Consiglio di Stato Sez. II n. 3597 del 22 aprile 2024
Urbanistica.Segnalazione o denuncia di abuso edilizio alla autorità amministrativa

L’inoltro di una segnalazione/denuncia all’autorità amministrativa con la quale la si informa della commissione di eventuali illeciti edilizi nell’ambito del territorio di propria competenza, perché questa – riscontrata la sussistenza dell’illecito - intervenga doverosamente ai sensi dell’art. 31 DPR 6 giugno 2001 n. 380 (e prima ancora ai sensi dell’art. 7 l. 28 febbraio 1985 n. 47) è ben possibile da parte di qualunque soggetto e non richiede, pertanto, la titolarità di alcuna posizione giuridica differenziata. Si tratta, infatti, di un mero potere di denuncia (non dissimile dalla denuncia di reato, ed in questo caso, per di più, i due illeciti – penale ed amministrativo – possono essere riscontrati nei medesimi condotta ed evento), attribuibile a qualunque cittadino, che, ovviamente, si assume la responsabilità di corrispondenza al vero di quanto rappresentato e delle eventuali conseguenze lesive derivanti dalla propria segnalazione, laddove i fatti segnalati o non sussistano o non integrino illeciti amministrativi o penali. Pertanto, la segnalazione di illeciti edilizi può: sia intervenire da parte di qualunque soggetto; sia essere inoltrata da soggetti che, pur non essendo necessaria ai fini della presentazione una loro particolare qualificazione giuridica, possono tuttavia trovarsi in una posizione differenziata e tale da essere oggetto di particolare riconoscimento e tutela da parte dell’ordinamento.


Pubblicato il 22/04/2024

N. 03597/2024REG.PROV.COLL.

N. 08259/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8259 del 2023, proposto da
Giovanna Ucci, Loredana Ucci, Felice Napolitano, Italia Minichini, Raffale Formicola, rappresentati e difesi dall'avvocato Luca Tozzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via Toledo, 323;

contro

Comune di Castellabate, non costituito in giudizio;

nei confronti

Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Annamaria Franco, rappresentata e difesa dagli avvocati Salvatore Maffettone, Sabatino Rainone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) n. 02083/2023, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Cultura e di Annamaria Franco;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2024 il Pres. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Eduardo De Ruggiero per Luca Tozzi e Sabatino Rainone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Con l’appello in esame, i signori Giovanna Ucci, Felice Napolitano, Italia Minichini e Raffaele Formicola impugnano la sentenza 25 settembre 2023 n. 2083, con la quale il TAR della Campania, sez. II della Sezione staccata di Salerno ha dichiarato inammissibile il ricorso da loro presentato avverso il silenzio serbato dal Comune di Castellabate in ordine all’istanza/diffida 26 gennaio 2023 prot. n. 99/is.

Gli attuali appellanti, proprietari di immobili nel Condominio “Residence Annamaria”, al cui interno è compresa anche la proprietà della signora Anna Maria Franco, ritenendo che nella stessa sono stati realizzati “una serie di interventi edilizi in contrasto con il regolamento edilizio comunale vigente” e che “lo stato attuale dei luoghi non risponde a quanto assentito con i titoli edilizi precedentemente rilasciati” (così nella sent. impugnata, pag. 2), hanno denunciato tale situazione al Comune di Castellabate.

Il Comune, dopo aver disposto un sopralluogo del responsabile dell’area VI Antiabusivismo (come da nota 2 marzo 2023 prot. n. 5302, comunicata al legale dei ricorrenti), non avrebbe svolto alcuna altra attività.

Pertanto, i ricorrenti hanno agito contro il silenzio inadempimento dell’Amministrazione.

La sentenza impugnata ha dichiarato il ricorso inammissibile “come fondatamente rilevato dalla parte controinteressata”, richiamando quanto affermato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato 9 dicembre 2021 n. 22.

Ha precisato che “risulta indimostrato che l’intervento contestato avrebbe la capacità di determinare una lesione attuale e concreta in capo ai ricorrenti”; e ciò in quanto “non solo non è condivisibile l’affermazione secondo cui la modifica illegittima dell’assetto del fabbricato inciderebbe negativamente ed in re ipsa sulla sfera giuridica dei condomini, ma gli specifici pregiudizi indicati in ricorso come derivanti dagli interventi previsti appaiono all’evidenza ipotetici e meramente eventuali”.

2. Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando sulla legittimazione ed interesse ad agire dei ricorrenti; violazione art. 2 ss. l. n. 241/1990; violazione art. 27 DPR n. 380/2001; obbligo del Comune di esitare con un provvedimento espresso l’istanza dei ricorrenti; ciò in quanto: a1) sussiste la legittimazione, poiché i ricorrenti “sono tutti proprietari e condomini degli appartamenti dislocati all’interno dell’immobile denominato “residence Annamaria” ….ovvero all’interno del medesimo fabbricato interessato dagli interventi edilizi da parte della controinteressata che sono stati portati all’attenzione del Comune a mezzo dell’istanza citata”; a2) quanto all’interesse ad agire, esso si fonda sulla vicinitas e deve ritenersi integrato in re ipsa, poiché “la modifica illegittima dell’assetto del fabbricato incide negativamente ed in re ipsa sulla sfera giuridica di chi ha i propri interessi abitativi nel medesimo fabbricato interessato dagli interventi oggetto di contestazione”; a3) gli eventuali abusi possono comportare “un deterioramento delle condizioni di vita” (“con riferimento alla presenza di condutture di scarico sulle facciate dell’edificio che trasportano acque bianche e nere”); “un peggioramento dei caratteri urbanistici che connotano l’area, danni patrimoniali così come connessi al mancato accesso ai benefici apprestati per la realizzazione di interventi edilizi per il miglioramento energetico degli edifici ovvero per la messa in sicurezza degli stessi”;

b) error in iudicando; ultroneità della sentenza impugnata laddove ha ritenuto insussistente l’interesse ad agire; poiché “il Comune ha già di fatto riconosciuto legittimazione ed interesse dei ricorrenti laddove ha indirizzato agli stessi, per conoscenza, la richiesta che il responsabile del servizio antiabusivismo effettuasse un sopralluogo”;

c) omessa motivazione; violazione e falsa applicazione artt. 2, 19 ss. l. n. 241/1990; poiché il Comune, che pure era tenuto, a seguito dell’istanza di un privato, “ad avviare ed a concludere il relativo procedimento amministrativo nei termini di legge mediante l’adozione di un atto repressivo degli abusi, ovvero quantomeno con l’adozione di un provvedimento espresso”, non vi h provveduto e su questo “il TAR ha omesso qualsiasi motivazione”;

d) error in iudicando; omessa motivazione; violazione e falsa applicazione art. 19 l. n. 241/1990; art. 26 e 77 DPR n. 380/2001; d. lgs. n. 192/2005; art. 97 Cost; violazione del regolamento edilizio comunale (artt. 40, 43, 48 ss); ciò in quanto vi sono “plurimi . . . profili di illegittimità della SCIA rilasciata alla controinteressata”(v. pagg. 20-24 app.);

e) error in iudicando; omessa motivazione; violazione e falsa applicazione art. 19 l. n. 241/1990; art. 26, 27 e 77 DPR n. 380/2001; d. lgs. n. 192/2005; art. 97 Cost; violazione del regolamento edilizio comunale (artt. 40, 43, 48 ss); ciò in quanto “lo stato attuale dei luoghi non risponde a quanto assentito con i titoli edilizi precedentemente rilasciati alla signora Franco” (v. pagg. 24 – 28 app.);

f) error in iudicando; carattere meramente endoprocedimentale e soprassessorio della nota 2 marzo 2023 n. 5302/2023; poiché l’amministrazione “invece di definire il procedimento avviato dai ricorrenti con un provvedimento espresso, si è limitata ad inoltrare ai ricorrenti, per mera conoscenza, la nota rubricata con cui ha chiesto che il servizio antiabusivismo disponesse un celere sopralluogo sui luoghi di causa”.

3. Il Comune di Castellabate non si è costituito in giudizio, mentre si è costituito il Ministero della Cultura.

Si è costituita in giudizio la signora Anna Maria Franco, che ha preliminarmente eccepito la violazione del divieto ex art. 104 c.p.a. dei “nova” in appello, stante l’intervenuto deposito di nuovi documenti e la prospettazione nuova ed ampliata delle domande rispetto al ricorso instaurativo del giudizio di primo grado. Inoltre, ribadita la sussistenza, a suo giudizio, dell’inammissibilità del ricorso di primo grado, atteso il difetto di interesse, ha comunque concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

Dopo il deposito di repliche, all’udienza in camera di consiglio del 23 gennaio 2024, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

4. L’appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata, nei sensi di seguito esposti.

4.1. Deve, innanzi tutto, essere esaminata e precisata l’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione, sotto duplice profilo, dell’art. 104 c.p.a.

Difatti, la parte appellata, per un verso, nel formulare l’eccezione, precisa (pag. 8 memoria datata 5 gennaio 2023, ma recte 5 gennaio 2024) di eccepire l’inammissibilità dell’appello “nella parte in cui introduce questioni nuove e diverse, in punto di fatto e di diritto, rispetto a quelle prospettate in prime cure” (dunque, una declaratoria parziale di inammissibilità); per altro verso, nelle conclusioni (pag. 18, punto a) memoria cit.), chiede dichiararsi tout court l’inammissibilità (senza limitazioni) dell’appello per violazione del divieto dei “nova”.

Appare evidente che l’eccezione, per le ragioni sulle quali essa si fonda, non può che sorreggere una prospettata inammissibilità del deposito di nuovi documenti (con conseguente inutilizzabilità dei medesimi), nonché una inammissibilità di quei motivi di appello (o meglio, di quei profili dei medesimi) che, anche per effetto del deposito di documenti nuovi, amplierebbero il thema decidendum del primo grado.

Osservato, dunque, che la eccezione proposta, se intesa come di integrale inammissibilità dell’appello, non potrebbe che essere dichiarata infondata, può prescindersi dall’esame della stessa, in quanto il Collegio ritiene che le ragioni esplicitate con il ricorso instaurativo del giudizio di primo grado ed i documenti ivi depositati, siano sufficienti ai fini della presente decisione di riforma della sentenza di primo grado.

E ciò, in particolare, a prescindere da ogni considerazione in ordine alla sussistenza (o meno) di un effettivo ampliamento della domanda come formulata nel primo grado di giudizio, laddove le esplicitazioni rese in appello riguardino non già il merito della controversia, bensì la sussistenza (o meno) delle condizioni dell’azione in capo al ricorrente, sussistenza nella specie negata dalla sentenza impugnata.

5. Come si è già avuto modo di riportare, la sentenza impugnata - sia pure con succinta motivazione e richiamando quanto affermato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, con sentenza 9 dicembre 2021 n. 22 – ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, ritenendo insussistente l’interesse ad agire, posto che “risulta indimostrato che l’intervento contestato avrebbe la capacità di determinare una lesione attuale e concreta in capo ai ricorrenti”; e ciò in quanto:

- in primo luogo, “non è condivisibile l’affermazione secondo cui la modifica illegittima dell’assetto del fabbricato inciderebbe negativamente ed in re ipsa sulla sfera giuridica dei condomini”;

- in secondo luogo, perché “gli specifici pregiudizi indicati in ricorso come derivanti dagli interventi previsti appaiono all’evidenza ipotetici e meramente eventuali”.

6. Orbene, occorre innanzi tutto precisare che, nel caso di specie, oggetto del giudizio non è già l’impugnazione di un titolo edilizio che si assume illegittimo (come nel caso oggetto dell’Ad. Plen. n. 22/2021), bensì il silenzio serbato dall’amministrazione sulla istanza dei ricorrenti, volta a sollecitarne l’esercizio di attività di controllo e sanzionatorie, di cui al DPR n. 380/2001.

Il che rende necessarie sia alcune precisazioni in tema di silenzio su segnalazione di illeciti edilizi sia una verifica della sussistenza (o meno) delle condizioni dell’azione nel particolare giudizio sul silenzio.

6.1. L’inoltro di una segnalazione/denuncia all’autorità amministrativa con la quale la si informa della commissione di eventuali illeciti edilizi nell’ambito del territorio di propria competenza, perché questa – riscontrata la sussistenza dell’illecito - intervenga doverosamente ai sensi dell’art. 31 DPR 6 giugno 2001 n. 380 (e prima ancora ai sensi dell’art. 7 l. 28 febbraio 1985 n. 47) è ben possibile da parte di qualunque soggetto e non richiede, pertanto, la titolarità di alcuna posizione giuridica differenziata.

Si tratta, infatti, di un mero potere di denuncia (non dissimile dalla denuncia di reato, ed in questo caso, per di più, i due illeciti – penale ed amministrativo – possono essere riscontrati nei medesimi condotta ed evento), attribuibile a qualunque cittadino, che, ovviamente, si assume la responsabilità di corrispondenza al vero di quanto rappresentato e delle eventuali conseguenze lesive derivanti dalla propria segnalazione, laddove i fatti segnalati o non sussistano o non integrino illeciti amministrativi o penali.

Pertanto, la segnalazione di illeciti edilizi può:

- sia intervenire da parte di qualunque soggetto;

- sia essere inoltrata da soggetti che, pur non essendo necessaria ai fini della presentazione una loro particolare qualificazione giuridica, possono tuttavia trovarsi in una posizione differenziata e tale da essere oggetto di particolare riconoscimento e tutela da parte dell’ordinamento.

6.1.1. Nel primo caso, la presentazione dell’istanza non conferisce alcuna legittimazione procedimentale all’istante/denunciante, di modo che l’amministrazione non è tenuta ad informarlo dell’avvio di un procedimento di controllo e/o repressivo. Tale procedimento, ancorché occasionato dalla segnalazione di un terzo, costituisce procedimento (doveroso) ad avvio di ufficio (arg. ex art. 2 l. n. 241/1990).

L’istante non assume la qualità di parte in sede procedimentale, né risulta legittimato ad impugnare eventuali atti di accertamento negativo dell’amministrazione ovvero il silenzio-inadempimento serbato dalla medesima sulla istanza/segnalazione a suo tempo presentata.

Nulla esclude che l’istante possa segnalare il comportamento inerte dell’amministrazione all’autorità giudiziaria penale, laddove ritenga sussistenti gli elementi costitutivi di un reato, e segnatamente delle fattispecie di rifiuto o omissione di atti di ufficio ex art. 328 c.p. (assumendosi le eventuali responsabilità conseguenti alla presentazione di tale denuncia). Ma ciò non ne muta la posizione nei confronti della pubblica amministrazione e l’insussistenza di una sua legittimazione procedimentale e processuale.

Nel caso ora esaminato, non si tratta di riconoscere la sussistenza di una azione popolare non prevista dall’ordinamento (come paventa parte appellata: pag. 9 memoria cit.), ma solo di riconoscere un normale potere di segnalazione, che non conferisce alcun potere di azione in giudizio e tantomeno legittimazione processuale (ordinaria o speciale).

6.1.2. Nel secondo caso, il soggetto che presenta l’istanza volta all’accertamento e alla repressione dell’illecito edilizio non intende (o, perlomeno, non intende solo) perseguire l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata, ma intende – innanzi tutto – tutelare una propria posizione giuridica differenziata di interesse legittimo, che può trovare il proprio fondamento su un diritto reale o su altri tipi di diritti (alla salute, alla esplicazione dell’attività di impresa, etc.); posizione che si ritiene lesa dall’attività del terzo che può consistere, a titolo esemplificativo, nella realizzazione di opere diverse da quelle (legittimamente) assentite, ovvero illegittimamente ritenute di edilizia libera, ovvero ancora eseguite sulla base di SCIA o CILA per le quali si ritiene non ricorrano i presupposti.

In questo caso, ciò che l’istante pone in essere è l’avvio di un procedimento amministrativo ad istanza di parte, al quale è legittimato a partecipare, interloquendo con l’amministrazione e da questa ricevendo le comunicazioni previste. Da ciò deriva, quale ovvia conseguenza, che lo stesso è legittimato ad impugnare l’eventuale provvedimento negativo dell’amministrazione o il silenzio da questa serbato sulla sua istanza (ferma restando la verifica, in sede processuale, della sussistenza delle condizioni dell’azione e, in particolare, dell’interesse ad agire).

Ricorrono, dunque, due profili, temporalmente distinti, di verifica della situazione soggettiva dell’istante:

- il primo, da parte dell’amministrazione, che deve verificare l’ammissibilità e (poi) la fondatezza dell’istanza, ben potendo essa rapidamente concludere (ovvero decidere di non avviare) il procedimento con un provvedimento in forma semplificata, ex art. 2, co 1, secondo periodo, l. n. 241/1990, laddove ritenga la segnalazione inammissibile o palesemente infondata;

- il secondo, riservato al Giudice, in sede di sindacato sul provvedimento conclusivo del procedimento ovvero sul silenzio serbato dall’amministrazione, il quale verificherà, come è necessario, la sussistenza delle condizioni dell’azione.

6.2. E’ solo nella seconda delle ipotesi considerate (sub punto 6.1.2) che l’esame deve essere condotto sulla base dei principi espressi dall’Adunanza Plenaria n. 22/2021 (adattando gli stessi ad un giudizio sul silenzio e non già ad un giudizio impugnatorio di titolo edilizio ritenuto illegittimo); esame, come da questa affermato, “da condurre pur sempre sulla base degli elementi desumibili dal ricorso, e al lume delle eventuali eccezioni di controparte o dei rilievi ex officio, prescindendo dall’accertamento effettivo della (sussistenza della situazione giuridica e della lesione che il ricorrente afferma di aver subito. Nel senso che, come è stato osservato, va verificato che “la situazione giuridica soggettiva affermata possa aver subito una lesione” ma non anche che “abbia subito” una lesione, poiché questo secondo accertamento attiene al merito della lite”.

Come è noto, la citata sentenza dell’Adunanza Plenaria ha affermato che:

“a) nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato;

b) l’interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall’intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso . . .

. . . d) nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo la violazione della distanza legale con l’immobile confinante con quello del ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo”.

In sostanza, l’interesse al ricorso deve essere individuato nello “specifico pregiudizio derivante dall’intervento” alla posizione soggettiva dell’istante ed al bene che di questa costituisce il lato interno, sia che tale intervento avvenga sulla base di un provvedimento amministrativo ritenuto illegittimo (ed oggetto di impugnazione), sia tutte le volte che il formale titolo autorizzatorio manchi, per essere stata l’opera ritenuta esente da autorizzazione, ovvero sia stata realizzata in base ad altri istituti (SCIA, CILA).

La “vicinitas”, ritenuta “elemento di individuazione della legittimazione” (uno degli elementi di individuazione, occorre precisare), se non rileva come automatico elemento atto a dimostrare l’interesse a ricorrere (come dire: vi è pregiudizio sol perché c’è la vicinitas), non costituisce, tuttavia, nemmeno elemento escludente (ove essa manchi o sia dubbia), dovendosi sempre verificare che l’annullamento del titolo edilizio ovvero l’intervento repressivo o in autotutela dell’amministrazione comporti “un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo”.

7. Nel caso di specie, la sentenza impugnata da sinteticamente atto del fatto che, nella prospettazione dei ricorrenti, “la modifica illegittima dell’assetto del fabbricato inciderebbe negativamente ed in re ipsa sulla sfera giuridica di chi ha i propri interessi abitativi nel medesimo fabbricato”, ma esclude (peraltro con motivazione eccessivamente sintetica e dunque non soddisfacente), che vi sia una “lesione attuale e concreta” derivante ai ricorrenti dagli interventi eseguiti.

Orbene, prescindendo dall’esame della utilizzata (ma di dubbia ed incerta configurazione) categoria degli “interessi abitativi”, giova osservare che gli appellanti sono tutti comproprietari di appartamenti ubicati nello stesso immobile (denominato “Residence Annamaria”) in cui l’appellata signora Franco ha effettuato interventi edilizi.

Essi lamentano, con il ricorso di primo grado, un pregiudizio, tale da fondare l’interesse ad agire, consistente (così come sinteticamente ricostruisce la stessa parte appellata: pag. 7 memoria cit.):

“a) nel deterioramento delle condizioni di vita con riferimento alla presenza di condutture di scarico sulle facciate dell’edificio che trasportano acque bianche e nere; b) nel peggioramento dei caratteri urbanistici che connotano l’area; c) nei danni patrimoniali così come connessi al mancato accesso ai benefici apprestati per la realizzazione di interventi edilizi per il miglioramento energetico degli edifici ovvero per la messa in sicurezza degli stessi”.

Orbene – pur senza entrare in merito all’ampliamento (o meno) apportato al thema decidendum dai motivi di appello, e dunque alla eventuale sussistenza della violazione dell’art. 104 c.p.a., ed impregiudicata la verifica se tale violazione si configuri anche nel caso di migliore prospettazione delle condizioni dell’azione – tali elementi di pregiudizio sono di per sé sufficienti a fondare la sussistenza dell’interesse ad agire.

Appare evidente come, nel caso di specie, il pregiudizio lamentato non si collega tanto all’elemento della vicinitas (che, peraltro, appare alquanto paradossale evocare con riferimento a beni di proprietà individuale ubicati nel medesimo immobile di proprietà comune). Esso consiste, invece, nel pregiudizio derivante al diritto di (com)proprietà della cosa comune dall’esecuzione delle opere da parte di un solo condomino (ad es., “condutture di scarico sulla facciata dell’edificio”), oltre che al diritto (individuale) di proprietà, in relazione alle facoltà di godimento ed ai poteri di disposizione del bene, oltre che all’intrinseco valore delle res (riferito sia al fabbricato come bene in comproprietà, sia ai singoli appartamenti).

E’ appena il caso di osservare, dunque, che, in presenza di opere che incidano sulla cosa di proprietà comune, impregiudicata ogni verifica sulla fondatezza del ricorso, è ben difficile escludere sia la legittimazione sia l’interesse ad agire, proprio per la concreta situazione proprietaria dell’immobile interessato.

8. Alla luce di quanto esposto, l’appello deve essere accolto, con riferimento ai motivi sub lett. a), b), c) ed f) dell’esposizione in fatto, con assorbimento degli ulteriori motivi proposti.

Da ciò consegue, in riforma della sentenza impugnata, l’accoglimento del ricorso instaurativo del giudizio di primo grado e, per l’effetto, l’obbligo dell’amministrazione di riscontrare l’istanza proposta dagli attuali appellanti (26 gennaio 2023 n. 99/is).

Qualora il Comune di Castellabate non provveda entro il termine di trenta giorni, decorrente dalla data di notificazione della presente decisione, il Collegio, ai sensi dell’art. 34, co. 1, lett. e) c.p.a., nomina sin da ora, quale Commissario ad acta, il Prefetto di Salerno, con facoltà di delega ad altro funzionario della Prefettura, che provvederà entro l’ulteriore termine di sessanta giorni, decorrente dalla notifica della presente decisione a cura di parte appellante.

Stante la natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda),

definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Ucci Giovanna ed altri, come in epigrafe indicati (n. 8259/2023 r.g.), lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata:

a) accoglie il ricorso instaurativo del giudizio di primo grado;

b) ordina al Comune di Castellabate di provvedere sull’istanza 26 gennaio 2023 n. 99/is;

c) nomina, per il caso di inottemperanza, il Commissario ad acta, come indicato in motivazione;

d) compensa tra le parti pese ed onorari del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Oberdan Forlenza, Presidente, Estensore

Giovanni Sabbato, Consigliere

Cecilia Altavista, Consigliere

Francesco Guarracino, Consigliere

Maria Stella Boscarino, Consigliere