.T.C. del Comune di Quarto n. 17 del 9.7.2009 con la quale è stata ordinata la demolizione di opere abusive;

b) se e per quanto occorra, dell’ordinanza del Capo Sezione Territorio dell’U.T.C. del Comune di Quarto n. 11 del 15.4.2009 con la quale è stata ordinata la sospensione immediata dei lavori;

c) di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente, ivi compresa la relazione di sopralluogo del 15.4.2009 protocollo Sezione Territorio n. 614 redatta dalla Polizia Municipale.

2. L’appellante espone le seguenti circostanze in punto di fatto:

- l’odierna appellante è proprietaria, in Quarto, alla via Dante Alighieri, di quattro capannoni, denominati nei titoli abilitativi corpo A, B, C e D, assentiti con due distinte concessioni in sanatoria, ovverossia la n. 485 del 31.10.1997, per quanto riguarda i corpi da A a C, e la n. 1170 del 26.6.2001, per quanto riguarda il corpo D;

- detti capannoni sono, da decenni, concessi in locazione a terzi;

- nel tempo, i conduttori degli immobili di proprietà dell’appellante, senza alcuna autorizzazione di quest’ultima, hanno realizzato alcuni manufatti, che sono appunto l’oggetto del provvedimento impugnato;

- nel 2003, l’appellante ha edificato, a seguito di presentazione di apposita D.I.A. e del decorso del termine di legge, la tettoia adiacente al corpo A che pure forma oggetto dell’ordinanza di demolizione.

2.1 Il Capo Sezione Territorio dell’U.T.C. del Comune di Quarto la emanato l’ordinanza n. 17 del 9.7.2009 avente il seguente contenuto:

«Vista la relazione di sopralluogo del 15/4/2009 protocollo Sezione Territorio, n. 614 dalla quale si rileva che su area di proprietà della società Saviano immobiliare s.a.s di Dellini Ciro (omissis) si realizzavano opere edili in assenza di D.I.A. su area distinta in mappa foglio 12 particella 1507, consistenti in:

1. Corpo “A”:

- Realizzazione, sul lato sud, di tettoia di circa mq 210 in ZTO Fb – AREE ad ATTREZZATURE per SPAZI PUBBLICI;

- Realizzazione, sul lato ovest, di tettoia di circa mq 120 in ZTO Hb – AREE SOGGETTA A VINCOLO NON AEDIFICANDI PER RISPETTO CIMITERIALE;

2. Corpo “B”:

- Realizzazione, sul lato ovest, di ampliamento di circa mq 120 in ZTO Hb - AREE SOGGETTA A VINCOLO NON AEDIFICANDI PER RISPETTO CIMITERIALE;

- Realizzazione, sul lato ovest, di tettoia di circa mq 150 in ZTO Hb – AREE SOGGETTA A VINCOLO NON AEDIFICANDI PER RISPETTO CIMITERIALE;

3. Corpo “C”:

- Realizzazione, sul lato ovest, di struttura di ampliamento di circa mq 120 in ZTO Hb - AREE SOGGETTA A VINCOLO NON AEDIFICANDI PER RISPETTO CIMITERIALE;

4. Corpo “D”:

- Realizzazione, sul lato est, di ampliamento di circa mq 220 in ZTO Hb - AREE SOGGETTA A VINCOLO NON AEDIFICANDI PER RISPETTO CIMITERIALE;

È stato inoltre realizzato una nuova struttura in ferro di circa mq 160, in ZTO Hb - AREE SOGGETTA A VINCOLO NON AEDIFICANDI PER RISPETTO CIMITERIALE.

Il lotto inoltre risulta suddiviso al suo interno con muretti di recinzione e cancelli …».

L’ordinanza, quindi, ordinava il ripristino dello stato dei luoghi.

3. Tale provvedimento veniva impugnato dalla società Savian s.a.s. di Ciro Dellini dinanzi al Tar per la Campania che con sentenza n. 1094/2021 ha respinto il gravame.

4. Avverso la citata sentenza ha proposto appello la società Savian per i motivi che saranno più avanti esaminati.

5. Si è costituito in giudizio il Comune di Quarto chiedendo il rigetto dell’appello.

6. All’udienza del 4 aprile 2024 l’appello è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di appello si lamenta: Error in judicando – Fondatezza del primo motivo di gravame rubricato «Violazione e falsa applicazione degli artt. 29, 31 e 33 del d.p.r. n. 380/2001 – Eccesso di potere – Difetto dei presupposti – Illogicità – Difetto di istruttoria» - Violazione e falsa applicazione degli artt. 1587, 1592 e 1593 c.c.

L’appellante sostiene che:

- con il provvedimento impugnato il Comune ha ingiunto al solo proprietario degli immobili, e non ai responsabili degli abusi, ovverossia i conduttori degli immobili stessi, la demolizione di manufatti pertinenziali abusivamente realizzati;

- la società Savian non ha avuto in passato e non aveva al momento della notifica del provvedimento impugnato la disponibilità giuridica e fattuale delle aree oggetto dei pretesi abusi;

- la società Savian è totalmente estranea alla realizzazione degli abusi e non potrebbe neanche porre in essere le attività materiali per la demolizione delle opere contestate: essa è impossibilitata ad ottemperare all’ordine impartito dall’Amministrazione;

- con l’ordinanza impugnata viene ingiunto al solo proprietario incolpevole, e non ai responsabili dell’abuso, la demolizione di opere che il primo non potrebbe neanche materialmente eseguire, non avendo la disponibilità giuridica e materiale della res abusiva;

- il punto in contestazione non è se il proprietario fosse o meno a conoscenza degli abusi, ma se lo stesso avesse o meno la possibilità di adempiere all’ordine a lui impartito non avendo la disponibilità giuridica e materiale degli immobili in relazione ai quali sono stati realizzate le opere abusive;

- il provvedimento è rimasto privo di effetti perché il Comune non lo ha esteso ai soggetti che hanno la disponibilità dei beni;

- neanche dopo la notifica del ricorso nell’ambito del quale gli stessi erano specificamente indicati i detentori degli immobili il Comune ha ritenuto di estendere ad essi l’ordine di demolizione;

- la possibilità materiale e giuridica per l’onerato di portare ad esecuzione l’ordine è certamente un requisito di legittimità del provvedimento ripristinatorio impartito dal Comune, nel senso che ove tale possibilità non sussista l’atto amministrativo è invalido per impossibilità dell’oggetto;

- il Tar considera erroneamente la richiesta di risoluzione del contratto come rimedio esperibile in ogni caso dal locatore e tale da consentire l’esecuzione dell’ordine demolitorio;

- non si comprende a cosa si riferisca il Tar laddove richiede una “iniziativa … stragiudiziale” volta alla risoluzione del contratto posto che in difetto dell’accertamento giudiziale dell’avvenuta risoluzione non è possibile rientrare in via coattiva in possesso del bene ed eseguire la demolizione;

- e non si comprende, di conseguenza, perché le diffide inoltrate dall’odierna appellante volte a richiedere l’eliminazione degli abusi con espressa riserva di azione giudiziale in caso di inerzia del conduttore, puntualmente depositate in atti, siano state invece ritenute non sufficienti a denotare l’estraneità all’abuso e non costituenti un comportamento attivo, da parte del proprietario nei confronti del conduttore;

- non v’è alcun automatismo tra la commissione di abusi da parte del conduttore e la possibilità di ottenere la risoluzione del contratto, trovando applicazione la norma di cui all’art. 1587 c.c., che impone al conduttore l'obbligo di usare la cosa, secondo la sua destinazione, con la diligenza del buon padre di famiglia, col conseguente divieto di eseguire non qualsivoglia innovazione, ma solo quelle che ne mutino la natura e la destinazione;

- circostanza, questa, che non si verifica nel caso in specie, trattandosi di strutture esterne (tettoie ed ampliamenti) che non modificano in alcun modo la destinazione degli immobili, ma anzi ne accrescono la fruibilità e la funzione;

- nel caso in specie si tratta di addizioni ovvero miglioramenti che per legge (artt. 1592 e 1593 c.c.) sono espressione di un diritto riconosciuto al conduttore, e che lo stesso ha diritto di togliere alla fine della locazione, non possono per definizione legittimare una risoluzione anticipata del contratto;

- considerando gli ordinari termini per la conclusione del giudizio di risoluzione e per la successiva esecuzione per rilascio, è ex se impossibile ottemperare all’ordine dell’Autorità amministrativa nel tempo assegnato dalla legge evitando le ulteriori conseguenze sanzionatorie.

1.1 Il motivo è infondato.

Come ribadito, ex multis, da Cons. Stato, sez. VII, 22/01/2024, n. 655, l' art. 31, commi 2 e 3, del d.p.r. n. 380/2001 individua quali destinatari della sanzione demolitoria, in forma non alternativa ma congiunta, il proprietario e il responsabile dell'abuso; di conseguenza l'ordinanza di demolizione può legittimamente essere emanata nei confronti del proprietario dell'immobile anche se egli non è responsabile della realizzazione dell'opera abusiva, in quanto gli abusi edilizi integrano illeciti permanenti sanzionati in via ripristinatoria, a prescindere dall'accertamento del dolo o della colpa o dall'eventuale stato di buona fede del proprietario rispetto alla commissione dell'illecito.

Correttamente il Comune ha notificato l’ordine di demolizione al proprietario, senza che la mancata notifica anche ai responsabili dell’illecito diventi causa di illegittimità del provvedimento stesso.

1.1.1 Infondate sono le argomentazioni che fanno leva sulle diffide notificate dall’appellante ai responsabili dell’abuso.

Come chiarito da Cons. Stato, sez. VII, 21/08/2023, n. 7882, il proprietario che non sia colpevole di abuso edilizio commesso da altri, qualora voglia sfuggire all'effetto sanzionatorio di cui all'art. 31 d.p.r. n. 380/2001, deve provare di aver intrapreso iniziative che, oltre a rendere palese la sua estraneità all'abuso, siano anche idonee a costringere il responsabile dell'attività illecita a ripristinare lo stato dei luoghi.

La mera diffida non è idonea a costringere il responsabile dell'attività illecita a ripristinare lo stato dei luoghi.

In materia di contratto di locazione, l'obbligo di prendere in consegna la cosa e di osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l'uso determinato dal contratto o desumibile da altre circostanze e l'obbligo di rispondere della perdita e del deterioramento della cosa avvenuti nel corso della locazione consentono al locatore di agire nel corso del rapporto per ottenere il rispetto di una conduzione diligente del bene locato (cfr. Cass. civile, sez. III, 14/06/2011, n. 12962).

Nella specie nessuna azione concreta è stata intrapresa, neanche a giudizio già iniziato. Eppure sono tanti gli strumenti giuridici che, in questo caso, avrebbero consentito al proprietario-locatore di imporre al conduttore di tenere un comportamento conforme alle disposizioni di legge. La mera diffida non rientra tra questi e comunque non basta.

1.1.2 Quanto esposto toglie fondamento agli argomenti svolti dall’appellante circa i diritti astrattamente riconoscibili al conduttore. Quest’ultimo può porre in essere migliorie: ma non può porle in essere violando la legge. Per realizzare i manufatti (definiti dall’appellante “migliorie”) occorreva comunque ottenere i titoli edilizi in via preventiva. Non sono migliorie quelle che violano le disposizioni di legge.

2. Con il secondo motivo di appello si lamenta: Error in judicando – Omessa pronunzia – Motivazione apparente – Fondatezza del secondo motivo di gravame rubricato «Violazione e falsa applicazione degli artt. 22, 23 e 37 del D.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 2 della L. Reg. Campania n. 19/2001 – Difetto dei presupposti – Difetto di istruttoria – Illogicità – Travisamento – Contraddittorietà» e del terzo motivo di gravame rubricato «Eccesso di potere per difetto dei presupposti – Illogicità – Travisamento – Violazione del vigente P.R.G. del Comune di Quarto – Violazione e falsa applicazione dell’art. 57 del D.P.R. n. 285/1990».

L’appellante sostiene che:

- il Tar ha esaminato congiuntamente le censure di cui al secondo (illegittimità dell’irrogazione della sanzione demolitoria, in luogo di quella pecuniaria di cui all'art. 37 del d.p.r. n. 380/2001) ed al terzo motivo di gravame (con cui si contestava la violazione, in concreto, della fascia di rispetto cimiteriale), respingendo le prime e dichiarando assorbite le seconde;

- la motivazione del rigetto è apparente, in quanto incentrata su un argomento, quello della necessaria “considerazione unitaria” degli abusi che, nel caso in specie è erroneo e inconferente;

- si tratta di distinti capannoni, detenuti in locazione da soggetti diversi, adibiti ad attività differenziate, in relazione ai quali sono stati realizzati, dai conduttori, in tempi diversi, interventi per la migliore fruibilità; tra i capannoni vi sono (come peraltro si legge nel provvedimento impugnato) ben precise recinzioni ed autonomi cancelli di accesso;

- non c’è un disegno unitario che neanche il Comune ha ipotizzato: è errata la qualificazione data dal Tar;

- è stato lo stesso Comune a qualificare gli interventi come realizzati “in assenza di D.I.A.”, il che comporta (come dedotto nel secondo motivo di gravame del ricorso introduttivo) l’applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 37 del d.p.r. n. 380/2001 e non certo di quella demolitoria;

- va riproposto il terzo motivo dichiarato assorbito;

- l’atto impugnato è in gran parte fondato sul falso presupposto della sussistenza, nelle aree oggetto dell’intervento, di un vincolo di inedificabilità per rispetto cimiteriale, il quale sussisterebbe in tutte le aree incluse nella zona denominata Hb;

- la zona Hb prevista dal P.R.G. di Quarto non è affatto una zona totalmente inedificabile, essendo invece prevista, dalle norme di attuazione, la possibilità di effettuare, oltre agli interventi minori, anche interventi di manutenzione straordinaria, risanamento conservativo e perfino ristrutturazione edilizia, con la sola esclusione di nuove costruzioni;

- all’interno di tale zona è inclusa la fascia di rispetto cimiteriale, nella quale effettivamente vige il vincolo di inedificabilità previsto dalla legge, la cui larghezza è di metri cento, in applicazione della norma di cui all’art. 57 del d.p.r. n. 285/1990;

- tale fascia, come si desume dai grafici depositati, non riguarda affatto l’area interessata dai capannoni né dai manufatti accessori e pertinenziali oggetto del provvedimento impugnato;

- erra il primo giudice a considerare la censura generica;

- il grafico depositato in giudizio rappresenta, con il tratteggio, tutti e sette i manufatti oggetto dell’ordinanza di demolizione e non certo solo alcuni di essi; gli stessi sono tutti compresi nell’area compresa tra via Dante Alighieri e la traversa via Dante Alighieri 18 che, come si desume dallo stralcio planimetrico depositato, è totalmente esterna alla distanza di rispetto cimiteriale;

- la circostanza descritta è rimasta incontestata dalla controparte, e quindi avrebbe dovuto considerarsi provata anche ex art. 64 c.p.a.;

- non a caso, peraltro, lo stesso Ufficio Tecnico del Comune di Quarto, con la nota prot. UTC n. 1326 del 1.12.2000 precisa che “la riduzione della fascia di rispetto cimiteriale, prevista dall’art. 57 del D.P.R. 285/90, è stata stabilita con l’adottato P.R.G. del settembre 1992, approvato nel novembre 1994” specificando che “per tutte le concessioni edilizie in sanatoria sino ad oggi rilasciate” (tra cui appunto quelle relative ai capannoni dei proprietà della ricorrente) “si è tenuto conto del vincolo di cui sopra, dettato dal D.P.R. 285/90 ed introdotto nell’adottato P.R.G. del settembre 1992”;

- la previsione di inedificabilità riguarda solo l’area inclusa nella fascia di rispetto cimiteriale e non certo l’intera zona Hb;

- in ogni caso, le previsioni del P.R.G. non vietano di realizzare manufatti accessori ai capannoni già assentiti, consistenti in interventi certamente ammessi dalla strumentazione urbanistica di zona, tutti (sia i manufatti accessori che i capannoni) ricadenti all’esterno della fascia di rispetto fissata dalla legge.

2.1 Il motivo è infondato.

2.1.1 Come ribadito da Cons. Stato, sez. IV, 28/06/2023, n. 6319 l'interpretazione giudiziale di un provvedimento amministrativo e, in particolare, l'individuazione del potere che con esso si è inteso esercitare, non è vincolata dalle disposizioni di legge in esso citate, ma consegue all'apprezzamento complessivo e sistemico del fine che si è inteso perseguire, delle misure che si è inteso adottare, della situazione di fatto su cui si è inteso intervenire; invero, se l'individuazione del potere esercitato dipendesse dalle disposizioni di legge citate nel provvedimento, si attribuirebbe al (contenuto del) provvedimento stesso la capacità di vincolare l'interpretazione giudiziale, costituzionalmente soggetta solo alla legge, non anche all'Amministrazione.

Nella specie l’atto impugnato ordina la demolizione delle opere perché realizzate in assenza di titolo edilizio. Il fatto che il provvedimento testualmente affermi che “si realizzavano opere edili in assenza di D.I.A.”, non fa venir meno ciò che si evince dall’intero atto e l’individuazione dei poteri concretamente esercitati: è stata sanzionata la realizzazione di opere effettuate in assenza del rilascio del permesso di costruire.

2.1.2 Gli interventi contestati consistono: (i) in tre tettoie di rilevanti dimensioni (rispettivamente, mq. 210, 120 e 40), (ii) in altrettanti ampliamenti di manufatti (rispettivamente per mq. 120, 150 e 220), nonché (iii) nella realizzazione di una struttura in ferro di mq. 160.

La rilevanza e la dimensione (non contestate) degli abusi sanzionati rende evidente la necessità del permesso di costruire e la non sufficienza della D.I.A., trattandosi di interventi che determinano rilevanti aumenti di superficie (ed anche di cubatura, come emerge dalla documentazione fotografica depositata in primo grado in allegato alle relazioni di sopralluogo).

Come ribadito da Cons. Stato, sez. IV, 10/05/2023, n. 4740, anche per la sola tettoia è richiesto il permesso di costruire, avendo essa natura di nuova costruzione.

Analogo il principio affermato da Cons. Stato, sez. VI, 13/04/2021, n. 3005: la costruzione di tettoie di consistenti dimensioni, comportanti una perdurante alterazione dello stato dei luoghi e incidenti per sagoma, prospetto, volumetria e materiali impiegati in modo stabile e duraturo sull'assetto urbanistico-edilizio del territorio, necessita del preventivo rilascio del permesso di costruire.

2.1.3 Quanto detto assorbe le censure sollevate muovendo dall’affermazione del Tar circa la unitarietà dell’intervento. Ogni singolo manufatto, prima ricordato, necessitava del permesso di costruire.

2.1.4 Il provvedimento impugnato censurava tanto la mancanza del titolo edilizio quanto l’inclusione dell’area nella zona di rispetto cimiteriale.

In presenza di un atto plurimotivato, è sufficiente la legittimità di una sola delle ragioni giustificatrici per sostenere il provvedimento, tenuto conto che, anche in caso di fondatezza degli ulteriori motivi di doglianza riferiti alle distinte rationes decidendi poste a fondamento del provvedimento amministrativo, questo non potrebbe comunque essere annullato in quanto sorretto da un'autonoma ragione giustificatrice (Cons. Stato, sez. V, 23/02/2024, n. 1801).

Correttamente il primo giudice ha ritenuto assorbito il motivo di ricorso teso a contestare il fatto che l’area de qua sia realmente ricompresa nell’area di rispetto cimiteriale.

Anche il motivo di appello che ripropone il motivo deve ritenersi assorbito.

3. Con il terzo motivo di appello si lamenta: Error in judicando – Omessa pronunzia – Motivazione apparente – Violazione dell’art. 64 c.p.a. – Violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990 – Fondatezza del quarto motivo di gravame rubricato «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della L. Reg. Campania n. 19/2001, degli artt. 22 e 23 del D.P.R. n. 380/2001 e degli artt. 7, 19, 21-quinquies e 21-nonies della L. n. 241/1990 – Difetto dei presupposti – Difetto di istruttoria – Illogicità – Travisamento».

L’appellante sostiene che:

- in data 18.9.2003 la odierna appellante comunicava l’intenzione di costruire una pensilina metallica a sbalzo; il successivo 15.10.2003 il Comune richiedeva il deposito del titolo di proprietà chiarendo che “i termini (30 giorni) di cui all’art. 1, comma 1, del Regolamento per l’attuazione della legge regionale n. 19/01 si intendono sospesi fino ad integrazione avvenuta”; infine, il successivo 17.10.2003 la ricorrente trasmetteva il titolo richiesto;

- in data 20.10.2003 (o al più tardi il 16.11.2003), per effetto del decorso del termine di cui all’art. 23, comma primo, del d.p.r. n. 380/2001, l’attività edilizia richiesta risultava assentita;

- con il quarto motivo di ricorso era stata denunziata l’illegittimità dell’atto impugnato, con il quale è stata ordinata la demolizione di un manufatto legittimamente realizzato a seguito della presentazione della D.I.A. e del decorso del tempo previsto dalla legge e senza che l’Amministrazione sia previamente intervenuta in sede di autotutela;

- il Tar ha ritenuto il motivo infondato sia perché non è contestata neanche da parte ricorrente la non corrispondenza tra l’opera oggetto di D.I.A. e quella effettivamente realizzata, sia in considerazione della valutazione unitaria del complesso degli interventi edilizi in controversia;

- la decisione è errata ove si consideri: a) che giammai è stato dedotto che “potrebbe al più predicarsi la difformità rispetto alla presentazione da parte della ricorrente, di apposita D.I.A nel 2003” ma, al contrario, che l’opera è legittimata dalla presentazione della detta D.I.A., senza alcuna difformità; b) lo stesso Comune, nell’ambito del provvedimento impugnato, non ha giammai contestato, nell’ambito del provvedimento impugnato “la non corrispondenza tra l’opera oggetto di D.I.A. e quella effettivamente realizzata”, ma che l’opera sia stata realizzata in assenza di D.I.A. e quindi senza alcun titolo abilitativo e non in difformità della stessa (“… si realizzavano opere edili in assenza di D.I.A. su area distinta in mappa foglio 12 particella 1507, consistenti in: 1 – Corpo “A”: …. Realizzazione, sul lato ovest, di tettoia di circa mq 120”);

- non si comprende perché l’odierna appellante avrebbe dovuto contestare “la non corrispondenza tra l’opera oggetto di D.I.A. e quella effettivamente realizzata”, giacché tale non corrispondenza non mai stata dedotta dal Comune, che erroneamente ha invece considerato, nell’ambito del provvedimento impugnato, l’opera priva di qualsivoglia titolo autorizzativo;

- erroneamente il Tar ha posto alla base della decisione fatti che hanno ritenuto non contestati, ma che invece non avrebbero dovuto formare oggetto di alcuna contestazione, perché non costituenti la ragione dell’adozione dell’atto impugnato;

- l’argomento circa la pretesa difformità dalla D.I.A. è stato introdotto del tutto genericamente nell’ambito non dei provvedimenti emessi dall’Amministrazione ma delle difese che quest’ultima ha svolto nel giudizio;

- ove il Tar avesse dato rilevanza ad argomentazioni difensive non costituenti specificazione ovvero chiarimento del contenuto del provvedimento impugnato, ma addirittura in contrasto con quest’ultimo (difformità anziché assenza) avrebbe violato l’art. 3 della L. n. 241/1990, essendo jus receptum che non è ammissibile un'integrazione postuma dell'atto amministrativo effettuata in sede di giudizio;

- per quanto concerne le argomentazioni circa la pretesa “natura unitaria” delle opere realizzate vale quanto dedotto nel precedente motivo di appello;

- viene riproposta la censura svolta in primo grado con la quale è stata denunciata l’illegittimità dell’atto impugnato, essendo stata ordinata la demolizione di un manufatto legittimamente realizzato a seguito della presentazione della D.I.A. e del decorso del tempo previsto dalla legge, e senza che l’Amministrazione sia previamente intervenuta in autotutela;

- ai sensi dell’art. 20 della l. n. 241/1990, l’Amministrazione, una volta decorso il tempo previsto dalla legge, non può ordinare la demolizione di quanto nel frattempo realizzato, ma deve preventivamente intervenire in via di autotutela, nell’osservanza delle condizioni che la legge pone per l’esercizio di quel tipo di potere;

- l’atto impugnato, concretandosi in un mero ordine di ripristino, non può essere considerato né formalmente né sostanzialmente un provvedimento di autotutela;

- nello stesso non è individuato alcun vizio da eliminare; non si riscontra una specifica motivazione in ordine all’esistenza di un interesse pubblico, concreto ed attuale, in ordine all’esercizio del potere; non v’è alcuna considerazione circa l’affidamento del privato che, in buona fede, per effetto del decorso di un ragionevole lasso di tempo, ha confidato legittimamente nella regolarità delle opere denunciate;

- inoltre, lo stesso avrebbe dovuto essere preceduto da una specifica comunicazione di avvio del procedimento.

3.1 Il motivo è infondato.

In data 18.9.2003 parte appellante ha presentato una domanda per realizzare una pensilina metallica.

Non si trattava di una denunzia di inizio di attività (D.I.A.) ma una richiesta di autorizzazione alla realizzazione del manufatto. E in mancanza di rilascio di un titolo espresso, la pensilina non poteva essere realizzata.

Dirimente è la circostanza che la pensilina metallica che l’appellante chiedeva di realizzare era di dimensioni 5,00x24,30 che, da un lato, richiedeva il previo rilascio del permesso di costruire per le sue dimensioni e, dall’altro, non è quella insistente sul lato ovest del corpo di fabbrica “A” (come dedotto a pag. 17 dell’appello) avente dimensione 7,30x15,20, come da verbale di sopralluogo in data 20.4.2009, prot. n. 651, depositato in primo grado dal Comune.

La sentenza del primo giudice è condivisibile perché l’appellante aveva chiesto di realizzare una pensilina per la quale non veniva mai autorizzata dal Comune, e ha realizzato invece, senza titolo, una tettoia di differenti dimensioni.

4. Con il quarto motivo di appello si lamenta: Error in judicando – Fondatezza del quinto motivo di gravame rubricato «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della L. Reg. Campania n. 19/2001, degli artt. 3, 10, 22, 23, 31 e ss. e 36 del D.P.R. n. 380/2001 – Difetto dei presupposti – Illogicità – Travisamento».

L’appellante sostiene che:

- con il quinto motivo di gravame l’odierna appellante ha censurato l’irrogazione della sanzione demolitoria con riferimento alla struttura, retrattile, totalmente priva di rilevanza urbanistica ed incredibilmente definito nell’ambito del provvedimento quale "ampliamento di circa mq. 120";

- secondo il Tar tale manufatto, anche per le notevoli dimensioni, non poteva essere ricondotto nell’alveo degli interventi oggetto di edilizia libera;

- il Tar ha travisato l’effettiva natura della struttura: la stessa viene spiegata solo al momento del carico e dello scarico degli automezzi, ed è preordinata a proteggere le operazioni di scarico in caso di maltempo, per essere poi ripiegata su se stessa, a mantice;

- si tratta quindi, per definizione, un impianto tecnologico destinato a soddisfare esigenze di carattere temporaneo, la quale non introduce alcuna stabile modificazione dell'assetto edilizio ed urbanistico del territorio, e può pertanto essere realizzata senza il previo conseguimento di alcun titolo abilitativo.

4.1 Il motivo è infondato.

Il concetto di impianto tecnologico è estremamente circoscritto.

Come chiarito da Cons. Stato, sez. VI, 17/02/2022, n. 1184, si definisce 'tecnico' il volume non impiegabile né adattabile ad uso abitativo e comunque privo di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché strettamente necessario per contenere, senza possibili alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, gli impianti tecnologici serventi una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima e non collocabili, per qualsiasi ragione, all'interno dell'edificio. Tali possono essere, in via esemplificativa, quelli connessi alla condotta idrica, termica, all'ascensore e simili.

La giurisprudenza ha anche chiarito cosa debba intendersi per carattere temporanea dell’opera. Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 16/08/2023, n. 7776: ai fini dell'individuazione della natura precaria di un'opera non si deve seguire il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, di conseguenza un'opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma se è edificata per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie.

La temporaneità non è data dal fatto che l’opera può essere ripiegata su se stessa (come sostenuto dall’appellante) ma dalla sua stabilità o meno nel tempo e, nella specie, l’opera è destinata a restare.

Nella specie siamo, poi, siamo di fronte ad un manufatto di dimensioni imponenti (mq. 120, con altezza di mt. 4 alla gronda ed oltre mt. 5 al colmo) come peraltro si evince dalla documentazione depositata dall’appellante in primo grado. Non si tratta di piccolo impianto tecnologico (ascrivibile alla nozione prima richiamata), ma di un manufatto che, lungi anche dal rappresentare un’ipotesi di edilizia libera, richiedeva il previo rilascio del permesso di costruire.

5. Per le ragioni esposte l’appello deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna parte appellante al pagamento delle spese di lite in favore del Comune di Quarto, liquidate in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00) oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Roberto Caponigro, Consigliere

Giovanni Gallone, Consigliere

Giovanni Pascuzzi, Consigliere, Estensore